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Autore: LuluXI    06/11/2012    1 recensioni
Anita è una ragazza qualunque, con una vita normale. Tuttavia, una serie di sfortunati eventi finiranno col far vacillare tutti i suoi punti fermi. Famiglia, amore fede: tutto perderà il suo senso.
[Storia partecipante al COntest "Made Of Music" indetto da "La Sposa di Ade" sul Forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breve Intro:
No, non sono molto ferrata con le originali, ma questo Contest era troppo bello per non partecipare. Praticamente bisognava scegliere un pacchetto, collegato ad una canzone che doveva fungere da trama alla storia. Io ho scelto il pacchetto "Speranze" e la canzone che mi è capitata è "End Of All Hope" dei Nightwish. Questo, il risultato. Un grazie a chi ha indetto il contest. Non ho altro da dire, se non: Enjoy the story! =)

Hopeless


Non c’è limite al peggio. Visione troppo drammatica della vita? No, una realtà. E lo pensereste anche voi, se foste nella mia situazione. Avete presente quei telefilm in cui alla protagonista succedono tutte le catastrofi possibili ed immaginabili? Ecco, la mia vita è all’incirca così, ora come ora. Impossibile dite voi? Vediamo che ne pensate allora.
Ho sedici anni e sono ancora una teenager, se vogliamo dirlo all’inglese. Li ho compiuti da poco, ad ottobre. Cos’altro volete sapere? Nome? Indirizzo? Codice fiscale? E-mail? Numero di telefono? Anita, se proprio ci tenete al nome. Per il resto, esistono gli haker, se proprio siete curiosi… ma non penso lo siate davvero.
Cosa c’è di tanto drammatico nella mia storia? A dir la verità, il lato devastante della mia esistenza è iniziato da poco, se non contiamo tutti i voltagabbana che ho incontrato e le varie delusioni a causa di cotte adolescenziali prive di senso, quelle per cui fai una miriade di cavolate, per poi accorgerti che non è amore quello che senti.
Si, insomma, la mia esistenza era normale fino al 3 di giugno: poi, tutto è andato in fumo.
 
Ero in stazione centrale, a Milano, di ritorno da una gita a Roma con la mia migliore amica, in attesa che mia madre e il suo nuovo compagno venissero a prendermi per riportarci tutte e due a casa. Si, i miei genitori sono separati e mia madre, da circa un anno, ha un compagno: io vivo con lei a Milano, ma se potessi scegliere, starei a Roma con papà tutto l’anno. Perché? Semplice: come tutte le adolescenti, ho problemi con mia madre. Ecco, ora che ho fatto il quadro generale della situazione, posso tornare a raccontare la mia storia.
Come dicevo, ero appena tornata da Roma insieme a Veronica, la mia migliore amica, dove avevo trascorso il fine settimana con papà e aspettavo Marco e mia madre. Dopo un’ora di attesa in piedi, fuori dalla stazione, le ho telefonato, ma non ho ricevuto risposta. Gira e rigira, chiama tutti i parenti possibili, alla fine mi ha risposto mia zia che, con tutto il tatto possibile, mi ha detto che Marco era appena deceduto e mia madre era in sala operatoria.
 
Così, ho optato per i mezzi pubblici e sono rientrata a casa.
Sono un mostro insensibile? No. Semplicemente, sul momento, non mi sembrava vero: ero talmente shoccata che ho realizzato appieno quanto era accaduto solo il giorno dopo. Non starò a raccontarvi  le ore di attesa, le urla e le lacrime, perché ci vorrebbe troppo tempo: vi basti sapere che mia madre sta bene… almeno a livello fisico.
A livello mentale, penso che non tornerà più quella di prima. E’ depressa e sta iniziando a perdere i capelli, a chiazze: non esce più di casa. Amava davvero Marco, lo riconosco e posso immaginare quanto soffra; capirlo no, sono ancora troppo giovane. Ma forse la cosa che più le fa male è aver perso il bambino che portava in grembo, il figlio di Marco. Per questo era in sala operatoria quando mia zia ha risposto al telefono.
Non ero entusiasta all’idea di avere un fratellino, perché sapevo che avrebbe allontanato mia madre ancora di più da me. Ma anche se non andiamo d’accordo, resta mia mamma e per me è terribile vederla soffrire così: perché lei sta soffrendo il doppio. Leonardo(così volevano chiamarlo) sarebbe stato per lei una consolazione, un ricordo di Marco: invece ora, non ha più niente. Qualcuno, al mio posto, si sentirebbe in colpa, perché era me che stavano venendo a prendere in macchina... Tuttavia, so che incolparsi non servirebbe a riportarli indietro: l’unico risultato sarebbe quello di farmi soffrire inutilmente e, ora come ora, è l’ultima cosa di cui ho bisogno.
 
