Le note di Hall of Fame riecheggiano nella stanza, strappandomi dolcemente dal
sogno che stavo facendo. Allungo una mano per prendere il cellulare sul
comodino ma le mie dita afferrano il vuoto più volte. Strano. È come se ci
fosse qualcosa che mi impedisce la completa libertà di movimento. La sveglia
smette di suonare – ma ricomincerà tra cinque minuti esatti – e io mi prendo
qualche secondo per scollare le palpebre e scoprire cosa c’è che non va. Un
folletto è entrato nella stanza stanotte e ha spostato i comodini? Com’è possibile
che non – oh. Oh, oh.
Non... no.
Non ho dormito sul petto di
Christian.
Non ho una mano poggiata sul
suo addome.
Non ho il suo braccio attorno
alle spalle che mi limita i movimenti e una gamba tra le sue.
«MA PORCA PUTTANA.» Mi
alzo di scatto, ignorando deliberatamente il fatto che posso disturbarlo o
addirittura svegliarlo coi miei movimenti bruschi. Mi metto a sedere
nell’angolo più lontano del letto e lo vedo muoversi e strofinarsi gli occhi,
per poi puntare quell’azzurro disarmante nel verde dei miei.
«Mmm, sei sempre così
gentile appena sveglia?» Bofonchia con la voce leggermente arrochita.
«Mi hai abbracciato nel
sonno!» Strillo, ancora incredula. Lui si tira a sedere e si appoggia alla
testiera del letto, incrociando le mani davanti a sé.
«A onor del vero, sei
stata tu a rabbrividire e ad avvinghiarti come un panda al suo bambù
all’ennesima folata di vento. Folata, poi. Direi più una brezza fresca, ma tu
hai dormito praticamente nuda e hai sentito freddo.» Indica il mio pigiama di
satin con un cenno del capo. I nervi che non mi erano saltati prima mi saltano
adesso, rendendomi tesa come la corda di un arco.
Non si dice come una corda di violino?
Lo so che si dice come
una corda di violino, ma era per cambiare un po’. E comunque, non è questo il
punto.
«E tu hai pensato bene
di approfittarne, naturalmente. Non potevi semplicemente coprirmi col
lenzuolo!» Ribatto, stizzita. Lui come al solito non si scompone, nemmeno in un
capello. Nemmeno un guizzo del sopracciglio. Nemmeno in un fremito della
palpebra.
«Ti ho coperta, Elettra. Ho anche chiuso la finestra.» Indica col dito
le ante chiuse della finestra alle mie spalle che non oso nemmeno guardare.
Sento un leggero calore risalire verso le guance. «Ma sei tornata di nuovo. Lo
so che sono comodo come cuscino, non mi offendo se me lo dici.» Conclude,
dandomi la botta finale, e si alza. Passa per l’armadio, prende dei vestiti e
si chiude in bagno, lasciandomi sul letto come un’emerita idiota.
Va bene, forse l’ho un
po’ aggredito. Un po’ troppo. Anche se non posso sapere se le cose siano andate
effettivamente così. Non ho prove, a parte la finestra chiusa e il lenzuolo
tirato solo dalla mia parte del letto.
Cos’altro vuoi?! La registrazione di una telecamera
nascosta?
Dovrei chiedergli scusa?
No. No, in fin dei conti mi sono solo accertata della mia... incolumità. No?
Violet è disperata. Ha
preso un saggio di Sigmund Freud e sta leggendo avidamente.
«Al diavolo.» Scendo dal
letto e preparo i vestiti, raccattando le varie cose che ho sparso per la
stanza. Ho bisogno di un caffè. Passo davanti allo specchio e saluto il mio
riflesso coi capelli in disordine, gli occhi a palla e nessun segno del cuscino,
visto che ho usato Christian per dormire.
Dio, non ci posso
credere. Non è da me, io non faccio queste cose.
È anche vero che non dormi con un uomo dai secoli dei
secoli, amen.
Non c’entra niente.
Quando Christian esce
dal bagno, vestito di tutto punto, non posso fare a meno di lasciarmi andare in
un breve, leggerissimo sospiro.
