Film > I fantastici quattro
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Autore: Artemis Black    10/11/2012    1 recensioni
"Io sono figlia del ghiaccio: pelle candida, capelli corvini e occhi di ghiaccio.
Il mio tocco può congelare la vita, preservarla o ucciderla.
Era un giorno qualsiasi della mia vita, quando tutto cambiò. Quando tutto si fece freddo e azzurro. [...]
Dicono che la vendetta non serve a niente. Si sbagliano, o almeno chi lo dice non ha mai passato un inferno come il mio. Non sanno che quando ti viene portato via tutto, la rabbia dentro di te cresce fino ad esplodere. Non sanno che quando si vede la paura, che si ha provato, riflettere negli occhi del vostro aguzzino, un brivido di euforia percorre il tuo corpo e ne nutre l’anima, lacerandola.
La vendetta serve a far capire chi ha vinto veramente."
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Una serie di sfortunati eventi.

Sitting in the dark, I can’t forget.
Even now, I realize the time I’ll never get.
Another story of the Bitter Pills of Fate.
I can’t go back again.

Avevo lasciato il cestello in cucina ed ero corsa in bagno.
Presi il kit di primo soccorso e mi tolsi la felpa nera impregnata di sangue.
Mi fasciai stretta la spalla e il sangue sembrò fermarsi, poi mi venne in mente un’idea: misi una mano sulla ferita bendata e la congelai.
Poteva andare, almeno per la serata. Non potevo assolutamente mancare al lavoro, altrimenti non mi avrebbero pagato e le bollette di certo non si pagavano da sole.
Guidare si era rivelato un grande sbaglio, per poco non provocai un’incidente.
Quando arrivai al lavoro, chiesi ad Amy di coprirmi per 5 minuti. Andai nella toilette per controllare la ferita, che nel frattempo si era riaperta.
Le bende erano zuppe di sangue. Le cambiai e poi riprovai a congelare la spalla, almeno avrebbe tenuto per qualche ora.
Era assurdo che i miei poteri su di me non funzionassero.
Ah, e per giunta avevo tradito la promessa che mi ero fatta: non usare i poteri.
Che bella giornata.
“Ehi, tutto apposto?” mi chiese Amy.
“Si, tutto ok.” Dissi.
“Sicura? Sei pallida.” Disse e poggiò una mano sulla mia spalla.
Una fitta di dolore per poco non mi fece cascare, mi appoggiai con forza al bancone e strinsi i denti.
“Si.” Dissi a denti stretti.
“Ehi Biancaneve, me lo prepari un mojito?” era il biondino.
Alzai il viso e trattenni un smorfia di dolore.
“Subito.” Risposi.
“Tutto apposto?” disse accigliato.
“Una meraviglia!” gli risposi.
Non riuscivo a usare il braccio destro per il male alla spalla. Impiegai tantissimo tempo per fare un semplice drink e quando glielo porsi, feci attenzione a non toccare le sue mani.
Un giramento di testa mi provocò la nausea.
Le mie gambe non mi reggevano più.
Mi affrettai verso il retro del locale e quando uscii, mi accasciai a terra priva di forze.
Sbattevo gli occhi per rimanere lucida. Mi toccai la ferita e la felpa cominciava a impregnarsi del mio sangue.
“Tu non stai affatto bene.” Disse una voce, ma la mia vista era così offuscata che non riconobbi chi mi prese in braccio.
“Sto.. bene… so cavarmela da sola.” Furono le ultime parole che pronunciai.
 
L’odore di carne bruciata mi dava il voltastomaco. Sangue ovunque, la morte la faceva da padrone in quella stanza. 
“Jessica?!” dissi incerta.
Il suo volto sfigurato mi fece rizzare i capelli, gli occhi sbarrati di Rick mi fecero urlare come una forsennata e la testa deforme di James mi fece vomitare. 
Mi sveglia di botto con quelle immagini raccapriccianti ben impresse nella mia mente.
“Era solo un sogno.” Dissi.
