SI GUARDÒ LE MANI
“I know I hurt you and I made you cry
Did everything
but murder you and I.
But love left a window in the skies…”
“Window in the skies” – U2
Il suo sguardo si era perso nel vetro verde della
bottiglia.
Riflessi e distorti, sulla superficie curva e scura c’erano i
ricordi della sera prima. Le immagini di quel movimento, solo di
quell’oscillazione della sua mano.
Chiuse gli occhi e bevve l’ultimo sorso di
birra. Appoggiò la bottiglia sul bancone senza badare al suo rumore secco; si
alzò ed uscì all’aria gelida di quel pomeriggio.
Il cielo era uniformemente grigio. Sembrava un’enorme
massa pronta a schiacciarlo.
Abbassò gli occhi, e forse era solo l’asfalto
sporco della città a poter accogliere il contenuto del suo sguardo.
Non c’era
modo di pulirsi le pupille, la memoria e la coscienza, perché non
poteva pulirsi, doveva rimanere, quel lordore, a segnarlo per
sempre.
‘Rimordere’, si dice. Un dolore pungente da portare
un uomo al pianto.
Si sedette contro una ringhiera e respirò
profondamente.
Cercava di reprimere l’istinto di raggomitolarsi come un
bambino ad aspettare che tutto finisca, che tutto passi e si risolva da solo,
che si acquieti il temporale ed i tremendi tuoni che rimbombano in
testa.
Strinse i pugni ricordando il suo bambino compiere quel
gesto, ringraziando Dio, perché era stato quello a farlo tornare in sé, a
ritenere la sua frustrazione furiosa e disperata.
Una disperazione che gli
pareva lo stesse trascinando giù, verso l’inferno.
Avrebbe dovuto alzarsi ed andare a cercare qualcosa
da fare.
Come aveva fatto il giorno prima, e quello prima, e quello prima
ancora.
Pur inutilmente.
-Maledizione…- bisbigliò.
Si coprì il volto,
sopraffatto.
Un uomo non riesce ad affrontare ogni cosa da solo, tuttavia non
si riesce a parlare.
Lei… sì, lei avrebbe capito, se glielo avesse
detto.
Forse l’avrebbe anche perdonato.
Forse anche lui, una
volta cresciuto, avrebbe compreso.
Ma… come avrebbe potuto perdonare se
stesso?
Si guardò le mani.
Grandi come quelle di un padre,
forti come quelle di un marito. Mani operose, abituate alla costanza e alla
produttività del dovere, ferme e precise nello svolgere il loro mestiere.
Le
sue mani tremavano.
Improvvisamente desiderò tagliarle e gettarle via, ora
che erano venute meno alla loro funzione.
Mani che servivano per lavorare,
lavorare che era per loro, e che ora gli era impossibile.
Loro,
conto cui quelle mani si erano alzate.
Quelle mani che verso di loro
avrebbero dovuto avere solo carezze.
Che verso di loro ora potevano solo
tendersi, implorando perdono, salvezza.
Le chiuse e le riaprì, assicurandosi che appartenessero ancora al suo corpo. Sarebbe stato bello se non fosse stato così.
Si rimise in piedi. Era ora di tornare a cosa. Magari qualcuno l’avrebbe chiamato, quella sera, per chiedere il suo lavoro. Magari qualcuno aveva già telefonato… e quindi lei l’avrebbe saputo e gli avrebbe chiesto e se lo sarebbe fatto confessare a tutti i costi e allora sarebbe riuscito a parlarle e tutto si sarebbe sistemato.
Tornava a casa, domandandosi come avrebbe fatto a
guardarli negli occhi, a sorridergli, se ci fosse stata l’occasione, a parlare
con loro.
Avrebbe più potuto allungare la mano a scompigliare i capelli di
suo figlio?
Avrebbe più potuto stringere sua moglie contro di sé e
baciarla?
Sarebbero stati ancora una famiglia, o ormai erano loro due,
e lui da solo?
Sentiva il sapore acido di quella paura in bocca.
Fissò ancora i propri palmi, cercando tra i loro
solchi.
Giurò a se stesso, su se stesso, sul proprio essere uomo,
che si sarebbe tirato fuori. Per loro.
Che si sarebbe riconquistato il merito
di essere loro.