Ha tirato indietro i
capelli in un codino, fatto la barba, e indossato un pantalone classico grigio
chiaro con una camicia azzurra. Io non ho un debole per gli uomini con le camicie
azzurre. Io svengo per gli uomini con
le camicie azzurre. Ma non sverrò per lui, no. Mi ha abbracciato mentre
dormivo!
Proprio per quello dovresti svenire, mica tanto per la
camicia.
Odio avere questa
seconda personalità che non sono ancora riuscita a reprimere.
«Buongiorno, Elettra.» Dice,
come a voler ricominciare daccapo. Certo, di tutte le persone presenti nella
stanza, lui era l’ultimo da cui mi sarei aspettata un saluto.
Come fai ridere, ah ah ah.
«Ehm, buongiorno.» Mi
schiarisco la voce, che mi tradisce nei momenti meno opportuni. Raccolgo i
vestiti che avevo sistemato sul letto e sparisco in bagno prima di venire
risucchiata dal mio stesso imbarazzo. Chiudo la porta a chiave e inspiro il
profumo del dopobarba di Christian che riempie ancora l’ambiente. Cos’è, Hugo
Boss? Mmm...
Mi faccio una doccia
veloce e indosso un abito corto e fresco, con scollo a barca e maniche a
pipistrello che arrivano poco sotto il gomito. È bianco con fantasie arancio,
rosa e color caramello. Mi ricorda l’estate. Metto una cintura in vita di cuoio
chiaro e gli stivali bassi abbinati. Un po’ di trucco che non guasta mai e sono
pronta.
Ho ancora bisogno di un
caffè.
Esco dal bagno e mi
viene un piccolo infarto. Dov’è Christian? Il mio sguardo corre subito
all’armadio. Lo apro e con grande sgomento scopro che è vuoto. Un’ondata di
sollievo percorre il mio corpo quando vedo che la tracolla è ancora sul comodino.
Quella è l’unica traccia che segnala la sua presenza nell’albergo. O, almeno,
segnalava.
Possibile che se ne sia
andato così? Non mi sembra il tipo che dimentica le cose in giro, e poi non
sarebbe stato così maleducato da andarsene senza salutare, giusto? È vero che
praticamente gli ho dato del maniaco, ma non l’ho davvero pensato. Non può
essersene andato. Mi rifiuto di crederlo.
Sono quasi tentata di
sbirciare nella tracolla per vedere se ha lasciato cellulare e portafogli
quando la porta della camera si apre, rivelando Christian – sempre impeccabile,
con l’aggiunta della giacca del completo grigio – con un vassoio ricolmo di ogni
genere di cosa dolce esistente sulla faccia della terra. Ai lati del vassoio, due
bicchieri di succo di frutta e due tazze di caffè.
Sono letteralmente senza
parole.
Christian mi passa
davanti col vassoio e un sorriso appena accennato, che coinvolge più gli occhi
che la bocca. Lo poggia sulla scrivania e scosta la sedia per invitarmi a
sedere.
Ora, lo so che qualsiasi
persona sana di mente, con un minimo di sale in zucca e una briciola di
coscienza, si proferirebbe in scuse. Non dico scuse in ginocchio, con la
lacrimuccia appesa e il labbro inferiore in fuori, ma almeno un semplice “Mi
dispiace per la scenata di prima”. Purtroppo io non sono così. Io sono
orgogliosa fino alla radice dei capelli, il più delle volte non mi interessa di
quello che gli altri pensano di me, e odio perdere. Qualsiasi cosa comporti una
minima percentuale di mortificazione... beh, io la detesto. Così evito direttamente,
e finisco anche per fare la figura della maleducata pazza isterica.
Violet si sta tagliando
le vene, e sta urlando al pubblico “Il bello è che lo sa pure!”
«Come hai fatto? Non mi
sembra fosse inclusa la colazione...» Balbetto, lasciandomi cadere estasiata
sulla sedia.
Lui si appoggia alla
scrivania, né seduto né in piedi, e prende un bignè. «Ho corrotto il maître.»
Lo guardo sorpresa e lui
scoppia a ridere. «No, non ce n’è stato bisogno. Sai, a volte le cose basta
chiederle con gentilezza.» Cento punti
per Christian Wayne, colpita e affondata.
