Capitolo Nono
Killing Me Softly
"Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo, Kate?" esclamò Castle in un tono glaciale che non gli apparteneva "E' una cosa assurda...priva di senso..."
L'espressione stampata sul suo volto era quella di un uomo profondamente ferito.
Sembrava perfino più pallido di quanto non fosse stato in quel letto d'ospedale.
"So che adesso non riesci a capirlo..." replicò Beckett, voltandogli prontamente le spalle "...ma credimi, è meglio così..."
L'ultima cosa che voleva, era che lui la vedesse piangere.
Castle però non demorse.
La raggiunse e le circondò le spalle con le braccia.
"Non può finire così..." le soffiò dolcemente all'orecchio, appoggiando la fronte contro la nuca di lei. Il calore di quel contatto le infiammò il cuore.
Dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà, per riuscire a mantenere il controllo della situazione, senza lasciarsi andare. Eppure avrebbe tanto voluto farlo...oh Dio, se avrebbe desiderato farlo.
Aveva rischiato di perderlo per sempre e, nonostante gli sforzi, non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che fosse stata colpa sua.
Dopotutto, era lei che se lo scarrozzava in giro da quattro anni. Castle era sotto la sua supervisione, proteggerlo era il suo compito.
E invece aveva fallito.
Vederlo accasciarsi davanti a lei, leggere il terrore nei suoi occhi, stringere il suo corpo sanguinante tra le bracci, pregando silenziosamente Dio di non portarglielo via...ormai non riusciva più a pensare ad altro. Continuava a rivivere quei momenti in ogni istante della giornata. Chiudeva gli occhi e tutto le tornava in mente, più vivo e nitido che mai.
No, doveva assolutamente mettere fine a tutto quanto, prima che fosse troppo tardi.
Non avrebbe mai potuto sopportare un'altra perdita...
"E' finita, Rick..." sussurrò con un fil di voce "...non tornare mai più al distretto, non cercarmi più...ti prego..." Pronunciare quelle parole fu la cosa più difficile del mondo per lei, ma era certa che fosse la decisione migliore.
Per entrambi.
L'espressione stampata sul suo volto era quella di un uomo profondamente ferito.
Sembrava perfino più pallido di quanto non fosse stato in quel letto d'ospedale.
"So che adesso non riesci a capirlo..." replicò Beckett, voltandogli prontamente le spalle "...ma credimi, è meglio così..."
L'ultima cosa che voleva, era che lui la vedesse piangere.
Castle però non demorse.
La raggiunse e le circondò le spalle con le braccia.
"Non può finire così..." le soffiò dolcemente all'orecchio, appoggiando la fronte contro la nuca di lei. Il calore di quel contatto le infiammò il cuore.
Dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà, per riuscire a mantenere il controllo della situazione, senza lasciarsi andare. Eppure avrebbe tanto voluto farlo...oh Dio, se avrebbe desiderato farlo.
Aveva rischiato di perderlo per sempre e, nonostante gli sforzi, non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che fosse stata colpa sua.
Dopotutto, era lei che se lo scarrozzava in giro da quattro anni. Castle era sotto la sua supervisione, proteggerlo era il suo compito.
E invece aveva fallito.
Vederlo accasciarsi davanti a lei, leggere il terrore nei suoi occhi, stringere il suo corpo sanguinante tra le bracci, pregando silenziosamente Dio di non portarglielo via...ormai non riusciva più a pensare ad altro. Continuava a rivivere quei momenti in ogni istante della giornata. Chiudeva gli occhi e tutto le tornava in mente, più vivo e nitido che mai.
No, doveva assolutamente mettere fine a tutto quanto, prima che fosse troppo tardi.
Non avrebbe mai potuto sopportare un'altra perdita...
"E' finita, Rick..." sussurrò con un fil di voce "...non tornare mai più al distretto, non cercarmi più...ti prego..." Pronunciare quelle parole fu la cosa più difficile del mondo per lei, ma era certa che fosse la decisione migliore.
Per entrambi.
Casa Castle
09.30 p.m.
"Maledizione all'ispirazione...che vada al diavolo!"
Afferrò lo schermo del notebook e lo chiuse violentemente, con un colpo secco.
"RICHARD!"
La voce acuta di sua madre lo fece sobbalzare sulla poltrona.
"Mamma, scusami, non sapevo che fossi in casa..." si giustificò in tono colpevole.
