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Autore: roxy_xyz    04/11/2012    2 recensioni
Il dolore ci prende, ci blocca, ci impedisce di continuare a vivere. Ed è quello che è successo a Marco, rimasto solo senza la sua Elisa. Un guscio vuoto che non fa altro che alzarsi la mattina senza alcun scopo.
A volte basta poco, una parola, una persona che ci aiuta al alzarci.
Un incontro per capire una cosa: Marco non è solo.
[Nona classificata al The Untold Stories - Multifandom & Originali – Inedite ed Edite]
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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For ever

III




“Tu, uomo delle caverne, esci stasera con me e non mi importa un fico secco se hai impegni o se non ti senti ancora pronto. Marco, tu esci. Punto e a capo. Anzi, facciamo che ti porto anche qualche mia amica così ti distrai un po'. Fine comunicazione di servizio.”
Alberto, il suo migliore amico, nonché collega di lavoro, lo aveva appena incastrato in una delle sue solite uscite. Non che non si divertisse in compagnia della comitiva, ma non amava la birra e tanto meno parlare con persone che aveva visto solo sporadiche volte.
“Albe, vada per l’uscita, ma portami una ragazza e giuro che è l’ultima cosa che fai.”
“Ma perché?”
“Perché hai dei gusti orrendi e sei schifosamente miope. Ergo, a cuccia.” Aveva parlato, puntandogli il dito in modo che le sue parole fossero anche più intimidatorie. Era consapevole di quanto poco considerasse la sua opinione, perché Alberto era convinto che tutto gli fosse concesso dato che agiva in buona fede. Lo faceva per tirare su il morale di Marco, no?
Un disastro d’amico, ma anche il più caro, proprio perché non lo aveva abbandonato mai.
E gli aveva dato buca un miliardo di volte, per giunta.
“Non mi sembra che Alessia ti fosse dispiaciuta.”
“Guarda che Alessia te la sei portata a casa tu, mentre a me hai lasciato Giovanna. 29 anni, più asociale di me e con una profonda paura per l’acqua e il sapone.” Marco non avrebbe mai dimenticato quella serata. Anche perché l’aveva passata quasi in apnea, e tutto per colpa del suo migliore amico.
“D’oh, che bravo che sei con i nomi. Visto? Ti devo portare solo per quello, altrimenti rischio una delle mie solite figure.”
“22? Così abbiamo il tempo di rilassarci un po' a casa.”
“Aggiudicato!” Alberto allungò la mano per stringere l’accordo, per poi dirigersi verso il suo ufficio con un enorme sorriso stampato in faccia.
E a Marco non rimase altro che scuotere la testa, prima di riprendere il lavoro e quelle maledette e-mail.


