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Autore: Padmini    06/11/2012    1 recensioni
Sherlock ritrova un suo vecchio conoscente dopo tanti anni e dovrà far riemeregere sentimenti sopiti, emozioni che a lungo ha dovuto nascondere e dimenticare.
Una sola storia, vista da più occhi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock Holmes

 

 

 

 

 

 

Non ho mai preso sul serio i giudizi altrui. Be' … quasi mai.

C'è stato un periodo in cui ho sofferto, in cui ho dovuto nascondermi. Avevo così tanta paura dei miei sentimenti che non riuscivo ad affrontarli.

La mia spiccata intelligenza e il mio carattere poco socievole mi avevano già allontanato dalla folla. Tutti i miei compagni di scuola preferivano ignorarmi e, se mi rivolgevano la parola, era per insultarmi. Nonostante tutto ero molto sicuro di me. La solitudine è sempre stata la mia migliore amica.

Tutto cambiò, però, quando scoprii quell'aspetto di me che mai avrei sospettato di possedere.

Come potevo anche solo pensare di condividere questa cosa con qualcuno? Già mi odiavano perché ero più intelligente di loro. Cosa mi avrebbero fatto, come mi avrebbero trattato, se avessero scoperto che ero anche omosessuale?

Preferii accantonare l'argomento dentro di me, tanto sapevo che sarei per sempre rimasto solo.

L'avevo sempre pensato. Ne ero più che convinto.

Fino a quel giorno.

Fino a quel giorno in cui a un dannatissimo cucciolo di boxer venne la bella idea di mordermi la caviglia.

Quello fu l'inizio.

 

Mi chiedo perché certi pensieri mi vengano alla mente proprio ora. Pensieri scomodi, ingombranti. Pensieri che non possono distrarmi proprio in questo momento.

Mi giro verso John. Lui non ha notato il mio turbamento. Ormai è abituato al mio mutismo, non ci fa più caso. Sospiro e torno a guardare fuori dal finestrino.

Gente. Tanta gente che cammina. Ogni tanto mi chiedo dove vadano. Lo deduco dalla velocità dei loro passi, dai vestiti che indossano, dai fardelli che si portano appresso. Un ombrello, una ventiquattrore, la busta di plastica con la spesa, un mazzo di fiori.

Banale. Noioso. Non c'è nessuno che possa destare la mia attenzione. Eppure devo guardarli, devo cercare risposte nei loro movimenti. Il mio cervello rifiuta l'inattività e anche un semplice esercizio come questo è d'aiuto.

Noia.

La mia vita è dominata dalla noia e dal mio tentativo, a volte vano, di vincerla.

“Siamo arrivati, Sherlock”

La voce di John mi riporta al presente.

Non so nemmeno perché ho deciso di accettare questo caso. Uno stupido, banalissimo caso da sei. Al massimo sei e mezzo. Avrei potuto risolverlo standomene comodamente a casa, invece …

“Cerchiamo di sbrigarci, allora” dico.

Non ho proprio voglia di perdere tempo con degli imbecilli. Lui mi guarda storto e sospira. Mi conosce e porta pazienza. Tanta pazienza.

Scendiamo dal taxi ci avviamo verso un vecchio palazzo. Il nostro cliente ci sta aspettando lì. È un vecchio ed è immobilizzato sulla sedia a rotelle. Non poteva certo venire a Baker Street e John aveva insistito così tanto perché lo incontrassi che alla fine ho dovuto cedere.

Mi guardo attorno. Voglio essere preparato a qualsiasi evenienza. Noto tutti i particolari degni di essere presi in considerazione. Le impronte verso e da la legnaia, i passi dei visitatori, arrivati qui prima di noi, alcune strane impronte sotto una finestra.

John bussa discretamente al portone. Io sono ancora di spalle e non lo vedo subito.

“Buongiorno, voi dovete essere Sherlock Holmes e il dottor Watson, vero? Sono il segretario del Signor Grey”

Quella voce non può che appartenere a Lui. Mi giro. È Lui.

“Esatto” risponde John, tendendogli la mano “Io sono il dottor Watson. Sherlock Holmes è lui” e mi indica.

“Victor Trevor” risponde lui e gli stringe vigorosamente la mano “Entrate, prego. Il Signor Gray vi sta aspettando nel suo studio ...”