Pensavo a tutto questo, mentre rientravo a casa a piedi dopo il funerale, pensando al fatto che avrei dovrò portargli dei fiori, a Marco, anche quando la neve cadrà a coprire la sua tomba. Si, mi concentravo su quanto accaduto fino ad allora e ripensavo alla predica fatta dal prete, che parlava della morte come liberazione perché c’è una vita al di là. “Non dobbiamo essere tristi per i nostri defunti, ora loro siedono tra gli angeli, vicino al nostro Signore che li ha accolti in paradiso”. Questa, una delle tante frasi dette durante la celebrazione: frasi che poteva risparmiarsi. Forse anche per me è arrivato il momento di perdere la fede. Dicono che capita a tutti, prima o poi, di avere un momento di dubbio, un periodo della vita in cui la tua fede cristiana, cattolica nel mio caso, che ti è stata insegnata e inculcata nella testa sin dalla più tenera età , vacilla. Ti si sfaldano le certezze sotto i piedi e arrivi a chiederti se Dio esiste e, se esiste, perché non è dalla nostra parte. Peccato che questo dubbio amletico, nel mio caso, vada avanti da mesi, da gennaio: il funerale è solo servito ad aumentare le incertezze. Ad una conclusione sono arrivata tuttavia: la Chiesa, come istituzione, mi fa veramente schifo; quanto a Dio, sto ancora riflettendo sul da farsi.
 
Forse a portare la mia mente a simili pensieri era stata quella parola, insignificante all’apparenza: angeli. Ho sempre pensato, sin da bambina, di avere un angelo custode, che mi ha salvato innumerevoli volte: quando attraversavo la strada senza guardare, quando mettevo le sedie sul bordo delle scale e ci salivo sopra in piedi, quando mi affacciavo al balcone prima che mamma potesse recuperarmi e chiudermi in casa…
Angeli: la loro presenza, insieme a quella di Dio, dovrebbe servire a rassicurarci, in qualche modo, assieme all’idea che ci sarà una vita al di là della morte. Eppure non si parla forse di Lucifero, il più bello degli angeli, quello più vicino a Dio, che scatenò una rivolta in Paradiso, poiché superbo? Lui è caduto, ed ora è l’antagonista della storia, quello che tenta Gesù nel deserto per ben tre volte, stando al vangelo. Gli angeli sono caduti per primi: io sono ancora qui ma… per quanto? Tra quanto tempo farò la fine di Marco? Quand’è che parleranno di me, con me presente, lassù in paradiso: inciampi in un sasso, cadi male… e il gioco è fatto.
 
“Se non uccide, fortifica” canta Tiziano Ferro. Inoltre, si sa, il tempo cancella ogni ferita: ma le mie, sono profonde. E non mi riferisco solo a questa morte, che tanto dolore ha portato a mia madre e, in parte, anche a me. Mi riferisco anche a qualcosa di più banale.
Perché si sa, per dimenticarsi di un ricordo spiacevole, che ci fa soffrire, è necessario concentrarsi su un altro dolore, e metterlo al centro di tutto. Il mio nuovo dolore, non richiesto, è arrivato il 12 di giugno, l’ultimo giorno di scuola.
 
Perché voi possiate capire quanto sto per raccontarvi, prima devo parlarvi di Simone. Si, un ragazzo, che vi aspettavate? Nel 90% dei casi i problemi di noi adolescenti sono creati proprio dai ragazzi. Simone è quello che in gergo giovanile viene definito un “ex”. Si, esatto, è il mio ex. Mi ha piantato a gennaio e, anche se non era l’uomo della mia vita, ci tenevo molto a lui: per questo, quando mi ha scaricato dicendomi “Scusa, avevo una cotta per un’altra, ma non ti ho detto niente perché pensavo sarebbe passata. Invece non è stato così, quindi è inutile prenderci in giro: meglio finirla qui”, ci sono rimasta un po’ male. Soprattutto perché di lì ad un giorno, non mi parlava più. A scuola mi evitava il più possibile, anche se la sua classe era praticamente accanto alla mia. Nel momento in cui mi ha lasciato( tra l’altro, a scuola, all’intervallo, con gli occhi di tutti puntati addosso) non ho voluto dargliela vinta: gli ho semplicemente detto che, se voleva finirla lì, io non potevo certo trattenerlo.
Che stavo da cani però si vedeva. Al che, in aiuto, non è accorsa Veronica, bensì Francesco. Pensavate che il problema fosse Simone? No, per quel che mi riguarda lui può anche andare a vivere in Alaska e non farsi più vedere: il problema è Francesco, il migliore amico di Simone. E’ stato lui il primo a venire a consolarmi.
 
