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Autore: Sparrowhawk    24/11/2012    1 recensioni
«Sai bene cosa sto cercando di fare.»
«Per saperlo lo so, ma purtroppo non lo stai facendo come si deve ed io non ti capisco.»
Bisognava sempre spingerlo contro il muro, a quello, altrimenti col cavolo che diceva addio alla sua corazza di robot senza cuore cercando di venire incontro a quelle che erano le tue di esigenze.
Emise un altro piccolo sbuffo e poi, appoggiandosi allo stipite della porta, mise le mani in tasca prima di ricominciare a parlare. Iridi grigie incontrarono iridi marroni e allora, solo allora, percepii con distinzione il peso dei miei sentimenti verso di lui.
Pur non meritandoselo affatto, avrei continuato a perdonargli ogni torto, sempre, rimanendogli accanto come l’amica che mi vantavo di essere ma che, nella realtà dei fatti, risultava essere la peggiore delle mie mascherate. Questo non perché non fossi brava a mentire a me stessa e agli altri, fingendomi totalmente disinteressata nei suoi confronti, piuttosto perché vivere vicino a quel ragazzo come semplice amica mi metteva sempre nella condizione di doverlo vedere mentre se ne andava con un’altra.
Una persona che non ero io.
Una persona che non sarei mai stata io.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Undici: La musica è il nutrimento dell’anima



La presenza di Simon fu per me di grande aiuto. Non solo potevo in qualche modo dimenticare il pessimo periodo che mi aveva condotta a piangermi addosso più del dovuto, ma con lui ero anche capace di tornare a sorridere nonostante fossero molte le cose che, al contrario, avrebbero dovuto impedirmi di farlo.
Il resto delle vacanze natalizie, quindi, trascorsero così, in un susseguirsi di giornate all’insegna della tranquillità e della normalità: niente intrighi, bugie o avvenimenti importanti da dover tenere nascosti. C’eravamo solo io e mio fratello, come era sempre stato. La nostra piccola famiglia ancora una volta dimostrava di essere l’unica cosa cui non potevo rinunciare nei momenti no della vita. Fin tanto che Simon mi fosse rimasto accanto, portandosi sulle spalle la saggezza delle persone che prima lui ci avevano aiutati a crescere, sentivo di non dovermi preoccupare più di tanto per ciò che avevo fatto in quei mesi.
Avevo sbagliato, questo era vero, tuttavia ero ancora ben lungi dal non avere più occasioni per rimediare. Intanto avevo già fatto una buona cosa ponendo nuove distanze fra me ed Emanuele, e pur capendo di stare soffrendo molto per quella forzata lontananza sapevo di non aver avuto altra scelta da poter prendere.
Ironia della sorte erano state proprio le parole di quel ragazzo, così piene d’amore e sincerità, a farmi capire quanto stessi rischiando stando con lui.
Gli avevo mentito, o forse, nel mio caso, avevo omesso un paio di informazioni che probabilmente avrebbero reso il suo giudizio molto diverso circa la possibilità di tradire o meno la sua ragazza: da quando avevo parlato con Sebastiano della mia malattia e della mia decisione di andare in America una volta finita la scuola, dentro di me era nato il dubbio di essere stata io l’egoista della situazione, non Emanuele. Se lui avesse saputo tutto, di me, dubitavo che si sarebbe spinto a tanto, bruciandosi più di quello che entrambi avremmo creduto fosse possibile. Se avesse saputo si sarebbe ritirato prima, ancora ai tempi del concerto, trovando fosse giusto coltivare una relazione che un futuro a lungo termine poteva averlo.
Quelle settimane le spesi dunque a rimuginare su questo, chiedendomi se, una volta tornata fra i banchi di scuola, fosse stato il caso di aggiungere anche quei due importanti punti alla lista dei motivi che mi impedivano di continuare la nostra storia.
Lui non mi chiamò neanche una volta, non spese il suo tempo nemmeno per inviarmi un messaggio magari domandandomi come stessi, e io, capendo il suo stato d’animo, ne fui quasi sollevata: se avessi avuto modo di parlargli, temevo di non avere niente di sensato da dire nonostante nella realtà dei fatti ci fossero validi argomenti da dover affrontare.
Preferivo prendermi tutto il tempo necessario, attendendo l’inevitabile.
E, visto come era andata a finire quella situazione in particolare, ero piuttosto convinta del fatto che il destino avesse in serbo, per me e per lui, ancora altre sorprese.
