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Autore: Sparrowhawk    09/11/2012    1 recensioni
«Sai bene cosa sto cercando di fare.»
«Per saperlo lo so, ma purtroppo non lo stai facendo come si deve ed io non ti capisco.»
Bisognava sempre spingerlo contro il muro, a quello, altrimenti col cavolo che diceva addio alla sua corazza di robot senza cuore cercando di venire incontro a quelle che erano le tue di esigenze.
Emise un altro piccolo sbuffo e poi, appoggiandosi allo stipite della porta, mise le mani in tasca prima di ricominciare a parlare. Iridi grigie incontrarono iridi marroni e allora, solo allora, percepii con distinzione il peso dei miei sentimenti verso di lui.
Pur non meritandoselo affatto, avrei continuato a perdonargli ogni torto, sempre, rimanendogli accanto come l’amica che mi vantavo di essere ma che, nella realtà dei fatti, risultava essere la peggiore delle mie mascherate. Questo non perché non fossi brava a mentire a me stessa e agli altri, fingendomi totalmente disinteressata nei suoi confronti, piuttosto perché vivere vicino a quel ragazzo come semplice amica mi metteva sempre nella condizione di doverlo vedere mentre se ne andava con un’altra.
Una persona che non ero io.
Una persona che non sarei mai stata io.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Dieci: Avrei voluto durasse di più...




Perfino dopo quel meraviglioso attimo non riuscii a considerarmi totalmente al sicuro.
Per quanto infatti le parole di Emanuele mi avessero resa felice, sapevo che quella mia condizione privilegiata non sarebbe durata mai abbastanza a lungo: solo la mattina seguente, uscita dal torpore del sonno, mi sarei dovuta rendere conto nuovamente che non c’era fine al peggio. Non importava quanto io o lui ci amassimo, non importava neanche quanto fossimo contenti quando stavamo assieme, l’unica cosa che ancora contava e che, ancora, entrambi ci ostinavamo a dimenticare – o ignorare, a seconda dei casi – era che Emanuele non era libero.
Non lo era, e neanche nella più rosea delle visioni una simile condizione non avrebbe tardato a piombarci addosso in tutta la sua grandezza.
Alessia, pur non essendoci veramente, rimaneva sempre fra noi. Vigile, a fissarci. Controllava ogni nostra mossa e rovinava ogni nostro attimo.
Anche quella gioia improvvisa, quindi, era destinata a sciuparsi nel giro di qualche ora, sormontata dalla consapevolezza di non avere più il tempo per giocare. Uno di noi doveva prendere una decisione, quella definitiva, e se davvero il mio amico, il mio compagno, non avesse avuto la forza di prendere la sua, allora purtroppo un simile fardello sarebbe toccato a me.
Dentro sentivo che non c’era scelta, quello era il bivio finale che si intrometteva nella nostra relazione. Come sempre le vie da prendere erano due e, sia che avessi imboccato una o l’altra strada, mi sarei ritrovata a soffrire ugualmente. Ormai ero arrivata a quel punto, sì. Non c’erano più soluzioni che mi avrebbero fatta sentire solo scottata e non del tutto distrutta.
Se accettavo la sua indecisione avrei vissuto una vita a metà, prigioniera di incontri clandestini e chiamate notturne, di sguardi pieni di passione ma tenuti nascosti.
Se invece davo retta a quel po’ di sale in zucca che mi rimaneva, avrei preso armi e bagagli e mi sarei diretta verso la mia gloria, alleggerita di un peso, ma con un grande vuoto nel cuore.
Lì, stretta fra le braccia d’Emanuele nel bel mezzo di un nuovo sogno, la bilancia era ancora in precario equilibrio. Potevo godere di quella piccola parentesi di calma ancora per qualche ora, crogiolandomi nella convinzione di aver appena fatto una grande conquista.
Una volta aperti gli occhi avrei avuto modo di capire che un passo avanti lo aveva di certo fatto, anche se non nella direzione che, solo la sera prima, avevo creduto di imboccare.
 

***

 
Quando mi svegliai, ancora mezza intontita dal sonno, aprii piano gli occhi e li sbattei un paio di volte, tirando fuori le mani da sotto le coperte per strofinarli appena appena prima di decidermi a guardarmi definitivamente attorno. Sapevo bene dove mi trovavo, non ero così stupida da dimenticarmi di un particolare simile, ma forse, ancora ripiena dell’euforia che le parole di Emmy mi avevano dato, cercavo mille conferme ad assicurarmi di non aver sognato.
