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Autore: viperas    07/11/2012    2 recensioni
Questo è il racconto di diversi periodi della vita che da sempre, un po' in tutti, si susseguono. Rappresenta un po' una crescita interiore, in certi punti diventa uno sfogo e in altri sembra trasformarsi in un thriller ( ma non lo fa ). Spero che qualcuno voglia leggerla nonostante questa misera presentazione ma non so proprio cosa scrivere.
Besos.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Quando il vento soffia, ascoltalo.

Anche i fiori piangono, e ci sono stupidi che pensano sia rugiada. Jim Morrison.

Una foglia cade, una libellula mi passa accanto muovendo le ali talmente velocemente che non riesco a vederle, ma so che ci sono, procede dritta per qualche secondo, poi cambia direzione senza preavviso, che pirata dell'aria.

Mi stringo nel cappotto felpato e tento di scaldarmi le mani con il fiato, le rificco in tasca, poi le ritiro fuori per aggiustarmi la sciarpa.

Le foglie scricchiolano sotto la suola degli stivali.

Mi sembra quasi di sentire gli steli appassiti dell'erba gemere per il freddo e il vento che soffia e mi scompiglia i capelli. Probabilmente ho il naso rosso; mi lacrimano gli occhi. Quando il vento soffia, ascoltalo, dice cose importanti.

Il dolore allo stomaco si fa così forte che mi viene da vomitare, nelle tasche inizio ad aprire e chiudere le dita delle mani, come se schiacciassi una di quelle palline antistress, poi mi porto una mano alla bocca quando il caffellatte minaccia di ripetere il percorso appena fatto, ma al contrario, sfidando quelle che pensavo incontrovertibili leggi di gravità. Anche i migliori sbagliano, io, poi...

I biscotti con le gocce di cioccolato decidono di fare comunella con il maledetto: perché ho fatto colazione?

Mi accuccio per terra stando in equilibrio sulle punte, mica sporco i pantaloni, e cerco di controllare gli spasmi dello stomaco. Dio che male. Vorrei almeno poter sputare per terra, ma ho la bocca talmente secca che sento la lingua strofinare contro il palato.

Il cuore batte a una velocità insolita, mi rialzo e riprendo a camminare ( è un fungo, quello? ).

Il cupo bramito di un cervo riecheggia tra gli alberi, chissà che alberi sono, poi? Di sicuro ci sono pini e abeti, forse quella è una betulla.

Cos'è quella cosa per terra? Mi chino, è bianca, ha una forma strana, non può essere un legno, poco più avanti uno simile. Perlustro con lo sguardo anche sotto le, ancora poche, foglie cadute e ne scorgo uno qualche passo più in là, faccio qualche passo e, in bella vista, come se dovessi vederlo, fosse stato messo lì apposta, un teschio.

E alla fine vomito, riesco per fino a sputare un po' di saliva e briciole. Sento un rumore, come uno scricchiolio ( ho letto troppi trihller? ), mi giro ma non vedo nulla oltre alberi, pigne, foglie, un fiore.

Ansiosa di togliermi dalla retina l'immagine delle ossa, sarebbe bello poter togliersi anche il sapore del vomito di bocca ma non si può mica avere tutto dalla vita, mi chino ad osservarlo meglio, c'è una gocciolina su uno dei petali, anche tutt'attorno al fiore, per terra, ci sono goccioline. Sarà rugida, però è buffo come assomiglino alle lacrime...

 

Il colpo in testa mi coglie impreparata, ma non mi stupisce, forse il mio inconscio l'aveva già capito. Scivolo a terra con un gemito ancora in bocca e una lacrima, solo una, scivola via da un occhio.

 

Buffo come somigli alla rugiada...

 

 

Non c'è notte tanto grande da non permettere al Sole di risorgere il giorno dopo. -Jim Morrison_

 

Nella notte, alzo lo sguardo, le stelle brillano ancora, la luna è sempre lì al suo posto.

Per me, però, è tutto finito. Non soffro neanche più, perché non c'è vita senza sofferenza: la mia non è vita.