 

***

 
Camminando per strada, avvolta da una sciarpa color menta, fissai il mio sguardo sul marciapiede per tutto il tragitto che separava casa mia dall’istituto in cui studiavo. Sentivo il vento gelido sferzarmi i capelli ed infilarsi in tutte le fessure del mio giaccone, provocandomi svariati tremori mentre il mio corpo cercava di riabituarsi alle temperature gelide dell’inverno. Avevo passato tanto di quel tempo chiusa in casa, durante le vacanze, che quasi avevo dimenticato quanto facesse freddo all’esterno delle mura domestiche. Come d’altro canto avevo dimenticato l’ansia che mi dava l’indossare la mia divisa scolastica.
Ero ben felice di non dover perdere mai troppo tempo la mattina per decidere cosa mettermi durante la giornata, ma il fatto che le femmine fossero obbligate dal regolamento a portare quelle gonnelline scozzesi faceva sì che ogni ragazza, a scuola, si facesse venire le peggiori paranoie possibili. Io in particolare, poi, essendo sempre stata poco confidente circa il mio aspetto fisico, non potevo che essere più soggetta delle altre ai giudizi e alle occhiate altrui.
Detestavo quella divisa. La detestavo perché alle altre sembrava stare sempre meglio, in qualche modo. Ciò era frustrante. Non le dovevamo indossare per omologarci gli uni agli altri?
Urla non ben definite, provenienti dal cortile recintato che stavo fiancheggiando, mi riportarono con i piedi per terra. Scansai per un pelo un signore indaffarato che mi veniva incontro, svoltando l’angolo per arrivare ai cancelli scolastici con tutta la voglia che ero riuscita a farmi crescere in petto.
Non ero mai stata una patita dell’istruzione – pur avendo così tanti obbiettivi ben chiari nella mente – e, chissà come mai, in quel momento mi sentii meno in vena del solito per darmi da fare con compiti, interrogazioni e tutto quanto il resto.
Il solo pensiero di doverlo vedere per davvero, dopo tutto quel tempo passato ad ignorarci completamente, mi dava la nausea. Sentivo di non potercela fare, e per un istante prevalse in me la vocina che mi diceva di scappare a gambe levate. Mentre gli occhi guardavano con fare terrorizzato i grandi portoni in legno massello della scuola, le gambe smisero di andare avanti e cominciarono ad indietreggiare di propria volontà.
Dovevo scappare, dovevo…
«Ohi, Angela!»
…sorridere e cercare di non dare a vedere la mia agitazione.
Mi girai di scatto, incontrando lo sguardo interessato di Sebastiano.
«Ciao!» esclamai «Da quanto non ci si vede!»
Lui fece un gesto vago con la mano, facendo finta di mettere il broncio prima di far passare un braccio attorno mie spalle. Praticamente mi trascinò con sé dentro, ignaro della mia aspirazione alla fuga.
«Ti credo che non ci vediamo da tanto…» commentò «Ogni volta che ti ho chiesto di uscire, durante le vacanze, sei riuscita a trovare una scusa. Non so se questo tuo sparire dalla circolazione abbia a che fare con la tua ultima discussione con Emmy, ma…»
«Mi pare palese che è per quello che non sono uscita.»
«Ecco, appunto.»
Lo sentii sospirare, ma siccome sapeva bene di aver appena toccato un tasto dolente volle forse evitare la discussione che più gli premeva di intavolare con me. Davo per scontato che ne avesse parlato molto con Emanuele, talmente tanto, forse, da farsi venire un rigetto naturale alle parole “tradimento”, “promesse” e “amicizia”. Tutto ciò che avrebbe potuto ricondurlo al casino che i suoi due migliori amici avevano creato doveva, ne ero certa, creargli una certa dose di disagio.
Alzando gli occhi verso di lui cercai di sorridergli, come a volergli dire che lo ringraziavo ma che in fondo le cose non erano andate poi tanto male. Emanuele ancora stava con Alessia e, per quanto fosse convinto di amare me, probabilmente presto si sarebbe dimenticato di tutto ciò che aveva detto e avrebbe catalogato questa nostra avventura come una pazzia momentanea. Io, invece, potevo dire di aver finalmente eliminato dalla mia vita l’unica cosa che mi avrebbe potuto impedire di godermi le nuove opportunità che mi stavnoa aspettando dopo gli esami di maturità.