Addento un cornetto al
cioccolato quasi con disperazione, e quando rischio di affogarmi lui mi porge
il bicchiere di succo d’arancia.
«Grazie.» Mormoro, dopo
aver bevuto. In quel grazie ci ho messo tutto, ma davvero tutto. Non so perché,
ma ho la sensazione che lui l’abbia capito.
Ci guardiamo per qualche
istante, poi lui allunga una mano e mi scompiglia i capelli. Lancio un gridolino,
spostandogli la mano e minacciando di sporcargli il vestito elegante con un
cannolo ripieno di cioccolato bianco.
«I. Capelli. No.» Gli
intimo, puntando il cannolo contro il suo naso come se fosse una Calibro 38.
Lui alza le mani in
segno di resa e con un gesto fulmineo addenta il cannolo, cogliendomi
totalmente di sorpresa. Guardo la mia “arma” ormai dimezzata e poi le rughe
d’espressione che gli compaiono intorno agli occhi quando ride. Come in un
deja-vu, una goccia di cioccolato gli rimane nei dintorni delle labbra, ma
stavolta d’istinto gliela tolgo con l’indice e la assaggio.
«Uh, buono.»
«Buono, vero?» Dice lui,
e sfila il resto del cannolo dalle mie dita per poi mangiarlo in un boccone.
«Sei un vero gentiluomo,
devo ammetterlo.» Alzo gli occhi al cielo e ne prendo un altro dal vassoio, facendo
attenzione a tenerlo ben lontano da lui. Prendo anche il caffè, inspirandone
l’aroma familiare.
«Formato famiglia?»
Chiedo, indicando la dimensione della tazza. È
una tazza da tè, più o meno.
«È per farti abituare ai
beveroni americani. Se sei abituata a un buon espresso in tazzina, beh,
scordatelo.» Spiega lui con un’alzata di spalle, e prende quella che sembra una
sfogliatella riccia napoletana. Sto sbavando solo a guardarla.
«Quindi invece di farmi
salutare decorosamente l’Italia con l’ultimo caffè degno di questo nome hai
pensato bene di anticipare la sofferenza. Ripeto, sei davvero un gentiluomo.»
Finirò per mettere su ottocento chili se allungo la mano e prendo un altro
dolce. Christian, per tutta risposta, spinge il vassoio verso di me con due
dita. Okay, al diavolo la dieta sana. Fammi assaggiare quello...
Dopo aver ripulito il
vassoio fino all’ultimo grammo di panna – devo assolutamente trovare una
palestra a Miami – facciamo un check-up della stanza per essere certi di non
dimenticare nulla in albergo e poi scendiamo nella hall, dove Christian fa
chiamare un taxi. Io intanto prendo il cellulare, digito il numero di mia
sorella e mi sposto in una zona meno rumorosa.
«Risponde la segreteria telefonica di Eva Wayne. Al momento sono
impegnata. Se è lunedì mattina, probabilmente sono ancora sbronza, per cui
lasciate un messaggio e vi richiamerò non appena la stanza smetterà di girare.
Ah-ha, scherzo. Arriva il bip, pronti? #BIP#»
«Hai cambiato di nuovo
il messaggio? Sai, non si addice molto a un’aspirante infermiera. Dopo averlo
ascoltato non mi verrebbe mai voglia di chiamarti per un’emergenza. Comunque,
sto andando in aeroporto. Il volo parte tra circa due ore, quindi credo che ci
sentiremo direttamente stasera. Che per me sarà ora di pranzo. Ti voglio bene.
A presto.»
Decido di avvisare anche
i miei genitori e poi torno da Christian, che sta recuperando i suoi bagagli
alla reception. Ecco dov’erano finiti, deve averli portati giù prima di prendere
la colazione.
«Signori Wayne, il taxi
è arrivato.» Detto così sembriamo sposati. «Mi dispiace ancora per
l’inconveniente della camera, spero che il soggiorno non sia stato troppo sgradevole.»
Guardo Christian di
sottecchi e cerco di interpretare il suo sorriso. Nessuno dice nulla.