Non con molta sorpresa, perciò, esplorai con lo sguardo gli angoli bui di quella stanza, riscoprendomi sempre più contenta man mano che i secondi passavano.
Sorrisi nell’intravedere il pianoforte di fronte al letto, segno inequivocabile che sì, stavo proprio nella sua camera.
Nonostante tutto però, la gioia più grande me la dette lo scontrarmi con il suo viso. Mi feci più vicina a lui, le mani unite sotto al capo per farmi da sostegno, il cuore a battere forte mentre lo osservavo dormire. Stavolta non era scappato, e anche se mi rendevo conto che quella era la sua casa, non potevo che vedere la cosa positivamente.
La nostra prima volta non avevo fatto in tempo ad addormentarmi che Emanuele se ne era già andato, lasciandomi sola con la consapevolezza di aver appena contribuito ad un adulterio, oltre che ad aver perso una parte alquanto importante di me stessa. Ora invece ce ne stavamo insieme, lui con un braccio attorno mio fianco, l’espressione tranquilla ed il respiro regolare.
Era tutto perfetto.
Mi presi ancora qualche minuto di contemplazione prima di alzarmi in piedi, adoperando tutte le doti feline che possedevo – un modo carino per dire che stavo cercando di fare piano -, e di correre alla ricerca dei miei indumenti. Non trovavo i pantaloni, ma siccome non potevano essere poi molto lontani in quel primo istante non me ne preoccupai molto. In fondo era troppo buio, là dentro, perché io li vedessi con chiarezza sul pavimento. Veloce mi misi la biancheria intima, lasciando andare una volta per tutte il lenzuolo, il quale solleticò un poco le mie caviglie cadendo a terra.
Stavo per afferrare la maglia quando…
«…per curiosità, dov’è che vorresti andare?»
Quasi mi venne un infarto a sentire la sua voce.
Girandomi di scatto, la maglietta stretta al petto, lo fissai ad occhi sgranati. Era un po’ come essere stata colta sul fatto, neanche fossi in procinto di rubargli qualcosa o di ucciderlo nel sonno.
Arrossii, grattandomi distrattamente una guancia.
«A…casa?» chiesi a mia volta, perplessa.
«Beh, sono felice di sapere che te ne saresti andata via senza neanche salutarmi!»
«Non lo avrei mai fatto! Mi stavo solo vestendo, stupido!»
Lui mosse la mano come a dirmi “Lasciamo perdere” e io, gonfiando le guance, tenni per me ogni risposta acida.
Solo allora, incrociando il suo sguardo, ebbi modo di notare la speciale luce che aveva negli occhi.
…non voleva che me ne andassi?
«Se vuoi…» cominciai, insicura sul da farsi «…posso restare ancora qualche ora.»
«…e faremo colazione insieme?»
Risi. «Volentieri.»
«Così mi piaci!»
Lo guardai mentre anche lui si dava da fare per vestirsi e, quando insieme aprimmo le imposte delle finestre, fui molto sorpresa nel non trovare ancora quei benedetti pantaloni. Ero sicura di averli portati con me in camera quando, la sera prima, Emanuele mi aveva caricata in spalla e trascinata là con non molta cura.
Lasciando che fosse lui a mettere a soqquadro la sua stanza, aprii la porta e volai per i corridoi, ripercorrendo la strada che separava quella parta della casa al soggiorno che stava al piano di sotto. Per tutto il tempo fissai il pavimento, sicura che sul soffitto non potessi di certo trovare i miei jeans.
Fu solo quando andai a sbattere contro a qualcosa che mi decisi a tornare a guardare davanti a me.
«Oh, buongiorno Angela.»
Il sangue mi si gelò nelle vene.
Avevo di fronte niente popò di meno che Massimo, il padre di Emanuele, e per quanto tutti conoscessero la sua grande bontà d’animo a nessuno sfuggiva che fosse anche un uomo piuttosto arguto.
