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Autore: Tribute    06/11/2012    0 recensioni
-C’è chi è veloce, alcuni sono molto forti, altri più astuti di una volpe. Io e te siamo diversi. Noi siamo cacciatori.-
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III

-
Tuo padre ti ha portata via dall’ospedale senza dirmi nulla e… e ha voluto che tu mi dimenticassi. Sai, non gli sono mai piaciuto -. Un debole sorriso gli increspa le labbra.
- Non ci posso credere. Si è approfittato della mia fottuta amnesia. Perché non mi ha mai detto di te? – Sono furiosa. Furiosa con mio padre, con il pilota dell’aereo, con me stessa, per aver dimenticato Leigh.
- Calmati, se l’ha fatto, ci dev’essere un motivo. –
- No. Non provarci nemmeno a giustificarlo. Non doveva nascondermelo. – Dico scandendo queste ultime parole. Gli appoggio l’indice sul petto, in segno di rimprovero.
- Ma…- Lo guardo infuriata e lo zittisco all’istante.
- Non capisco. Non ha senso. Io, io… oh, al diavolo. – Leigh mi stringe a se.
- Ti riporto a casa. -. La macchina parte e, in prossimità della mia orrenda casa, accosta davanti al vialetto. – A domani, Sophie- .
- A domani –.
Scendo dalla macchina e sorrido fievolmente. Saluto Leigh con un cenno della mano ed entro in casa.
Mio padre, steso sul divano, sta guardando una partita di football. Mi piazzo davanti alla vecchia tv sgangherata e incrocio le braccia.
-Che c’è?- Mi guarda stupito, non capisce. Io non rispondo, sono immobile davanti allo schermo.
-Puoi toglierti da davanti? Non vedo niente! – mi ringhia contro arrabbiato. Senza scompormi d’un millimetro lo guardo, dritto negli occhi. – Che ti dice il nome: Leigh Underwood? -.
Mio padre, per un momento, distoglie l’attenzione dallo schermo della tv e mi guarda con gli occhi sbarrati.
- Niente. Non mi dice proprio niente.–  Mente. Finge indifferenza ritornando con gli occhi alla partita.
- E se ti dicessi che era il mio migliore amico? E che è rimasto gravemente ferito nell’incidente del 13? - mi guarda sbigottito – beh, oggi mi ha dato un passaggio fino a casa.- Termino la frase con una sfumatura di sarcasmo nel tono di voce, scura in volto.
Il volto di mio padre, improvvisamente, sbianca.
- Che c’è? Qualcosa non va? – dico in tono di sfida.
- No, niente. Vai in camera tua – ribatte aggressivo.  – No! – gli urlo contro – Non mi puoi liquidare così. Non oggi. -.
Prima che possa aggiungere altro, si alza con uno scatto dal divano e mi tira uno schiaffo in pieno viso. Lo guardo delusa, schifata, impaurita. E’ schifosamente fatto. Premo una mano contro la guancia che brucia come se andasse a fuoco, corro via, in camera mia e mi chiudo la porta alle spalle.
Apro l’armadio con foga e, mossa dall’impeto di rabbia che mi ribolle dentro, ficco qualche vestito dentro un borsone nero, prendo il cellulare e chiamo Lui. Chiamo l’unica persona di cui mi fido.
Non so perché, ma so che dice la verità, che di lui posso fidarmi.
- Leigh, devi venirmi a prendere. Mio padre è completamente fatto, non ci sto a casa da sola con lui. –
Questo, dall’altro capo, con voce preoccupata risponde: - Sophie, Sophie che succede? Tutto a posto? –
- Leigh, ho paura. -.
-Due minuti e arrivo. -.
Nel frattempo chiudo la porta della camera a chiave e, dopo essermi sistemata il borsone sulle spalle, esco dalla finestra, calandomi giù grazie al tubo della grondaia. Un bel salto e sono fuori.
- Sophie! -. Sento il sussurro e mi dirigo verso di lui.
- Grazie al cielo sei qui, Leigh ho tanta paura. -.
- Lo so, lo so, vieni, ti porto via da qui. – Mi prende i borsone e mi conduce alla sua macchina tenendomi un braccio attorno alle spalle.
In macchina mi rannicchio sul sedile del passeggero e porto le ginocchia al petto. Continuo a fissare il vuoto. Leigh ogni tanto mi guarda di sfuggita preoccupato. Gli occhi cominciano ad essere pesanti, la mente comincia a vagare per conto suo, così, piano piano, mi immergo in un sonno profondo consapevole che la mia vita, da quel giorno non sarebbe più stata la stessa.
   
 
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