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Autore: Stateira    24/05/2007    2 recensioni
Nella Londra del 1800, Lord David, sfortunato idealista scozzese, e Lord William, cinico signore londinese dal sarcasmo tagliente, si trovano ad essere spettatori di un tremendo incendio. Che brucia fuori e dentro di loro.
Mini fanfiction in tre capitoli.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

 

 

 

12 Febbraio 1836

 

 

A Lord David Charles Mallow-Hamilton

 

Mio caro David,

Trovo modo di scrivervi qualche riga da Londra, e mi auguro che a Glasgow ogni cosa vada per il meglio.

Meglio che qui, per lo meno. Ogni giorno il cielo si fa sempre più grigio, ho proprio l’impressione che finirò con lo scordarmi di cosa sia il sole, fra questi tetti scoloriti. In quest’ultimo anno passato vi ho visto due volte soltanto, e mi permetto di lagnarmi a gran voce con voi, per questo. Non tanto per me, no. Lo sapete bene, quanto io detesti perdere con voi a scacchi, ma temo che la vostra lontananza nuoccia alla mia salute. Alla mia, e a quella di tutta la cittadinanza, invero. Il sole se n’è venuto via con voi, a quanto pare, e sembra più che mai deciso a restarsene in Scozia, a scaldare la groppa alle vostre mucche, e a benedire il vostro raccolto, invece del nostro.

Non vorrete costringermi a venire a Glasgow a riprendermelo, spero. Sarebbe piuttosto noioso intraprendere il viaggio di ritorno con voi sulla schiena.

 

Ma immagino che lo farei.

 

Sono accadute alcune cose davvero singolari, dopo il vostro ultimo, breve soggiorno qui. Nulla che vi possa interessare, ma d’altro canto io non ho alcuna voglia di concludere questa lettera, perciò vi farò la scortesia di annoiarvi, informandovi che la deliziosa Lady Dorothy, che tanto si entusiasmò nel conoscervi, e tanto apprezzò il vostro accento da farmi dolere i denti per il troppo stringerli, si è finalmente decisa a sposare quell’orrendo caprone di Sir Joseph Duckfold. Suppongo abbia avuto ciò che meritava, bontà divina, e non osate ridere del mio sollievo; sarebbe davvero molto villano, da parte vostra.

 

Il Parlamento ha approvato alcune interessanti crudeltà contro gli sventurati che lavorano sulle acque del Tamigi. Più tasse per le barche, e per i moli. Io mi sono limitato a far notare che di questo passo avremmo fatto del nostro onorato fiume uno Stige, ma sapete anche voi quanto il mio umorismo sia poco apprezzato da certi bifolchi. Più denaro, da più parti, persino le proprietà reali in Galles saranno spremute come frutta matura, quasi volessero realizzare il nuovo palazzo del Parlamento ammucchiando Sterline.

E, a proposito, il concorso per la ricostruzione procede come una locomotiva, e il mio buon amico, Lord Burghwell, si farà venire i capelli bianchi prima del tempo, a forza di litigare con chiunque si intenda di architettura in tutta la città. Sembra che desideri ardentemente fare di questo palazzo un’ode alle guglie di mezza Francia, ma temo che quelli disposti ad assecondarlo siano ben pochi. Non vi nasconderò che l’idea mi divertirebbe parecchio. Un edificio a guisa di candela sciolta sulle rive del Tamigi sarebbe una suggestione indimenticabile, per il prossimo, scenografico incendio.

 

Vi ricordate di quel mio amico, il signor Turner, che era con noi sul battello, il giorno disgraziato del rogo? Sono più che certo che lo ricordiate. Pare proprio si compiaccia di farsi chiamare “romantico”, o come altro lo definiscono alla Royal Accademy, perché non gli è riuscito di resistere alla tentazione di rendere quello sfortunato evento una specie di ode alla luce del fuoco.

“Arte, arte!”, la chiama lui, e io a rispondergli che la vera arte è il corpo dell’uomo, la vera arte è ritrarre un bel volto in tre quarti. E lui allora a dirmi “Ah, dovete essere innamorato, caro William, proprio innamorato”.

