Ero felice in quella foto, in un istante di mezza estate in cui
sorridevo, ancora immersa nell’ infantile innocenza. Non
c’era lacrima che sgorgasse dai miei occhi, non
c’era nuvola che rabbuiasse il mio sguardo, né
smorfia che spegnesse il mio riso continuo.
Cantavo una nenia ripetitiva, sempre le stesse parole, sempre le stesse
parole “il
sole si spegne, cala la notte, ma io non ho paura, io non ho paura del
sole che si spegne, la candela, la candela sempre di fianco al mio letto”
ero in giardino in quella foto, con una paletta giocavo con la terra,
mi macchiavo il vestitino candido.
Ero pallida,
quasi evanescente, i miei occhi erano color del cielo, azzurro chiaro
come una fonte d’acqua purissima, la bocca sempre atteggiata
ad un sorriso, “perché sei felice” mi
dicevano
Io sorridevo ancora, non parlavo, ma guardavo nei loro occhi,
cosicché i grandi potessero trovare la risposta che
volevano, del resto accettavano solo ciò che volevano, che
fosse o no il vero, che fosse o no il giusto. Nessuno ha mai saputo
perché sorridevo, mi dicevano
“enigmatica”, ma io ero una bambina, non sapevo
cos’era un enigma, dicevano “è
inquietante” quando pensavano che non li ascoltassi; ma io
ascoltavo.
Ero a letto, una
mattina d’inverno, il sudore bagnava il mio lettino, la
febbre mi riscaldava il corpo come se stessi bruciando, come se fossi
circondata dalle fiamme “il
sole si spegne, la can..dee..la”cantavo parole
stonate che divennero note strazianti. Non vedevo il sole, era sempre
buio, non capivo, non pensavo, vomitavo anche quello che non avevo
mangiato
Ero
bianca, come la neve, ero silenziosa, correvo agitando la gonna del mio
vestitino, in casa echeggiavano le mie risa, qualcuno diceva di sentire
i miei passi anche al calar della notte. “fantasma”
mi chiamavano.
Ero
ancora a letto una sera di primavera, da allora non mi alzai
più. L’ultimo sorso d’acqua che bevvi,
aveva il sapore del delitto, era pazza la nostra cuoca, fantasma mi
chiamava, quando i suoi occhi sembravano tramutarsi in fiamme e cenere
Ero
sola e cantavo una nenia ripetitiva, sempre le stesse parole, sempre le
stesse parole “il
sole si spegne, cala la notte,che
più non passerà ma io non ho paura,
io non ho più paura del sole che si spegne, la
candela, la candela sempre di fianco al mio letto di morte”
ero giardino, mi macchiavo il vestitino candido, la pioggia cadeva
quella notte mentre io, con una paletta giocavo con la terra.
C’era del marmo in giardino, una lastra con una croce, ero
sempre lì, ero ancora lì da quella sera di
primavera.