*



Alle tredici in punto spense il computer e si avviò verso l’uscita per il solito rito: pasto in mensa e passeggiata fino al cimitero. Se avesse condiviso con qualcun altro queste sue giornate era certo che l’avrebbe preso per pazzo, e il fatto che ormai fosse chiaro anche a lui era un segnale d’allarme. Eppure non voleva andare altrove; certo, non era normale che passasse tutto quel tempo in un luogo così triste e solitario, ma la verità era che si sentiva in pace, tranquillo. Dalla mensa erano appena due chilometri, e lui li faceva sempre molto volentieri; aveva la possibilità di pensare e di godersi quelle giornate invernali, che poi tanto rigide non erano.
Pensava a sé e a quello che doveva fare, a Elisa, al lavoro, alla sua famiglia che non sentiva da tanto, a un cane che aveva intravisto in una vetrina e che desiderava comprare. Pensava, e questo lo faceva stare bene. Come anche andare al cimitero e incontrare le solite persone.
A quell’ora c’era sempre una signora piuttosto anziana che passava il tempo a lucidare la lapide. Con una scopa in mano, spazzava le foglie secche rivolgendo delle occhiate torve alle povere piantine, come se fosse colpa loro. A quel punto prendeva un panno bagnato e, con quella poca forza che aveva, cercava di togliere tutte le macchie. Infine, completamente soddisfatta, sorrideva a un uomo. A suo marito. Giovanni era morto giovane e in quella foto sorrideva felice.
Percorsi duecento metri, Marco scendeva le scale e girava a destra. Lì c’erano due sorelle che avevano perso prematuramente la loro sorella minore. Stavano sedute e si tenevano per mano, con lo sguardo sempre in movimento, ma mai fisso sulla foto della lapide. Perché le sorelle minori dovevano aiutare le maggiori e stare con loro fino alla vecchiaia, non potevano morire perché un pazzo non si era fermato ad un incrocio.
A pochi passi da loro c’era poi il personaggio vero e proprio di quel cimitero. La regina indiscussa, ovvero la donna vestita in nero, sempre arrabbiata e sempre con il broncio. Ogni santo giorno litigava con il marito, per qualsiasi motivo. Pioveva, e lui sapeva quanto invece amasse il sole; non avevano fatto “Beautiful” perché lui non sopportava quel genere di soap opera. Ogni cosa, ogni avvenimento nella vita di questa strana signora era il risultato delle piccole vendette che si prendeva il marito anche dall’al di là. Lei era estremamente convinta di ciò e quindi gli urlava sempre tutto quello che aveva taciuto durante i loro anni di matrimonio.
E poi c’era la piccola fiammiferaia, la ragazza con cui lui parlava sempre e di cui non sapeva nome o altro. Tutte le volte la trovava già lì, e quando andava via lei invece restava. Come poteva andare a controllare il nome e la foto della lapide? Avrebbe fatto la figura del cafone e lei non lo meritava. Perché grazie a lei aveva cominciato a parlare nuovamente con Elisa, e non lo faceva piangendo o iniziando con le sfilze di “e se”, ma sorridendo. Sì, perché le raccontava quello che gli succedeva, e poi scherzavano insieme anche sulle cose banali. Succedeva tutto dentro la sua testa, non era reale, ma a lui non importava; era un inizio per andare avanti. Piccoli passi. Anche strascicati, ma sempre in avanti.
“Ciao.”
“Oh, guarda chi si rivede… il serial killer dei fiori, nonché mio personal stalker!” disse la giovane donna, scherzando.
“Non dirlo ad alta voce che poi mi arrestano, e se lo fanno, chi ti ruba i fiammiferi?”
“Il tuo discorso non fa una piega, come ho potuto pensare di incriminarti?” disse, per poi avvicinarsi e accendergli il cero. “Ecco fatto, ora lei ti può vedere.”
Piccole frasi, dette con una sincerità tale da spiazzarlo, ma che avevano la capacità di scuoterlo da quel torpore dal quale non riusciva a uscire.
La vide inginocchiarsi e allungare una mano verso il freddo marmo, per poi ritrarla subito dopo.
“Ti manca, vero?”
Non rispose subito, Marco era abituato a quei lunghi silenzi o alle volte in cui non si degnava neanche di replicare. Aveva imparato a conoscerla, sapeva che era il suo modo di reagire quando si avvicinava troppo a quella sottile linea rossa che era stata lei stessa a imporre.
“Domani non verrò più” disse, invece. La notizia lo sconvolse così tanto che, inavvertitamente, fece cadere uno dei garofani che aveva tolto, perché ormai secco.
“Come… perché?”
“E tu dovresti smettere di venire qua ogni giorno, devi uscire e rifarti una vita.”
Lentamente si era alzata e, recuperato il fiore da terra, aveva cominciato a giocherellarci.
“È morto anche lui. Ti ricordi quanto era bello qualche giorno fa? Così rosso e vivace.” Prima di proseguire aveva allungato la mano e fatto cadere il fiore in una delle tante pattumiere del cimitero. “Poi arriva quel giorno e ti accorgi che non puoi evitare quel momento, e allora muori, non puoi fare nulla, solo accettare gli eventi, anzi l’evento. Diventi solo una foto che col tempo perde colore, e alla fine sei solo una macchia indistinta. Sei polvere che il vento spazzerà alla prima bufera, capisci?”
“No, non capisco questi tuoi discorsi. Perché ora? Cosa è cambiato?”
Gli aveva sorriso teneramente. “Non ti servirà a nulla passare le giornate qui, in compagnia di una svitata. Dobbiamo andare avanti, e l’ho capito grazie a te. Per troppo tempo sono rimasta incatenata a questo luogo, perché non riuscivo a prendere una decisione. Ero spaventata, e non volevo allontanarmi dai posti che amo, o meglio dalle persone che amo; temevo di tradire la loro fiducia in quel modo. Sono stata una stupida invece, perché in questo modo ho solo fatto del male.
Devo smetterla di venire qua e di perdere tempo a parlare a una lapide, ma trovare il coraggio di proseguire nel mio cammino. Anche se ho paura e vorrei tanto fermarmi qui, continuare a sognare una vita.”
Parlava e giocava con uno dei suoi lunghi capelli, un gesto che serviva a calmarla e che aveva il potere di ipnotizzarlo ogni volta che lei lo faceva. L’umidità di quel giorno aveva reso i suoi capelli mossi, piccole onde che avrebbe voluto accarezzare, strofinarvi le dita.
In lontananza le sorelle avevano recuperato le loro cose in modo da avviarsi. Si tenevano per mano, sostenendosi. Quanto aveva desiderato anche lui la stessa cosa? Si era illuso di aver trovato un appoggio in lei, perché condividevano la stessa disperazione, quel dolore che gli strappava sempre gemiti e che, forse, l’avrebbe fatto sempre.
Quei giorni erano stati speciali per Marco, perché aveva trovato una persona come lui, disperata e sola quanto lui, e l’idea di essere abbandonato a se stesso come prima lo terrorizzava.
“Non siamo costretti a farlo ora, possiamo pensarci più tardi.”
“Credi veramente di avere tutto questo potere sul tempo? Quante volte hai rimandato qualcosa, dicendo che l’avresti fatta l’indomani e poi non ne hai avuto la possibilità? Io ho preso la mia decisione e mi sembrava giusto comunicartela, perché sei come me.”
Per la prima volta, nessuno dei due pensava al vero motivo che li aveva portati in quel cimitero; Marco non aveva ancora letto la sua quotidiana lettera a Elisa. L’aveva scritta in ufficio, quando aveva versato del caffè sulla tastiera, e aveva riso ricordando tutte le volte che l’aveva fatto lei. Rideva perché Elisa aveva cambiato più spesso tastiere che taglio di capelli, e puntualmente sorseggiava il caffè davanti al computer, consapevole di quello che sarebbe successo.
E nemmeno la donna aveva raccontato quello che le era successo, bisbigliato al freddo marmo le sue paure, sussurrato le sue richieste di aiuto. Quel giorno non era come tutti gli altri, e lo sapevano entrambi; erano arrivati a un bivio e lei aveva scelto una direzione piuttosto che un’altra: una scelta che l’avrebbe portata lontana da Marco.
“Voglio provarci, anche se ho paura, anche se forse quest’ottimismo non mi porterà da nessuna parte, ma mi è rimasto solo quello.”
Parole, speranze, forse illusioni.
La vide chiudere gli occhi, emettere piccoli respiri prima di aprirli e di sorridergli. Aveva deciso e sembrava felice, per la prima volta da quando l’aveva conosciuta.
“Vivi, vivi come se dovessi farlo anche per lei” gli disse, prima di baciarlo delicatamente sulla guancia. Dopodiché, Marco la vide allontanarsi e salire le scale, diventare un puntino sempre più lontano.
Era nuovamente solo.


