Quarto Capitolo:
Occhiali e piume...
Osservavo i
movimenti lesti del nemico: non dovevo perderlo di vista.
Mi voltai e tentai
di parare il colpo, ma ricevetti unicamente una dolorosa bastonata sul
fondoschiena. Per la ventesima volta consecutiva.
Era passata una
settimana scarsa dalla battaglia contro il mostro di fuoco, sette giorni in cui
il mio unico pensiero sarebbe stato quello di riposare per recuperare le forze.
Tuttavia non riuscivo a rimanere lontana dai combattimenti, così avevo chiesto ad
Undertaker una sfida per mantenermi in allenamento, pensando erroneamente che
sarebbe stata una passeggiata.
Non fu affatto
così.
Per una quarantina
di volte il manico della scopa mi aveva colpito lo stomaco, sul sedere e sulla
schiena, ma io non demordevo. Doveva pur avere un punto debole quell’ex
Shinigami!
<< Ancora
una volta!>> dissi, togliendomi la polvere dai pantaloni neri della mia
divisa.
<< Non ti
arrendi mai?>> domandò il becchino, ridacchiando.
<<
No>> bofonchiai << Piuttosto la morte>>
Passai
all’attacco, carica più che mai, pronta a vincere la sfida (ovvero riuscire a
colpirlo e non farmi beccare). Ero velocissima, quasi volavo sulla strada
deserta, posta sul retro del negozio. Purtroppo, quando ormai il mio spazzolone
stava per sfiorarlo, Frederick si mise in mezzo e così, tentando una brusca
frenata, finii per inciampare nel gallo e successivamente piombai addosso ad
Undertaker.
Per poco non
trascinai a terra quest’ultimo, il quale aveva lasciato l’arma impropria per
afferrarmi il polso, impedendomi così di cadere.
Dovetti faticare
non poco per trattenere un’imprecazione per il dolore alla testa (visto che
avevo preso in pieno il manico della scopa), anche se mi sfuggì comunque un
ululato sofferente seguito da un ringhio inferocito, in cui invocavo il nome
dello Shinigami pennuto. Seppur con la fronte gonfia e dolente, il male svanì
quando mi accorsi che mi trovavo fra le braccia di Undertaker.
Mi liberai dalla
stretta e poi balzai all’indietro, tentando di mantenere la calma.
Sentivo le
pulsazioni cardiache sin nelle orecchie; il mio respiro era accelerato e
sicuramente ero avvampata come se mi fossi sporcata il viso di tintura rossa.
Non ero abituata: rarissimamente
qualcuno mi abbracciava e quel qualcuno poi riceveva un sonoro
pugno dalla sottoscritta. Ciò nonostante, in questa circostanza il pensiero di
colpire Undertaker non mi sfiorava affatto. Probabilmente perché Grell, William
e Ronald per me ormai erano come dei familiari, quindi uno schiaffo ogni tanto partiva e soprattutto ritornava.
<< Sei un
pericolo pubblico>> sbuffò il gallo innervosito.
<< Sei stato
tu a metterti in mezzo! Stupido>>
<< Stupido a
me?! Io ero il più famoso alchimista e fabbro fra gli Shinigami! Secondo te chi
ha forgiato la maggior parte delle Death Scythe?! Lilith dovresti imparare a
tenere a freno quella tua linguaccia da demone!>> si interruppe
bruscamente, fermandosi per un attimo a riflettere << Io... ehm... c’è un
cliente che aspetta>> aggiunse poi, balzellando via a testa china.
Chi era Lilith? E
per quale motivo Frederick, un elemento così importante fra gli Shinigami, era
stato degradato?
Mi venne la
tentazione di correre verso di lui per chiedergli qualcosa di più sul suo
passato, ma alla fine decisi di non infierire. Probabilmente il ricordo di
quella ragazza lo aveva ferito nell’animo e quindi voleva restare per un po’ di
tempo da solo.
Il gallo Shinigami
era un personaggio misterioso, forse anche fin troppo. Lo conoscevo
sostanzialmente da poco tempo, da una settimana scarsa, eppure aveva già citato
diversi avvenimenti accaduti, i quali sollecitavano la mia curiosità.
Sospirai e poi,
mentre stavo camminando verso il negozio, il manico della scopa mi colpì il
sedere. Per la ventunesima volta.