Sebastiano però, come suo solito, ebbe da ridire su tutte le mie congetture. Non avevo aperto bocca, me ne rendo conto, tuttavia lui sapeva. Aveva un potere innato per captare le stupidaggini, anche se magari erano sotto forma di pensiero del tutto personale.
«Credi davvero di aver risolto tutto?» domandò, fermandosi in mezzo al corridoio, proprio davanti alla porta della nostra classe.
Io mi strinsi nelle spalle, fronteggiandolo, gli occhi marroni di entrambi pieni della stessa sicurezza.
«…ammetto di non averla saputa gestire bene, questa situazione.» risposi «Lo ammetto. Lo ammetto senza problemi.»
«Mi fa piacere che tu riconosca i tuoi errori, però io non ti ho chiesto questo.»
Scossi il capo, mordendomi un labbro. «Spero di aver risolto tutto, sì.»
«Speri. Quindi neanche tu ne sei certa.»
«Ho detto ad Emmy tutto quello che pensavo, gli ho chiesto di non vederci più, di tornare dalla sua ragazza e di cercare di dimenticare quello che abbiamo fatto… Cosa accidenti dovrei fare di più?»
Quella fu in assoluto la prima volta che seppi per certo di aver deluso Sebastiano. Mi guardò con gli occhi sgranati, la bocca aperta, le mani abbandonate lungo i fianchi: era la posa che normalmente adottava quando Emanuele ne sparava una delle sue, era una posizione che avevo imparato a riconoscere meglio di altre e che, come se non bastasse, presagiva l’arrivo di qualcosa di ben più grosso della sua sorpresa. Piano mi scompigliai i capelli, terrorizzata dall’idea che potesse sbraitarmi contro come di solito faceva con il suo caro compagno di sempre.
Chiusi gli occhi, attendendo la batosta.
«…dovresti parlargli a cuor leggero, ecco cosa dovresti fare.»
Disse lui, con tono deciso.
«Dovresti dirgli la verità, per filo e per segno, senza omettere niente. Perché merita di sapere. Merita di conoscere i veri motivi per cui hai deciso di stargli lontano, dalla tua malattia alla possibilità di partire per Yale.»
Non osai neanche ribattere, a questo.
«Tu non lo hai visto, Emanuele, in questo periodo. Io sì.» continuò «Sta male, senza di te. Sta male e gli manchi da morire, sia come amica che come…come ragazza. Gli manchi, ok?»
Ammesso e non concesso che le sue parole avessero un fondo di verità, fuori mi mostrai del tutto restia a tornare nuovamente sui miei passi: tutte le volte che mi ero azzardata a tanto le cose non avevano fatto altro che peggiorare e io, così disperatamente decisa a conservare almeno un pizzico della mia sanità mentale, non avevo alcuna intenzione di guastarmi ciò che rimaneva dell’anno scolastico. Avevo di fronte a me mesi e mesi per studiare, divertirmi come potevo, dimenticare l’amore della mia vita e prepararmi all’inizio di una nuova. Parlare ancora con Emanuele mi avrebbe portato via tutto. Era così ovvio il fatto che bastasse un solo attimo per farci cadere nello stesso giogo crudele dell’attrazione…
«Seb, tu sei un grande amico, senza di te né io né Emmy potremmo resistere un minuto di più a questo mondo, messi come siamo…» commentai «…ma ti prego di capire il mio punto di vista.»
«Io lo capisco.»
«No, non è vero. Tu non puoi capire come mi sento. Fino ad ora mi hai dato ascolto, sì, questo non lo nego, però in fondo al tuo cuore hai sempre tenuto fede alle tue convinzioni, ai tuoi pensieri, al fatto che credevi di sapere cosa fosse meglio per me e per lui.»
Scossi il capo, abbassando lo sguardo.
«Non posso in alcun modo tornare da lui adesso. Sarei un’ipocrita se lo facessi, e in più lo confonderei da morire. Credi che abbia senso dirgli “non possiamo più vederci” e poi correre al suo fianco non appena ha qualcosa che non va?»
«Ma… Ma Angela, che male c’è a farlo se vi amate?»
In un baleno ripensai al discorso di Emanuele stesso, al suo desiderio di essere felice al mio fianco, per sempre, qualunque cosa fosse successa nel futuro, e come allora il sangue mi si gelò nelle vene. Sospirai, ravvivandomi i capelli con fare fin troppo stanco e desolato. Era una pena avere diciassette anni e sentirmi già con un piede nella fossa.