*



“Sei con noi?” Alberto gli aveva messo di fronte una birra media, invitandolo a bere. Alla fine era uscito lo stesso, anche se la sua testa era altrove; da quando aveva varcato la soglia di quel locale, non aveva fatto altro che pensare alle parole che la donna gli aveva rivolto. Era troppo presto per smettere di pensare a Elisa, non aveva voglia di frequentare un’altra donna, perché… perché era sbagliato. Forse. I suoi stessi pensieri gli risultarono stupidi, dopotutto non c’era un tempo prestabilito per superare il lutto; c’era gente che non si risposava più e chi lo faceva quasi subito.
Gettò un’occhiata al pub e agli amici della sua tavolata: Alberto lo stava fissando sempre più preoccupato, mentre la sua comitiva rideva e scherzava, senza accorgersi di nulla. Osservò quelle persone e fu invidioso di loro, di quella felicità che condividevano. Si era allontanato da tutti ed era consapevole di averlo fatto volontariamente, per evitare domande e bugie.
Come stai? Bene, quando invece avrebbe voluto rimanere a casa e guardare la televisione.
Cosa mi racconti? Tante cose, e nulla. Sei mesi e solo lavoro. Non chiamava sua madre e sua sorella da parecchie settimane, e aveva ormai finito le scuse da raccontare loro, smettendo di rispondere al telefono; inviava solo brevi messaggi con il cellulare, per evitare di trovarle fuori dalla porta.
“Marco, stai bene?”
Guardò il suo migliore amico, l’unica persona che non lo aveva mai abbandonato, e per la prima volta rispose sinceramente.
“No.”
Non avrebbe più raccontato bugie a se stesso.