Feci un respiro
profondo, seccato, poi fulminai con lo sguardo il becchino. Volevo fargli
ingoiare quel dannato attrezzo, ma mi trattenni.
O per meglio dire,
fui trattenuta a causa di uno squillante rumore di pentolame che cadeva
a terra, seguito poi da un urlo primitivo. Probabilmente il verso da
australopiteco proveniva da
un cliente vivo piuttosto innervosito per l’attesa.
Così, percorrendo
il laboratorio a grande velocità, raggiunsi la porta logora che conduceva al
negozio e senza pensarci due volte entrai.
Lo vidi.
Fui tentata nel tornare
indietro, ma ormai quelle iridi di un verde intenso tendenti al giallo erano
fisse su di me. Non avevo mai visto William in quello stato: i capelli corvini,
di solito impiastricciati di gel per tenerli in un perfetto ordine, erano
sporchi e anche arruffati, come se si fosse appena svegliato; aveva delle profonde
occhiaie e gli tremavano persino le mani, probabilmente dopo tutte le tazze di
caffè che aveva ingerito per non addormentarsi.
Addirittura la sua
divisa, normalmente impeccabile, sembrava quasi una delle mie, perché sia la
giacca che il gilet erano in una condizione pietosa e la camicia bianca era
macchiata con chiazze di inchiostro e di caffè.
Appena mi vide,
riuscii a scorgere la sua espressione un po’ più rilassata, anche se rimaneva
pur sempre torva e preoccupata. Mi incuteva timore, perché era fin troppo
diverso, fin troppo simile a me dopo
una giornata di straordinari.
Un pensiero mi
ghermì il cuore, stringendomelo in una fredda morsa: aveva ricevuto forse delle
critiche pesanti da parte dei piani alti?
Il pinguino gelido
non sopportava i giudizi negativi, la sua vita poteva soltanto essere una lunga
linea priva di imperfezioni. I difetti non li tollerava.
Ed io spesso e
volentieri facevo parte di quei difetti.
<<
Pandora...>> disse con un tono secco, privo di emozioni.
Tutto divenne
silenzioso. Persino Violet raccoglieva le padelle cadute a terra in assoluto silenzio,
per paura di istigare la sua ira.
<< Will, come
mai...>>
<< Otto
giorni. Quando il tuo nome è apparso sulla lista... si può sapere quello che ti
è saltato in mente?! Pandora Spears, hai trasgredito almeno ad una decina di
regole...>>
Spears. Odiavo
quel cognome, perché oltre al fatto che strideva con il mio nome, William lo
pronunciava soltanto quando creavo dei disastri, per sottolineare il fatto che ero
stata affidata a lui... che in fondo ero una sua proprietà. E il pensiero di
essere trattata come un semplice oggetto non mi piaceva affatto.
<< Hai
ucciso quindici persone, hai fatto uso della tua falce senza permesso, hai
distrutto cinque edifici, hai usato i tuoi poteri demoniaci ed hai rischiato persino
di morire! Sai cosa comporta?>>
<< E tu sai
che esiste una piccola e leggera sfumatura chiamata legittima difesa?! Quel
serpente mi avrebbe fatto fuori! Non esistono solamente le regole! E se quei
rincoglioniti londinesi sono stati
uccisi dalla bestia, non è colpa mia!>>
La sua falce mi
sfilò gli occhiali e li ruppe.
Vidi il negozio
perdere di nitidezza, diventando sfocato. Non sapevo se era per colpa delle
diottrie in meno o per le calde lacrime che cominciarono a solcarmi il viso
pallido cadendo poi sul pavimento scricchiolante, ma in tutta sincerità non mi
interessava.
Delle scintille
tenui mi illuminarono per pochi attimi i palmi delle mani. Iniziai ad osservare
quella fioca fonte di luce.
Non sapevo perché
riuscivo a controllare l’elettricità: William diceva che era colpa dei miei
poteri demoniaci, ma nessun demone, nemmeno il più forte può aver dentro di sé
un simile potere; nessuna delle persone che avevo conosciuto riusciva a mutare
i propri arti in un elemento puro... nessuno, quando perdeva il controllo del
proprio corpo, diventava un abominio.