«Io spero non accada
più.» Affermo alla fine, e trascino me e il mio stupido trolley fuori
dall’albergo. Il tassista ci dà una mano a caricare i bagagli in auto e
finalmente ci dirigiamo verso l’aeroporto, un passo più vicini a Miami.
Dopo la prima svolta a
destra imbocchiamo una delle strade principali di Roma, e scopriamo che è
bloccata da almeno un chilometro di traffico. Semafori di merda.
Radio a parte,
nell’abitacolo c’è un silenzio davvero fastidioso. Christian guarda fuori dal
finestrino e non sembra intenzionato a conversare.
Cosa ti aspetti, Elettra? Cosa ti aspetti da quest’uomo?
Niente, perfettamente
niente. Mi aspetto di salutarlo in aeroporto per poi non rivederlo più. È così
che deve andare. Voglio che vada
così. Sarà un bel ricordo, lui che mi piomba in camera e che mi “costringe” a
condividerla con lui. Un aneddoto divertente da raccontare ai miei futuri amici
di Miami.
Punto.
Chiuso.
Finito.
Anche perché
probabilmente lui avrà una bellissima fidanzata che lo aspetta, che per qualche
oscura ragione non lo ha accompagnato in Italia. Cosa che non mi interessa
comunque.
«Il nostro volo ha i
posti assegnati?» Mi domanda Christian all’improvviso, riportandomi bruscamente
alla realtà.
«Ehm, non saprei...
posso controllare sul biglietto. Perché?» Frugo nella borsa alla ricerca del
porta-documenti.
«Beh, se non fossero
assegnati potremmo sederci vicino. È molto meglio passare undici ore accanto a
una persona che bene o male conosci, piuttosto che andare alla cieca, non
credi?» In effetti, il ragionamento fila. Potrei capitare accanto a una
logorroica vecchietta che dopo dieci ore di storia della sua vita si
addormenterebbe sulla mia spalla per il tempo restante lasciando anche una
striscia di bava sul mio adorato vestito.
Dio, non sia mai! Già
undici ore di volo e basta sono
abbastanza traumatiche. Anche se non lo ammetterò mai.
Mentre valuto se
comprare o meno un pacchetto di noccioline per soffocare l’eventuale vecchietta
in stile Colin Farrell in Daredevil, le
mie mani finalmente pescano il porta-documenti dalla mia borsa senza fondo.
«No, sono assegnati.»
Dico, sperando che non si accorga della minuscola, irrilevante nota dispiaciuta
nella mia voce. Gli faccio vedere il biglietto, io sono al D24. Lui prende il
suo, G39.
«Lontanucci...»
«Peccato.» Sibila in un
sospiro, chiudendo l’argomento con un’alzata di spalle.
Una volta arrivati in
aeroporto, ci scopriamo a parlare nello stesso momento.
«Io vado...»
«Io dovrei...»
«Dai, prima tu.»
Ridacchia lui. Ora vorrebbe fare il
gentiluomo?
«Vorrei un caffè decente
prima di partire.» Indico il bar alle mie spalle.
«Io devo passare in
libreria.»
«È al piano di sopra...»
Mormoro, e lui annuisce.
Bene, quindi sembriamo essere
giunti al momento topico.
Siamo fermi, l’uno di
fronte all’altra, io vestita da turista fashion e lui vestito da uomo d’affari
pronto per una sfilata Armani collezione autunno/inverno.
«Se non dovessimo
rivederci... beh, è stato un piacere, Elettra.» Mi porge la mano, come a
volersi riscattare per non essersi presentato subito quando ha fatto la sua
comparsa nella mia stanza.
«Anche per me,
Christian.» Stringo la mano e trattengo il fiato quando lo vedo chinarsi e
posarmi un bacio sulla guancia. Poi, fortunatamente, si volta e si perde tra la
folla, scomparendo veloce com’è apparso nella mia vita.
***
Check-in, navetta,
pista.
Appena metto piede
sull’aereo, due hostess mi salutano cordiali e, dopo aver controllato il
biglietto, una di loro mi indica il mio posto. Mentre cammino nel corridoio,
non posso fare a meno di guardare tre file indietro, e quando scorgo la chioma
bionda tirata a lucido appartenente a Christian, il mio cuore perde un battito.