*



Rialzarsi dalla caduta non fu per nulla facile; per mesi era stato in quella situazione precaria, in un vicolo cieco in cui lui stesso si era infilato e dal quale non voleva uscire. Aveva capito di essere uno di quei tanti uomini disperati; uno dei tanti, appunto. Doveva reagire per Elisa, per la donna del cimitero, per la sua famiglia. E per se stesso. Doveva volerlo innanzitutto lui, altrimenti ogni suo sforzo sarebbe stato vano; si conosceva fin troppo bene, purtroppo.
Piccoli passi, come gli diceva sempre Alberto.
Il suo amico non aveva più preteso uscite serali, aspettando che fosse proprio lui a volerlo. Era stato anche fin troppo buono e paziente, e non si era mai lamentato, imparando ad accettare i suoi silenzi e riuscendo a interpretarli. Era una presenza costante e premurosa, come solo un vero amico riesce a essere. Arrivò poi il giorno in cui fu Marco a bussare alla porta di Alberto per invitarlo a fare una passeggiata fuori, e quel giorno, anche se era stato susseguito da mesi e mesi di solitudine, segnò l’inizio della sua guarigione.
L’inverno era finito, c’era stata la primavera e poi era finita anche quella. E Marco aveva perso le foglie e si era rivestito, come un vecchio albero, più forte di prima, riuscendo a ritrovare i colori che aveva perso.
Poi un giorno comprò alcune margherite e andò al cimitero; non lo aveva fatto per troppo tempo e ora si sentiva un uomo nuovo, aveva bisogno che anche lei lo vedesse. Le raccontò quei lunghi mesi tramite le lettere che non aveva mai cessato di scrivere.

14 Febbraio

È San Valentino, oggi. Ho ritrovato la felpa che ti avevo regalato; era nascosta in un cassetto, sotto un mucchio di vestiti che non ti ho mai visto usare. Diamine, è terribilmente brutta. Come ho potuto comprartela? Ho iniziato a ridere come uno scemo quando mi sono ricordato la tua reazione di allora. Mi avevi odiato per il mio cattivo gusto e poi mi avevi riempito di baci. Elisa… avevi ragione, ma soprattutto, come hai fatto a indossarla quel giorno a casa dei tuoi?

13 Marzo

Piove. Dai, non è giusto! Il meteo non ci azzecca mai. E tu non esserne felice, perché so benissimo quanto tu impazzisca per i temporali. Mi hai sempre preso in giro; eravamo una strana coppia: io saltellavo alla vista del sole, e tu ti precipitavi fuori in balcone per assaggiare la pioggia. Che poi con tutto l’inquinamento che c’è, non so che gusto avesse. Sei sempre stata folle. E io di te.

21 Aprile

Buon compleanno, Eli. Sono le dieci del mattino e non ho proprio voglia di stilare il preventivo che il mio capo sta aspettando da ieri. Non cominciare a dirmi che sono pigro! È uno di quei clienti strani, ha l’aspetto di un barbone a dire il vero, e non sembra minimamente interessato. L’ho capito subito! Solo che il mio capo ha insistito così tanto che alla fine lui si è ritrovato ad accettare la sua proposta di pensarci su. Cavolo, mi ha appena inviato una mail con il sollecito!
Ritorno a lavorare anche se vorrei continuare a parlare con te. Ancora auguri, amore.

