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Autore: ClaryMorgenstern    10/11/2012    4 recensioni
Clary la ignorò e guardò meglio la statua. Non potè che concordare con Jace su quell'obbrobrio. Le ispirava un disgusto immenso, come d'altronde i demoni che voleva rappresentare. Le unghie sembravano scintillare di sangue fresco, e gli occhi erano vacui, scolpiti senza pupilla e..
Si mossero.
[Crossover The mortal instruments   /   The infernal devices]
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Author's corner: Fan cattivi. Non avete recensito l'ultimo capitolo, sono offesa.
                             (Scherzo, ovviamente. Però eccheccavolo! Fatemi sentire che ci siete!)


Libertà va cercando, ch’è sì cara / come sa chi per lei vita rifiuta
D. Alighieri


Capitolo XVIII
Ch’è sì cara


La voce era indubbiamente maschile e, se lo aveste chiesto a Jace, vi avrebbe risposto anche molto irritante.
Per un istante, un solo minuscolo istante, il ragazzo distolse lo sguardo da Cameron. Quanto poteva contare un istante, Jace lo capì sentendo un rumore simile a una vampata di fuoco alle sue spalle, e seppe, ancora prima di voltarsi, che Cameron era sparito nel buio della notte Vittoriana.
Jace imprecò a voce così alta da destare degli uccelli addormentati in un albero vicino al marciapiede e i topi del vicolo. Prese il coltello che teneva in mano e lo scagliò contro il muro, con così tanta forza che scalfì la pietra grezza del muro logoro.
Una mano lo afferrò con forza, e lui si rese improvvisamente conto che la voce che aveva fatto fuggire Cameron doveva appartenere a qualcuno, logicamente.
Quel qualcuno era un poliziotto. Indossava uno spesso cappotto e uno di quei ridicolissimi cappelli a campana, altra cosa che Jace non avrebbe indossato nemmeno da morto. Jace gli lanciò un occhiataccia velenosa. «Lasciami» ordinò.
«Te lo puoi scordare giovanotto» borbottò quello. e, all'improvviso, fece scattare un paio di manette al polso che teneva fermo, e poi all'altro. Jace era talmente tanto sorpreso che non aveva nemmeno provato a combattere. E poi si rese conto di essere stato arrestato. Da un poliziotto mondano. Il suo sangue angelico ribolliva d'indignazione e Jace imprecò di nuovo.
«Smettila di dire oscenità!» gli sbraitò quello addosso. «Andiamo in centrale, delinquente!»
Jace gli lanciò un'occhiataccia. Va bene, era armato e stava minacciando qualcuno con un coltello, ma questo mica gli dava il permesso di chiamarlo delinquente.
Quel pensiero lo bloccò per un istante.  Prese un bel respiro e provò a ricominciare da capo. «Mi scusi, ma c'è stato un errore» disse con tutta la calma di cui era capace. «Vede, io non stavo..»
«Risparmiati le chiacchiere per la centrale, delinquente.» borbottò, e lo condusse verso una carretta che doveva essere la versione vittoriana di una volante della polizia, strattonando le manette. Il metallo gli tirò la pelle, ferendolo in diversi punti sui polsi. Abbassò lo sguardo su di essi, e vide una striscia rossa dove le manette lo stavano stringendo. Gli fece venire in mente l'inquisitrice, che l'aveva ammanettato senza una valida ragione, così come stava facendo quel poliziotto, e si sentì invadere da una rabbia ceca.  Aveva imparato che non gli piaceva essere ammanettato.
Strattonò le mani con forza, stuzzicando ancora di più le ferite sui polsi. Quelle dannate manette mondane erano maledettamente resistenti. «Ho altri progetti per stasera, idiota» gli ringhiò contro Jace. «Toglimi questi dannati arnesi. Prima di fare giochini strani dovresti offrirmi una cena!»
Il poliziotto gli lanciò un'occhiata sconvolta, come se Jace si fosse messo a parlare in una lingua mai sentita. «Sei per caso stordito dall'oppio?»
Jace mosse le mani a ventaglio sotto il naso, facendo sferragliare le manette. «L'unica cosa che mi stordisce è il tuo alito. Mai sentito parlare di igiene orale?»