Maledizione.
Indugio qualche secondo nel
riporre il bagaglio a mano nel comparto sopra i posti a sedere, con la segreta
speranza che lui alzi lo sguardo e mi veda. Sembra intento a leggere qualcosa.
«Signorina, si siede?
Dovrei passare.» Mi volto e incrocio lo sguardo di un uomo sulla sessantina che
sta indicando il posto dietro al mio. Mi sposto per farlo passare, e dopo aver
lanciato un’ultima occhiata nella direzione di Christian, senza però essere
ricambiata, mi decido a sedermi. Se non altro ho il posto vicino al finestrino.
“Se non dovessimo
rivederci... è stato un piacere.” Che diavolo significa? È un controsenso bello
e buono. Se è stato un piacere, allora dovresti volermi rivedere, mettere le basi per farlo. O no? Almeno fai la
finta di lasciarmi il tuo biglietto da visita, se ne hai uno. Sto sbagliando?
Sicuramente no, ma è stato meglio così. Sì.
La gente continua a
salire: donne, uomini, bambini. Chi tranquillo, chi terrorizzato, chi una via
di mezzo, come me. Li osservo uno ad uno quando passano accanto alla mia fila,
mentre cercano il loro posto. Mi scopro a pensare “No, speriamo che non capiti
vicino a me”, oppure “Mh, questo potrebbe essere accettabile”, o ancora “No, se
si siede questo scendo dall’aereo”.
I passeggeri salgono ma
nessuno si ferma al D25. Quando una delle hostess chiude il portellone
dell’aereo, tiro un sospiro di sollievo. Da sola, ancora meglio. Che culo.
Sto pensando di prendere
il bagaglio a mano e piazzarlo sul sedile accanto al mio, quando l’altra
hostess richiama la nostra attenzione e inizia quell’orribile dimostrazione
sugli atterraggi di emergenza e l’avaria in volo. Già mette l’ansia, cavolo.
“Smettila!”, vorrei
urlarle, e magari tirarle qualcosa in testa in caso di recidività.
Basta, Elettra, calmati
e respira. Non succederà nulla. Ricordi Superman? Quel saggio uomo diceva
sempre che l’aereo è il mezzo più-
«È occupato questo
posto?»
«Come...? Cosa...?» Ce la puoi fare. Soggetto, predicato e
complemento, non è difficile.
«Ho chiesto a Gina se
potevo spostarmi qui. Nessuno sa dirmi di no.» Quando Christian si siede
accanto a me, senza neanche aspettare la mia risposta, e il suo profumo mi
invade le narici, mi sembra di essere tornata a casa. Maledizione.
«Chi è Gina?» Domando,
confusa.
«Signor Wayne, posso
fare qualcos’altro per lei?» Una hostess dai capelli rosso fuoco e una
minigonna giro-passera sbuca dal nulla e si sporge sinuosamente verso
Christian.
«No, grazie, sto bene
così.» Christian le sorride e lei va via sculettando, dopo avergli detto di
essere a sua disposizione per tutto. E qualcosa mi dice che non si riferiva
soltanto alla coca-cola.
«Quella è Gina.»
«L’avevo intuito.»
Commento, con un sopracciglio inverosimilmente alzato.
«Volevi qualcosa?» Che
la smettesse di sventolarti le tette in faccia.
«No, sto benissimo da
sola. Cioè, così, volevo dire.» Aaaah, smettila di parlare!
Incrocio le braccia al
petto e guardo fuori dal finestrino. Bene, ci stiamo muovendo.
#Il comandante vi invita ad allacciare le
cinture, ci stiamo preparando al decollo#
Aggancio nervosamente la
mia cintura e deglutisco a vuoto quarantacinque volte di seguito. La gamba
destra fa nervosamente su e giù, seguita dalla sinistra che vi è accavallata
sopra.
Calmati, calmati.
Inspira, espira.
Prima che uno stupido
che sembra perseguitarmi decidesse di interrompere il mio training autogeno,
stavo dicendo che Superman afferma che l’aereo resta sempre il mezzo più sicuro
per – AAAAAHHH STIAMO DECOLLANDO!