Non ho il coraggio di affrontarlo. La mia tendenza alla sociopatia mi aiuta in questo caso. Accenno un breve saluto ed entro, superandolo. Non lo guardo. Abbasso lo sguardo mentre gli passo davanti. Non riesco a vedergli il viso né mi interessa.

Ho già capito, dalla struttura esterna della casa, dove si trova lo studio. Mi dirigo lì ostentando una sicurezza che non ho. In realtà sto solo scappando. John mi segue, chiedendo scusa da parte mia. Tipico.

Apro la porta con malagrazia. Il Signor Gray, in effetti, ci sta proprio aspettando.

“Buongiorno. Lei è il signor Sherlock Holmes, vero? Si sieda, si sieda … Ora le dirò qual'è il mi problema”

Mi siedo sulla poltrona che l'uomo mi indica. Chiudo gli occhi, come faccio sempre quando voglio concentrarmi sul serio. No, oggi non funziona. Se li chiudo riesco a pensare solo a lui.

Li riapro e guardo il mio interlocutore dritto negli occhi. Due occhi scurissimi che mi scrutano con fierezza. Mi piace lo sguardo di quest'uomo. Ha tutta la mia attenzione.

“Ha mai sentito parlare del Carbonchio Azzurro?”*

 

 

Come avevo previsto è un caso da sei e mezzo. Avrei potuto risolverlo anche da casa.

Una banalissima frode assicurativa. Il rarissimo e costosissimo Carbonchio Azzurro era stato assicurato per una cifra astronomica. Il Signor Gray lo aveva venduto a dei ricettatori e poi ne aveva inscenato il furto per poter intascare il denaro della vendita e dell'assicurazione.

Mi aveva contattato per essere sicuro che nessuno potesse mettere in dubbio la sua buona fede. Per lui, se nemmeno io fossi riuscito a trovare la gemma, avrebbe avuto meno problemi con l'assicurazione e la pietra, tagliata, sarebbe finita altrove.

Naturalmente, per un caso come questo, ho dovuto chiamare Lestrade. È arrivato con la sua immancabile assistente. Sally Donovan. Lei mi odia. Invidia o sana competizione? Non ne ho idea. Non sono mai stato una cima con i sentimenti ma, sinceramente, la cosa non mi interessa più di tanto.

Loro due sono venuti qui mentre un'altra squadra si è recata nell'appartamento dei ricettatori, giusto in tempo per evitare che la pietra sparisse nel continente.

“In quanto tempo l'ha risolto, stavolta?” chiede, rivolta a John.

“Un'ora” risponde lui, guardando l'orologio.

“Sinceramente, ci avete messo più tempo ad arrivare qui da Scotland Yard. Cos'è successo? Hanno spostato l'edificio in un'altra città?”

Mi piace fare queste battute acide. Mi servono a sottolineare ancora di più la mia superiorità. Voglio schiacciarli. Che mi odino pure. Non mi importa. So solo che hanno bisogno di me. Anche loro ne sono consapevoli. Che supplichino il mio aiuto.

Donovan mi guarda male. Lestrade sospira e lascia correre. Lui sa lavorare bene con me. Mi sopporta, come John.

Siamo nello studio di Gray. Lui è sempre seduto nella sua sedia a rotelle, ammanettato. Il suo segretario è in piedi accanto a lui e ci osserva preoccupato.

“Dunque, chi altri dobbiamo arrestare?” mi domanda Lestrade.

“Qui, solo il Signor Gray” dico “All'indirizzo che vi ho dato immagino abbiano già trovato i suoi complici. Per sicurezza tratterrei anche il suo segretario. Dal momento che l'ha assunto da poco, non penso si fidasse abbastanza da voler condividere con lui una frode assicurativa, ma ...”

Lo guardo per un istante. Non posso farne a meno. I suoi occhi sono lucidi. Che abbia paura che io sospetti di lui?

No, non guardarmi così. Non piangere. Non entrare nei miei pensieri in quel modo.

Non posso lasciare che quello che provo per lui mi impedisca di lavorare. Se fosse veramente coinvolto in questa storia non me lo perdonerei mai.

Distolgo lo sguardo e la voce di Sally, che normalmente mi irriterebbe, mi rassicura.

“Non c'entra nulla” mi dice Donovan, chiudendo il cellulare “Ha chiamato proprio ora Dimmok. I ricettatori hanno confessato e hanno fatto solo il nome di Gray. Non c'erano altri complici”

Sospiro.

“Bene” dico “Signor Gray, penso che ora possa anche alzarsi”

Lui mi guarda con odio e, dopo un istante di incertezza, si alza dalla sedia a rotelle.