“Proprio innamorato”, dice lui, David. Suggeritemi voi una risposta da dargli, vi prego. Innamorato lo sono, ma se il prezzo che devo pagare per questo è la vostra assenza, allora preferirei odiarvi, ed avervi qui. Perdonate questo mio sfogo amaro, ma sembra che a voi poco importi, e nelle vostre lettere non vi è che prudenza, e lodevoli descrizioni dei vostri terreni, ahimè, fertili e produttivi.

 

Mi sono permesso di spedirvi alcuni suoi schizzi, assieme a questa lettera. Credo che vi piaceranno, almeno quanto è piaciuto a me convincere il mio buon amico a realizzarmeli, dalla Germania, o dalla Danimarca.

Ammiravate quella tremenda catastrofe come fosse una luna piena, David, dovevate guardarvi. Piuttosto inquietante, per un membro del Parlamento, ma mi divertì immensamente la vostra espressione, così burrascosa e intensa. Eravate così bello, e perduto nei vostri sogni, che mi stupisce ancora che nessuno, oltre a me, vi abbia notato. Nessun sospiro di dama, nessun fazzoletto scivolato ai vostri piedi, oh, aveva ragione Ovidio, allora, dicendo che, fra molti che guardano, uno rimane abbagliato (*).

Conoscete Kaspar Friedrich, David? Dipinse un quadro che ho avuto il piacere di vedere con questi miei occhi, non più di due mesi fa. In verità lo dipinse che noi dovevamo essere ancora bambini, a quello che so, ma immagino dipinse voi, immagino dovesse avervi conosciuto ed ammirato per come sareste diventato.

Volta le spalle, il suo David, sapete? Come facevate voi, su quella barchetta, così concentrato sul fuoco della nostra casa, se mi permetterete di chiamarla così, da non vedere nient’altro.

 

Ecco, ecco che finalmente riesco a sorridere un po’. Sono giorni che non lo faccio. E non è solo il pensiero di voi fissato su una tela, a farmi gioire, ma è la certezza che voi mi capiate. Devo avervelo già detto, lo so, ma permettete di ricordarlo ancora: mi avete incantato, l’ultima volta che ho avuto il piacere di parlare con voi di arte e di musica.

 

David, voi mi mancate.

 

 E sapete quanto mi costi ammettermi vinto su questo fronte. Ho creduto che voi non mi foste così necessario, e invece mi accorgo di non riuscire a sentirmi sereno.

Ne parlammo a lungo, lo so, l’ultima volta che vi ebbi qui. Ma sapevate già che avrei insistito di nuovo. Mi conoscete.

Ditemi che tornerete presto a Londra, ditemi che accetterete di riempire ancora la mia casa con il suono flautato del vostro fastidioso accento scozzese.

Attendo un vostro sì.

Oppure una spada, Narciso, che sia ricca e dignitosa (**).

 

Avete il mio cuore.

 

William

 

*

 

Lord David Charles Mallow-Hamilton scese dalla carrozza, accolto dall’aria umida e tiepida di Londra, che gli punse il naso. William lo aspettò, fermo sull’ingresso di casa sua, osservando con aria divertita il lavoro dei facchini, che scaricavano i bagagli di David, sotto la sua apprensiva supervisione.

- Sapevo che vi avrei convinto. – sogghignò, appena David fu abbastanza vicino da poterlo udire.

- Vi detesto, con tutto il cuore, William. – borbottò lui, stropicciandogli la lunga lettera provata dalle continue riletture davanti agli occhi.

- Oh, non mi importa affatto. – rispose William, sereno. – Qualsiasi cosa facciate con il vostro cuore, non può che rendermi felice. –

 

David si abbandonò su una delle poltroncine del salotto, accettando malvolentieri una tazza di tè.

- Siete invecchiato, William. -

- Sciocchezze. – William sorrise obliquamente, gli occhi lucidi e grigi attenti alle mani di David. – Non si invecchia mai, mio caro David, si continua a crescere. -

- Interessante eufemismo. – David raccolse le braccia sul petto, vagando con lo sguardo per il salone luminoso e decorato di pezzi d’antiquariato. Si alzò con indolente compostezza, aggirando la poltrona di pelle che lo aveva ospitato per pochi minuti, e raggiungendo la finestra più ampia della stanza, quella che dava sul giardino interno, ben curato, e pallidamente colorato da qualche fiore.