Se ne stava là, in mezzo al corridoio, con in mano i miei pantaloni ed indosso il migliore dei sorrisi. A quel punto seppi per certo di non avere più scampo perché anche un bambino avrebbe intuito a che genere di gioco io e suo figlio stessimo giocando. Qualcosa di molto simile al “Dottore”, se vogliamo porla in termini che tutti possano facilmente comprendere.
«Buo…» deglutii «Buongiorno, Massimo.»
«Per fortuna sei tu, cominciavo a credere che la casa fosse posseduta. Sai, Emanuele non possiede un passo così leggero, anzi.»
Cercai di ridere, ma quella che venne fuori fu tutto fuorché una risata genuina.
«Come stai cara?»
«Io sto…sto bene. Grazie. E tu…? Tu come stai?»
«Meglio degli altri giorni, ma sono ancora tutto intasato. Una rabbia!»
Chiaramente non potevo fare a meno di fissare i miei jeans. Era così assurdo stare lì a parlare con lui del più e del meno quando, santo cielo, mi ritrovavo in mutande, coperta solo da una maglietta, e con le guance più rosse di un pomodoro! Avrei voluto solo scappare, o magari venire inghiottita dalle fauci della Terra.
«Credo che questi siano tuoi.» disse Massimo alla fine, indicando le braghe. Doveva essersi accorto della mia tensione – difficile non accorgersene. «Sono un po’ umidicci.»
Li afferrai, annuendo da sola.
«Stavamo…lavando i…piatti e mi sono bagnata…»
«Perché lavarli a mano, abbiamo la lavastoviglie!»
Tralasciando il fatto che questa notizia mi fece venire voglia di picchiare Emmy fino a che non gli avessi staccato la testa dal collo – lui sapeva quanto odiassi lavare i piatti – notai con ancora più disperazione che la calma ostentata dal mio interlocutore non era del tutto sincera. Massimo sorrideva sempre, questo era vero, ma quando era arrabbiato lo si intuiva subito e, purtroppo per me, questa era una di quelle volte. Non sapevo se il suo risentimento fosse tutto indirizzato nei miei confronti, però sapevo di essere uno dei motivi che lo rendeva nervoso.
Sospirai, pronta quasi a vuotare il sacco, quando anche il secondo abitante di quella casa fece la sua comparsa.
Mi arrivò alle spalle, baldanzoso e per nulla preoccupato dal fatto che suo padre fosse proprio lì con noi.
«Bene, li hai trovati.» disse solamente, ridendo «Ehi padre, come va oggi?»
«Come ho già detto alla tua amica» e calcò su questa parola «sono infelicemente intasato dal mocco. Indi per cui non me la sto spassando molto.»
«Vuoi fare colazione in nostra compagnia?»
Massimo mi guardò, inclinando un poco il capo. «No. Credo che vogliate passare del tempo da soli.»
“Ok, sa tutto” pensai io, stringendomi nelle spalle e lasciandomi sospingere verso la cucina da Emanuele “Sa tutto e come minimo mi odierà per il resto dei miei giorni”.
«Io mi dileguo. Torno a nannare.» sussurrò, accarezzandomi delicatamente.
Io mi voltai verso di lui, notando che nei suoi occhi non c’erano pregiudizi, solo molta comprensione. Forse, a conti fatti, la rabbia di poco prima non era da indirizzare a me.
 
«È stata la cosa più imbarazzante di tutta la mia vita!» esclamai una volta arrivata a sedermi a tavola. Sbattevo con violenza la fronte sulla superficie in legno, maledicendomi da sola fra un tonfo e l’altro. «Penserà che sono una poco di buono! …beh, in effetti lo sono. Io stessa penso di essere una poco di buono, figurati che cosa starà pensando tuo padre!»
Emmy rise, dandomi come sempre la sensazione di essere o totalmente insensibile o dannatamente incosciente. Invidiavo il modo in cui riusciva sempre a farsi scivolare le cose addosso, scansando i problemi che ci sciamavano attorno come api quasi non li trovasse preoccupanti. Io, dal mio canto, non riuscivo a tanto.
«Lo sai, vero, che non c’è niente di divertente in tutto questo?»
«Al solito ti sbagli. La tua faccia vale qualsiasi gag.»
«Oh, sì, facciamo dell’ironia in un momento critico, tanto c’è Angela che si preoccupa per tutto.»
