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Autore: Stukas are Coming    05/11/2012    2 recensioni
Un' altra storia ambientata negli anni del nazismo, forse abbastanza simile a "le violette nella foresta" ma solo in parte. E' un' idea che mi è venuta a mente un giorno, e ho buttato giù questo racconto. Fino a dove può arrivare l' amicizia, ed è davvero incorruttibile ?
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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Cielo. Albero. Grano. Sole.

La terra sotto ai piedi. Il vento, gli steli delle piante come delle piccole fruste contro i palmi delle mani e il corpo.

Il calore, l' azzurro accecante di metà pianeta che finisce all' orizzonte.

Il mio respiro veloce, l' ossigeno che entra dal naso ed esce dalla bocca, e i capelli dietro. E di nuovo il terreno caldo, zolle che si sbriciolano quando le calpesto.

Corro anche se sento male al fianco e ho il fiato corto. Correre nel campo di grano è qualcosa della mia vita a cui non posso rinunciare, anche se ho quattordici anni e certe cose le fai solo quando sei piccolo.

Non che sia granchè come posto, cioè, immagino che ci siano migliaia di luoghi decisamente più belli, che sorprendano lasciando a bocca aperta. Qua in effetti c' è un albero, vecchio e nodoso, messo in mezzo ad un grande campo di grano come fosse quasi fatto apposta.

A un chilometro di distanza c' è casa nostra, e a duecento metri circa il paesino. Nulla di che.

E' qua, comunque, che ho passato i miei migliori momenti. La mia vita non ha avuto avvenimenti pazzeschi, tuttavia contiene anch' essa attimi bellissimi. Tanto quanto quella di qualsiasi altro individuo.

Mi fermo ansimando, le mani sulle ginocchia, e mi guardo dietro mentre gli uccellini cantano. Sul ramo più basso dell' albero c' è ancora parte della corda della mia vecchia altalena; s' era rotta perchè assieme ad un' altra persona eravamo saliti entrambi ed eravamo cascati a terra con uno strillo.

Con i respiri che progressivamente diventano normali mi guardo attorno come faccio sempre quando vengo qua, apprezzo nel fondo dell' anima ciò che vedo e ritorno dov' ero.

Mi siedo tra le due grosse radici e guardo in su, osservando le fronde sullo sfondo azzurro. Raramente ho visto un colore tanto acceso. Nel 1929, quest' anno, sono successe tante cose interessanti, ad esempio ho visto un treno per la seconda volta in vita mia e sono rimasta senza parole. La mia bicicletta era diventata troppo piccola e me ne hanno comprata un' altra grande, bellissima. Il mio nuovo cappotto è troppo bello, cucito da mia nonna, azzurro come il cielo incredibile di oggi. E la penna di mia madre mi piace da matti, gliela rubo quando posso per disegnare su dei fogli polverosi trovati in cantina.

Tra non tanto devo tornare e con mamma, Anna, Myriam e Abraham reciteremo alcuni passi del Talmud come ogni giorno. Io sono la più piccola, gli altri miei fratelli hanno rispettivamente sedici, diciotto e ventitre anni.

Però non ne ho voglia, mi va solo di rimanere qua anche se è incandescente e avrei voglia di bere acqua fresca. Il motivo è che mi preme vedere se arriva Erich, di solito è sempre a quest' ora che viene. Erich è quello con cui ero salita sullo pneumatico appeso all' albero causando la ovvia rottura della corda con conseguente caduta a terra, per intenderci.

O anche quello finito in mezzo ad un cespuglio di repellenti enormi ortiche perchè gli avevo lanciato addosso il pallone colpendolo in pieno petto. Le urla che aveva fatto, unite ad una fuga e un pianto epici, mi avevano terrorizzato e fatto venire sensi di colpa per giorni interi. Era accaduto quando avevamo sette anni, ma siamo amici da quando siamo nati e alla fine mi ha perdonato.

Mi ricordo che era arrivata mia madre spaventata dalle sue grida, convinta che si fosse rotto una gamba, e aveva visto me con le mani sulla bocca ritta immobile e lui che correva in tondo piangendo.

Siamo nati e cresciuti assieme perchè abita vicino a noi; casa nostra è lievemente separata dal resto del paese, protesa verso i campi, ma comunque per arrivare nel centro del paesino ci impiego al massimo tre minuti camminando. Erich abita nel primo edificio che si trova venendo da casa nostra, e ciò ha fatto si che le nostre madri si conoscessero presto e ci facessero giocare sempre in compagnia.