Il mondano aveva un'espressione completamente inebetita, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati.
«Evidentemente no» confermò Jace.
Quello gli lanciò un'occhiataccia orrenda. «Adesso mi hai proprio stancato» gli urlò, sputacchiandogli in faccia. Lo spinse con forza nella carretta. «Andiamo»
Naturalmente, Jace avrebbe potuto tranquillamente prendere a calci quell'irritantissimo poliziotto che gli aveva fatto fuggire l'ostaggio, distruggere quella maledetta carretta e anche ballare la samba, tutto senza togliere le manette. Ma avrebbe fatto un bel casino, e nelle sue condizioni non era proprio una brillante idea.
«Vedremo di insegnarti l'educazione, giovanotto.» Fu l'ultima cosa che Jace sentì, prima che la carretta si mosse.
Ti piacerebbe.
 
«L'ultima volta che Jace è sparito..» Isabelle Lightwood era in piedi nella biblioteca dell'istituto di Londra, che continuava a fare nervosamente avanti indietro sugli altissimi stivali che aveva con sé quando era arrivata nel XIX secolo, la frusta arrotolata nel braccio come un serpente velenoso, e altrettanto letale. «..l'ho trovato in una pozza del suo stesso sangue con un pugnale puntato al cuore.»
Will, appoggiato a una delle librerie con una noncuranza glaciale, scosse le spalle. Era arrivato un'ora prima insieme a Tessa nella carrozza con cui Jace era partito alla sua ricerca. Aveva raccontato loro quello che era successo nella locanda e nel vicolo. Inutile dire che Isabelle, Alec e Simon avevano fatto i salti di gioia. Clary no. Li avrebbe fatti insieme a Jace, quando fosse tornato. Henry e Charlotte non avevano perso tempo ed erano andati subito a prendere Jace e Cameron, tornando mezz'ora dopo, con la bellissima notizia della sparizione non solo di Cameron, che aveva lasciato solo il puzzo di magia nera dietro di sé, ma anche di quell'idiota di Jace.
Clary si lasciò cadere la testa tra le mani. Ma, ogni tanto, qualcosa di sensato poteva farlo? «Io ancora non mi spiego perché l'avete lasciato solo.»
Lo sguardo di Will, quando saettò su di lei, era duro e piatto. «Non avrei mai lasciato tornare Tessa da sola.» Non stava guardando la ragazza, come lei non guardava lui, eppure c'era qualcosa nella loro postura, nelle loro braccia lasciate con noncuranza lungo i fianchi, da far sembrare quasi che si stessero tenendo per mano.
Clary rispose con uno sguardo altrettanto duro. «E perché non è rimasta lei» e fece un cenno in direzione di Tessa.
Will alzò un sopracciglio, scettico. Ma insomma! Sapevano farlo tutti tranne lei? «E, di grazia, cosa avrebbe potuto fare Tessa?» chiese. «Senza offesa» aggiunse Jem per Will, dalla poltrona
La ragazza scosse le spalle con noncuranza, chiaramente abituata.
Clary batteva le dita nervosamente sul bracciolo della poltrona, come faceva Jace, spesso e volentieri, quando era nervoso.
«Mi avete rotto» sentenziò. Si alzò dalla poltrona e andò verso la porta. «Vado a cercare quell'idiota. Qualcuno viene con me?»
Neanche a dirlo e Alec era già al suo fianco. Isabelle arrivò subito dopo, scandendo la camminata con colpi secchi dei tacchi alti. A sorpresa di Clary, anche Jem e Henry si unirono a loro. Charlotte non c'era. Aveva preso l'influenza o qualcosa del genere. Henry non aveva voluto dire niente di più.  Jem le fece un bel sorriso rassicurante, Clary notò che aveva le pupille leggermente dilatate, come se stesse guardando una forte luce, ed Henry le diede una leggera pacca sulla spalla. «Lo troveremo» le disse.
Clary, incapace di dire alcunché, si limitò ad annuire.
«Io potrei essere utile» Tessa gli si avvicinò lentamente, quasi avesse paura della sua reazione. «Se troviamo qualcosa di suo.»