"A dire il vero sono rientrata proprio adesso" rispose Martha, affiancandolo vicino alla
scrivania "Sei sicuro di stare bene, Richard?" gli rivolse un lungo e
profondo sguardo indagatore, quasi come se volesse leggergli dentro "Mi sembri un po' giù
di tono in questi ultimi giorni..."
"Sarà colpa della riabilitazione, è stata piuttosto dura e ora che è finita devo imparare
a riprendere il tram tram quotidiano!" rispose lui vagamente.
"Non mi riferisco a quel genere di stanchezza, tesoro" lo rimbeccò sua madre.
"Mamma, sto bene" ribadì fermamente Castle.
"Me lo diresti se ci fosse qualcosa che ti tormenta, vero?" insistette imperterrita Martha,
decisa a non mollare la presa.
"Sto bene" fece Castle, perentorio.
"Oh certo, stai benissimo..." replicò sua madre, in tono volutamente sarcastico "...è un
favoloso venerdì sera e invece di andare a divertirti da qualche parte con i tuoi amici o
con una bella ragazza, te ne stai chiuso tra queste quattro mura ad inveire contro un pezzo
di metallo senz'anima..."
Castle trasse un profondo respiro.
Quando Martha Rodgers s'intestardiva con qualcosa, diventava veramente insostenibile.
"Sono un artista, mamma, sono un lunatico per definizione!" provò a liquidarla, con
un'alzata di spalle.
"Richard, sono più vecchia di te e decisamente più saggia..." ribattè sua madre, per nulla
rifrancata da quel suo modo di fare al limite della strafottenza" ...so bene che hai qualcosa
che non va, cosa credi che non mi sia accorta di nulla? Non vai al distretto da giorni, non
parli più di Beckett e dei tuoi amici del 12esimo, sembra che non ti importi neanche più
della tua carriera di scrittore..."
Castle saltò in piedi, con fare stizzito.
"Mamma, sei totalmente fuori strada, io non..."
"Oh no, caro, temo che sia tu quello totalmente fuori strada!" lo interruppe bruscamente
Martha "Non scrivi una riga del tuo romanzo da settimane ormai, brontoli in continuazione
e sei sempre di pessimo umore. Ho capito che è successo qualcosa di brutto tra te e Kate,
ma comportarti come un ragazzino capriccioso, non risolverà certo le cose, servirà solo a
peggiorarle! Se non vuoi parlarne con me, mi va bene, non ti costringo a farlo...ma almeno
non prendermi in giro raccontandomi bugie inutili..."
E dopo avergli voltato le spalle, Martha fece per allontanarsi, ma Castle la afferrò per un
braccio, trattenendola.
"Ha deciso di chiudere con me, per sempre" mormorò a bassa voce.
"Kate?" domandò lei.
Lui si limitò ad annuire.
"E' successo qualcosa?"
Castle scosse la testa, gettandosi nuovamente di peso contro lo schienale della poltrona.
"No, credo sia stato per colpa della sparatoria" disse poi "Avevo capito che c'era
qualcosa che non andava, ma non pensavo che volesse arrivare a tanto, capisci?
Insomma, andava tutto così bene tra noi prima di quella maledetta notte e
improvvisamente...PUFF...tutto svanito..."
"Hai provato a parlarle?"
"Certo, sono andato a trovarla qualche giorno fa al distretto ma non è servito a
niente...lei aveva già deciso e, la conosci, quando si mette in testa qualcosa è peggio di un
mulo..."
Martha gli circondò affettuosamente le spalle con un braccio.
"Tesoro mio, per quanto tu possa volerlo, non puoi insegnare agli altri a reagire a
determinate situazioni" gli fece notare saggiamente "Ognuno di noi ha i propri tempi per
assimilare emozioni e sensazioni e, se c'è una cosa che ho imparato nella mia vita, è che fare
i conti con certe decisioni non è mai facile, soprattutto quando si ha che fare con il cuore!
Hai mai pensato a quanto deve essere stato duro per Kate, vederti ridotto in quelle
condizioni e temere che potessi fare la stessa fine di sua madre? Un'altra persona amata che
sfuggiva via, senza che lei potesse fare niente per impedirlo..."
"Lo so che ha deciso di allontanarsi da me perché ha paura di soffrire ancora, mamma!"
sbottò Castle, infiammandosi di colpo "Il punto è che non si può sfuggire alla vita per paura
del dolore...sarebbe innaturale!"
"Richard, Richard... " sospirò Martha, con fare rassegnato " Sei uno dei migliori scrittori di
gialli che io conosca, riesci a descrivere omicidi, scene del crimine e procedure investigative
meglio di chiunque altro, ma quando si tratta di emozioni, tesoro mio, devi lasciar fare a chi
ha le giuste competenze..."