 

- Ogni volta che vi vedo, la vostra testa mi sembra sempre più affollata di pensieri. E dire che vi vedo così raramente. -

Le mani segnate da piccole venature azzurre di Wiliam toccarono le spalle di David con gentilezza. David inspirò a fondo l’aria profumata di tarda primavera, di legno pregiato e di fuliggine che impregnava la città di William. Osò reclinare all’indietro la testa fino a sentire sulla nuca il pizzo di un fazzoletto, e la pressione di un bottone ornamentale.

- C’è qualcosa che vi preoccupa? -

Era incredibile quanto la voce di William potesse cambiare, da una parola all’altra. Un attimo prima era tagliente e divertita, quello dopo era come una paternità vellutata.

- Mi preoccupate voi. – rispose David. – E ciò che provo rivedendovi. È troppo forte, come un distillato maligno, che mi porta all’ubriachezza se solo ne sento il profumo. -

- Forse, se lo assaggiaste, non si rivelerebbe poi tanto odioso. -

William sorrise sulle labbra appena socchiuse del giovane scozzese. Sorrise di un sorriso appena un po’ malinconico, del sapore delicato e ancora velato di burro della sua bocca.

- Non avete nulla da temere, da me. – bisbigliò, gli occhi socchiusi sulle ciglia di David.

- E da me? –

- Dentro di voi non covate che fantasmi. -

- Non trattatemi come un bambino. -

- Non lo faccio, lo sapete. È come uomo adulto che insisto nel chiedervi di restare. -

- Ne abbiamo già discusso molte volte. -

- Non è vero. Non considererò il discorso concluso finchè non sentirò da voi la risposta che voglio. -

- Il vostro è egoismo. E presunzione. -

- Lo so. Ma è il modo che ho di amarvi. - 

David alzò gli occhi al cielo, esasperato. – Amarmi. – borbottò, senza sapere come proseguire.

- Tornate a Londra, ve ne prego. – William gli riavviò un ciuffo di capelli chiari. – Penserò io ad ogni cosa, a trovarvi una sistemazione adeguata, e a raccomandare la vostra riammissione al più presto. Lord Burghwell non mi negherà ancora a lungo questo favore. -

David inarcò un sopracciglio. - E fatto questo? -

- E fatto questo, non mi perderò un solo altro istante di voi. -

David abbassò repentinamente gli occhi. – Voi sapete. – esordì con tono formale. – Dei rischi che correte. Voi più di me. Siete un nome rispettabile, qui a Londra. -

- E lo sarà anche il vostro. -

- E’ una pazzia, una pazzia che ci trascinerà entrambi in mezzo alla bufera. -

William rise cordialmente. – Mio caro David, voi ascoltate con troppo trasporto i concerti di Beethoven. -

- Faccio sempre tutto con troppo trasporto, secondo voi. -

- Ma è la verità. – William si strinse un po’ nelle spalle, sorridendo con semplicità. – Se solo vi fidaste di me, non ci sarebbe nulla di cui preoccuparsi tanto. Non è mai successo nulla, le altre volte che ho avuto il piacere di avervi qui, non ricordate? -

- Non successe nulla perché rimasi troppo poco. – sbuffò David.

- Ascoltatemi. – La mano destra di William si fece ferma, sul braccio di David. – David, io sono un uomo prigioniero di questa città, e del mio stesso nome, senza di voi. Potete aver paura, io vi capisco, ma per l’amor del cielo, non sopporterò di vedervi andar via un’altra volta. -

- Finirete in carcere per aver indugiato un momento di troppo sui miei capelli, con l’aria che tira. -

- Sono già in carcere, e che voi vogliate credermi o meno mi sento vivo, in questa prigione. -

 

*

 

David trovò una graziosa villa non lontana da quella di William, e si rassegnò a restare. La sua nuova casa era un rifugio perfetto, per loro due, ma William insisteva spesso perché David si fermasse da lui, per tutta la notte, nel suo studio.

William amava accarezzargli i capelli, mentre lo ascoltava infervorarsi contro le sue idee grette e conservatrici; amava mescolare la passione al Brandy, Shakespeare alla passione, e la musica all’Amleto.

E, specialmente in quei momenti, amava provocare David fino alle lacrime.