Mancava solo Will. Il ragazzo gettò un'occhiata a Jessamine, seduta composta in una delle poltrone a esaminarsi le punte dei capelli. Li aveva ignorati per tutta la sera e continuava a ignorarli. «Da solo con lei non ci resto» sentenziò Will, avvicinandosi anche lui a quella specie di riunione presso la porta.
«Non possiamo lasciare l'istituto senza protezione» obbiettò Henry.
«C'è Charlotte»
«Sta male»
«Jessamine è una cacciatrice valida.» ribatté Will.
Persino la diretta interessata gli lanciò un'occhiataccia, ma poi il suo viso si illuminò in un sorriso malizioso. «Alexander» chiamò con voce dolce, civettuola. «Perché non rimani tu?»
Alec arrossì da capo a piede. Will gli diede una spallata scherzosa. Clary vide luccicare in quello sguardo azzurro qualcosa che sapeva di perfida consapevolezza.
Era ovvio che Will sapesse. Anzi, probabilmente tutti lo sapevano. Tranne Jessamine.
Alla fine, Alec ritrovò la parola. «E' il mio parabatai» rispose. E quelle poche e semplici parole spiegarono tutto. Clary capì che Alec si sentiva offeso dall'insinuazione che avrebbe potuto lasciare solo il suo parabatai
Jessamine mise il broncio. «Okey»
Henry alzò gli occhi al cielo. «Rimango io. Voglio fare compagnia a Charlotte.» e sparì, dietro le porte di legno.
Will sogghignò. «Adesso lo chiamano 'fare compagnia'?»
«Allora io me ne vado a letto» Jessamine prese le sue cose e s'incamminò verso la sua stanza. «Non è bene per una signorina rimanere in piedi fino a quest'ora.»
Clary guardò l'orologio a pendolo a ridosso della parete. Era appena mezzanotte. Se fosse stata nel suo secolo a quest'ora sarebbe stata con Simon davanti alla tv con pizza e patatine. Ma d'altronde, lei non era una signorina.  «Sbrighiamoci.» disse, incamminandosi.
Jem la fermò. «L'uscita è di là, Clary.»
«Non possiamo andare alla ceca.» Rispose Clary, pronta. «Ci servono due cose. La prima, è una delle camicie che Jace ha usato.»
Corse nella stanza del ragazzo e ne prese una di quelle appese allo schienale di una sedia. Clary storse la bocca. La stanza di Jace era, come sempre, troppo pulita., mentre teneva stretta in pugno la camicia candida e portandosela contro il naso. Clary sorrise. Sapeva di Jace.  «E la seconda..» disse uscendo, senza finire la frase. E si diresse a passo spedito verso le viscere dell'istituto, dove si trovava il rifugio. Will spalancò le porte con un gesto plateale. Simon era girato di spalle. Si era tolto i pantaloni ed era rimasto solo con la maglietta e i boxer. Stava suonando una chitarra immaginaria, e Clary dovette ammettere che era meglio di quando ne suonava una vera.
Si girò di scatto quando si accorse che erano tutti lì a fissarlo. Aveva gli occhi spalancati ed era, se possibile, ancora più bianco del solito. Probabilmente se avesse potuto sarebbe arrossito da capo a piede.
Will inarcò un sopracciglio scuro. «Vedo che ti stai divertendo» commentò.
Le mani di Simon scattarono a coprire i boxer. «Che ci fate qui?» disse, con la voce più acuta di almeno due ottave.
Clary gli si avvicinò. «Ci serve il tuo aiuto»
Simon le fece un sorriso imbarazzato. «Qualunque cosa per te.»
«Abbiamo perso Jace. Devi aiutarci a trovarlo»
Una smorfia comparve sulla bocca del suo amico. «Ho detto "qualunque cosa"» Sospirò. «E va bene. Ma avrò bisogno dei pantaloni.»
 
Henry aprì la porta della propria camera da letto. Charlotte era lì, sdraiata a letto con una pezzuola bagnata sulla fronte. La fiamma di una candela tremolava appena nel comodino accanto al letto. «Cara?» fece, entrando.
Arrivò appena un mugolio da parte di Charlotte. Si tolse la pezzuola dalla fronte gettandola nel catino di fianco al letto. «Ciao, Henry» fece, rimettendosi a sedere. «Avete trovato Jace?»