“Ottimo” esclama Lestrade sfregandosi le mani “Grazie, Sherlock. Andiamo Sally”

“Arrivo subito, Greg” dice lei e, mentre il suo capo si allontana, lei si attarda con noi nella stanza.

Anch'io stavo per andarmene, ma sono curioso di vedere cos'ha in mente quella oca.

“Volevo chiederle scusa per le accuse di questo psicopatico” dice, indicandomi con un cenno distratto della testa “Lui sicuramente non ammetterebbe mai di essersi sbagliato e poco fa l'ha quasi accusata di favoreggiamento”

“Non fa nulla” risponde lui, con un sorriso.

Quant'è bello quando sorride …

Mi ricompongo. Ho anch'io la mia dignità. Il caso è risolto. I colpevoli sono stati catturati. A cosa servo ora? Posso tornarmene a casa, tra i miei libri, le mie provette e il violino.

Sto per uscire, quando la mia attenzione viene attirata ancora una volta da lui. Le prende la mano e gliela bacia con discrezione. Sono troppo vicini.

“Raramente ho visto bellezze paragonabili alla sua, signorina …?”

“Donovan” risponde lei “Può chiamarmi Sally, se vuole … e mi dia del tu, la prego!”

“Allora anche tu, Sally, puoi chiamarmi Victor e darmi del tu”

Me ne vado. Non voglio assistere oltre a questa scena disgustosa.

“Sei scocciato per essere stato trascinato fuori casa per un motivo così futile, vero?”

John non sta tentando di capire cosa mi rabbuia. Vuole semplicemente rompere il ghiaccio.

“No” rispondo io “Un caso semplice ma istruttivo”

Non parlo più fino a quando arriviamo a casa. Non ne ho proprio voglia. Lui lo sa e mi lascia in pace.

 

Appena arrivati a casa ho subito indossato i miei vestiti più comodi. Pantaloni, maglietta e vestaglia. Non ho voglia di uscire. Non ho voglia di vedere nessuno. John, al contrario di me, ha bisogno di contatti umani. Non mi ha detto nulla quando è uscito, oppure non l'ho sentito. Sta di fatto che non è più in casa quando riemergo dai miei pensieri.

 

 

 

 

15 anni prima

Sherlock non era mai stato un ragazzo socievole. Evitava simpaticamente tutti i contatti umani e, anche nelle rare occasioni in cui qualcuno si degnava di rivolgergli la parola, inventava scuse assurde per potersene andare.

Non sopportava la mediocrità di chi gli stava attorno. La Solitudine era sempre stata la sua migliore amica e, dentro di lui, sapeva che sarebbe sempre stato così.

Passeggiava per i viali alberati del college, osservando ogni dettaglio. Più di qualcuno gli aveva detto che era strano. Era capace di notare una minuscola macchia di fango nei pantaloni di un passante e dedurne vita, morte e miracoli. Per questo tutti lo evitavano. Quali segreti dovevano tenere nascosti? A Sherlock non importava. L'unica cosa che gli interessava era che se ne stessero il più possibile lontani da lui. La cosa aveva sempre funzionato … fino a quel giorno.

Vattene, maledetto cagnaccio!” aveva sibilato al boxer che, forse per giocare, gli aveva morso la caviglia.

Si guardò in giro. Il proprietario della belva doveva essere nelle vicinanze. Meglio andarsene prima che gli venisse in mente di …

Scusa per Max” gli disse una voce alle sue spalle.

scusarsi. Troppo tardi.

Non fa nulla” rispose Sherlock, ostentando una sicurezza che non aveva “Non mi ha fatto male”

Non era vero. Il cane aveva affondato i canini nella pelle e il sangue aveva cominciato a scendere copioso dalla ferita.

Non dire idiozie!” gli disse lui, guardando le macchie vermiglie che si stavano allargando sulla stoffa dei calzini “Vieni con me, ti porto in infermeria”

La reazione del ragazzo lo sorprese. Nessuno lo aveva mai trattato con così tanta gentilezza.

 

L'infermiera disinfettò e medicò la ferita, che risultò meno grave del previsto. Uscirono insieme dall'infermeria e il ragazzo lo invitò a prendere un caffè.

Sei nuovo, vero?” gli chiese, incuriosito, mentre se ne stavano comodamente seduti ad un tavolino.