«Dovrei scegliere fra la possibilità di stare lontani l’uno dall’altra, costruendoci delle vite serene e, perché no?, felici…» sussurrai, corrugando la fronte «…e quella di vivere vicini, per poco tempo, straziandogli l’anima e il cuore non appena sarò morta?»
Qui, Sebastiano non poté dire niente.
Messa sotto questa luce, era chiaro al mondo intero che le mie ragioni erano del tutto lecite.
La migliore opzione era fin troppo chiara perfino per lui.
 

***

 
Finita la prima parte di quella giornata, ovvero raggiunta la meta della ricreazione, ebbi modo di constatare quanto, nella realtà dei fatti, mi fosse difficile ignorare la sua presenza. Non appena sentii suonare la campanella mi venne l’irrefrenabile impulso di voltarmi e parlare con lui, che mi stava – come era sempre stato – alle spalle, al suo posto. Fu con grande sforzo che ripresi il controllo dei miei sensi e fermai quella folle azione, scattando in piedi dopo aver compiuto almeno metà giro sulla sedia e correndo fuori dalle porte della classe. Una volta in corridoio non mi fermai neanche. Mi sentivo troppo in imbarazzo, troppo stupida, troppo disperata per potermi anche solo arrischiare a tornare indietro.
C’era una vocina che mi diceva di non aver paura, che continuava a ribadire il concetto – peraltro falso – che se qualcuno doveva sentirsi male al solo pensiero di dover affrontare la situazione quella non ero certo io.
Eppure, anche così, sapevo di starmi sbagliando di grosso. Io, solo io potevo e dovevo rendermi conto della miriade di errori che mi avevano portata a quel punto, conducendomi diretta fra le braccia sì della persona che più amavo al mondo, ma che, per mia enorme sfortuna, non poteva ricambiarmi come avrei desiderato. Perché, anche ammettendo che i suoi sentimenti fossero veri, Emanuele non poteva in alcun modo darmi sollievo dimostrando il suo amore di fronte a tutti. Non finché non avesse deciso di rompere con Alessia, almeno.
«In fondo è semplice, no?» mi dissi ad un certo punto, arrivata non si sa come sul terrazzo della scuola. «Deve solo lasciare lei, visto che mi ama tanto. Non vedo il problema. Forse alla fine avevo ragione, forse non mi vuole per niente bene e…e voleva solo divertirsi, ecco.»
Ma anche stavolta sapevo bene che il punto era un altro: se anche lui si fosse dimostrato pronto a lasciare per sempre la sua compagna, io probabilmente non avrei avuto il coraggio di sorridergli, non sarei stata capace di dirgli, felice, “ora tutto è perfetto. Ora tutto è a posto”.
Feci per sporgermi un poco oltre la balaustra, osservando un gruppo di miei coetanei intenti a tornare dentro l’edificio, ma quando anche loro furono fuori portata tornai indietro con tutto il corpo, lasciandomi cadere seduta a terra. Il pavimento era duro, freddo, ed il fatto che non mi fossi portata la giacca non faceva altro che sottolineare la totale agitazione che mi prendeva quando Emanuele era nei paraggi. Bastava lui e ogni cosa andava in pappa, nel mio cervello. Le mille considerazioni – giuste – che facevo quando ero sola parevano non avere il minimo senso se lui mi si avvicinava. Era sempre stato così, e, lo sapevo, così sarebbe sempre stato.
Piano, neanche avessi paura che qualcuno potesse sentirmi, presi ad intonare un ritornello a bassa voce, dondolando di tanto in tanto il capo a ritmo della musica che, solo nella mia testa, suonava una melodia lenta e dolcissima. Nel corso di quelle vacanze non avevo perso tutto il mio tempo a pensare a lui. O meglio, non tutti i miei pensieri avevano trovato sfogo nel pianto o nell’auto compatimento. Mi ero espressa anche in altre forme, come per iscritto, e alla fine ero approdata ad una trasposizione melodica delle mie congetture. Dei miei sentimenti.
E allora, celato con molta probabilità dal suono della mia voce che via via si era fatta sempre più sicura, la più grande delle mie paure venne nuovamente a bussare alla mia porta.
«…hai già scritto le note di questa melodia?»
Quasi sussultai a sentirlo ma, chiudendo gli occhi, rimasi nella stessa posizione cercando addirittura di ignorarlo, per quello che potevo. Mi strinsi nelle spalle, scuotendo la testa con energia. No, non avevo scritto nessuna melodia, ce l’avevo solo in testa.