«Non avrei saputo dirlo meglio, sorella…»
Mi accasciai sul tavolo, sfinita sia fisicamente che psicologicamente. «Emanuele…»
«Senti, so anche io che probabilmente mio padre mi farà una ramanzina coi fiocchi non appena te ne andrai, credo che sia normale dopo ciò che ha visto e dedotto.» rispose lui, portando in tavola il tè caldo «…quello che dico è che trovo snervante il tuo obbligo morale a darti pena per ogni cosa. Non è con te che se la prenderà! Lo farà con me!»
Corrugando la fronte alzai di poco la testa, fissandolo.
«…questo dovrebbe farmi sentire meglio?»
Lui annuì solamente, portando in un istante una mano sulla tasca posteriore dei pantaloni. Estrasse il suo cellulare e, guardando per un attimo il display illuminato, sospirò pesantemente prima interrompere la chiamata e posare il telefono poco distante dalla sua tazza.
«Allora, cosa vuoi da mangiare per…»
«Dovresti risponderle.»
«…Dio, Angela…» si portò una mano alla fronte, scompigliandosi i capelli «Almeno per qualche ora possiamo continuare a fare finta di niente, non pensi? Solo un pochino.»
Il cellulare riprese a vibrare ed io, ricordando come lo avevo udito il giorno prima mentre ero sul divano, stretta al proprietario in un illecito abbraccio, pensai addirittura che fosse in procinto di scoppiare: mi chiesi quante chiamate aveva reclinato, Emanuele, sino ad allora; quante volte quel povero arnese avesse suonato a vuoto per tutta la notte.
Lo presi in mano, allungandolo verso di lui.
«Rispondi.»
Non oppose ulteriore resistenza e io, vedendolo fuggire dentro la cucina, tesi bene l’orecchio per captare anche la minima frase sussurrata. Riuscii a recepire solo piccoli sprazzi, ma tanto mi bastarono per sentirmi sempre meno a mio agio. Scattai così in piedi, seguendo il suo esempio e scappando lontano da lui, per rifugiarmi in un posto dove né la sua voce, né il significato dietro alle sue parole potesse raggiungermi. Aperta la porta del poggiolo uscii all’aria fresca, appoggiando pesantemente la parte anteriore del corpo alla balconata.
Presi dei respiri profondi, osservando il cielo con occhi tristi. Era tutto ricoperto di nuvole grigie, non potevo scorgere neanche una minima parte dell’azzurro che stava sotto. In un secondo trovai irresistibile la possibilità che il tempo fosse in simbiosi con il mio umore.
La nottata appena trascorsa non era stata serenissima, proprio come io era stata felice?
E ora che improvvisamente ero triste, guarda il caso pareva avvicinarsi una bufera.
Da dentro mi arrivarono rumori confusi, di passi e chiacchiere. Emanuele mi stava cercando, ma fino a che non avesse smesso di parlare con lei io non mi sarei fatta vedere. Preferivo rimanere nascosta, a fare finta di non esistere pur di non dover affrontare ancora l’inoppugnabile verità. Stavolta il mio cuore non avrebbe retto. Stavolta sarei morta, schiacciata dal peso dei miei doveri.
In quell’occasione avrei tanto voluto possedere un potere speciale, come ad esempio il teletrasporto: se avessi avuto una simile capacità mi sarei potuta divertire a viaggiare in qualsiasi parte della Terra solo pensandola ardentemente, pronta a rinnegare tutto quello che, in questa vita e in quella città, mi dava pensiero. Sarebbe stato bellissimo, ma soprattutto facile. E poi, dopo che già mi ero macchiata della colpa di essere l’amante di un amico, cos’altro poteva farmi il guadagnare la reputazione di essere una vigliacca?
Sentii la porta scorrevole scivolare alle mie spalle, segno che ero stata trovata.
«…è pronto.»
Non dissi niente per un po’, e cercando almeno di sorridere non mi girai neanche verso di lui. Rimasi a scrutare l’orizzonte, persa.
«Non… Non ho più molta fame.»
Ed era vero. La bocca dello stomaco si era chiusa e l’intestino, con una velocità inaudita, si era accartocciato su se stesso. Era assolutamente impossibile che io, in quelle condizioni, potessi anche solo anelare ad un pasto completo senza il rischio di rivederlo comparire un minuto dopo vomitandolo.