<< Ai piani
alti sono stati molto chiari...>> il pinguino chinò la testa e fece un
breve sospiro << D’ora in avanti non sarai più uno Shinigami...>>
E fu in quel
momento che il mio mondo crollò. Avevo l’impulso di dibattere, ma ogni singola
lettera rimaneva bloccata in gola. Uscirono soltanto diversi singhiozzi, dei
colpi di tosse e dei respiri affannati.
Tutto ciò per cui
mi ero impegnata duramente, per cui avevo combattuto si era dissolto.
<<
Consegnami la tua Death Scythe>>
<< Perché?!
Perché ho trasgredito a due regole?>>
Non ebbi risposta.
Guardai la sua
mano tesa, pronta ad afferrare la mia falce, poi i miei pugni i quali sprizzavano
dei sottili lampi di energia.
Anche se non
facevo più parte di una famiglia, anche se ero sola, non avrei mai smesso di
lottare. Se ai piani alti avevano deciso così, la mia vita di certo non si
fermava, anzi, continuava.
Ogni volta che
inciampavo, ero sempre stata in grado di rialzarmi. Questa era soltanto
un’ennesima caduta e seppur dolorosa, dovevo dimostrare la mia forza.
<< Mi
ricordo ancora di tutte le volte in cui mi ripetevi “portami rispetto, sono come un padre per te”. Beh, sai cosa? Un padre
avrebbe mosso il culo prima. Sei soltanto un menefreghista, ti importa soltanto
delle tue regole, del TUO mondo... quando è in pericolo una persona non ti
schiodi dalla sedia manco sotto tortura. Già, sono passati otto giorni. E tu
dov’eri?>> poi aggiunsi asciugandomi il volto << Sentiti libero
ora, non dovrai più badare a me, alla rognosa palla al piede. Se io sono stata
uno schifo di Shinigami, tu sei stato uno schifo di padre... anzi... piuttosto
che essere figlia tua, preferisco la sedia elettrica>>
Uscii dal negozio
e corsi via, scoppiando nel frattempo a piangere. Sentivo il mio nome il
lontananza, ma non mi voltai, perché non volevo più rivedere William.
Sapevo di aver
detto cose che, con il senno del poi, mi sarei pentita di averle soltanto
pronunciate. Forse non si meritava tutto ciò che gli avevo urlato contro, però
non avevo del tutto torto. Non mi aveva cercato, non si era interessato
minimamente alla mia salute.
Tutti
sono capaci di rimproverare, nessuno di ascoltare. Era la frase che ripeteva
sempre Grell quando riceveva una “sgridata” da parte del pinguino di ghiaccio.
Ovviamente poi lo Shinigami Rosso aggiungeva delle frasi piuttosto ambigue,
però perlomeno la prima parte del discorso era sensata.
William non aveva
combattuto contro il serpente, anzi, probabilmente si trovava nel suo comodo
ufficio a bere la terza tazzina di caffè. Lui non sapeva niente, non sapeva
quanto avevo sofferto per rimanere in vita.
Una delle ferite
che mi ero procurata sarebbe bastata per uccidere un uomo. Certo, ero
resistente, ma non totalmente immune al veleno o alle emorragie.
Mi fermai poco
tempo dopo, vicino ad un negozio che vendeva giocattoli di una famosa ditta
chiamata Phantom o qualcosa del genere. Fra i tanti balocchi e dolciumi esposti,
ne notai uno che attirò in modo particolare la mia attenzione: un coniglio
grigio simile a quello che mi aveva regalato l’Iceberg.
<< Possibile che mi
perseguiti ovunque?!>> ringhiai, poggiando l’indice sul vetro <<
Scordati il mio perdono!>> aggiunsi. Accorgendomi poi che stavo parlando
con un oggetto inanimato, per la disperazione diedi una leggera testata alla
vetrina.
<< Se non si può permettere
i nostri giocattoli, non le servirà a nulla prendersela con la vetrina>>
disse un bambino, lo stesso di quella volta al negozio di Undertaker.
<< Non ti puoi fare i
cavoli tuoi? E poi non accetto consigli da un moccioso che puzza di
demone>>
Quanto godetti nel vedere
l’espressione stupita del conte-nano? Moltissimo.
Purtroppo quella sua faccia da pesce
lesso durò poco, forse per non sfigurare troppo davanti al maggiordomo. Infatti
si ricompose subito, assumendo un atteggiamento distaccato, anche se ormai mi
ero già dileguata in una delle tante vie secondarie.