«Sono usciti tutti, tranne Jessie, a cercarlo.» rispose Henry sedendosi sul letto, accanto alle gambe della moglie. «Tu come stai, piuttosto?»
«Bene» mentì lei con leggerezza. Nel corso degli anni, aveva imparato a leggere anche le più piccole espressioni di quel volto tanto amato. Di come, quando era nervosa, si mordicchiava le unghie, ormai rovinate anche dalle battaglie, o come quando si imbarazzava, e distoglieva immediatamente lo sguardo. Era fiera, la sua Charlotte.
«Charlotte, rimettiti a letto» le mormorò. Le mise le mani sulle spalle e la portò di nuovo giù. In caso normale, lei non glielo avrebbe mai permesso, ma stava male quindi si lasciò cadere, accarezzando distrattamente le mani di Henry sulle proprie spalle.
«Vieni qui» gli disse, invece.
Henry si tolse le scarpe e scostò le coperte, mettendosi così anche lui a letto. Mise un braccio attorno alle spalle della moglie, traendola a sé. Bruciava di febbre. «Per l'Angelo, Lottie. Stai bruciando..»
«Sciocchezze» fece lei, puntigliosa. «E' solo una banale influenza. Domani starò meglio.»
Henry alzò gli occhi al soffitto. «Certo. Ora riposa»
Passò un tempo infinito, nel quale Henry pensò che Charlotte si fosse addormentata tra le sue braccia, ma a un certo punto sentì le sue mani, fredde per l'influenza, sulla guancia. Sobbalzò.
«Henry» fece lei, guardandolo. Gli occhi marroni brillanti come due gemme.
«Charlotte! Mi hai spaventato» sospirò lui.
Lei fece un sorriso. Quel sorriso. Quello segreto, che condivideva solo con lui, e nemmeno così tanto spesso. «Aspetto un bambino»
 
«Avete idea di quanto questo sia imbarazzante?»
Simon, con i ritrovati pantaloni, stava in testa al gruppo. Subito dietro stavano Clary e Alec, entrambi preoccupati alla stessa maniera. Era strano. Una volta, Alec aveva amato Jace come lei lo amava in quel momento, e adesso era lì a cercarlo insieme a lei, come un fratello preoccupato. Alec Lightwood le piaceva ogni giorno di più.
Dietro di loro Tessa e Isabelle stavano avendo un'accesa discussione sulla rispettiva opinione di rispettabilità. Clary le aveva ignorate da principio. Jem e Will chiudevano il gruppo strampalato. Stavano sghignazzando su qualcosa, ma Clary li stava ignorando. Non le piaceva quando Jace spariva nel nulla. Le dava un fastidioso senso di mancanza, quasi le avessero strappato un braccio.
Erano a Gloucester Road, a girare in tondo da qualcosa come mezz'ora. Si mordicchiava nervosamente le unghie, guardando Simon andare in giro seguendo il suo inquietante fiuto vampiresco. «Mi dispiace Simon» gli disse, sincera. «Potrai prendertela con Jace, appena lo ritroviamo»
Lui scosse appena le spalle, raddrizzandosi. «Ho l'impressione che farei qualunque cosa, per te.»
Lei gli sorrise appena, anche se lui era voltato. «Anch'io, per te.» mormorò, e lo vide sorridere appena.
Clary lanciò un'occhiata ad Alec, al suo fianco. Indossava la tenuta da cacciatore, lui che poteva, e aveva infilato le mani nelle tasche per proteggerle dal freddo. Sembrava piuttosto nervoso, ma non preoccupato. Le sue spalle erano rilassate, sotto la giacca pesante.
«Alec?» lui si voltò appena, verso di lei inarcando un sopracciglio scuro con curiosità. Clary l'aveva visto fare abbastanza spesso a Magnus da capire da chi avesse preso quel gesto. «Non sei..preoccupato?»
Il ragazzo la guardò con interesse per qualche secondo, prima di parlare. «Io sono sempre preoccupato per Jace» rispose, con appena un accenno di sorriso sulle labbra. Clary si ritrovò a pensare che Alec era proprio un bel ragazzo, quando sorrideva. «Ma se intendi nello specifico di questo momento, no.»