«Andiamo…» sbuffò lui «Fette biscottate con marmellata e tè. So che ti piace questo menù. Non lo senti il profumino delle leccornie che ti ho preparato?»
«Lo sento, sì.»
«E allora vieni. Guarda che se salti la colazione, poi ti viene il diabete.»
Alzai malamente le spalle, a sentirlo. Sinceramente, considerando i miei già abbastanza gravi problemi di salute, il diabete poteva essere solo la minore delle mie preoccupazioni. Il mio cuore mi avrebbe uccisa prima di quanto non lo avrebbe potuto fare quella ennesima malattia.
Ciò che mi dava più ansie al momento, poi, era tutta un’altra questione.
«Forse dovrei andare davvero, adesso.» biascicai, facendomi triste «Sono rimasta abbastanza.»
«Avevi promesso che avremmo fatto colazione insieme e la faremo. Ho litigato con Alessia, le ho detto che non volevo vederla e questo perché… Perché voglio stare con te.»
Respirando a pieni polmoni tentai di farmi forza, frugando nella mente alla ricerca delle parole giuste che mi avrebbero fatto spiegare una volta per tutte cosa continuava a bloccarmi, facendomi tornare sempre sui miei passi.
«Io sono…felice se preferisci stare con me, piuttosto che con lei. Sono felice.» Sospirai. «Però questo non vuol dire che non mi senta in colpa per come tratti la…la tua ragazza. Perché Alessia è la tua ragazza. E sta soffrendo a non averti con sé, incapace di capire cosa ti abbia portato ad allontanarti da lei.»
«Le… Le chiederò scusa, non preoccuparti. Questa non è la prima volta che la pianto in asso, comunque. Dubito che stia così male.»
Sentii le lacrime appropinquarsi, ma le scacciai con ferocia dagli occhi usando le maniche del maglione che mi ero messa prima di uscire in terrazza. Non volevo piangere, non ora che finalmente stavo riuscendo a parlare, a dire le cose come stavano, senza interpretare la parte della dura o di chissà quale altro personaggio: dovevo solo essere sincera, tendergli ancora una volta la mano e aiutarlo a capire ciò che da solo non riusciva a comprendere.
«Quello che facciamo…non è giusto.»
Un concetto banale per entrambi, poiché già ampiamente appurato, ma eccellente base per il mio discorso.
Decisi di girarmi per fronteggiarlo, gli occhi lucidi.
«Io ti amo… Ti amo davvero, Emanuele.» sussurrai «…questo però non mi da il permesso di ferire un’altra persona così profondamente. Di disonorarla. Di gettarla nel fango da sola, senza appoggio.»
«…cosa vorresti dire?»
Il suo sguardo sperduto, tipico del bambino che in fondo era, mi colse per un attimo del tutto impreparata. Abbassai gli occhi, mordendomi un labbro.
«Lo sapevamo da molto che stavamo sbagliando, ma lo stesso avevamo deciso di andare avanti, se non sbaglio. Insieme. Lo abbiamo detto tutti e due che non…volevamo rinunciare l’uno all’altra, no? Anche se era sbagliato.»
Poi, come rinvigorito da un nuovo fuoco, si fece avanti di un passo, stringendo i pugni lungo il corpo.
«Alessia neanche lo sa! Non può stare male per una cosa che non conosce.»
«…e se lo scoprisse?» chiesi, con un filo di voce «Se sapesse di te e di me come pensi che reagirebbe? Vuoi davvero vederla soffrire a quel modo? Io… Io mi ucciderei al posto suo.»
Cominciò a vacillare a questo pensiero. Non voleva che Alessia stesse male a causa sua, questo era evidente. Sotto al peso delle mie parole si faceva via via più spaventato, un po’ per la verità di ciò che dicevo, un po’ per il timore che lo stessi abbandonando definitivamente.
«…quindi che cosa proponi di fare? Non capisco. Vuoi…smettere? Smettere di vederci e di stare insieme?»
«Vorrei continuare a vederti…però forse dovremmo smettere di…»
Di cosa?
Di fare l’amore? Di baciarci? Di abbracciarci?
Ma cosa stavo dicendo…sapevo perfettamente che continuando a stare vicini prima o poi saremmo ricaduti di nuovo negli stessi stupidi errori. Dovevo smetterla di cercare la via più facile.
«…sì, dobbiamo cominciare a non vederci più.»