Poi mi guardai attorno… non ero nella mia stanza. Ero sdraiata in un lettone con la spalla fasciata e dei vestiti puliti addosso.
Il dolore alla spalla era diminuito notevolmente oltre al fatto che la ferita non sanguinasse più. La stanza era pittura di un color bronzo troppo appariscente per i miei gusti, per non parlare della vetrata immensa che c’era affianco al letto: la vista era spettacolare, ma per una come me che soffriva di vertigini, non era il massimo. Scesi dal letto e feci caso alla temperatura della stanza: era afosa (per me) ed era quasi insopportabile. Andai nel bagno e mi sciacquai il viso con la mano sinistra e mi specchiai: i capelli erano un disastro per non parlare della mia pelle, più bianca del solito.
Avevo indosso una camicia da notte di seta nera, che arrivava a metà coscia e terminava con un bordo di pizzo. Mi sentivo in leggero disagio ad indossarla, così aprii il primo cassetto di un mobile e vi trovai delle magliette da uomo. Ne indossai una a caso che mi arrivava quasi al ginocchio.
Uscii dalla stanza e mi ritrovai in un corridoio con altre porte. Alla fine del corridoio c'era la cucina che era un tutt'uno con il salone.
Mi poggiai al bancone poichè un capogiro mi aveva colto alla sprovvista.
"Ehi, dovresti rimanere a letto." disse un uomo.
Mi girai e vidi dietro di me un uomo sulla trentina con i capelli mezzi bianchi.
"Lo scienziato..." sussurrai.
"Sei informata." disse e allungo, letteralmente, la mano verso la mia.
"Piacere, dottor Reed Richard." disse stringendomi la mano.
"Meglio noto come Mister Fantastic!" disse una donna bionda che apparve alle sue spalle.
"Sono Susan Storm, sua moglie." si presentó.
"Nonchè la donna invisibile." disse Reed, schioccandole un bacio sulla guancia.
"Ehm, io sono Evelyn Smith... Barista part-time." Dissi sarcastica.
"Come fa una barista a beccarsi una pallottola ad una spalla?!" disse Reed interdetto.
Rimasi spiazzata.
"Reed, non metterla a disagio." gli sussurró Sue.
"Il minimo è darci una spiegazione dopo che Johnny ce l' ha portata a casa moribonda." le rispose Reed.
"Ha ragione." dissi e gli spiegai cosa mi era successo, ma omettendo la parte in cui usavo i miei poteri.
“Oh… capisco.” Disse la donna.
“Ehm… una domanda.” Dissi imbarazzata guardandomi la felpa.
“Oh! Tranquilla, sono stata io a cambiarti i vestiti, gli altri erano macchiati di sangue.” Disse Susan facendomi l’occhiolino.
“Grazie Susan.” Dissi.
“Chiamami Sue! Reed, caro, dobbiamo andare.” Disse lei rivolgendosi al marito.
“Certo!” le rispose lui.
“Noi abbiamo da fare, ma Johnny sarà a casa tra poco. Tu va a sdraiarti che è meglio.” Disse Sue portandomi in camera.
Volevo oppormi, ma non lo feci. D’altronde non volevo sembrare maleducata e irrispettosa nei loro confronti.
Una volta che furono usciti, mi fiondai in cucina in cerca di cibo.
Quando aprii il frigo e sentii il fresco fuoriuscire, avvicinai il mio viso per godere di quella leggera brezza che mi donava sollievo.
“Se vuoi mangiare, ho preso delle ciambelle e dei pretzel caldi.” Disse una voce.
Colta in flagrante, chiusi il frigo di scatto e mi girai verso colui che mi aveva parlato.
“Quella maglietta mi è familiare… Ne avevo una identica quando giocavo a football al liceo!” disse sorridendomi.
Arrossii violentemente e cercai di allungare la maglia con le mani.
“L’ho presa in prestito.” Dissi.
“Puoi tenerla se ti piace.” Disse e si tolse il cappotto.
“Come stai?” disse avvicinandosi a me.