2 Maggio

Sono stato promosso. Non ci credo ancora... cioè, so di aver messo le radici qua ultimamente, ma pensavo che il mio lavoro avesse risentito della mia mancanza di interesse. Alberto ha comprato una bottiglia di champagne, ovviamente l’ha messo sul mio libro spese. Lo so, è Alberto.
A proposito, sai che è sempre più distratto ultimamente? E credo di aver intuito il motivo: biondina, terza scrivania, a ore tre. Devo indagare, magari lo champagne mi aiuterà a renderlo malleabile!

8 Giugno

Perché ho accettato di andare a mare con quel pazzo? Ora capisco perché tu e Albe siete sempre andati d’accordo! Folli e istintivi, e io a corrervi dietro. Sono un cane, ecco l’ho detto.
“Passiamo una giornata al mare?” Io ero dubbioso, fa ancora freddo per farsi il bagno, ma lui ha cominciato a parlare senza fermarsi più, finché ho capito di alzare bandiera bianca. Siamo partiti tutti entusiasti e in spiaggia abbiamo trovato un meraviglioso temporale ad accoglierci.
È Giugno e io ho la febbre!

13 Giugno

Ti amo.

5 Luglio

Voglio vederti, Eli.
Voglio raccontarti il mio nuovo me.
Non ce la faccio più.