Arrivato a questo punto, qualcosa sembrò rompersi all’interno di Emanuele. Mi fissava come se mi stesse guardando per la prima volta, e con quel pensiero a dominare la mia mente, ebbi modo di notare anche il suo totale sbigottimento. Non poteva credere che lo avessi detto per davvero, non riusciva a capire come, una persona che solo fino a poco prima si era detta innamorata persa di lui, ora se ne stesse lì a formulare simili discorsi senza mostrarsi neanche un poco scossa. Capii all’istante che stava cominciando a credere che lo avessi solo manipolato, che lo avessi preso in giro per divertirmi durante le vacanze. Forse avrei dovuto risentirmi di questo, ma non lo feci. Potevo capire la sua confusione, visto che non stavo facendo altro che il “tira e molla” con lui.
«Non ero…indispensabile, per te?» domandò ad un certo punto, abbassando gli occhi a terra «Io credevo che entrambi provassimo le stesse cose.»
«Tu per me sei indispensabile. Lo sei.»
«E allora come mai stai dicendo che…non vuoi più vedermi…?»
Esitai qui, osservandolo mentre lui, teneva lo sguardo, vuoto di ogni emozione, puntato sulle mattonelle della terrazza. Era come se non fosse neanche attento a quello che gli succedeva attorno, parlava, sbatteva le palpebre e respirava, però non era lì. Non veramente. Per una volta ero io ad averlo piegato, e non il contrario…ma, guarda il caso, non riuscivo ad andare fiera di questo nuovo primato.
«Sei l’unica che mi capisce…» continuò «…la sola che sa cosa provo. Io non posso perderti. Piuttosto smettiamola di essere amanti e…»
Anche lui sapeva che non era possibile. Lo sapeva. Si era bloccato per quel motivo.
«…non voglio lasciarti andare.»
«Emanuele»
«Tu vuoi lasciarmi?»
«Senti io…»
«Dimmi se…se vuoi lasciarmi per davvero. Dimmelo, avanti.»
Scossi il capo. «È evidente che non vorrei, ma-»
«No! Non ci sono ma, non ci sono scuse!» si avvicinò di scatto e mi prese per le spalle, puntandomi quelle iridi fredde come il ghiaccio addosso, quasi fossero due fari atti a scavarmi l’anima «Perché trattenersi? Che senso ha farlo, se vuoi stare con me?! Basta tentare di andartene, basta fingere di essere forte, di non volermi più… Io lo so che mi ami. Lo so! Nessuno ci sente e ci vede, qui, perciò non serve recitare. Ora come ora possiamo amarci, possiamo fare quello che vogliamo!»
Tutte quelle parole, dette da qualcuno che mai avevo visto scomporsi in ben cinque anni di conoscenza, mi colpirono come dardi infuocati. Anche stavolta non seppi come reagire, e il massimo che fui in grado di fare fu ricambiare il suo sguardo: ci eravamo invertiti le parti, ora era lui a condurre il gioco ed io, di fronte a quel ragazzo totalmente stravolto eppure ancora desideroso di combattere per noi, riuscivo solo a tenere la bocca aperta. Avrei voluto piangere, come facevo sempre quando le cose diventavano insostenibile – il che accadeva spesso, di recente, ve lo concedo – ma le lacrime non scesero all’istante. Solo quando ricominciai a far funzionare le corde vocali sentii gli occhi pizzicare.
«…io desidero solo che tu sia felice.» sussurrai, disperata.
«Allora non vuoi capire. Una vita tranquilla e felice io…la posso avere solo con te. Pensi che smettendo di frequentarci tutto tornerà come una volta? È assolutamente impossibile che accada.»
Una vita tranquilla.
Emanuele, il mio Emanuele, quello egoista e per nulla portato a vedersi in futuro al fianco di una sola partner per tutta la vita, aveva esplicitamente detto che poteva avere una vita tranquilla e felice solo con me.
Con me.
Non sapeva che la mia, di vita, non sarebbe mai durata abbastanza a lungo.
Non sapeva che gli avevo mentito per anni, tenendogli nascosta una malattia che mi stava divorando da dentro giorno dopo giorno.
Non sapeva che il nostro rapporto, se anche fosse rimasto allo stadio “amicizia”, non sarebbe mai potuto maturare veramente.
Non sapeva, non sapeva, non sapeva!