Mi ha chiesto come stavo e, quando ha sentito come avevo risposto a Simone, nonostante avessi gli occhi lucidi, mi ha detto: “Vedo però che hai reagito con fermezza: sono molto contento, sei una ragazza forte.” Poi è tornato in classe, ma quelle parole sono bastate per aiutarmi a ricacciare indietro le lacrime. Diciamo che quel giorno mi sono, in qualche modo, svegliata. Francesco era sempre stato un bel ragazzo e io lo sapevo ma, quando lo avevo conosciuto l’anno prima durante un’autogestione, avevo visto anche la sua ragazza, di un anno più grande. Così, usando la tecnica “non soffrire per niente” lo avevo archiviato come “ragazzo da non guardare”. Anche perché, dopo averci parlato si e no cinque minuti durante l’autogestione, potevo forse sperare in…cosa? In un suo saluto in corridoio? No, decisamente no. Invece, è proprio così che è andata: il giorno dopo, ci siamo incrociati in corridoio e mi ha salutato. Ed è iniziata così la mia amicizia con Simone e Francesco, che poi ha preso questo risvolto inaspettato.
 
Sto divagando, ma è necessario. Da quel giorno di gennaio, Francesco passava parte dell’intervallo con me, chiedendomi come stavo, parlando del più e del meno. Io rispondevo, ascoltavo, mi drogavo dei momenti insieme e lentamente mi rendevo conto di quanto fossi stata stupida a perdere la testa per Simone quando davanti a me avevo Francesco. Essere la sua ragazza sarebbe stato impossibile, ma amarlo? No, quello no.
Così ho passato gli ultimi sei mesi di scuola: guardandolo da lontano, amandolo in silenzio, gioendo dei piccoli gesti. Roba da film? Potete anche non crederci, ma sono stata capace di prendere due in matematica, incontrarlo in corridoio e dimenticarmene. Giuro, dimenticarmene. “Come va?” “Bene!”
Pronto, terra chiama Anita, mi ricevete? Hai appena preso un due in matematica tesoro, come può andare tutto bene? Eppure, andava bene: anche solo vederlo in corridoio, mi faceva sorridere, mi faceva stare bene. Dicono che questo sia l’amore vero, profondo, e hanno ragione. Peccato che non serva a niente, se non a stare male dopo.
 
Quale dolore più grande ci può essere dell’illudersi che possa funzionare? Ovviamente, spinta da Veronica, che lo faceva a fin di bene, mi sono illusa che lui ricambiasse. Si fermava sempre più spesso a parlare con me, mi sorrideva, mi cercava…e all’autogestione di quest’anno, mentre Simone, da bravo capo-gruppo presentava le tematiche, lui mi fissava e sorrideva. Non mi ha staccato gli occhi di dosso neanche un istante. E io, bordeaux, fissavo Simone, cercando di non pensare al fatto che Francesco, seduto sulla cattedra, aveva gli occhi puntati su di me.
“Mio fratello mi ha detto che settimana scorsa Francesco voleva mollare la sua ragazza…”
Ancora una volta, Veronica che mi sussurrava le news: diciamocelo, il fatto che suo fratello fosse compagno di classe di Simone e Francesco era un gran vantaggio. Peccato che, mentre io finivo la terza, loro erano già in quinta.
Comunque, senza discostarci troppo dal discorso principale: tutte queste piccole cose mi stavano riempiendo di illusioni e io lo sapevo! Ma si sa, è comodo nascondersi la verità da soli, certe volte.
E in queste illusioni io mi sono crogiolata, fino alla mattina del 12 giugno, cioè stamattina. Se ci ripenso, rivedo la giornata lì, davanti ai miei occhi, come se la stessi rivivendo ora.
 