*



Loro non c’erano più, le sorelle, la signora in nero, e nemmeno la moglie di Giovanni. Nuove persone avevano preso il loro posto, uomini e donne di cui lui non conosceva la storia.
Ma era così importante, poi? No. Girò a destra e andò da lei.
Elisa era sempre lì, sorridente nella foto. L’aveva scattata durante una delle sue tante escursioni, quando si erano avventurati per vedere una diga dall’alto. Quanto avevano camminato! Il sole era forte e lei si era bruciata il naso come sempre, e lui l’aveva presa in giro.
Si avvicinò alla lapide e tolse quei fiori appassiti per sostituirli con quelli nuovi. Questa volta era necessario e non si stava comportando da killer seriale di fiori. Rise, pensando a quello scambio di battute, e poi parlò con lei. Lo fece per più di un’ora, fino a sentire l’esigenza di un bicchiere d’acqua. Non avrebbe dovuto smettere di venire, si sentiva colpevole e temeva che Elisa si fosse sentita abbandonata. Lui aveva pensato ogni momento a lei, continuava ad amarla come il primo giorno, ma aveva imparato a riconoscere le sue tracce. Era ovunque: nei luoghi che avevano frequentato, nei film che avevano visto insieme, e infine dentro di lui.
Elisa era nel sorriso di Marco, un po’ sghembo, a tratti amaro, ma mai finto. Non aveva più bisogno di andare ogni giorno a fissare un pezzo di marmo.
“Buongiorno” aveva detto una voce, e lui per un attimo pensò che si trattasse della piccola fiammiferaia.
Alzò lo sguardo di scatto, ritrovandosi di fronte una ragazza, dai tratti che a lui sembrarono familiari.
“Buongiorno a lei” si limitò a rispondere, sperando di riuscire a ricordare chi fosse.
“Credevo non avresti mai risposto al saluto, Marco.”
“Ci conosciamo?” Ora era nel panico più completo.
“Sono Anna. Lavoriamo nello stesso ufficio da anni, forse non mi hai mai notato, però io… beh, mi ricordo di te. Sei l’amico di Alberto, vero?”
Ecco, era la donna che l’aveva salutato sempre, e a quanto pare aveva una cotta per il suo amico.
Un’altra nella sua lunga lista, ma forse era meglio non dirlo.
“Non ti avevo mai vista qua” disse, invece.
La vide cambiare espressione improvvisamente, mentre allungava una mano verso i suoi capelli. Erano cortissimi e neri, e le donavano un fascino da folletto.
La sua domanda doveva averla innervosita perché cominciò a giocherellare con una ciocca e a non alzare lo sguardo da terra. Marco dubitava che quella fredda pietra fosse così attraente.
“È per mia sorella, l’ho sognata spesso ultimamente… e ieri mi sono svegliata in lacrime.”
Per la seconda volta nell’arco di una giornata, Marcò si sentì un cafone.
“Mi dispiace, non dovevo chiederlo. Mi sembra di non combinarne una giusta con te.”
Anziché mandarlo al diavolo, Anna gli sorrise. “Non fa niente, non potevi sapere.”
Perché lei non aveva domandato nulla a Marco, sapevano tutti cosa aveva passato e chi aveva perso.
“Come si chiamava?”
“Sara.” Con un gesto della mano, gli indicò la lapide vicina. E lui si avvicinò curioso, per vedere il volto della sorella. Nella foto, una ragazza dai lunghi capelli neri gli sorrideva, ammiccando verso l’obiettivo. Era la donna misteriosa, la piccola fiammiferaia.
“Era mia sorella gemella” continuò Anna, “anche se eravamo completamente differenti. Lei è sempre stata un tipo estroso e per tutta l’adolescenza ha fatto impazzire mia madre. Io ero la sorella secchiona e completamente imbranata con gli uomini. Però ci volevamo bene, ci capivamo ecco. E alla fine ci completavamo perché formavamo una squadra.”
“Com’è morta?” domandò Marco.
“Cancro, un anno fa. L’ha devastata, togliendole anche il suo grande ottimismo, perché lei l’aveva sconfitto, ce l’aveva fatta. Poi un giorno si è svegliata e ha cominciato a stare nuovamente male, lui era tornato. Era ovunque e alla fine si è portato via lei. Non ho potuto fare nulla, la fissavo, le stringevo la mano, ma era lei in quel letto d’ospedale. Lei, quella più forte e intelligente!”
Aveva cominciato a piangere, parlare con un estraneo gli aveva dato la possibilità di pronunciare ad alta voce i suoi sensi di colpa, perché il giorno del funerale aveva desiderato essere al posto di sua sorella. Era sola, non aveva amici e alcun talento, perché Dio aveva scelto Sara?
Marco rimase in silenzio dopo quello sfogo, alla ricerca delle parole giuste da rivolgerle.
Con grande calma prese il pacchetto di fiammiferi che aveva portato con sé e accese il cero, come avrebbe fatto Sara stessa. La fiammella tremò per qualche secondo, e Marco s’incantò per qualche secondo ad osservarla; una folata di vento la sfiorò, ma quella rimase fissa, forte, creando un gioco di ombre e luci sui fiori. Un petalo cadde giù, verso terra, iniziando a rotolare lontano da loro.
“Tua sorella ti amava e non dovresti parlare così. Scommetto che in questo momento si sta mordendo la lingua per trattenere il fiume di rimproveri. Amava la vita, ma non quanto te, e ora che lei è andata via, devi essere tu a tenere bada a tutti. Tu sei lei, Anna. Devi vivere per due persone.”
In lontananza suonava la sirena, il cimitero stava per chiudere.
Faceva caldo, troppo caldo e i fiori sarebbero appassiti entro qualche giorno, lasciando la tomba spoglia e priva di colori. Anche la fiamma si sarebbe spenta, perché era giusto così.
Marco si sarebbe recato a lavoro, avrebbe scherzato con quel buffone di amico che si ritrovava, e avrebbe risposto al saluto di Anna. Il sorriso di Sara gli suggeriva anche di invitare sua sorella a uscire. Forse. Un giorno, senza fretta.
Era solo, ma per la prima volta non aveva paura di quello che sarebbe successo l’indomani; sapeva che sarebbe stato qualcosa di incredibile, perché qualcuno gli aveva ricordato che bisognava lottare per la vita e che questa poteva essere ricca di sorprese.
Elisa e Sara gli stavano sorridendo; erano lì, con lui e Anna, erano dentro di loro. E sarebbero rimaste con loro. Per sempre.


Ed eccoci gunti alla fine di questa storia. Spero che abbiate capito ogni cosa e non vi stiate domandando se Sara è un fantasma oppure no. Perché altrimenti vado a seppellirmi!
Comunque il mio intento era scrivere una storia in cui i personaggi imparassero l'uno dall'altro, perché Marco aveva smesso di vivere, mentre Sara non voleva staccarsi dalla sua vita. Il lieto fine esiste e dobbiamo crederci! Lo so, sono strana e contorta. E anche un po' pazza.
Grazie e alla prossima storia... magari più allegra, eh!
   
 
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