Non mi interessava fermarmi a
parlare con un bambino spocchioso, vestito in modo elegante. Preferivo
camminare a vuoto per Londra, piuttosto che venire schernita da un moccioso con
la puzza sotto il naso.
Il mio stomaco emise un lamento sordo, quasi di disappunto.
Vagavo da ormai un paio di ore ed il sole era alto nel cielo. Quel
cerchio luccicante era molto più luminoso rispetto agli altri giorni, molto più
caldo, molto più insopportabile.
Avevo la gola secca, la fronte fradicia e i capelli appiccicati al
corpo.
La tentazione di sedermi e dormire fu tanta, seppur la strada fosse
lercia, ma quando inciampai nei lacci dei miei stivali e finii con il
ventre
rivolto verso il cielo, intuii che cosa stava accadendo.
Vicino all’accecante sfera di fuoco si trovavano due minuscole macchie
nere, le quali non mi piacquero per niente.
Mi rialzai il più in fretta possibile, ma una mano d'ombra mi afferrò e mi
trascinò nel muro dell’abitazione. Non compresi come ci fosse riuscita,
tuttavia nel giro di qualche attimo mi trovai a penzolare sulla sudicia Londra.
Ero a parecchi metri d’altezza, quasi mi mancava l’ossigeno. Ringraziai il
fatto che, essendo mezza Shinigami, potevo fare a meno di respirare.
<< Ehi che ne dici? Se me la porto a letto il capo si
arrabbierà?>>
Alzai la testa, ma un calore insopportabile mi investì il viso, così fui
costretta a chiudere gli occhi e chinare il volto.
<< Iperione, accuccia>>
<< Uffa... mi togli sempre il divertimento! Vorrà dire che la
uccideremo e basta>>
Emisi una potente pulsazione elettrica che saettò lungo il braccio del
mio rapitore, così riuscii a liberarmi e successivamente a trasformarmi in
corvo per non precipitare.
Osservai le due figure: erano due ragazzi di diciotto anni circa, un
maschio non troppo muscoloso e una fanciulla.
Il primo aveva una lunga chioma aurea, sciolta, con una disordinata
frangia che lasciava appena intravedere i grandi occhi color azzurro ghiaccio.
A sfregiargli i viso divino erano due cicatrici: una simile ad una croce posta sulla
guancia sinistra e un’altra che percorreva tutta l’ampia fronte. Aveva una
corporatura longilinea, con la pelle pallida sulla quale spiccavano delle
ferite quasi del tutto rimarginate, sparse soprattutto sul torso scoperto e
sulla schiena, sulla quale spiccavano due estese ali corvine.
Indossava un paio di pantaloni in pelle neri abbinati ad un paio di
stivali lunghi fino a metà ginocchio, i quali erano decorati con fibbie e
borchie e possedevano anche un tacco abbastanza alto.
La ragazza invece portava un’armatura medievale completamente nera, con
tanto di elmo che le copriva il viso. Almeno penso che si trattasse di una
donna, perché mi ero fidata della voce, la quale aveva un timbro femminile.
La sua particolarità era quella di riuscire a volare senza l’ausilio di
nessun tipo di arto, come se levitasse.
<< Che cosa volete?>> domandai.
<< Eh, molte cose: una promozione, un lavoro decente e un’uscita a
cena con questa attraente mezza Shinigami... Pandora, giusto?>> sorrise
l’angelo.
<< Come fai a sapere il mio nome?>>
<< Semplice: sono stato io a modificarti i Cinematic Records della
tua infanzia. E poi eravamo stati compagni di torture una volta...>>
<< Cosa?! Cosa sai sul mio passato?!>>
Con una mossa fulminea, la sua mano sinistra mi afferrò. Al solo tocco
persi la mia trasformazione e così mi ritrovai con la vita appesa ad un filo.
Le sue unghie erano impiantate nel mio collo, mentre le altre dita si
muovevano agilmente sulla mia schiena, fino a fermarsi poco sopra l’osso sacro.
Sentii poi il metallo di una fredda arma scorrermi veloce sulla pelle.
<< Vuoi veramente scoprire cos’è accaduto?>> sussurrò al mio
orecchio.
Fine Quarto Capitolo!