Non ho voglia di alzarmi, anche se è l’ultimo giorno di scuola, giorno che uno studente, generalmente, non vede l’ora che arrivi. Per me, purtroppo, è un giorno pieno di dubbi. Tre ore e sei fuori,  è vero, ma…dopo? Francesco? Manterremo i contatti?
“Simone sa tutto: ha capito che ti piace Francesco.”
Messaggio, di Veronica ovviamente, che arriva sul mio cellulare mentre la prof finisce di sistemare le sue cose e i miei compagni mettono via le carte da scala quaranta. Dirmelo a voce, visto che siamo vicine di banco? No, troppe orecchie in agguato.
Suona la campana, ma non mi aggrego alle urla di gioia dei miei compagni: recupero la cartella, saluto tutti velocemente, ed esco di corsa. Obbiettivo: lasciare l’edificio e tornare a casa, anziché andare al parco assieme al resto dell’istituto, dove i più sfortunati verranno lanciati dentro la fontana. Scappare da lì prima che sia tardi, prima che Simone spiattelli tutto.
Ma la fortuna non mi assiste: eccoli lì, i due amici del cuore, il mio ex stronzo e il ragazzo che amo. Che, manco a farlo apposta, si girano verso di me. Sono nell’ingresso; evitarli? Impossibile.
“Anita!” mi chiama Francesco, e vedo che Simone si allontana di qualche passo. Mi lascio trascinare all’esterno, sospinta dalla folla di studenti in uscita e tirata dalla sua mano, proprio la sua. Quando siamo abbastanza lontani dal grosso degli studenti, mi chiede di aspettarlo un attimo e si allontana, giusto per rendersi visibile tra la folla; chiama qualcuno, ma non so chi, finchè non lo vedo. O meglio, non la vedo. Perché quella che arriva e bacia appassionatamente Francesco è la sua ragazza.
“Non ti avevo ancora presentato mia moglie, vero?”
“Mia moglie” è il nomignolo affettuoso che Francesco le ha affibbiato, dato che sono una coppia da due anni. L’ha sempre chiamata così davanti a tutti, ma sentire la sua voce pronunciare tale appellativo con la suddetta ragazza davanti alla faccia è tutta un’altra storia. Perché quando ce l’hai davanti, non puoi far finta che lei non esista.
“Valeria” si presenta, allungandomi la mano.
“Anita” rispondo “Piacere” e le sorrido, col migliore dei sorrisi che riesco a fare: un sorriso amaro.
“Ehi, Valeria, non mi saluti?”
Simone la chiama e lei si allontana, per raggiungerlo. Ovviamente, io resto sola con Francesco: l’inizio della fine.
“Ho parlato con Simone…”
Bastano quelle quattro parole ad aumentare il battito cardiaco: ha parlato con Simone.Conclusione logica? Sa.
“…vorrei solo farti sapere che, se è vero che sei interessata a me bhe…” con un cenno del capo, indica Valeria ferma poco più indietro. “Io so che il mio posto è accanto a lei.”
 
Diretto e lapidario. Se c’era stata una rinascita nelle mie speranze dopo la disastrosa storia con Simone, bhe, quelle speranze erano morte di nuovo. Ma, d’altra parte, che mi aspettavo? Forse la storia del voler lasciare la sua ragazza era una balla messa in giro da Simone per vedere la mia reazione. O forse no, ma che importanza aveva ormai? Non riuscii a ribattere. Mi limitai ad annuire, vedendo arrivare Simone con Valeria. Desiderai con tutta me stessa vederlo saltare in aria, fulminato da una folgore divina, in quell’esatto istante. Ma non ci contai più di tanto: avevo perso un bambino, la fede e l’amore, nel giro di sei mesi: non sarebbe successo nulla di positivo nei seguenti cinque minuti, era qualcosa di improbabile. Senza dir nulla, passai accanto a Francesco e mi avviai alla fermata dell’autobus, correndo e fregandomene delle macchine che avrebbero potuto investirmi mentre attraversavo.
“Anita, Anita dove vai?” mi chiamavano in tanti, ma la sua voce era quella più chiara nella mia testa: peccato che lui era l’unico a tacere.
Con mia somma gioia, l’autobus passò di lì ad un minuto e io mi rintanai su quel mezzo di salvezza, deserto: tutti, bene o male, sarebbero rimasti fuori da scuola a festeggiare per un bel po’.
Piangevo già da un pezzo, ma non me ne ero accorta; rinunciai subito all’idea di asciugarmi quelle lacrime: erano troppe.
 
E tutt’ora, distesa nel mio letto, anche se ormai è notte, continuo a piangere.  Mia madre, lo so, sta facendo lo stesso dall’altra parte della casa. Veronica mi ha chiamato un sacco di volte, terrorizzata, probabilmente, dalla mia reazione. Le ho mandato un messaggio, dicendole che le spiegherò. In realtà, sto solo aspettando di trovare una scusa per giustificare il mio comportamento, perché non voglio fare quella che si piange addosso. Eppure, non so cosa fare: risalire dal baratro un’altra volta è difficile e io sono stanca di dovermi continuamente rialzare.
Lui era il mio primo, vero amore, quello con la “A” maiuscola. Si, è una frase da film, una frase mielensa di quelle che io odio, ma non so come è diventata la mia realtà.
Ho sempre avuto una visione ottimista delle cose, mi sono sempre detta “La prossima volta andrà meglio” o “In futuro le cose miglioreranno”.
Ma ora come ora, l’unica verità che mi sento di dire, è che questa è la fine di ogni speranza.
   
 
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