La sua presenza mi surriscaldava in tutti i sensi: non solo perché emanava calore in modo diverso dagli altri, ma c’era qualcosa che mi metteva a disagio.
Stava per avvicinare una mano alla mia spalla quando indietreggiai istintivamente.
“Voglio soltanto controllare la ferita.” Disse.
“Non ci siamo ancora conosciuti e già vuoi togliermi i vestiti di dosso?” ma che diavolo avevo detto?!
Scoppiò a ridere come un bambino.
“Piacere, Johnny Storm meglio noto come La Torcia.” Disse lui, vantandosi.
“Evelyn Smith…” dissi.
“Mi fai controllare la ferita?!” disse lui.
Ci sedemmo sul divano, io di spalle a lui e quando mi alzò la maglietta per slegare le bende, la sua pelle rovente toccò la mia.
“Sei congelata.” disse lui.
 “Si, è la mia temperatura normale.” Risposi.
“O forse era colpa di quella lastra di ghiaccio che avevi sopra la ferita ieri sera quando ti ho soccorsa.” Disse lui.
Dannazione.
“Ma che dici?!” dissi, cercando di sviare il discorso.
“Come hai fatto a… insomma, avevi una lastra di ghiaccio!” disse lui sbalordito.
“Non lo so.” Dissi fredda.
“Non lo sai o non lo vuoi dire?” mi chiese mentre mi riabbassava la maglia.
“Forse entrambe.” Ammisi.
Johnny si alzò dal divano e mi passò accanto.
“Il tuo cellulare è da ieri sera che squilla.” Disse porgendomelo.
“Dannazione!” dissi prendendo in mano.
C’erano svariate chiamate di Mary, di mia nonna e di Joe.
Per prima chiamai mia nonna per tranquillizzarla e poi chiamai Joe.
“Evelyn! Ieri sera dove ti eri cacciata?” mi chiese infuriato.
“Ecco io, non mi sono sentita bene.” Dissi mentre cercavo di inventarmi una scusa più plausibile.
“Oh signorina hai oltrepassato il limite! Non presentarti stasera e mai più, sei licenziata!” disse attaccandomi in faccia.
“No! Aspetti!” dissi invano.
Imprecai.
“Che ragazza fine.” Mi sentii dire alle spalle dal biondino.
Lo fulminai con lo sguardo e mi fiondai in camera in cerca dei miei vestiti.
“Non puoi andare in giro con i vestiti impregnati di sangue.” Disse lui seguendomi.
“Non hai nient’altro di meglio da fare che seguirmi?” gli chiesi acida.
“Sai, questa è casa mia e faccio quello che voglio!” mi rispose.
Non aveva tutti i torti.
“Senti, io ti ringrazio infinitamente per avermi… aiutato ieri sera, ma adesso devo andare e mi servono dei vestiti.” Dissi schietta.
Lui sparì dall’uscio della porta e riapparve poco dopo con dei vestiti femminili in mano.
“Problemi a lavoro?” mi chiese mentre me li dava.
“Quale lavoro? Non ho più un lavoro.” Dissi amaramente.
“Se vuoi posso parlare con il proprietario per farti riavere il lavoro… Ho una certa influenza.” Disse lui vantandosi.
“Non ho bisogno del tuo aiuto, non più. Ti sono grata per ieri sera, ma le nostre strade adesso si separano.” Dissi.
“Come vuoi.” Mi rispose e chiuse la porta.
Mi vestii velocemente con il paio di jeans, la maglia a maniche lunga nera e il chiodo rosso che mi aveva dato Johnny.
-Le chiavi della moto!- mi venne in mente.
Uscii dalla stanza e andai in cerca del biondino.
“Johnny?!” lo chiamai.
In sala non c’era e quindi neanche in cucina, nelle altre stanze non c’era perciò andai fuori sul terrazzo.
“Johnny!” lo vidi sull’orlo del cornicione, poco prima che si buttasse  giù.
“O mio dio!” urlai.