Sì, come fai a saperlo? Sei uno che conosce tutti, immagino”

Sbagli” rispose Sherlock con un velo di amarezza nella voce “Il fatto è che tu non conosci me, per questo ho dedotto che sei nuovo di qui”

Il ragazzo lo squadrò con gli occhi spalancati per la sorpresa.

Scusa, ma non capisco” ammise poi “Sei così famoso?”

Più che famoso … direi famigerato” rispose Sherlock con un mezzo sorriso “Se avessi sentito parlare di me, non saresti stato così gentile”

Il ragazzo rise.

Che dici? Perché non avrei dovuto?” gli chiese stupito.

Sono la tipica persona che la gente odia” rispose Sherlock, guardandosi in giro imbarazzato.

Be', 'tipica persona che la gente odia', io mi chiamo Victor. Victor Trevor. E tu?” e gli tese la mano.

Sherlock rimase stupito ad osservare la sua mano per qualche istante poi, per istinto, l'afferrò e la strinse in una vigorosa stretta.

Sherlock Holmes” disse e, nel dirlo, sorrise.

Era la prima volta che qualcuno suscitava la sua simpatia.

Quello fu l'inizio.

 

Sherlock e Victor cominciarono a passare molto tempo insieme. Più che altro era Victor che stava con Sherlock. Quest'ultimo si limitava a starsene ad ascoltarlo e a guardarlo. Da poco aveva scoperto di non essere per nulla interessato alle ragazze e Victor gli piaceva. Gli piaceva la sua voce, il profumo del suo dopobarba, il suo viso regolare, la forma delle sue labbra. Più di una volta, guardandolo parlare , si era chiesto come doveva essere provare a baciarle.

Dovresti farlo, sai?” gli disse un giorno lui, mentre se ne stavano seduti sotto un albero, giocherellando con una foglia morta.

Cosa dovrei provare a fare?” domandò Sherlock, distolto dai suoi pensieri.

Quello che pensi di fare ogni volta che mi guardi” rispose semplicemente Victor, senza smettere di fissare le venature della foglia che teneva in mano.

Io … io … io non so proprio di cosa stai parlando” rispose Sherlock, senza rendersi conto di essere arrossito.

Io invece penso proprio di sì” gli disse Victor voltandosi verso di lui “e le tue guance me lo stanno confermando proprio ora. Ti facevo più audace”

Quelle parole sapevano di delusione. Chiaramente lo stava sfidando e Sherlock decise di cogliere la sfida.

Victor tornò a girarsi e lanciò lontano la foglia, poi appoggiò la testa al tronco dell'albero e chiuse gli occhi. Non poteva sprecare un'occasione del genere.

In un attimo annullò la distanza tra di loro e posò le sue labbra su quelle del ragazzo. Erano morbide e sapevano di caffè.

Non sapeva che reazione aspettarsi. Gli bastava quello. La consistenza e il sapore delle sue labbra. Morbide e profumate. Gli piacevano.

Fece per allontanarsi, ma Victor gli afferrò la mano e lo trattenne vicino a sé, per approfondire il bacio. Bacio che, da casto, divenne sempre più approfondito e spregiudicato.

Erano soli. Victor, intuendo la timidezza e l'insicurezza di Sherlock, decise di prendere in mano la situazione. Con una singola mossa ribaltò la loro posizione e lo fece distendere a terra e continuò a baciarlo fino a quando il sole sparì all'orizzonte.

 

 

5 anni dopo

Sherlock e Victor se ne stavano placidamente distesi nel letto del loro appartamento. Erano ancora nudi, ma non avevano freddo. Un rassicurante fuocherello scoppiettava nella stanza accanto, donando calore a tutta la casa, ma non era quello che li riscaldava.

Victor ...” cominciò Sherlock, a disagio “Per quella cosa ...”

Ancora?” domandò il ragazzo, sbuffando “Ma perché ci tieni così tanto?”

È importante” rispose Sherlock arrossendo “Per me”

Non avrei mai detto che tenessi a queste cose” disse Victor, prendendo una sigaretta e l'accendino dalla giacca. Si alzò dal letto e cominciò a fumare standosene in piedi.

Il fatto è che ...” cominciò Sherlock, ma non riuscì a finire la frase.

Devo andare” lo interruppe Victor guardando l'orologio “Ci vediamo la settimana prossima”

Si vestì velocemente e uscì dalla stanza, lasciando Sherlock immerso nei suoi pensieri.