E' solo un alternarsi di giorni insulsi, i miei occhi vedono ancora, il mio naso fiuta ancora, le mie orecchie sentono e le mie mani tastano: il mio cuore batte ancora.

Eppure, eppure c'è qualcosa che non quadra in me, un quieto mal di vivere che, ora dopo ora, mi consuma, finisce ogni mia resistenza e mi fa tornare indietro.

Questo silenzio è troppo rumoroso.

Non ce la faccio più, non sono più io, non credo di esserlo mai realmente stata. Ma in questo momento, in particolare, mi sento... vuota, priva di fini e obbiettivi e la vita, la vita non ha più senso.

Sono stanca, sono sfinita, eppure combatto ancora; e sempre combatterò.

Perché è mio dovere, perché, anche se sto male, anche se vorrei semplicemente lasciarmi andare, lasciarmi scorrere i giorni addosso, non posso. Devo lottare.

Lo devo a molte persone, me stessa in primis. Questa non è altro che un'altra faticosa scalata, un'altra salita.

Non so domani come andrà a finire, se lo slancio che riuscirò a darmi basterà per essere in sella.

Domani è una x, un' incognita. Una delle tante.

Ma non importa,andrò avanti, se cadrò mi rialzerò e, forse, la volta dopo sarà quella decisiva. Forse capirò finalmente il meccanismo; tutto sta nel puntare bene i piedi e darsi il giusto slancio, l'equilibrio si recupera, le ferite si curano, ma non posso assolutamente perdere. Ne va della mia vita.

Non morirò, non in senso letterale, però non posso farmi sconfiggere di nuovo. Sono più forte io, ce la posso fare.

Però sto male, sto tanto male. Voglio prendere le coperte e tirarmele su, fino ai capelli e dormire. Per sempre.

E, allo stesso modo, non voglio andare a dormire perché domani si avvicina sempre più velocemente. Incombe su di me. Sento un cappio stringersi sempre di più al mio collo, non respiro, mi manca il fiato, sto per morire e poi qualcuno allarga la stretta entra un po' d'aria e poi si stringe di nuovo. Non esiste tortura peggiore e, questo supplizio è la mia vita.

Eppure, non voglio morire, sarà perché ci attacchiamo sempre alle cose che ci fanno più male.

Sarà perché comunque vedo lo stesso un sottile filo di speranza, che, per quanto ogni giorno si faccia sempre più sottile, devo trovare la forza di afferrare e modificare.

Devo trasformarlo, da filo deve diventare ragnatela e poi rete e poi lenzuolo; mi ci avvolgerò stretta stretta, sarà il mio bozzolo.

Bozzolo da cui un giorno potrò uscire e volare via.

Nessuna notte, per quanto brutta, è eterna.

Dagli incubi ci si sveglia.

Vado a dormire. Notte notte.

 

 

Play.

La musica mi entra nelle orecchie con prepotenza, mi travolge come un temporale estivo e, come esso, porta sollievo all'arsura della mia anima. Brucia nelle orecchie, inonda le membra, scorre nel sangue... Inizio a dondolare la testa al ritmo della canzone.

Con il volume al massimo mi alzo e inizio a camminare. Il profumo della lavanda inebria i miei sensi; inizio a correre, il respiro inizialmente regolare si fa accelerato e pesante, la gola brucia e sento in bocca il sapore del sangue. Inciampo ma non cado, continuo a correre fino a che l'alba non lascia il posto al sole e in un tripudio di colori e profumi, rallento fino a camminare.

Con la musica che ancora mi martella nelle orecchie mi lascio cadere per terra, sento il torace alzarsi e abbassarsi sempre meno freneticamente fino a quando il respiro torna regolare; solo allora, quando una formica mi si arrampica sul braccio destro, decido di spegnere l'i-pod.

Per qualche secondo è il silenzio più totale, poi qualche suono inizia a penetrare la protezione delle cuffiette: un'ape che ronza, un uccello che cinguetta e, finalmente sento quel nodo allo stomaco, quell'ansia che si placa.

Nel viola della lavanda torno a respirare... Torno a vivere.

  
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