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Autore: Sage_    27/05/2007    11 recensioni
Prima dei campionati nazionali, Sendoh e Rukawa si incontrano per un'ultima sfida.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutti i personaggi appartengono al maestro Takehiko Inoue.
Il titolo è un omaggio alla splendida canzone "Blue", tratta dalla colonna sonora di Cowboy Bebop.
Colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che hanno letto e commentato la mia storia precedente "Maybe the next summer", grazie di cuore.
Non so se questa fanfiction possa essere considerata un seguito vero e proprio, ma di certo queste due storie hanno molto in comune.
Infine dedico questo racconto alla mia preziosa Lola, alla mia amica Nadeshiko e ad Alessandra, che l'ha tanto aspettata ed è stata carinissima con me.




Blue

di Sage

Parte 1: “Waiting for an angel”
POV: Sendoh
 


Tempo fa,
Quando ero ancora piccolo,
Incontrai un angelo.
Forse, se riuscissi ad arrivare in alto, lassù
Potrei raggiungerlo
Potrei provare che non è stato un sogno.

 
Quando alzo gli occhi non vedo che il mare.
Oggi l’acqua è così trasparente che laggiù, dove c’è la linea dell’orizzonte, non si distingue il confine tra mare e cielo.
Le grida roche dei gabbiani sono gli unici suoni che arrivano alle mie orecchie, a parte le onde che s’infrangono sugli scogli, frantumandosi in minuscole gocce.
Davanti a me il mare scintilla di una luce metallica.
Mi fa ricordare.
E i ricordi legati al mare non sono mai ricordi che si tingono di rimpianto o amarezza.
Sbadiglio a lungo.
È ora di tornare in palestra prima che l’allenatore Taoka mi uccida.
Cammino velocemente, un sorriso sereno stampato sul viso e l’attrezzatura da pesca nel borsone.
Apparentemente nemmeno la fatidica partita con lo Shohoku, (partita che ha decretato la nostra squalifica agli ormai imminenti campionati nazionali), è riuscita a scalfire il mio buonumore.
In parte è davvero così.
L’aver incontrato avversari validi mi ha stimolato a tirare fuori tutta la mia grinta e mi ha confermato ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno, quanto io adori il basket.
Lo scontro con Rukawa, poi, ha superato le mie più rosee aspettative (non vedo l’ora che arrivi la prossima sfida!).
Ma la sconfitta brucia.
Le lacrime di delusione dei miei compagni bruciano.
I borbottii dell’allenatore, che non ha avuto nemmeno il coraggio di sgridarci (per una volta), bruciano.
E a volte la cenere che rimane sul fondo è ancora più ustionante della fiamma che mi ardeva mentre giocavo.
Ma figurarsi se uno come me si demoralizza!
Coraggio, gente!
Un respiro profondo e un sorriso smagliante!
Alle eliminatorie invernali sarà la nostra squadra a passare il turno!
È una promessa.
Mi avvicino al Ryonan e noto un gruppo di ragazzine che mi fissano ridacchiando.
Sarà per la pettinatura (qualcuno vuole spiegarmi, per cortesia, cosa ha la mia pettinatura di tanto sconvolgente?) o perché ho i vestiti pieni di sabbia?
Come sempre lascio correre, anche perché quello che attira la mia attenzione è la figura silenziosa che si dirige verso di me (col passo di un sonnambulo).
Rukawa?!
Sono davvero sbalordito dal fatto che si trovi qui e in un angolo remoto della mia testa il mio cervello inizia a formulare l’improbabile ipotesi che sia venuto per me.
Forse non dovevo mangiare tutto quel sushi, a pensarci bene il pesce non era freschissimo…
Nemmeno il sukiyaki aveva un aspetto molto invitante…
-    Ehilà.- saluto con l’intenzione di aggirare l’ostacolo e raggiungere il prima possibile la palestra.
L’allenatore Taoka sarà furibondo.
Ma “l’ostacolo” mi si ferma davanti bloccandomi la strada.
I suoi occhi apparentemente inespressivi all’improvviso si fanno vividi, come illuminati da una luce interna.
Riconosco quella luce.
È la stessa che anima i miei occhi, quando mi trovo davanti qualcosa che mi ricorda il basket.
E noi siamo basket.
-    Ehilà. Facciamo una gara?
-    Eh?
Una gara? Rukawa deve essere impazzito.
Mio malgrado, il mio corpo accoglie con un brivido di familiare eccitazione la nuova sfida.
Temevo di dover aspettare a lungo prima di scontrarmi nuovamente con lui.
Taoka sparisce subito dalla mia mente.
E il ricordo della “bruciante sconfitta” è presto accantonato.
Mi accorgo di essere rimasto in silenzio un po’ troppo a lungo e Rukawa sta aspettando pazientemente una risposta, la testa abbandonata da un lato.
La smania di giocare si fa sempre più prepotente.
Forse sta per esplodere.
Gli sorrido entusiasta.
-    Andiamo al campetto dietro la scuola?
-    ……..
-    Eh?
-    ……zzzzzz…..
-    Rukawa?! Dormi?
-    ….zzzzz……si…..ronf ronf…
-    ?!
Apre un occhio e si raddrizza.
-    Al campo dietro la scuola. Andiamo.
-    Ok…
Certo che è proprio un tipo strano!
Prima mi sfida e poi s’addormenta….
 