«A sentire le parole, sembra molto bella.» continuò «Se scrivessi le note in modo sbagliato, rischierebbe di perdere molto.»
Fece una pausa, qui, e mentre il rumore dei suoi passi cessava del tutto, seppi per certo di averlo a pochi centimetri da me, alle spalle. Sentivo il suo profumo, quel persistente e fortissimo profumo di lavanda.
«Io…potrei aiutarti a fare in modo che questo non accada.»
«E sei qui solo per questo? Solo per dirmi che sei pronto a darmi una mano nel caso volessi cimentarmi in…»
«Sono qui, con un pretesto tanto blando, solo perché tu non mi dai altre opportunità per avvicinarti decentemente.»
Abbassando il capo corrugai la fronte, capendo perfettamente il suo punto di vista, nonché la sua solita, innegabile frustrazione. Ero sempre io a dettare le regole del nostro rapporto, lo avevo fatto sin dal principio, perfino quando eravamo nient’altro che amici, ma me ne rendevo conto solo ora. In un baleno, neanche un serpente mi avesse morso, mi voltai verso di lui, incontrando i suoi occhi grigi. Aveva uno sguardo fermo, pieno di tristezza. E tutto per colpa mia.
«Cosa vuoi, Emanuele?» domandai, pregandolo di fare in fretta, pregandolo di non tirarla per le lunghe. Stare soli, in un posto isolato, poteva essere dannoso per me tanto quanto lo era per lui. Poteva ucciderci entrambi. «Credevo ci fossimo chiariti.»
«Ah, quello lo chiami chiarirsi?»
«…sono stata sbrigativa, magari, ma sì, ti ho esposto il mio punto di vista con chiarezza.»
«No, tu ti sei limitata a darmi ordini, come al solito. Non mi hai spiegato un accidenti, Angela.»
Capii subito che lì, ovviamente, c’era lo zampino di Sebastiano. All’apparenza non gli aveva raccontato il vero motivo per cui lo avessi lasciato così su due piedi, tuttavia aveva fatto in modo di mettergli almeno la pulce nell’orecchio. Lo ringraziai mentalmente, per una volta indirizzando verso di lui mille ed orribili maledizioni.
«Dimmi cosa c’è che non va. Adesso.» sibilò Emmy, stringendo i pugni lungo i fianchi «Dimmelo.»
Alzai il mento, sfidandolo, sicura sul fatto che mai e poi mai gli avrei parlato della mia malattia.
«Alla fine della scuola partirò per Yale.»
Non stavo mentendo. Stavo dicendo la verità. Al massimo, se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo, stavo omettendo alcuni aspetti di quella mia dannata realtà.
«Per questo ho deciso di smetterla. Trovo non sia giusto continuare a darti false speranze. Stavi cominciando a pensare che io potessi essere…qualcosa di più, per te, e non è così.»
«Ah no?»
«No.»
Lo sentii ridere, però seppi sin dal principio che quella risata aveva ben poco di allegro. A breve avrebbe perso le staffe ed io, unica spettatrice di quello straordinario spettacolo, avrei goduto di un posto in prima fila. Mi preparai alle sue urla, certa che mi avrebbe distrutta da un attimo all’altro.
Quando protese le sue mani verso di me chiusi d’istinto gli occhi e mi drizzai tutta… Ma al posto di un’ipotetica sberla arrivò una carezza, e al posto di un giusto scatto d’ira mi guadagnai un abbraccio.
«…non ti chiederò di tornare ad essere la mia amante.» disse in un baleno lui, stringendomi «Non ti chiederò nemmeno di tornare ad essermi almeno amica.» Prese un respiro profondo e, tremando, aggiunse «Ti chiedo solo di non…commettere l’errore di pensare che per me tu non sei importante. Ti chiedo di non dimenticare che questa parentesi, la nostra parentesi, ha significato tutto per me. Ti chiedo…»
Cosa?
Cos’altro vuoi da me, stupido che non sei altro?
Perché non riesci a lasciarmi andare? Perché ti ostini a corrermi dietro, ben sapendo quale sarà la mia risposta qualsiasi cosa tu dica o faccia? Perché mi obblighi a farti del male, ancora e ancora?
«…ti chiedo di non smettere di amarmi perché io…io non smetterò mai di amare te.»