Di certo però nessuno poteva scambiarci per fratelli: siamo diversi come sono differenti una mela e una ciliegia. Lui è biondo -la persona coi capelli più chiari che abbia visto in tutto il paese, perfino le sue sopracciglia sono bionde- e ha gli occhi azzurri, mentre io sono scura sia di testa che di iridi.

Quando c' è il sole strizza sempre gli occhi e sembra che abbia la pelle trasparente. Da piccola non capivo perchè socchiudeva in quel modo le palpebre, mamma diceva che è perchè ha le iridi azzurre ma non capivo lo stesso. Per quale motivo lui lo faceva e io no ? Infine la risposta: i colori chiari sono più delicati degli scuri.

Con questa fondamentale spiegazione alle spalle sono sempre andata avanti a sghignazzare ogni volta che fa quelle facce quando il sole è forte.

Sua mamma è identica a lui e pure suo padre, fanno rispettivamente l' insegnante e il sarto -però di alto livello-. A volte me li immagino tutti e tre a strizzare gli occhi e mi scappa da ridere.

Mia madre pure lei è sarta, ma molto meno importante del papà di Erich. E mio padre è fornaio. Nessuno dei due è biondo o con occhi azzurri, dunque non ci sarà mai la scena del nostro sestetto che riduce le palpebre a due fessure nei giorni soleggiati. Non è una cosa fondamentale, ma sarebbe simpatica.

Poso sul terreno il libro che avevo iniziato a leggiucchiare distrattamente e sbuffo non vedendo arrivare Erich. Dove si sarà cacciato ?

Giocherello con lo stelo di un filo d' erba sapendo benissimo che tra poco devo tornare a casa. Certo, anche se saltassi un giorno senza vederlo non cascherebbe il mondo, però ci tengo proprio. In effetti, come mia madre ha capito da un po', sono del tutto cotta di lui.

E' il mio miglior amico, un vero compagno d' infanzia, potrebbe benissimo essere mio fratello -non in senso genetico- ma questo non ha impedito di innamorarmi. Alla fine immagino che sia stata una cosa abbastanza ovvia, essendo cresciuti insieme. Ciò che mi piace più di questa situazione è che anche lui lo è. Innamorato, dico.

Di me !

Mamma dice che a quattordici anni invaghirsi di qualcuno fa pensare che sia per sempre, io non lo credo. Immagino che non durerà fino alla fine del mondo, però per ora ci si può benissimo illudere, no ? E poi sono convinta che un rapporto tanto stretto debba per forza resistere nel tempo sotto forma almeno di amicizia.

Mamma, giusto per citarla ancora, sostiene che alla nostra età la vita sembra non avere mai fine, che pare un' infinita distesa di anni tutti uguali a questi. Non sono sicura se, quando parla così, lo faccia per smontare le mie illusioni o per tenerezza. Gente strana, gli adulti.

In ogni caso ciò non toglie che quello stupido di Erich non si stia facendo vedere.

Sospirando raccolgo i miei oggetti mettendomeli sotto braccio, stringo le scarpe e inizio, con esasperante lentezza per tentare di fare ancora in tempo a vedere comparire la sua testa bionda, a dirigermi verso casa.

Il grano si muove sotto la brezza e mi ricorda un numero immenso di ballerine filiformi fare dei passi di danza con un' uniformità perfetta. Riesco quasi a vedere le loro invisibili schiene piegarsi all' indietro, le loro gambe tendersi e volteggiare, le loro braccia alzarsi in aria, le mani ruotare elegantemente e le chiome di spighe dondolare avanti e indietro. Che palco enorme hanno a disposizione, che pubblico di passerotti, e che bel scenario sopra di sé !

Vorrei anch' io essere una ballerina di danza classica, mi è sempre piaciuta ma ho paura di prendere il volo con la stessa grazia di un ippopotamo in tutù. A proposito, vidi degli ippopotami in televisione durante un programma, che bestie assurde. Sono buffe quelle loro orecchiette.

Ammetto che il caldo è ancora più esasperante della mia lentezza e mi risolvo ad aumentare un po' la velocità. Se Erich avrà voglia di vedermi, verrà a suonare alla porta... Tanto casa mia è come casa sua, e viceversa. Ognuno entra ed esce dalle rispettive abitazioni come se fosse un figlio delle nostre famiglie.

Durante il percorso di ritorno incontro quell' odioso di Johannes assieme a suo padre, stanno andando a lavorare nel loro campo. L' uomo mi saluta mentre l' altro non prova nemmeno ad alzare la mano, fa solo un cenno con la testa.