Stringo istintivamente
pugni e occhi per un tempo indefinito, pregando che questa orribile sensazione
che mi fa sentire come un razzo sparato in aria a tutta velocità finisca
presto.
«Puoi aprire gli occhi.»
Più che la sua voce, a riscuotermi è il calore della sua mano sulla mia, che a
contatto con la mia pelle fredda è una vera meraviglia. Riapro lentamente gli
occhi ed effettivamente constato che siamo tornati orizzontali. Tiro via la
mano.
«È stata una vera
fortuna che il posto accanto al tuo fosse libero, perché ero capitato accanto a
un transessuale che cercava di molestarmi. Le ho provate tutte: Ipod, libro,
cellulare... non la smetteva di guardarmi!» Ridacchia tra sé, scuotendo la
testa.
Io gli rivolgo un
sorriso tirato e una delle mie battute acide. «Beh, avresti sempre potuto
corrompere il pilota per farti viaggiare nella cabina con lui.» Mi sono
trattenuta giusto in tempo dal dire “Gina” al posto di “pilota”. È già un passo
avanti.
Christian ride, allegro
e spensierato come sempre. Io ho ancora tutta l’adrenalina che mi circola nel
sangue per il decollo. Non sono proprio in vena di conversazione, spero lo
capisca. O devo provare anch’io con l’Ipod e un libro? Intanto provo con l’appoggiare
il gomito sul bracciolo e la testa sulla mano. Torno a respirare regolarmente e
piano piano, sento che il mio corpo si rilassa.
Magari non sarà
traumatico come pensavo...
***
«Elettra, siamo
arrivati.»
«Mmh?» No, voglio
dormire ancora un po’. Il volo parte tra tre ore, ho ancora un po’ di tempo...
«Elettra, svegliati,
dobbiamo scendere.»
Apro lentamente un
occhio, poi l’altro, per capire chi ha osato disturbarmi mentre dormo. E
ucciderlo.
Quando i miei occhi
mettono a fuoco quello che mi circonda, vedo l’aereo davanti a me quasi vuoto e
le hostess che mi guardano, entrambe piegate stranamente verso sinistra.
Cosa? Piegate verso
sinistra?
Sbatto le palpebre e
prendo coscienza del mio corpo, accorgendomi che è la mia testa ad essere
piegata verso sinistra.
Esattamente sulla spalla
di Christian Wayne.
Non ci posso credere. Mi
sono DI NUOVO addormentata ADDOSSO a lui!
«Scusami, non volevo! Ti
ho stropicciato un po’ la giacca...» Ci passo una mano sopra come se fosse un
ferro da stiro e sento un calore familiare aggrapparsi alle guance. «Io... ho...
dormito per tutto il viaggio?» Strabuzzo gli occhi, pregando che dica no.
«Praticamente sì.»
Sorride lui, visibilmente insonnolito.
«A... ehm... addosso a
te?»
Lui scoppia a ridere.
«Sì. Ma ne ho approfittato un po’ anch’io. Mi sono appoggiato alla tua testa
per un paio d’ore.» Mi informa mentre si alza e recupera i nostri bagagli a
mano. Mi porge il mio e lo ringrazio, mentre percorriamo il corridoio dell’aereo.
Saluto le hostess, lievemente imbarazzata, e scendo i gradini della scaletta
d’acciaio, per poi mettere finalmente i piedi a terra sulla famigerata Miami.
~ Note
Yuppi-ye! Grazie al cielo sono arrivati sani e salvi a Maiemi. Elettra può iniziare la sua nuova
vita lasciandosi Christian Wayne alle spalle.
Sì, fidatevi.
Mi dispiace, dovevo aggiornare domenica ma non
ho potuto, lo so, lo so. Sono una persona orribile. ç_ç
Inutile dire che vi ringrazio infinitamente
per le recensioni e l’aggiunta a preferite, seguite, eccetera... e che vi
aspetto nel gruppo di folleggianti donzelle per aggiornamenti, spoiler o
semplicemente quel che volete.
Spoiler del capitolo cinque!
«[...]
Potremmo cercarlo sulle pagine gialle!».
Un abbraccio,
Sara.