E con un largo sorriso, additò se stessa.
"Kate Beckett è la donna più forte e determinata che io abbia mai incontrato" riprese poi
"Ma è anche una ragazza estremamente fragile ed emotivamente compromessa da
una dolorosa ferita del passato, che purtroppo non potrà mai rimarginarsi completamente.
Tu non hai mai perso nessuno, Richard, non sai quanto l'assenza di una persona amata
possa mutare il tuo punto di vista rispetto agli avvenimenti della vita! Perdi ogni certezza, la
paura annebbia la tua mente e ti impedisce di vivere con tranquillità le gioie e le
opportunità che ti si presentano e alla fine, ti ritrovi ad analizzare dettagliatamente ogni
minima cosa, prevedendo sempre il peggio...evitare il dolore, per quanto possibile, diviene
un passo necessario per proteggere te stesso..."
"Che cosa dovrei fare, allora?" le domandò Castle, visibilmente confuso.
"Concedile del tempo per riflettere" gli suggerì Martha "Devi solo concederle un po' di
tempo in più per poter gestire la situazione a modo suo e, vedrai che quando comincerà a
sentire la tua mancanza, sarà lei a tornare da te..."
Castle tirò un profondo sospiro.
Forse sua madre aveva ragione, forse per l'ennesima volta il suo super radar empatico aveva
fatto centro. Eppure il pensiero che Beckett potesse non cambiare mai idea sul loro conto,
continuava a ronzargli fastidiosamente in testa.
Inutile illudersi, non sarebbe mai riuscito a stare lontano da Beckett...non così.
Aspettò che sua madre si ritirasse in sala da pranzo, poi chiuse a chiave la porta dello studio,
per evitare ulteriori intrusioni a sorpresa, e afferrò il cordless appoggiato sulla sua scrivania.
Doveva parlarle assolutamente.
Avevano bisogno di chiarirsi.
Stava per digitare il numero di Beckett sulla tastiera del telefono, quando il cellulare squillò.
Era Esposito.
Che fosse successo qualcosa di grave?
"Pronto?" fece Castle rispondendo.
"Ehi Bro, tutto bene?" disse l'amico all'altro capo dell'apparecchio.
"Me la cavo, invece voi?" rispose Castle, leggermente in ansia.
"I soliti alti e bassi, niente di importante" tagliò corto Esposito "Ascolta, stavo pensando,
visto che sono alcuni giorni che non ci vediamo, che ne dici di raggiungermi al solito Pub
degli sbirri tra una mezz'oretta? Siamo io e un altro paio di amici, li hai già incontrati..."
"Non so, sono un po' stanco" tergiversò Castle.
"Oh andiamo, fratello..." lo incalzò Esposito "...una birretta fresca, buona musica, belle
ragazze da rimorchiare...roba nel tuo stile, niente di impegnativo! Facciamo così...noi siamo
qua, se hai voglia di raggiungerci, ci vediamo più tardi, altrimenti...sarà per la prossima
volta!"
E, senza aggiungere altro, terminò la chiamata.
Castle rimase immobile per qualche secondo, a fissare in silenzio lo schermo del cellulare.
Spostò alternativamente lo sguardo dal cellulare al cordless, indeciso sul da farsi.
Chissà, magari uscire un po' con Esposito e qualche amico lo avrebbe aiutato a non pensare
a Beckett e ai loro problemi.
Un modo come un altro per distrarsi.
"Al diavolo....e pub sia!"
Afferrò al volo le chiavi della macchina dal tavolo e schizzò via di casa, a gran velocità, sotto
gli occhi sconvolti di sua madre.
Non poteva neanche lontanamente immaginare, che a soli 20 minuti di distanza, Beckett
stava piangendo lacrime amare tra le braccia della sua migliore amica Lanie, convinta di aver
perso per sempre l'unico uomo che avesse mai amato veramente.
ANGOLO DELL'AUTORE: Ed eccoci qua, con il penultimo capitolo di questa fanfiction...la parte iniziale, ovviamente, è un rapido flashback del momento in cui Beckett ha deciso di chiudere i contatti con Castle, dopo la sparatoria in cui era rimasto ferito. E nel finale? Lei si strugge di rimpianti mentre lui si diletta con birra e donne? Mmh...vedremo come andrà a finire. Ci vediamo al prossimo capitolo...la resa dei conti! ;)