Sotto ai piedi le zolle di terra si rompono, cotte dal calore, ma un paio di bianche nuvolette lontane lontane all' orizzonte fanno presagire forse pioggia. In ogni caso non oggi.

Passo i libri sotto l' altro braccio maledicendo di averne scelti di tanto pesanti e mi preparò già a sentirmi rimproverare da mamma o papà per il mio ritardo.

A mia madre e ai miei fratelli piace Erich, mentre a mio padre non ci giurerei. Talvolta fa dei commenti sulla sua famiglia “puramente ariana” e sui suoi tratti tanto tedeschi. Dice che i tedeschi non hanno mai amato gli ebrei come noi... Beh, a dire il vero non sa nemmeno del fatto che io e lui “stiamo insieme”. Mamma glielo tiene nascosto, solo lei ne è a conoscenza e quando una volta le chiesi perchè non volesse riferirglielo, mi rispose che conosco le sue idee molto rigide sul contatto tra razze.

Io replicai che al lavoro nessun tedesco gli ha mai fatto pesare la sua provenienza, ma lei non ha risposto e mi ha solo sorriso. Stavo per aggiungere che potrebbe continuare a tenersi le sue idee ma lasciar stare Erich che non ha proprio nessun fastidio verso di noi, però alla fine ho alzato le spalle.

Proprio strani gli adulti. Così... Assoluti. Non mi piacciono i vestiti rossi ? Allora nessun vestito rosso potrà in alcun modo essere bello, neanche se fosse oggettivamente uno spettacolo.

Beh, per me Erich in effetti è proprio uno spettacolo, ma rimane una pensata mia e non voglio paragonarlo ad un abito.

Lascio passare due macchine e arrivo sulla strada davanti a casa nostra. Giro la testa e sto per attraversare quando sento chiamare il mio nome. Eccolo ! Sta correndo e agitando una mano per salutarmi. Ricambio sentendo il solito tuffo al cuore, ma faccio un' espressione di finta esasperazione. So benissimo di non essere credibile, ma lo faccio sempre, e intanto come avevo previsto strizza gli occhi.

<< Finalmente ! Ti eri addormentato in piedi ? >>

Dico, le mani sui fianchi mio malgrado cedendo ad un sorrisetto.

<< Mio padre mi ha chiesto di aiutarlo >>

E sorride anche lui. Ogni volta che lo fa gli si formano delle fossette sulle guance e gli si vede il canino scheggiato sulla punta. Se qualcuno, notandoglielo, può aver pensato che sia dovuto a qualche gioco da bambini, ha capito tutto. Infatti -ovviamente mentre eravamo insieme, a circa nove anni- si è inciampato in una radice e ha picchiato la faccia contro una pietra. Ci guadagnò le ginocchia sbucciate, un labbro sanguinante e quel dente senza più un pezzetto in fondo.

A me piace lo stesso, anche se non ricordo se abbia avuto una qualche complicità in quell' incidente.

<< E ora torni a casa tua così come sei venuto ? >>

Chiedo tirando su un foglio caduto da un libro.

<< Penso di si. Vuoi venire a mangiare da me ? >>

<< Mia madre ha già preparato. Dai, vieni da noi, oggi c' è labaneh e sabich. Con questo caldo sono le uniche cose possibili da mangiare >>

Accetta ma solo per fare un saluto veloce dovendo poi tornare dal padre, penso più che altro per godersi un po' di frescura. casa nostra è molto più fresca della sua. Inoltre io che sono una ragazza posso mettermi un vestitino e sto meglio, mentre lui deve starsene con i calzoncini a metà coscia e la camicia. Brutto essere maschi.

Salutiamo tutti, e nella piacevole penombra risalta quanto un fantasma. Il nostro ambiente domestico è prevalentemente di colori scuri, anche i vestiti, e lui con le sue gambe pallidissime e la pelle diafana sembra uno spirito.

Come al solito mio padre gli rivolge un sorriso discreto, il minimo indispensabile per non sembrare troppo antipatico nei confronti di un ragazzino che è ancora mezzo bambino, però con quel pizzico di freddezza a sottolineare che, fondamentalmente, è un estraneo e non appartiene al nostro mondo.

Se ciò infastidisce Erich, lui di certo non lo dimostra.

Mia madre gli offre come al solito dei dolcetti e Anna gli da un' occhiata distratta grattandosi il mento. Non capisco perchè, anche se ha solo due anni più di me, mia sorella non abbia mai giocato con noi.