Inevitabilmente mi sciolsi, scoppiando in lacrime ancora una volta per colpa sua. Di parole non ne avevo, al momento, e anche possedendone non sarei mai stata capace di rispondere adeguatamente a ciò che lui, da solo, aveva saputo dire. Ora non avevo scampo, né dai suoi sentimenti né dai miei stessi. Ovunque andassi continuavo a sbattere contro all’ineluttabile sincerità del nostro amore. Potevo dimenarmi, urlare, fingere che non mi importasse nulla di tutto ma avrei perso tempo e, cosa ben più importante, avrei solo detto bugie su bugie.
«Ti amo.»
«Sme…Smettila…»
«Io ti amo, Angela.»
«…per favore, no…»
«Ti amo e voglio stare con te. Non con Alessia, ma con te.»
Scossi nuovamente il capo, anche se stavolta la cosa mi venne con meno enfasi di prima. Le forze mi avevano abbandonata. Me ne stavo lì, fra le sue braccia, inerme quasi quanto avrebbe potuto esserlo una bambola.
«E, scusa, ma non sono più disposto a perdere tempo così. Abbiamo ancora qualche mese da passare insieme e voglio godermeli. Voglio dire addio alla persona che ero ieri e dare il benvenuto a quella che sono oggi, grazie a te.»
Piano, con una lentezza pari a quella di una lumaca, finii col cingere le sue spalle usando le mie braccia, tremanti ed insicure. Mi strinsi a lui, posando il capo poco distante dal suo collo, inebriandomi della sua essenza. Mi resi conto del fatto che mi era mancato, che quelle parole avevano il dolce sapore di una cura per la mia anima, che l’amore che affiorava dal mio cuore era pari e addirittura inferiore a quello che scaturiva dal suo.
«Cosa…» cercai di parlare, di tirare fuori le parole dalla mia gola raschiandola a fondo, dolorosamente «Cosa facciamo allora?»
«Facciamo?»
Siccome rise mi staccai un secondo, guardandolo perplessa negli occhi. Come capendo il mio dubbio, Emanuele si strinse nelle spalle, donandomi un bellissimo sorriso prima di accarezzarmi una guancia.
«Scusa, è che non sono abituato a sentirti dire “noi”. Di solito ti carichi tutto addosso senza neanche chiedere aiuto…»
«Forse lo faccio perché non credo che qualcuno abbia voglia di aiutarmi.»
Lui scosse la testa, dandomi un piccolo colpetto sulla fronte con l’indice.
«Ed è proprio lì che ti sbagli, sciocchina!» esclamò, calmo «Pur di vederti felice io potrei sacrificare me stesso, figurati se non ti aiuto.»
«Ci sono cose che nemmeno tu potresti risolvere, temo.»
 

***

 
Per il resto della giornata, pur rimanendo dell’idea che fosse folle da parte nostra persistere nella ricerca di una vita – o di qualcosa di simile – insieme, mi ritrovai del tutto prigioniera del grande piano di Emanuele: aveva già pensato a tutto, si era messo in pace con se stesso e aveva deciso di lasciare definitivamente Alessia…per me.
Una volta finita scuola, camminandogli a fianco in compagnia di Sebastiano, tentai ancora di fargli notare che poteva evitare di arrivare a tanto se lo stava facendo solo per me, ma lui non ne volle sapere e, spalleggiato dall’amico, ebbe modo di zittirmi.
Non potevo farci niente, insomma. Con le mie azioni ero riuscita a far innamorare il ragazzo dei miei sogni di me, e ora che avevo dinanzi l’opportunità di renderlo tutto mio, avevo paura di aver commesso un errore gigantesco. Un errore che possedeva tutte le capacità di rovinarci per sempre.
Insieme arrivammo fino al parco della città e, seduti sulla prima panchina libera, cominciammo a parlare del più e del meno, quasi dimentichi dei propositi che l’anno nuovo aveva portato al nostro testone di fiducia. Avevamo tanto da raccontarci, tanto da tirare fuori per rimediare a quei mesi passati ad ignorarci o, se vogliamo, a vederci senza dire nulla più di un qualche “ciao, come va?”.
In fondo eravamo sempre noi tre, i migliori amici per eccellenza, e se anche l’equilibrio che una volta ci univa era venuto meno, adesso qualcosa ci faceva presagire una ripresa netta.
«Quindi a quando il tuo funerale, Emmy?» domandò ad un certo punto Seb, costringendoci entrambi a voltarci verso di lui. Lo guardammo ridere di gusto, sfregando le mani l’una con l’altra per riuscire a scaldarle.
«…scusa ma non ti seguo.»