 

Passarono ben due settimane prima che i ragazzi potessero incontrarsi di nuovo. Victor era stato invitato ad una festa e aveva invitato anche Sherlock. Lui non aveva molta voglia di andarci, ma il desiderio di rivedere il suo … be', di rivederlo dopo tanto tempo era più forte del ribrezzo che provava verso le altre persone. Per lui sarebbe esistito solo Victor.

Ciao Vic!” lo accolse il padrone di casa quando entrarono “Ragazzi!” esclamò poi, rivolto ai presenti “C'è Victor … a quanto pare non è solo. Piacere” disse tendendo la mano a Sherlock “Sono Thomas”

Lui è Sherlock” lo presentò Victor “Un mio amico”

Sherlock, che per non fargli fare brutta figura aveva teso la mano a Thomas, lo guardò allibito. Il termine che aveva usato per definire il loro rapporto e il tono con cui l'aveva pronunciato non gli piacevano. Era troppo formale per i suoi gusti. Eppure Sherlock pensava che Victor avesse capito cosa voleva da lui.

Benvenuto Sherlock” gli disse Thomas facendogli spazio per entrare, ma lui restò sulla soglia.

Cosa vuol dire 'amico'?” domandò a Victor. A quel punto non gli importava più di fargli fare una figura di merda davanti ai suoi amici.

Amico … vuol dire amico, no?” rispose lui, a disagio. Li stavano guardando tutti.

Fu allora che Sherlock capì. Non si sarebbe mai esposto per lui. Non avrebbe mai ammesso che lo amava.

Ti piace scoparmi, eh? pensò digrignando i denti per la frustrazione Ti piace fare sesso con me, ma non hai voglia di compromettere la tua posizione sociale?

Ti facevo più audace” disse alla fine, guardandolo negli occhi.

Victor capì all'istante di cosa stava parlando e arrossì.

Quell'insicurezza da parte del compagno gli diede coraggio, così proseguì.

Noi non siamo amici, Victor, siamo ...”

Zitto!” sibilò lui, fulminandolo con lo sguardo “Non siamo amici, è vero. Mi chiedo cosa mi sia saltato in mente quando ti ho invitato qui. Ora vattene, per piacere”

Sherlock non se lo fece ripetere due volte. Girò su se stesso e sparì giù per le scale. Non voleva farsi vedere da lui mentre le prime lacrime cominciavano a rigargli il viso.

 

 

Mi risveglio. Come mai questi pensieri? Certo, certo … non c'è altra spiegazione. Maledetto Victor! Era rientrato nella sua vita come niente fosse. Era stato lui a inviare la mail per richiedere il suo intervento in quel caso. Sapeva che si sarebbero visti.

Perché non gli aveva detto nulla? Cosa si aspettava di ottenere? Cosa significava poi quella pagliacciata con la Donovan?

Queste e altre mille domande avevano cominciato a ronzarmi in testa da quando ero uscito da quella casa. Devo vederci chiaro.

Mi alzo di scatto dal divano, in cerca del cellulare. Non ho mai cancellato il suo numero. L'unico mio dubbio è che lui, nel frattempo, lo abbia cambiato.

Vedo il cellulare sopra il tavolo. John non c'è, perciò dovrò arrangiarmi a prenderlo. Mi alzo di malavoglia e raggiungo la cucina. Sto per afferrarlo, quando comincia a vibrare.

È Lestrade.

“Sherlock, tue e John dovreste venire qui per firmare il verbale” mi dice. Sintetico. Chiaro.

“Arrivo”

“Dove dobbiamo andare?” mi chiede John, uscendo dal bagno.

Non mi ero accorto che fosse rientrato.

“A Scotland Yard” rispondo io, telegrafico.

Lui annuisce e si prepara per uscire.

 

Non ho voglia di incontrare nessuno, in realtà, ma mi obbligo a farlo. Devo portare a termine questa cosa. Raggiungo Scotland Yard in taxi e la prima persona che vedo è anche l'ultima che avrei voluto incontrare. Sally. Mi saluta come al solito, con un grugnito. Entro nell'ufficio di Lestrade, che mi accoglie con un sorriso tirato. Mi porge i fogli da firmare, ma Sally mi distrae.

Sta cinguettando come una cretina. Fa sempre così quando un uomo le presta attenzione per più di cinque minuti. In questo caso ciò che mi da fastidio è che quell'uomo sia proprio …

“Victor!” esclama lei “Sei arrivato, finalmente”

Mi giro. È proprio lui. Anche lui qui per il verbale relativo al caso del suo datore di lavoro.