«M-Mi dispiace...» dissi, lasciando che le lacrime mi solcassero il viso «Mi dispiace, ma con me non potrai mai avere niente del genere. Niente di niente. Io non… Io non sono quella giusta per te.»
Se avessi potuto mi sarei fermata, impedendo a quella crudele verità di venire fuori. Il solo pensiero di starlo definitivamente scacciando, di stargli dicendo che non potevamo stare più assieme, mi uccideva.
«Io non lo sono, però lei lo è…» dissi infine «Alessia…è forte. È giudiziosa. Alessia è bella ed intelligente. Alessia è ammirata da tutti, sa stare con gli altri e ti tiene sempre testa. Lei sa cosa vuole, ti saprebbe dare il massimo ogni giorno e…e ti ama. Ti ama tanto quanto ti amo io.»
Si staccò da me come se un serpente lo avesse appena morso, le mani ancora tese a mezz’aria. Indietreggiando finì contro il vetro della porta finestre e, scuotendo piano il capo, pareva ancora intenzionato a remarmi contro. Però, io, da brava conoscitrice dell’animo umano, davo già per scontata la mia vittoria.
C’ero quasi. Lo avevo praticamente convinto.
«Questa è stata una parentesi.»
Mi fulminò a sentirmi.
«Una parentesi? Sono solo questo…?»
«Non dico che quello che proviamo non sia vero.» mi affrettai a dire «Il mio affetto è sincero e…lo è sempre stato. Tuttavia temo che ci siamo sbagliati. Abbiamo scambiato ciò che ci lega per una cosa vera e invece…non lo era. Siamo in tempo per rimediare, però. Tu tornerai da Alessia e sarete felici, vedrai. Felici come non potresti mai essere con una come me.»
«…A-Angela…»
Posai una mano sulla sua bocca e gli impedii di parlare. Se lo avesse fatto non avrei avuto più la forza di continuare, e questo non doveva succedere. Avevo i minuti contati, sia perché la voce cominciava a venirmi meno, sia perché sentivo che il mio cuore non avrebbe sopportato altra pressione. Dovevo sbrigarmi.
«Finiamola qui e basta, Emmy.» sentenziai «Abbiamo diciotto anni, siamo grandi ormai e dobbiamo smetterla di fare i capricci, ostinandoci a volere cose che non possiamo ottenere.»
Lui prese la mia mano fra le sue e, dopo aver fatto una piccola pausa, mi accarezzò una guancia.
Lo sentii sospirare.
«…ma noi due…noi due ci amiamo, Angela.»
Piangendo mi staccai, desolata.
Ci amavamo, sì. Ci amavamo tanto e proprio ora che scoprivo quanto quel sentimento non fosse più a senso unico dovevo dirgli addio.
«L’amore alle volte non è sufficiente.»
 
Arrivata a casa mi accasciai subito a terra, appoggiando la schiena alla porta d’entrata e portandomi le ginocchia al petto, strette dalle braccia. Ero distrutta in così tanti modi diversi che, per un breve lasso di tempo, fui certa che le mie funzioni vitali smisero di funzionare. Ci fu come un black out, il ricordo d’aver pensato o anche solo respirato venne tolto dalla mia memoria e anche dopo non seppi mai con certezza quello che avevo fatto. In quei pochi minuti forse avevo continuato a piangere e  magari avevo anche chiesto a gran voce “pietà” ad un Dio troppo occupato a torturarmi.
L’unica cosa che rammento, è il suono del cellulare.
Mi svegliò come da una trance e, tiratolo fuori dalla tasca del mio giubbotto, me lo portai lentamente all’orecchio.
«Ehi sorellina!»Simon, all’altro capo, sembrava contento. «Ho delle bellissime notizie. Miracolosamente avrò del tempo per tornare da te, in questi giorni. Potremo stare insieme ancora per un po’.»
Sforzandomi di sorridere scacciai le lacrime dagli occhi, annuendo da sola. «W-Wow!»
«Accidenti, quanto entusiasmo.»
«Ah, scusami…è che oggi non… Oggi non è proprio una bella giornata per me.»
«Come mai?»
