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Autore: Natalja_Aljona    05/11/2012    1 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Trecentosettantotto




Trecentosettantotto

Tu hai un cuore ardente per un’azione agghiacciante

Ti salvai la vita tante volte, non ti accorgesti

Ti penso e cambia il mondo

 

Mio piccolo miracolo

Sceso dal cielo per amare me

La vita come tu te la ricordi

Un giorno se ne andò con te

(Per dirti ciao, Tiziano Ferro)

 

Magadan (Kolyma), Estremo Nord-Est Siberiano

Accampamento di Irek Il'ič Stepašin

17 Luglio 1843

 

E mi prendevo in giro
Avevi tutta la vita davanti

E lo capivo

 

E in tempi avversi
Ti salvai la vita tante volte

Non ti accorgesti

Ripenserai ancora

A tutto il bene che
T ho dato solo e solamente io
Ripenserai ancora
A quanto il niente tuo
Per me fu tutto
E per sempre ho perso un pezzo di me
E lo sai, che son stato troppo buono

È vero, è complicato odiarti
Nessuno al mondo può negarlo
Tantomeno oggi io
È vero, è complicato amarmi
Né io né te ci riusciamo
Io da sempre

Tu per niente...

(Troppo Buono, Tiziano Ferro)

 

-Va bene. Va bene. Dite a quel pazzo che se vince il duello combatterò per lui-

-Azért vagyok itt- rispose Feri all’araldo, in ungherese.

Il ragazzo sgranò gli occhi, e il Capitano lo fulminò con lo sguardo.

-Я здесь- ripeté, questa volta in russo.

Ya zdes’.

Io sono qui.

Se ci fosse stata Natal’ja, avrebbe tradotto lei.

Se ci fosse stata Natal’ja...

L’araldo di Stepašin era a dir poco terrorizzato da quel giovane uomo che sembrava ora così tormentato, ora così sicuro di sé, e si allontanò il più in fretta possibile, per riferire ad Irek la risposta del suo avversario.

Irek Il’ič annuì con aria di sufficienza, e caricò la pistola.

Aveva trentatré anni e una sconfinata esperienza militare, lui.
Che paura avrebbe dovuto fargli un ventiquattrenne che metteva i sogni davanti alla strategia?

Al contrario, cominciava a provare una certa simpatia per quel ragazzino.

Se, come prevedeva, avesse perso, probabilmente l’avrebbe ospitato per qualche giorno nel suo accampamento.

Si sarebbe fatto raccontare la sua storia.

La storia che avrebbe dovuto giustificare la sua Rivoluzione.

Sorrise, finalmente pronto.

Sorrise ed uscì dalla sua tenda, scortato dai suoi padrini.

A questo proposito, quelli di Feri gli strapparono un sorriso: il suo fratellino e lo sperduto Pietroburghese dagli occhi verdi.

I suoi due unici compagni, in quel patetico assedio improvvisato con l’arroganza della giovinezza e il barlume bruciante del suo amore incastrato in fondo al cuore.

Feri Desztor era uno sciocco, forse, ma faceva tenerezza.

S’era portato perfino la sorella e la moglie del fratello, quelle due eteree fanciulle ora inquiete ora allegre, preoccupate e fiduciose al tempo stesso, belle, ardite e coraggiose almeno quanto lui.

Ma mancava la sua, di ragazza, e il suo sperare senza amore sembrava, in quel momento, più una sfida a sé stesso che un vero atto di coraggio.

Ma doveva bastare.

Perché non c’era, non c’era e basta, la “sua” Natal’ja.

E il duello stava per cominciare.

 

C'è una strada in ogni uomo
Un'opportunità
Il cuore è un serbatoio
Di rabbia e di pietà
Credo solo al tuo sorriso
Nel senso che mi dà
Da soli gli occhi non vedono
Ti penso e cambia il mondo...

Lo so che cambia il mondo

Se al mondo sto con te

(Ti penso e cambia il mondo, Adriano Celentano & Gianni Morandi)

 

[...]

 

A million miles away
Your signal in the distance
To whom it may concern?
I think I lost my way
Getting good at starting over
Every time that I return

 

Un milione di miglia di distanza

Il tuo segnale in lontananza

A chi può interessare?

Penso di aver perso la strada

Ma sono bravo a ricominciare

Ogni volta che ritorno

(Walk, Foo Fighters)

 

Dieci passi, dieci stupidi passi che Feri fece quasi di corsa, bruciando la solennità del momento.

Coi suoi begli occhi neri malinconici e taglienti, febbrili anche solo nel riflettere la neve che gli cadeva davanti, la stessa neve densa e ferocemente luminosa in cui affondavano i suoi stivali logori.

Affondarono per dieci volte e poi basta, bisognava sparare.

-Comincia tu- gli concesse Irek, col tono di scherno che solo uno stolto avrebbe usato con Feri Desztor.

Ancora parole da fargli ingoiare, altri sberleffi di cui farlo pentire.

Feri guardò prima Jànos poi Innokentij.

Entrambi sorridevano.

