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Autore: Chrysaljs    07/11/2012    1 recensioni
Questa è la prima storia che scrivo. Non credo sia la solita fanfiction del 'tutti felici'. La protagonista è Melanie, una ragazza insicura e sola che vive nel terrore e nella paura che il padre possa farle del male. Mel è però diversa dalle altre. Lei ha una visione differente del mondo. Si sofferma sulle piccole cose, rendendole importanti. E' una sognatrice, coglie i particolari, ma soprattutto riesce a capire com'è davvero la gente dentro. La sua tragica situazione familiare sarà il pretesto che la avvicinerà a Zayn, un ragazzo duro e cupo fuori, ma che nasconde una personalità fragile. Lei rimarrà subito colpita da lui. tenterà di avvicinarsi, nonostante i tentativi del ragazzo di respingere chiunque cerchi di capirlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Erano le due di notte passate.
Ascoltavo in silenzio il ticchettio dell'orologio ed ad ogni  rintocco avevo un sussulto. Era tutta la notte che aspettavo. Non sapevo quando sarebbe tornato e nemmeno se lo avesse fatto. Anche se sapevo benissimo di essere sola in casa, tendevo a piangere silenziosamente. Soffocavo ogni singhiozzo, ricacciavo dentro le  lacrime.
Odiavo la mia vita. Si, ero un'insignificante ragazzetta di 17 anni. Non ero bella.  Non ero solare. Non avevo un fisico da fotomodella. Ma soprattutto non ero felice. Da quando mia madre se ne era andata con un ricco imprenditore fu come se persi una  parte di me. Tutta la mia vita cambiò. Da quel giorno mio padre non faceva altro che uscire, ubriacarsi, e uscire e ubriacarsi.. Non avevamo mai avuto un buon rapporto. Non mi ricordavo nemmeno quale fosse l'ultima volta che mi aveva detto 'ti voglio bene'.  Era   come se io non esistessi, come se fossi un fantasma. E delle volte mi sentivo davvero così. Abitavo in un peasino che pareva inestistente su qualsiasi cartina geografica. A scuola tutti mi evitavano, come se fossi una lebbrosa o come se portassi una malattia contagiosa.  Prima avevo qualche amica, ma tutte si allontanarono  non appena videro dei lividi sulle mie braccia. Tutti pensavano che io fossi una specie di autolesionista depressa. La verita? Non sapevano niente. Ma  io li lasciavo dire, alla fine non mi importava di loro. Stavo benissimo anche da sola.
Avevo  ormai bagnato tutto il cuscino, le lacrime mi scendevano lungo il viso veloci come piccole gocce di pioggia. Fuori c'era il vento. Ormai  riuscivo a capire che tempo faceva all'esterno solo ascoltando in silenzio. Lo facevo spesso ultimamamente.  Mi stendevo sul letto e ascoltavo. La maggior parte delle volte sentivo il fruscio degli alberi, altre invece  ero persino riuscita a percepire il battito d'ali dei volatili o i loro  cinguetii    felici . Quando pioveva invece lasciavo la finestra socchiusa e inspiravo profondamente per lasciare che l'odore di asfalto bagnato mi avvolgesse.
L'orologio segnò le due e mezza. Non aveva mia tardato così tanto. Avevo paura. Temevo che potesse venire su e farmi del male, ancora. Come quella sera.... Per questo avevo quei lividi. Lui era tornato a casa ubriaco, come sempre, e ricordo che in un secondo mi trovai sbattuta contro il muro, con le sue mani che mi stringevano forte i polsi, troppo forte. Però i suoi occhi in quel momento non me li sarei mai scordati. Mi fissavano ardenti, vuoti, rabbiosi. E io tentavo di non fissarli, ma non ci riuscivo. Quella notte temetti il peggio.
Un terzo rintocco mi riportò alla realtà. Sentii la porta sbattere. Scivolai fuori dal letto e mi accuciai alla ringhiera della scala. Barcollava. Lo vidi andare in cucina e scesi piano le scale tentando di non farmi sentire. Sentivo il cuore in gola e il mio respiro si fece più affannoso. Due, tre, quattro battiti. Dieci, venti, trenta battiti. Accelleravano sempre di più. Lui si girò all'improvviso e mi vide. Aveva un coltello in mano. Senza dire una parola arretrai velocemente verso la porta. Lui mi seguì con lo sguardo. Dai suoi occhi non trasparivano emozioni. Non sapevo che intenzioni aveva ma ero terrorizzata. Senza pensarci due volte corsi velocemente fuori di casa. Non sapevo dove sarei andata, ma in qualunque posto mi sarei certamente sentita più al sicuro che in quella casa. La mia casa. Buffo no? Di solito una persona dovrebbe sentirsi protetta. Beh, io mi sentivo incatenata. Come se provassi a urlare ma nessun suono uscisse dalla mia bocca. Come se mi mancasse il respiro.
Il vento era davvero forte, ma continuai a correre. Imboccai una stradina poco illuminata. In giro non c'era anima viva. Chi ci sarebbe dovuto essere alle tre di notte passate? Però avevo una strana sensazione, come se non fossi sola. Difatti non mi  sbagliavo. Più avanti vidi due figure muoversi. Avvicinandomi  potei distinguere   due   ragazzi . Uno era alto, molto magro. L'altro invece era più basso e piuttosto robusto. Avevano il volto coperto da una calzamaglia. Quando capii cosa avevano intenzione di fare vicino a quella casa era troppo tardi. Il ragazzo più   basso si accorse della mia presenza, fece cenno al suo amico, che si avvicinò a me. Mi prese un braccio e mentre mi trascinava mi sussurò: 'tranquilla, non ti farò del male. Solo.. non dire una parola'. La sua voce era profonda, rassicurante. Una persona sana di mente sarebbe morta di paura o peggio, avrebbe iniziato a strillare. Ma io ero stranamente calma. Quella voce.. Tentai di scorgere il suo volto sotto la nera calzamaglia, ma l'oscurità mi impediva di intravederne i lineamenti. L'altro ragazzo sembrava irritato. Mi girò attorno due volte, poi mi chiese se avevo visto qualcosa. 'No, non ho visto nulla, lo giuro' risposi. Si vedeva che era nervoso e che non aveva voglia di perdere tempo. L'altro ragazzo cercò di calmarlo. 'Dai, lasciamola stare, non ha visto nulla. E sono sicuro che non dirà una sola parola, vero?' Mi guardò con complicità. Non risposi subito. Ero incantata dai suoi occhi. Due bellissimi occhi scuri. Avevo letto da qualche parte che gli occhi erano lo specchi dell'anima. Beh, quel ragazzo allora doveva avere proprio un'anima meravigliosa. 'No io non.. io non ne farò parola con nessuno'. Dissi. 'Sarà meglio che sia così, altrimenti ti verrò a cercare. Pensaci tu, falla allontanare di qui,  abbiamo già perso troppo tempo.' rispose irritato. Io seguii il ragazzo e per tutto il tragitto non dissi una  parola. Ma capivo che era teso. Sentivo il suo respiro affannato. 'Perchè lo hai fatto?' ruppi il silenzio. Mi guardò con aria interrogativa. 'perchè mi hai difesa?'. Esitò un momento e poi rispose:' Torna a casa. Dimentica tutto. E' meglio così' Si voltò e tornò indietro a finire ciò che aveva iniziato. 

  
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