Rimane una decina di minuti, poi quando deve tornare indietro lo accompagno alla porta.

<< Oggi pomeriggio andiamo sotto l' albero a fare i compiti ? >>

Chiede, e sto per dirgli se vuole morire di caldo con questo sole. Alla fine però lascio perdere.

<< Ok, ma solo se porti un secchio con dell' acqua e degli stracci, non voglio crepare per colpa tua. >>

Lo saluto, torno dentro e mangiamo; dopo vado in camera mia e raduno i libri di matematica. Però non sono sicura che Erich si ricordi di portare il secchio.

Mi affido alla sua memoria e lascio il tempo scorrere.

 

 

Alle tre e mezza sono al mio solito posto, tra due radici dell' albero, con l' armamentario di penne, quaderni e libri. La penna è ovviamente quella di mamma, che mi piace tanto.

Il sole è alto nel cielo azzurrissimo, quasi blu, solcato dai piccoli aeroplanini neri dei passerotti e degli altri uccellini. Le ballerine, cioè il grano, continuano nei loro complicati volteggi.

La sorpresa più forte è però quello che ho portato oltre alle cose scolastiche, e cioè fragole con panna ! Le ho trovate in casa, e senza farmi troppi problemi ho trafugato tutto.

Appena sento dei passi sull' erba mi volto e vedo Erich arrivare con un secchio in mano -forse sono troppo pessimistica riguardo alla parte del suo cervello che si occupa della memoria- e un sorrisone.

Si siede accanto a me con la schiena contro il tronco e gli mostro le fragole dopo che ci siamo sistemati degli stracci bagnati sulle gambe.

<< Dove sei riuscita a trovarle ?! >>

Esclama allungando subito una mano da avvoltoio che avvista la preda.

<< Erano in casa nella ghiacciaia, so che le porta un' amica di mia madre da qualche parte dove ci sono >>

<< Da Israele ? >>

<< Ma figurarsi, di sicuro da un posto più vicino. >>

<< Tu non hai mai visto Israele ? >>

<< No, vorrebbero portarmici ma costa. Il sogno di mio padre è di tornare là, però so bene che non lo faremo per ancora tanti anni, almeno finchè non riceveremo migliaia di valigie piene di soldi in regalo >>

<< Tanto laggiù ci sono solo sassi, deserto e cammelli, no ? >>

<< Di preciso non lo so, veramente. Loro dicono che è il posto più bello di tutti >>

Scrolla le spalle e puccia una fragola nella panna mentre io mi schizzo dell' acqua in faccia.

<< Comunque anch' io ho preso una cosa ! >>

Dice con tono orgoglioso e un po' superiore, come se avesse rischiato parecchio. Mette una mano in tasca, scava come se stesse cercando l' oro, infine con un' occhiata teatrale la ritira fuori e vedo, sul palmo, del tabacco.

<< Oddio, è quello di tuo padre ! >>

Esclamo.

<< Si, pensa se mi beccava >>

Dice con aria eroica.

<< Lo proviamo ? >>

<< Ma come si fa ? >>

<< Bisogna bruciarlo dentro della carta >>

Commenta con voce sicura, da uomo di mondo che sa tutto su tutto.

<< Quella dei quaderni andrà bene ? >>

<< Nah, troppo spessa. >>

<< Soprattutto, come facciamo ad accenderlo ? >>

Borbotto guardandomi intorno. Sempre con aria vissuta tira fuori un fiammifero e un pezzettino di carta abrasiva.

<< Hai pensato a ogni particolare, caro il mio genio, ma manca sempre l' involucro ! >>

L' espressione da duro scompare, sostituita da una pensierosa. Ragioniamo insieme sul problema, infine mi viene una folgorazione.

<< Accidenti, le foglie del grano ! >>

Dico. Balzo in piedi e ne stacco qualcuna dalla spiga più vicina, poi torno a sedermi e ci mettiamo a disporre i pezzettini di tabacco lungo la foglia sentendoci tremendamente criminali, delle specie di galeotti tutti emozionati.

Alla fine vengono fuori degli affari storti e bruttissimi a vedersi, ma non importa.

<< Lascia fare a me >>

Dice, accende il fiammifero e lo avvicina all' estremità della nostra sigaretta deforme.

