Mi ero svegliato bene. Non dico felice, è una parola che
mi ha abbandonato da un po'. Ma ero tranquillo, ecco. Il solito pugno nello
stomaco che mi colpisce cinque secondi dopo essermi svegliato, quando esco dal
mondo dei sogni ed entro in questo ricordandomi ciò che non è più. Ma questa
volta un pugno leggero, quasi il buffetto di un amico, quasi necessario per
ricordarti che sei al mondo e che devi andare avanti. Alzato da letto mi ero
fatto la barba, avevo fatto colazione, mi ero lavato i denti: quasi tutto come
allora. Una buona giornata insomma dalle premesse.
Poi mi ero infilato il cappotto ed ero uscito. Le chiavi dell'auto in una mano,
il portafoglio nell'altra, che mi infilo in tasca mentre scendo con l'ascensore.
Fuori il tempo era cupo e minacciava di peggiorare, ma cosa non rischia di farlo
oggi? Entrato in auto ho guidato per un paio di chilometri senza incontrare
traffico, poi avvicinandomi alla città la velocità è diminuita, ho scalato le
marce, fino a fermarmi, come sempre. In ufficio ho lavorato: niente di più
niente di meno. Senza troppi stimoli, ma, diciamolo, non c'erano nemmeno prima.
Senza scambiare molte parole con i colleghi: ormai credo ci abbiano rinunciato.
Una giornata normale insomma, normale per questo periodo, di quelle migliori,
anzi, di questo periodo: la testa sufficientemente impegnata ma non troppo per
deprimermi e convincermi che anche questo è uno sforzo troppo grande da
affrontare.
Poi a pranzo sono uscito. Il tempo era migliorato ed era uscito un pallido sole,
chi l'avrebbe detto? La cosa mi aveva infuso una stilla di ottimismo che mi
sentivo di cavalcare. Al bar in strada avevo acquistato un panino e una
bottiglia d'acqua naturale. Per un attimo avevo pensato di comprare anche un
gelato, ma mi sembrava una gratifica eccessiva per il mio stato d'animo. Seduto
su di una panchina nel parco di fianco all'ufficio guardavo il cielo che si
andava rischiarando sempre più e aprivo idealmente il mio corpo per far entrare
il tepore di quel momento. L'ammetto, per un attimo forse ho anche sorriso.
Poi ho abbassato il viso e guardato davanti a me, e l'ho vista, e tutto è
crollato. Sarà stata a meno di una decina di metri. Era stupenda, come la
ricordavo, no era ancora più bella! Quei suoi capelli biondi che iniziavano a
farsi lunghi, quegli occhi azzurri come il cielo che stavo osservando un attimo
fa. E quella pelle candida! Era un sogno, era il mio sogno, un tempo. Ricordo la
prima volta che l'avevo vista: mi aveva fissato con i suoi occhi candidi,
puntati dritti nei miei, senza volgere il viso di un centimetro, aveva retto il
mio sguardo e mi aveva obbligato a distoglierlo. Poi mi aveva stretto la mano e
io non l'avevo lasciata più. Poi erano trascorsi due anni, solo due anni, e
tutto si era sgretolato. Ma io l'amavo ancora, l'amavo di più, l'avrei sempre
amata perchè altro non avrei saputo fare. In quel momento lui, che le stava a
fianco, si era accorto della mia presenza. Ci siamo puntati come due gatti
pronti ad azzuffarsi. Ma non è successo nulla. Io ho già lottato, ed ho perso.
Ho perso tutto. Si, la vedo ancora ogni tanto ma non è più la stessa cosa. Non
lo sarà mai più.
Era ora di tornare in ufficio. Mi alzai e mi incamminai. Lui aveva già girato la
carrozzina allontanando da me il mio angelo, che forse non avrebbe mai imparato
a chiamarmi papà.