«Oh, andiamo, sappiamo entrambi che quando Alessia scoprirà che cosa hai fatto e che per di più la vuoi lasciare, non ci saranno santi che tengano.» toccò a lui guardarlo «Ti ammazzerà di botte.»
Io che ero in mezzo a loro due, abbassai lo sguardo e corrugai la fronte, ricordandomi solo ora del pessimo carattere di quella ragazza. Non avevo mai parlato a lungo con lei – complici la mia gelosia nonché l’assoluta convinzione di non starle nemmeno tanto simpatica, a prescindere dal fatto che avesse capito cosa provavo per il suo fidanzato o meno – ma non ero nuova alle litigate che si faceva saltuariamente con Emanuele: di tanto in tanto, io e Sebastiano lo vedevamo arrivare con un occhio nero, un bernoccolo o comunque con svariati lividi e graffi su tutto il corpo, e questo non per via di una qualche mancanza di attenzione durante un gioco o addirittura un rapporto fisico fra di loro, bensì come frutto dell’ira di lei per una qualsivoglia azione stupida del nostro compagno. Spesso ne avevamo riso, però stavolta era diverso.
«So difendermi, non è la prima volta che mi malmena.»
«Vanne fiero, mi raccomando…»
«…quello che intendo dire è che sì, sono consapevole del fatto che non la passerò di certo liscia con una come Alessia. So di aver sbagliato ad aver portato avanti un’altra relazione mentre stavo con lei, e so anche che non mi perdonerà tanto facilmente una simile avventatezza…però non posso continuare a mentire a me stesso.»
Qui, con mia totale sorpresa, cinse le mie spalle con un braccio e mi avvicinò a sé, stringendomi forte. Non aveva mai fatto una cosa del genere così, alla luce del Sole, senza che ci fosse un valido motivo, almeno ai tempi in cui potevamo considerarci solo amici, che gli avrebbe permesso poi di spiegarsi di fronte alla sua effettiva ragazza.
Fu da un gesto tanto semplice e carino che compresi e soppesai il suo livello di sicurezza.
«Amo Angela. Questo è quanto.» continuò «E lei potrà picchiarmi, insultarmi ed odiarmi quanto vuole, ma questo non può cambiare. Mi prenderò le mie responsabilità e poi…»
Guardandomi mi sorrise, alzandomi il mento con una mano prima di baciarmi con infinita dolcezza.
«…poi mi godrò il resto dell’anno assieme alla persona che mi piace.»
Presa alla sprovvista com’ero, l’unica cosa che riuscii a fare fu quella di arrossire di botto, senza contegno alcuno. Non ero abituata a quel viso certo, a quegli occhi pieni solo di affetto indirizzato niente popò di meno che a me, né tanto meno mi sarei mai raccapezzata su quanto fosse bello stargli vicino a quel modo, senza paura di essere scoperti da un momento all’altro.
Feci una smorfia stranissima, fra il dubbioso ed il felice, causando lo scoppio di una risata fragorosa non solo da parte di colui che più mi stava a cuore, ma anche di Sebastiano stesso.
In un baleno, sentendomi più piccola di quello che non ero in realtà, appoggiai la fronte al petto d’Emanuele e nascosi per dei lunghissimi istanti il mio viso a chicchessia. Non volevo farmi vedere ridotta così, non potevo ancora permettermi di lasciar trapelare neanche una piccolissima parte della enorme, sprizzante gioia che mi stava scavando il petto.
Ero felice, sì. Felice più di quanto avrei mai creduto possibile, ma non ancora al sicuro.
Ancora non avevo capito se lui avesse intenzione di parlare con Alessia quella sera o magari il giorno seguente, a scuola, e per quanto sperassi che si risolvesse tutto al più presto sapevo anche che una simile faccenda non la si poteva dimenticare da un giorno all’altro.
Piano, inconsciamente, strinsi le mani sulla giaccia del mio amato, guadagnandomi un abbraccio subito dopo. Emanuele capiva come mi sentivo, lo capiva e voleva darmi conforto.
 

***

 
Sarebbe forse inutile, per me, stare qui ora a descrivere il mio stato d’animo quella stessa sera. Aggirandomi per casa come un’anima in pena ebbi modo di constatare quanto fosse difficile, per qualcuno di tanto ansioso, l’aspettare l’arrivo di buone/cattive notizie. Avevo a disposizione una mente talmente tanto fervida di immaginazione, che già mi vedevo messa da parte in una ipotetica scenetta amorosa fra quello che era un Emanuele del tutto pentito ed una Alessia assai trionfante. Per un pessimo quarto d’ora non ci furono limiti alla mia fantasia, e proprio quando le supposizioni si erano sprecate, il mio cellulare prese a vibrare con non poca foga sulla superficie legnosa della mia scrivania.