 La ragazza aggrottò le sopracciglia, confusa.  «Perché no?»
Alec le sorrise compiaciuto. «Non hai ancora finito di studiare il codice, vero?»
Clary arrossì. «Mi mancano giusto un paio di capitoli» mormorò imbarazzata.
«Beh» cominciò lui. «Quando lo finirai, scoprirai che i parabatai sono molto più legati di quello che credi.» Nonostante il freddo, si tolse la giacca pesante e scostò la maglietta, mostrando un marchio scuro sulla spalla. Una semplice linea ricurva a cui se ne intrecciava un'altra. Aveva una vaga luminosità, come un vaso di lucciole coperto da un telo. «Io so sempre come sta Jace. Sempre. »
La ragazza sentì mancargli un battito. Così Alec aveva sentito quando Jace è morto, nel bel mezzo della battaglia di Idris. Non riusciva a pensare a una consapevolezza peggiore al mondo. Sentire morire il tuo migliore amico, mentre tu non puoi fare niente. Poco importava che poi Jace fosse sopravvissuto. Alec lo aveva sentito morire. Guardò Alec che ora fissava dritto davanti a sé, dopo essersi rimesso la giacca. Aveva la mascella contratta. Chissà se era a quello che stava pensando.
«Comunque» disse, tornando a guardarla. «Nel caso ti interessasse saperlo, adesso è parecchio incazzato»
Clary sentì le sue labbra tendersi verso l'alto, e Will sogghignare. La ragazza lo zittì con un'occhiataccia prima che lui potesse dire una delle sue solite cretinate tipiche degli Herondale.
«Oh andiamo, Clarissa» fece lui in tono scherzoso. «Sarà da qualche parte a intrattenere giovani fanciulle piene di speranze..»
Clary gli fece un dolce sorriso. «Qualunque cosa esca dalle tue belle labbra, Will, non vale la mia attenzione. A meno che non sia l'attuale ubicazione di Jace.» "Ubicazione"? E da quando lei usava termini come ubicazione? Scosse le spalle, come per scrollarsi qualcosa di dosso. Doveva tornare nel suo secolo, e alla svelta.
Will fece un sonoro schiocco con la lingua. «Belle labbra?»
Lo sguardo di Clary si addolcì, mentre si posava sulla labbra rosse del ragazzo. Erano quel tipo di labbra che avresti voluto baciare per sempre, rosse e piene, morbide e vellutate al tatto. «Sono uguali a quelle di Jace.» e, detto questo, si voltò e  si affiancò a Simon. Will non disse niente, ma Clary sentì comunque il suo sguardo premerle sulla schiena.
All'improvviso, Simon si fermò. Storse il naso, come se avesse sentito un odore tremendo. «Sento superbia e un cipiglio di arroganza...»
Jem scosse le spalle con noncuranza. «Sarà Will»
Simon rise. «Ha un vago sentore di metallo e prodotti chimici»
Gli occhi grigi di Tessa brillarono nel buio della profonda notte Londinese. «New York» mormorò, quasi tra sé.
Il cuore di Clary si gonfiò quasi fino a farle male. «Jace» sussurrò. Simon scattò e Clary lo seguì d'istinto. Corsero per diversi minuti, sfrecciando tra le strade sporche e piene di ogni schifezza possibile e immaginabile. Il ragazzo si fermò all'improvviso in mezzo alla strada. Clary non se ne accorse e gli finì addosso, ruzzolando insieme sulla strada acciottolata. Clary finì con la fronte sul petto di Simon, le mani sulle sue braccia in una posizione alquanto ambigua. «Ahi!» gemette Simon, quando lei si rialzò massaggiandosi la fronte. Il petto di Simon era più duro di quanto ricordasse. «Fa' attenzione, Fray!»
Clary sgranò gli occhi. «Come mi hai chiamata?»
Anche Simon fu sconvolto dalle sue stesse parole. Si tirò a sedere, reggendosi sui palmi delle mani. «Clary Fray» ripetè, come assaporando le parole.
La ragazza fece un debole sorriso. «Non mi chiamavi così da una vita»
Furono interrotti dal resto del gruppo, che arrivò subito dopo, trovandoli seduti a guardarsi scioccati e un po' sollevati, nel buio della notte. «Allora?» chiese Will, evidentemente scocciato.