 

- Vi sono mancato? -

- Non dite sciocchezze. Continuate a tornare sul passato, anche ora che avete ottenuto ciò che volevate. -

- E’ vero. Ma insisto, vi sono mancato oppure no? -

- Non mi è mancato il vostro odioso carattere, William. Affatto. -

- Ma se sono lo scapolo più ambito di tutta Londra, per il mio magnifico carattere! -

David sbuffò un mezzo sorriso. – Nessuna donna con un po’ di senno accetterebbe mai di sposarvi. –

- Sciocchezze, sono io che non intendo sacrificare la mia misera esistenza alle ingordigie di una Lady Hudgens. -

- Non avrete figli. -

- Sarei un padre terribile. -

- E chi si occuperà del vostro nome? -

- I figli di quella strega della mia deliziosa sorella. -

- William. -

- State forse cercando di farvi scacciare dal mio letto, David? -

David arrossì vistosamente, e William si godette l’espressione terribilmente imbarazzata del suo viso.

- Come mai vi preoccupate tanto di trovarmi una moglie? – insistette, sogghignando.

- Non me ne preoccupo affatto, la mia era semplice curiosità. – rispose David, spiccio.

- La vostra è gelosia, David. Voi temete che io vi abbandoni per sposare qualche avvenente ragazzotta di buona famiglia. -

- Non siate assurdo. -

William si concesse una risata libera e allegra, fra i capelli di David, che cercò di divincolarsi, risentito.

- Morirei senza di voi. – disse all’improvviso. – Perciò ora dormite, prima che io sia tentato di andare a cercare qualche buon verso di Milton, per leggervi la vostra stupidità. -

- Avete frainteso le mie parole. -

- Non lo escludo. Ma sono troppo assonnato per pensarci ora, e da domani questa casa diventerà un inferno. -

- Andiamo, detestate così tanto la vostra famiglia? -

- Al punto da essere letteralmente fuggito dalla casa di famiglia, il giorno stesso della mia nomina in Parlamento. -

- Vi scriverò qualche lettera per confortarvi. -

- Oh, ve ne sarei grato, con tutto il cuore. Sarebbe la scusa ideale per chiudermi nel mio studio, e affogare nel Brandy e nelle vostre parole finchè riuscirò a non sentire più l’insopportabile voce di mio cognato. -

 

*

 

19 Settembre 1836

 

Mi avevate promesso una lettera, e invece ciò che avete fatto è stato davvero crudele.

Vi deve piacere molto, Narciso, rendermi folle della vostra assenza, con le vostre promesse. Vi deve divertire, immaginarmi disperato e circondato da presenze sgradite ed irritanti, quando sapete che non penso che a voi, e che non vorrei che voi, qui.

Lo sapete, non è vero, che ogni vostra parola mi è costata dolorose fantasie sul vostro corpo superbo? Muoio, per le vostre mani, e per la morbidezza illecita della vostra bocca, e tutto il fuoco che mi avete fatto respirare, nella vostra lettera, dovrete permettermi di saggiarlo, dovrete concedermelo, dovrete lasciarmelo spegnere pian piano, sulla vostra schiena affilata.

Crudele, crudele mio Narciso, vi ringrazio di esservi premurato di sincerarvi della mia buona salute, ve ne sono tanto grato che fingerò di non aver colto la vostra compiaciuta ironia. Mi inquietate, tanto cominciate ad assomigliarmi.

Lo voglia il Cielo, e tutti gli spiriti magni di questo glorioso Paese, entro domani, non più tardi dell’ora di pranzo, questa casa sarà di nuovo, finalmente, come l’ho sempre amata: vuota e silenziosa. Ed allora state pur certo che manderò una carrozza a prendervi, ed esigerò che voi passiate con me almeno un giorno ed una notte, per purificare le mie povere orecchie, e consolare i miei occhi. E, chi può dirlo, incendiare i miei sensi.

Ma nel frattempo, Narciso, divertitevi, e ridete ancora un po’ della mia disgrazia. Sarete ancora più bello da rivedere.

 

William

 

 

 

 

(*) Libera interpretazione di un passo di Ovidio, “L’Arte Amatoria”

(**) Riferimento alla vicenda mitologica del suicidio di Aminia: innamorato di Narciso, gli chiese un pegno d’amore, e Narciso gli inviò una spada, invitandolo a togliersi la vita.

  
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