Lo fissai per dei minuti interminabili anche quando smise di muoversi. Sul display era comparso il suo nome, lo avevo letto. Mi aveva inviato un messaggio.
Velocemente alzai gli occhi sul muro e, controllando l’ora, mi accertai di non essere arrivata alla mezzanotte senza che me ne rendessi vagamente conto: in quel caso, magari, la vibrazione del mio telefono si sarebbe potuta ricondurre ad una non specifica allucinazione dovuta all’ora tarda e all’ansia. Chiarito però il concetto – erano solo le undici – presi un respiro profondo e mi accinsi a leggere il contenuto, brevissimo, di quell’sms.
Chiamami.
Annuii da sola, neanche avessi conosciuto sin da principio ciò che ci sarebbe stato scritto nel messaggio.
Digitando il numero cominciai a battere le dita sul libro aperto di filosofia, graffiando con non poco fastidio le pagine di quel tomo da duecento-duecentocinquanta pagine.
«Pronto?»
«…ciao, sono io.»
Lui fece una pausa e qui, pur non potendolo vedere, capii che stava facendo qualcosa che gli occupava gran parte della propria già limitata attenzione.
Sospirai.
«È andata così male?» chiesi, passandomi la mano fra i capelli.
«Beh, bene non è andata sicuro.» rispose lui.
Cominciai davvero a sudare freddo arrivata a questo punto. Non sapevo più se mi avesse chiamata per dirmi che potevo smetterla di mangiarmi le mani o, piuttosto, per dare soddisfazione alle fantasie che mi ero creata da sola nelle ultime sette ore.
«Se non parli dovrò iniziare a spaventarmi…»
Finalmente rise.
«Non preoccuparti, Alessia non ha intenzione di venire a casa tua per darti fuoco.»
«…ad essere sinceri non avevo neanche mai pensato ad una simile opzione, ma…grazie per avermene dato modo. Sei il migliore quando si tratta di tirare su il morale alla gente.»
Un’altra risatina e, per fortuna, mi misi il cuore in pace.
Stava bene.
Stavamobene.
«Vuoi che ti racconti di che cosa abbiamo discusso?»
Gli dissi che mi avrebbe fatto piacere saperlo e insieme, io sdraiata sul mio letto e lui nel suo, cominciammo a parlare, a parlare e a parlare ancora. Vorrei essere in grado di ricordare con esattezza su che cosa vertesse la nostra chiacchierata – oltre che sul tema “l’ho lasciata dicendole…” – ma nemmeno io saprei dirlo con precisione: so solo che in quelle ore mi sentii libera, libera da ogni pensiero o dolore, libera dalla paura, libera da tutto.
Ancora una volta, senza però l’ausilio del sesso, c’eravamo solo io e lui.
 

***

 
«Ci vediamo domani, allora.»
«Sì, a domani.»
«…»
«Cosa…?»
«…ti amo.»
Sorrisi. Ormai ci aveva preso gusto a dirlo.
«Ti amo anche io.»



La voce dell'Autrice: Allora... Non so bene che cosa dire qui. I ringraziamenti vorrei farli più avanti, quindi cercherò di riempire questo spazio con dell'altro.
Questo è stato un viaggio decisamente lungo. Non so perché, ma ci impiegato molto a mettere insieme le parole ed i pensieri giusti per scrivere ogni capitolo di questa long-fic. Anzi, forse non sono poi neanche tanto all'oscuro su questo: in fondo non è mai facile raccontare una storia d'amore, neanche quando i personaggi li conosci bene, quasi meglio di quanto conosci te stessa. Le alternative diventano innumerevoli con racconti simili, puoi scegliere di prendere una strada invece che un'altra e, alla fine, non sai mai se hai deciso per quella giusta. Io, qui, ho preso le mie decisioni, ho fatto le mie scelte, e se anche so per certo che non tutti si saranno trovati a loro agio con un finale tanto blando, non posso che mettermi l'anima in pace.
Diamine, ne han passate di tutti i colori! Lasciamoli respirare almeno fino a che non avrò ideato un seguito... Ups. Spoiler ;D Assolutamente voluto
Beh. Per il momento basta.
Adios amigos!
  
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