Simon si riscosse, e indicò il palazzo alla loro destra. Era come una di quelle vecchie fotografie ad effetto seppia. Il palazzo era fatto di pietra con le mattonelle sporgenti, di un color grigio scuro. Delle scalette portavano alla porta d'ingresso, che si stagliava grande nella parete, composta da delle porte scorrevoli di legno scuro. Ai lati della porta, due grosse lampade tonde gettavano un bagliore giallastro sulle scale e sulla strada e, sopra di essa, c'era un cartello di legno lucido, decorato finemente nei bordi, ma rovinato da tempo e pioggia.
Scotland Yard era inciso in grandi lettere nere su di esso.
Isabelle fece una risatina nervosa. «Chissà perché, ma lo sapevo che prima o poi si sarebbe fatto arrestare.»
Clary, al fianco della ragazza, scosse le spalle. «Non è una sorpresa, in effetti.»
Entrarono all'interno. Era piuttosto affollato, nonostante fosse ormai mezzanotte passata. C'erano diversi mondani evidentemente sbronzi e rumorosi, oltre ai poliziotti in divisa vittoriana (A Clary prudevano le mani per la voglia di disegnarla), con cappello a campana e pesanti mantelli di un bel colore blu notte.
All'improvviso le venne il desiderio di indossarne una. I capelli rossi che le sfuggivano dal berretto, e il mantello che le arrivava fin quasi alle caviglie, con i bottoni sulla clavicola.
Okey, il risultato era orrendo, lo ammetteva. Ma sarebbe stata più a suo agio che con quel fastidioso corsetto. Non poteva indossare la tenuta da cacciatrice per andare in giro. Dannato diciannovesimo secolo. La parte meno nobile di lei pensava, però, che lo strettissimo corsetto facesse sembrare la sua seconda scarsa una terza abbondante.
Will si fece avanti, schiarendosi la voce. «Lasciate fare a me»
Tessa gli lanciò un'occhiata scettica, ma non disse nulla. Will si lanciò in avanti verso il bancone più vicino, dietro il quale c'era una ragazza con dei grossi occhiali a fondo di bottiglia e capelli scuri. Aveva anche lei la divisa da poliziotto, ma con sotto una lunghissima gonna scura. Clary alzò gli occhi al cielo. Dannate teiere giganti.
«Mi scusi» disse Will, con un tono molto basso e dolce. La ragazza al bancone alzò lo sguardo su di lui, arrossendo di colpo. Clary sentì distintamente Tessa trattenere il fiato, al suo fianco. «Sto cercando mio cugino. È alto più o meno così» e indicò l'altezza con una mano. Nel farlo, aveva sfiorato distrattamente, la mano della ragazza, che era arrossita completamente, ancora incapace di dire alcunché, se non guardare Will inebetita. Tessa, Clary e Isabelle la capivano perfettamente. «è biondo, con occhi castano chiaro e la pelle pallida. Di certo non è bello come me» e fece un risolino leggero, che avrebbe fatto scogliere anche un cuore di pietra.
La ragazza sembrò ritrovare l'uso della parola. «Credo..» si schiarì la voce con forza. «Credo che lei stia cercando il ragazzo che ha portato il signor Harriet.» indicò un poliziotto in fondo alla stanza, con un grosso pancione dei folti baffi che Clary immaginò passasse tutto il tempo ad attorcigliarsi. «Ha urlato parecchio, arrivando qui» aggiunse la ragazza. «Imprecava e si dibatteva dalle manette. Hanno dovuto legarlo con le corde per farlo stare fermo.»
E, come a confermare le parole della ragazza, una voce maschile familiare arrivò chiara, limpida e incazzata alle orecchie di Clary. «Ma avete mai dato una pulita qua sotto? Credo che pure i funghi abbiano i funghi!»
Clary fece un bel sospiro di sollievo. «E' lui.» fece Will alla ragazza, sempre sorridendole. «Possiamo vederlo?» le chiese, con voce civettuola.
E, chiaramente, la poliziotta non potè che annuire sommessa. Si alzò, prendendo un anello con appese almeno una dozzina di piccole chiavi di ferro e fece cenno loro di seguirla.
  
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