Gli avevo mentito per tutto il tempo che aveva passato a casa, ma ora non riuscivo più a farlo. Sentendomi sopraffatta dalla miriade di problemi che stavano contornando il mio mondo, mi sentii quasi in obbligo di vuotare il sacco con l’unico parente che mi era rimasto. Simon era la sola persona che mi conosceva bene, che sapeva tutto di me, anche la più piccola cosa, e quando fra i singhiozzi gli rivelai che genere di oscuro segreto gli avevo tenuto nascosto capii anche che ero stata una grande sciocca nel non dire niente.
Lui accolse la verità senza interrompermi, attendendo che fossi capace di fornirgli i retroscena di una storia tanto complicata. Voleva avere il quadro completo, Simon era fatto così. Era un po’ come un giudice e, in fondo, non era di certo una casualità che stesse studiando per diventare avvocato.
Un giorno non lontano, avrebbe fatto da mediatore per situazioni ben più difficili.
Nell’attimo stesso in cui fu pronto a parlare, toccò a me trattenere il respiro.
«Con un cuore del genere, proprio di uno già fidanzato dall’alba dei tempi dovevi innamorarti?»
Lo avevo previsto. Non c’era smielata compassione nel suo tono di voce, solo sincerità ai limiti della delicatezza. Si stava trattenendo per non arrabbiarsi con me, e, almeno questo, lo apprezzai.
«A cuor non…si comanda, no?»
«Ho sempre saputo che eri cotta di lui, però non mi sarei mai aspettato un simile susseguirsi di eventi.»
Nemmeno io me lo sarei mai aspettato.
«Secondo me hai fatto bene a lasciar perdere. Chiaramente non sei fatta per un triangolo, e non lo dico solo perché sei malata, lo dico anche perché tu non sei adatta a qualcosa del genere. Hai bisogno di un amore incondizionato, di qualcuno che veda solo te, sempre e comunque. Tu…tu sei come la mamma.»
Sospirando fissai il muro, riconoscendo che aveva ragione anche su questo punto. Ero simile a lei in tutto, soprattutto nel carattere: entrambe testarde, passionali, pronte a dimostrare al mondo di essere le più forti di tutti, ma consce di stare solo recitando una parte ben congeniata. Fragili, ecco cosa eravamo, fragili più degli altri.
«Sono stata una stupida.»
«Amare significa anche questo, purtroppo.»
«…»
«Cosa…?»
Mi morsi un labbro e, stringendo una mano al petto, proprio sopra al cuore, ricominciai a piangere. Ero quasi certa che non avrei più smesso di farlo, se avessi speso altro tempo a versare lacrime. O forse, proprio come Alice, casa mia si sarebbe tramutata in un oceano salato e dal sapore che aveva la disperazione.
E io ci sarei annegata dentro, perché a sua differenza non avrei trovato scampo.
«Io lo amo così tanto, fratellone…» mormorai «Così tanto che…c-che fa male!»
Simon mi consolò, stando alla cornetta per più di qualche minuto. Aveva chiamato solo per darmi una buona notizia, e si era ritrovato a dover fare i conti con un’adolescente in piena crisi.
Essere il fratello maggiore comportava anche questi obblighi, e in una famiglia costituita da due sole persone era inutile mettersi a dare un simile compito ad un altro.
Non lo avrei mai ringraziato abbastanza, poi, per essere accorso non più del giorno dopo, aprendo le sue braccia ed accogliendomi al petto per abbracciarmi stretta stretta. Lì, pronta a dire addio a delle vacanze allegre, seppi di avere ancora una piccola fortuna nella vita.
Almeno avevo lui.



La voce dell'Autrice: ...penso che, arrivati a questo punto, voi tutti stiate cominciando ad odiarmi. XD
Lo dico con tranquillità perché io stessa, scrivendo questo capitolo, mi sono resa conto della totale demenza di Angela. Vorrei tanto poterle dare man forte, ma siccome non fa altro che fare sempre gli stessi errori me ne vedo incapace. Sono sprovvista di "simpatia" per lei, al momento. E se lo sono io nei suoi confronti, sua creatrice, non oso immaginare quali siano i sentimenti che animano i vostri cuoricini. ù.ù
Anyway... Credo che voi tutti abbiate capite che siamo vicinissimi alla fine, no? Vorrei potervi assicurare che sarà una fine col botto, però non sono sicura di poterlo promettere. Non si sa mai che qualcuno decide di comportarsi da adulto, in questa storia...
  
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