Entrambi lo sapevano.

Lui era il migliore anche senza Lys.

E lui?

Lui no.

No, non sorrideva.

Non ancora.

Non in quel momento.

Gli bruciava in gola la voglia di mandarlo all’inferno, quello Stepašin.

Credeva di sapere di più?

Credeva di potere di più?

Credeva di valere di più?

Credeva che fosse facile?

Credeva che sarebbe stato facile?

Ah, sì?

Lo credeva?

Non avrebbe dovuto sparargli così.

Con quella lucida precisione, con la luce della vendetta nella traiettoria del proiettile.

Non poteva permettersi di ucciderlo, né di fargli troppo male: per quanto odiasse ammetterlo, Stepašin gli serviva.

Eppure, come sempre, Feri non ci pensò.

Si concentrò sulla maledetta intensità del presente e non pensò alle conseguenze.

Ancora.


I'm learning to walk again

I believe I've waited long enough
Where do I begin?
I'm learning to talk again
Can't you see I've waited long enough
Where do I begin?

 

Sto imparando a camminare di nuovo

Credo di aver aspettato abbastanza

Da dove posso cominciare?

Sto imparando a parlare di nuovo

Non vedi che ho aspettato abbastanza?

(Walk, Foo Fighters)

 

Le grida delle donne dell’accampamento, semplicemente le ignorò.

Incrociò quasi per caso gli occhi turchesi di Khaadija Borisovna D’jačenko, la donna di Irek, la sua innamoratissima sposa.

L’aveva fatta piangere.

Feri trattenne un sorriso amaro, ormai a cosa serviva?

Irek Il’ič Stepašin era quasi in fin di vita, ma aveva un amore invidiabile.
Che gl’importava, del duello perso?

Che gl’importava, della ferita?

Povero Irek, pseudo - eroe della steppa, capotribù dei suoi stivali, tradito nell’assoluta certezza di vincere contro lo zingaro adolescente che l’aveva sfidato.

Cocente delusione, fallita presunzione.

E adesso, come ne non bastasse, avrebbe dovuto mantenere la sua parola.

Ma era così fortunato, Irek Il’ič, nella sua ancora sanguinante sconfitta!

Avrebbe dovuto rialzarsi soltanto per questo.

Feri non glielo disse, ma si tenne stretta tra i denti la sua invidia, invidia per l’uomo che aveva sconfitto, e per questo ancora più velenosa.

Se fossi stato io a cadere, Natal’ja non avrebbe pianto.

I suoi dolci occhi grigiazzurri, ora celesti ora d’argento, sarebbero rimasti asciutti, asciutti e luminosi d’amore per suo marito, laggiù a Sparta.

E allora come avrei potuto sopportare il dolore della ferita?

Come vedi, nemmeno vincere il duello mi è servito.

Eppure, anche questo l’ho fatto per lei.


Do you remember the day
We built these paper mountains
And sat and watched them burn?
I think I found my place
Can't you feel it growing stronger?
Little conqueror

 

Ti ricordi il giorno

In cui abbiamo costruito queste montagne di carta

E ci siamo seduti a guardarle bruciare?

Penso di aver trovato il mio posto

Non lo senti crescere più forte?

Piccolo conquistatore

(Walk, Foo Fighters)

 

Proprio allora, quando già erano stati chiamati uomini a prestar soccorso, a medicare il capo, sorprendendo tutti e forse perfino se stesso, con chissà quale forza, forse sentendo i pensieri di Feri, Irek Il'ič sparò.

Era giusto, in fondo.

Toccava a lui, adesso.

Colpì a una spalla il Capitano, che in un primo momento neanche se ne accorse, assorto com'era a rimuginare una sconfitta che gli altri non potevano capire.

La sconfitta del vincitore, che sentiva solo lui.

Poi, improvvisamente, alzò gli occhi, e vide che tutti lo guardavano.

Chi sbalordito -gli uomini di Stepašin-, chi preoccupato -i suoi Forradalmi, ovviamente-.

Si chiese cosa si aspettassero ancora da lui.

Oh, era vero, Irek Il’ič l’aveva colpito alla spalla.

La guardò, Feri, quella spalla.

Asciugò distrattamente il sangue, il suo volto rimase impassibile.

Non sentiva niente, quasi niente.

Nessun dolore, niente di paragonabile a quello che gli aveva provocato Natal’ja.

Davvero credevano che quella ferita potesse fargli male?

Ma da quanto era lì sulla sua spalla?

Dieci secondi, nove.

Non gli era ancora neanche entrata dentro, forse non l’avrebbe mai fatto.

Il dolore lui lo conosceva bene, e non era così.

Quello era niente, davvero niente.

Era un colpo alla spalla che sarebbe passato.

Un’emorragia che si sarebbe fermata, un proiettile che sarebbe stato estratto stringendo i denti, come tutti gli altri.

Complice la sua straordinaria resistenza fisica, al dolore che faceva impazzire solo la prima volta, atroce abilità sviluppata in mille occasioni, ogni volta di più, quella ferita la ignorò.