“Signorina Donovan” la saluta lui e le prende di nuovo la mano per baciarla.

Non so che faccia ho fatto, ma Victor mi guarda per un istante e abbozza un sorriso soddisfatto.

“Ma … Victor, ti avevo detto di darmi del tu, ricordi?” gli dice lei, fingendosi arrabbiata.

“Ricordo perfettamente, Sally” risponde lui, e lei arrossisce fino alla punta delle orecchie.

“Io ho finito il turno” dice lei, ridacchiando come una ragazzina “Che ne dici di andare a berci un caffè?”

Lui la guarda un istante, poi sorride ad occhi chiusi.

“Verrei volentieri” dice stringendosi nelle spalle “Ma temo che il mio fidanzato si ingelosirebbe … anche se a dire il vero la cosa non mi dispiacerebbe più di tanto. È così carino quando è geloso!”

Lo guardiamo tutti con gli occhi spalancati.

Fidanzato?!

Il mio sguardo deve essere molto esplicito. Un misto di stupore e rabbia. Stupore per il coming out così disinvolto. Rabbia perché … solo ora ha trovato il coraggio di dichiararsi? Solo ora, per giunta con un altro?

Devo essere diventato rosso. Sento il sangue avvamparmi le guance.

“Ecco, cosa ti dicevo?” dice lui, prendendomi per un braccio “Non è adorabile?”

Sbianco all'improvviso. Lo stupore ha decisamente preso il sopravvento sulla rabbia. Non faccio in tempo a ritrovare il mio colorito naturale, quando Victor mi fa arrossire di nuovo.

Mi prende per la mano e mi trascina verso di lui e … mi bacia.

Mi bacia in pubblico.

Un bacio dapprima casto, poi sempre più audace. La sua lingua si insinua pian piano tra le mie labbra e, quando si incontra con la mia, è puro piacere.

Avevo dimenticato questa sensazione, ma è come se ci fossimo lasciati solo ieri.

Maledetto Victor! Voleva farmi ingelosire e ci è riuscito. In più questa sua dichiarazione così sfacciata è il suo modo per chiedermi scusa.

Ho dovuto aspettare dieci anni, ma ne è valsa la pena.

Ricambio il bacio con trasporto. Non mi importa degli sguardi degli yarders piantati su di me. Non mi importa di nulla. Nemmeno dell'espressione di John. Non so se sia gelosia, ammirazione o imbarazzo.

Non mi importa.

Ci stacchiamo dopo un tempo che mi è sembrato infinito.

“Mi pare che qui abbiamo finito” mi dice lui, stringendomi la mano “Possiamo andare?”

Mi limito ad annuire.

Ho la gola ostruita da un grosso nodo. L'emozione, credo. Tante, troppe parole non dette in questi ultimi dieci anni, stanno facendo la fila sulle mie corde vocali e aspettano di essere pronunciate.

Ci sarà tempo, per questo.

Per ora c'è solo lui. I suoi occhi sui miei, le sue labbra sulle mie, i nostri corpi fusi insieme.

Per me, ora, esiste solo lui.

Lo prendo per un braccio mentre usciamo e mi avvicino a lui. Voglio che tutti sappiano, che tutti ci vedano insieme.

“Victor?”

“Mmh?”

“Ti amo”

Lui si gira verso di me e mi guarda con affetto. Nemmeno quando stavamo insieme, tanti anni fa, gliel'ho mai detto. Forse per questo lui non ha trovato il coraggio di dichiararsi.

“Anch'io ti amo, Sherlock”

Mi bacia di nuovo. Altri sguardi si posano sulle nostre spalle, ma non ci importa. Vorrei addirittura rischiare una denuncia per atti osceni in luogo pubblico, tanta è la voglia di privarlo immediatamente dei vestiti, ma mi trattengo.

Ci sarà tempo anche per questo.

Per ora, l'unica cosa importante siamo noi due.

Noi due e il nostro amore.

 

 

 

 

 

 

 

Mi dispiace per le amanti delle Johnlock, ma volevo proprio scrivere qualcosa tra Victor e Sherlock. Li vedo bene insieme, come coppia. Spero vi sia piaciuta. Alla prossima. Mini

 

 

 

 

 

 

 

*Da l'Avventura del Carbonchio Azzurro. Non c'entra niente. Ho solo preso in prestito il nome del diamante.

   
 
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