Il campetto sembra invaso dalla tonalità blu del cielo.
Sembra quasi di essere immersi in una bottiglia di colore.
Rukawa si toglie la felpa, appoggia la borsa per terra e ne estrae una palla da basket che comincia a far rimbalzare sul selciato.
Niente di più per farmi capire che è il momento di cominciare.
Niente di più per farmi dimenticare che sono atteso con impazienza.
Rukawa scatta.
Le gambe esili, ma agilissime, raggiungono in pochi istanti il vecchio canestro e prendono slancio, una scossa che lo percorre tutto, dalla punta dei piedi alle dita sottili.
Il suo corpo si piega flessuoso, come elastico sul punto di rompersi, e tira la palla in una parabola perfetta.
Canestro.
C’era bisogno di dirlo?
Ora i suoi occhi si sono fatti incandescenti, eppure nessuna emozione traspare dai lineamenti del suo viso, dalle labbra socchiuse.
Non c’è nient’altro per te, vero?
Ti capisco.
Un tempo anch’io ero così.
Un tempo anch’io non avevo occhi che per quel canestro e stavo ore lì davanti, a provare nuovi tiri e schemi d’attacco.
Poi però…
La voce di Rukawa mi riporta alla realtà.
-    Ehi. E’ una sfida.
-    Mh?
-    Non hai fatto niente per fermarmi.
-    Ah, è vero! Ah ah ah!
-    Fermami.
Io non mi tiro certo indietro.
Chi mi conosce sa che non mi arrendo mai.
-    Ok. Tocca a me adesso.
-    …..
Faccio rimbalzare la palla due, tre, quattro volte.
Il movimento scioglie la tensione che si è accumulata dentro di me come se, attraverso la mia mano, al mio corpo arrivi energia.
Una miriade di lucciole scintillanti che penetrano sotto la mia pelle, facendola formicolare.
I miei occhi incontrano quelli di Rukawa, famelici come quelli di un innamorato.
Fame, si.
L’allenatore Taoka la chiama “fame di gioco” e, da quello che ne so, non esiste una cura.
È per questo che, adesso, per me non esiste nessun altro all’infuori di lui e probabilmente per lui è la stessa cosa.
Scatto in avanti e me lo trovo subito addosso, non mi lascia spazi aperti.
Come sempre la sua marcatura è eccezionale.
Mi butto a sinistra e poi a destra, ma il suo corpo rimane incollato al mio.
Ci muoviamo in perfetta sincronia, come se stessimo danzando - o facendo l’amore- mi ritrovo a pensare con imbarazzo.
Siamo vicinissimi, ma non ci sfioriamo.
Eppure la tensione è tanta.
La minima distrazione può pregiudicare l’esito della partita.
Mai come adesso i miei sensi sono stati invasi da una sensazione di dolorosa mancanza.
Il suo odore.
Odore intenso di mandorla, odore di sole.
Salto per schiacciare la palla nel canestro e lui salta con me.
Il mio torace si scontra col suo, le nostre gambe s’incontrano.
Il suo braccio si solleva per contrastarmi, per deviare la traiettoria della palla.
Tutto mi è familiare.
Tutto mi da nostalgia.
Un attimo troppo tardi.
Le nostre dita si sfiorano, s’intrecciano.
Un attimo.
I miei occhi incontrano i suoi.
Occhi verdi, lievemente screziati d’azzurro.
Mi fanno ricordare.
Una sorta di flash che raggiunge il mio cervello.

Avevo appena finito di allenarmi e stavo sdraiato per terra a riposare.
Gli occhi spalancati verso il cielo, nonostante la luce del sole.
Un insetto si posò sul mio braccio, ma lo lasciai fare.
Solo allora mi accorsi di non poter più volgere lo sguardo dallo scenario che avevo davanti.
Stranamente non provai alcuna angoscia.
Poter rimanere lì.
Sempre.
Ad aspettare.
Il resto non aveva più importanza.

E precipito.
O meglio, perdo l’equilibrio e trascino Rukawa con me.
Lui, il suo odore delicato, il corpo sottile e tutto il resto.
Cadiamo a terra e io sbatto malamente la spalla, mentre tengo una mano sotto la testa di Rukawa che sbatte la schiena.
L’altro mio braccio è scivolato attorno alla sua vita.
Per un po’ non ci muoviamo.
Un suo braccio, appoggiato sulla mia nuca, mi sfiora una guancia.
La pelle è morbida e fresca, lievemente imperlata di sudore.
Mi rammenta i fiori che avevamo nel giardino della casa al mare, quando mi crogiolavo al primo sole steso sull’erba soffice.
I petali teneri erano imperlati di rugiada che scintillava come purissimi diamanti appena mossi dal vento.
Mio padre mi sgridava dicendo che mi sarei preso un malanno, eppure li dovevo sfiorare, dovevo sapere che erano reali.
E mentre sono qui, abbracciato ad un ragazzo praticamente sconosciuto, avverto di nuovo quella sensazione sull’epidermide.
E ho voglia di rimanere così, steso a terra, con gli ultimi raggi di sole negli occhi.
Poi, finalmente, mi rendo conto della nostra posizione.
Lo sto realmente abbracciando!
AAHH! Questo mi ammazza!
Come seconda cosa realizzo che il pesce del sushi non era andato a male come credevo e nemmeno il sukiyaki è la causa della nausea incipiente.
Temo che sia Rukawa a farmi quest’effetto…
 

Tempo fa,
Quando ero ancora piccolo,
Incontrai un angelo.
Che cosa facevi quaggiù,
Lontano dal tuo mondo?
Forse aspettavi qualcuno?
Aspettavi…me.
 


  
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