-Cosa diavolo sei, Feri Desztor?- sussurrò Irek Il’ič, che per la sua ferita al petto, per le fitte lancinanti a ogni secondo, faticava a respirare.

Senza fiato, ma sconvolto dalla disumana resistenza del suo avversario, quelle parole, dopo averle sussurrate, le gridò.

Non sapeva, Irek, che il giovane Ungherese che l’aveva sfidato e vinto era fin troppo umano, e dentro soffriva anche più di lui.

Feri sorrise di un sorriso dolce e triste, prima di rispondergli.

-Innamorato di Lys-

 

Non capisci, vero?

Se lei fosse qui, io potrei cadere, potrei soffrire, potrei anch'io aver bisogno di bende, di qualcuno che mi medichi.

Potrei permettermelo, se lei fosse qui.

Ma che senso ha, adesso, cadere ferito, sentir bruciare il sangue sulla pelle, ammettere il dolore?

Se lei fosse qui, forse, io non sarei un eroe.

Ma sarei felice, felice, felice.

Sarei felice anche di star male, se ci fosse lei.

E non me ne fregherebbe niente, di perdere un duello, credimi.

Magari poi vincerei comunque, ma potrei sorriderne.

E invece guardami, ti sembro un vincitore, con gli occhi spenti, fissi sulle punte dei miei stivali, persi, annebbiati, che se davvero potessero riflettere l'anima ci sarebbe da piangere?

Vedi, lei non c'è, e io non cado.

Ti sembra forse un motivo valido, un colpo alla spalla, un po' di sangue e una fitta che lacera la pelle ma non arriva al cuore?

Ti sembra che ne valga la pena?

No, davvero.

Lasciami qui, sono forte abbastanza.

Rimarrò in piedi, tratterrò le lacrime, ma starò peggio di te.

Perché se lei fosse qui, sarebbe tutto maledettamente diverso.

 

Now
For the very first time
Don't you pay no lie
Set me free again
You keep alive a moment at a time
But still inside a whisper to a liar
To sacrifice but knowing to survive
The first to find another state of mind
I'm on my knees, I'm waiting for a sign
Forever, whenever
I never wanna die
I never wanna die
I'm on my knees
Never wanna die
Dancing on my grave
Running through the fight
Forever, whenever
Never wanna die
Never wanna leave
Never say goodbye

 

Ora

Per la prima volta

Non pagare nessuna bugia

Lasciami libero di nuovo

Mantieni vivo un momento alla volta

Ma tieni ancora dentro un sussurro a un bugiardo

Da sacrificare ma saper sopravvivere

Il primo a trovare un altro stato d’animo

Io sono in ginocchio, sto aspettando un tuo segno

Per sempre

Non voglio morire

Non voglio morire

Io sono in ginocchio

Non voglio morire

Danzando sulla mia tomba

Correndo attraverso la battaglia

Per sempre

Non voglio morire

Non voglio lasciare

Non voglio dire addio

(Walk, Foo Fighters)

 

[...]

 

E guarda con orgoglio chi sostiene
Anche le guerre che non può

(Per dirti ciao, Tiziano Ferro)

 

 

Note

 

Tu hai un cuore ardente per un’azione agghiacciante: Antigone, Sofocle.

Ti salvai la vita tante volte, non ti accorgesti: Troppo Buono, Tiziano Ferro.

Ti penso e cambia il mondo, Adriano Celentano e Gianni Morandi.

 

Feri ci sta mettendo davvero tutte le sue forze, per non crollare come ha già fatto troppe volte, per meritarsi la sua fama e la fiducia dei suoi Forradalmi, per vincere la sua Rivoluzione, e per non lasciarsi distruggere dall'amore per Lys.

Ha costretto Irek a cambiare idea su di lui, a cambiare idea su molte cose, con questo duello. Non c'era, in un certo senso, Feri, in questo duello.

L'ha vinto come ne ha vinti mille altri, e ha esagerato perché Stepašin aveva parlato troppo senza sapere niente, e Feri non si meritava quel giudizio superficiale, non con quello che stava passando.

Viveva di Lys, prima, e vive della sua assenza, dell'aria che lei ha lasciato, adesso.

La ama troppo, lo sappiamo, il Capitano.

La ama troppo e gli fa male.

Non farà mai niente senza di lei...

Perché questa Rivoluzione, anche questa Rivoluzione, tutta questa Rivoluzione, la sta facendo per lei.

Va avanti, Feri, perché è incredibilmente forte e coraggioso e lo sta dimostrando, ma la voragine e la ferita che ha dentro non guariranno mai.

Per questo quella fantastica citazione dell'Antigone di Sofocle che dà il titolo al capitolo mi ha fatto pensare a lui.

Perché ha un cuore ardente per un'azione agghiacciante, il nostro meraviglioso, distrutto Feri Desztor.

Come ultima cosa, vi consiglio di ascoltare Walk dei Foo Fighters, perché è una canzone davvero straordinaria, ed è perfetta per Feri ;)

 

A presto ;)

Marty

 

 

 

 

 

  
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