<< Vai tu prima >>

Propongo, non sapendo assolutamente cosa devo farci. Lui ha un' aria poco convinta, però per mantenere il suo orgoglio maschile aspira dall' altra estremità. Le ceneri dalla parte bruciata diventano rosse e fanno un lieve fischio, subito dopo inizia a tossire come un dannato e a ridere. Rido anch' io a vedere le facce che fa, soprattutto quando per mostrarmi che è un uomo vero dà un' altra boccata e torna a strozzarsi. E' tanto pallido che subito le guance gli diventano rosse e gli si vede una vena sul lato del collo.

Poi la passa a me -non senza un certo sollievo- e fa cenno di imitarlo.

Avvicino la sigaretta alle labbra, lo guardo, la avvicino ancora, lo riguardo, alla fine aspiro anch' io e prendo a berciare e tossire quanto un cane asmatico.

Gliela do, ulteriori sputacchiamenti e sghignazzate, e la terminiamo insieme col fiato corto.

<< Come fanno gli adulti a fumarsene più di una, sono tremende ! >>

Dice in mezzo agli ultimi colpi di tosse e con le lacrime agli occhi.

<< E anche il gusto è cattivo, io pensavo che fosse un sapore buono ! >>

<< Riuscirei a fumarle solo se sapessero di cioccolato o vaniglia o simili meraviglie, puah >>

Scoppiamo a ridere, esilarati dal nostro esperimento, e mi domando se il tabacco abbia effetti rimbecillenti sul cervello.

<< Secondo te si sente che ho fumato ? >>

Chiedo, preoccupata nel caso i miei dovessero percepire l' odore.

<< Non penso. >>

<< Se mio padre lo scoprisse non mi farebbe vivere per una settimana >>

Borbotto alzando gli occhi al cielo.

<< Anche il mio ! >>

<< Si, ma nessuno dei miei fuma e lo sentirebbero immediatamente >>

Ci guardiamo per un po', poi torniamo a ridere fino alle lacrime.

<< Che schifo fanno ! >>

Esclama sbellicandosi e io lo imito.

<< Ci pensi che tutte le peggiori stupidaggini le abbiamo fatte assieme ? >>

Confido grattandomi il mento.

<< C' è forse qualcosa che non abbiamo fatto insieme ? >>

E ha ragione. Andiamo perfino alla medesima scuola. Questo mi fa ricordare dei compiti.

<< Erich, diavolo, matematica ! Domani il professore forse interrogherà, e io non ho ancora fatto nessun esercizio. >>

<< Li copieremo da qualcuno >>

In classe nostra ci guardano un po' strano, cioè, non male, però con una certa curiosità, come se fossimo strambi. Le ragazze trovano assurdo, quasi impossibile, che il mio migliore amico sia un ragazzo e non una femmina, ma che ci posso fare ? E anche i maschi pensano che per uno di loro sia da “femminucce” stare con una donna per amicizia. E' una cosa complicata, in effetti.

<< No, non possiamo copiarli, lo sai che a volte fa delle domande di ragionamento. Se li prendessi da qualcuno si vedrebbe che non li ho capiti. >>

<< Prima finiamo le fragole >>

Termina giustamente. Riusciamo a terminare la ciotola, che non era piccola, e mi sento a meraviglia. Il sole, il cielo, tutto è stupendo. Sospiro e guardo le fronde scure dei rami che crepano l' azzurro intenso di nero.

Rimaniamo in perfetto silenzio per mezz' ora, ognuno perso nei propri pensieri, che pur essendo pensieri da quattordicenni per noi sono comunque importanti.

Quasi mi prendo un colpo, causato dalla calma totale che governa il mondo, quando sento la voce di Erich molto vicina.

<< Posso baciarti, Rivka ? >>

Il mio nome in ebraico è molto differente dalla traduzione occidentale, Rebecca, ma detto da lui -e in particolar modo in una simile frase- quasi non lo riconosco più.

Sono certa di essere diventata rossa quanto il sangue, e di aver farfugliato qualcosa di stupido e impacciato, ma ricordo di aver annuito. Che idiota sono, e meno male che lo smemorato doveva essere lui !

Senza saper bene che fare mi avvicino un po' e sento le sue labbra sulle mie, premere un pochino, indugiarci qualche secondo e poi separarsi di nuovo. Apro di nuovo le palpebre, deglutisco e faccio un sorriso perchè non so cosa dire. Però neanche lui dice niente, è arrossito e allora capisco che va bene.

Rimaniamo sotto l' albero, io con la testa sulla sua pancia, fino a che mia madre -per fortuna da lontano !- ci chiama.

Proprio una giornata da ricordare, questa, si. Erich, ti amo !

   
 
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