Mi avvicinai e guardai di sotto: sparito.
In più, soffrendo di vertigini, un capogiro mi colse alla sprovvista e indietreggiai, inciampando sui miei stessi piedi, finendo con il sedere a terra.
“Tutto ok?” mi chiese.
“Si, cer- Cristo!” imprecai.
Johnny era completamente avvolto da delle fiamme: ecco La Torcia, signori e signore.
“Ti ho spaventato?” mi chiese avvicinandosi.
“No, no.” Dissi deglutendo rumorosamente.
Si avvicinò a me e io indietreggiai.
Mi guardò strano ed imperterrito avanzò verso di me. Indietreggiai fino a sbattere al muro della casa.
“Dove sono le chiavi della mia moto?” chiesi, cercando di distrarlo.
La sua forma infuocata, mi stava facendo mancare il respiro.
“Sul tavolo della sala.” Rispose e riuscii a scorgere un ghigno in mezzo a quel fuoco vivente.
“Scusa, ora devo andare. A quanto pare hanno bisogno di me!” mi disse e volò via.
Appena scomparve dalla mia vista, tirai un sospiro di sollievo e ripresi a respirare regolarmente. Presi al volo le chiavi e mi fiondai verso l’ascensore.
“Evelyn! Già vai via?” Susan uscì dall’ascensore.
“Ehm si, ho da fare.” Dissi nervosa.
“Vuoi un passaggio? Ti serve qualcosa? La ferita è apposto?” mi chiese a raffica.
“Tutto ok, ho la moto e devo proprio andare adesso.” Dissi impaziente.
“Oh ok! Rimaniamo in contatto, mi raccomando. Stammi bene.” Mi disse sorridendomi.
“Certo, addio.” Dissi e spinsi il bottone del pian terreno dell’ascensore.
Finalmente ero uscita da quella casa di pazzi. Eppure qualcosa mi diceva che non sarebbe stata l’ultima volta che li avrei visti.
Sfrecciai verso casa con l’acceleratore al massimo. In meno di dieci minuti mi ritrovai a casa.
“Evelyn! Mi hai fatto stare in pensiero, potevi almeno avvertire!” mi disse mia nonna.
“Lo so, nonna. Mi dispiace tantissimo! Ma adesso devo scappare a lavoro, se no farò tardi.” Gli dissi schioccandole un bacio sulla guancia.
“Ah ragazza mia! Tu mi farai uscire matta!” disse mentre io uscivo di casa.
Quando arrivai davanti l’edicola, la trovai stranamente chiusa.
Passai per il negozio di dolciumi della moglie di Harris e anche questo era chiuso. Presi il cellulare e lo chiamai.
Uno, due, tre, al quarto squillo rispose una voce femminile.
“Ehm, cercavo Harris.” Dissi.
“Sei Evelyn? Ciao, sono la figlia di Harris, Amanda.” Mi disse.
“Ciao, senti io sono davanti l’edicola di tu padre ma non c’è nessuno.” risposi.
“Lo so, Evelyn. Devi sapere che… che mio padre è venuto a mancare ieri sera.” Mi disse con voce rotta.
“Cosa? Come?” chiesi frastornata.
“Un infarto…” mi rispose con un filo di voce.
“O mio… mi dispiace, davvero io non so…” mi passai una mano sui capelli.
Non era possibile. Non ci credevo.
“Domani faremo una piccola cerimonia al cimitero.” Mi informò.
“Oh si, non mancherò assolutamente. Condoglianze.” Dissi ancora incredula.
“Grazie Evelyn.” Mi rispose e poi attaccò.
Ero scioccata, emotivamente impreparata per affrontare un’altra morte. Saltai in sella e cominciai a girare a vuoto, senza una meta precisa. I miei pensieri galoppavano e la mia mente era ormai fottuta.
Era accaduto tutto in una notte, proprio come 3 anni fa.
Fermai la moto di fronte il pub in cui lavoravo ed entrai nel locale per vedere Amy.
“Evelyn! Mio dio!” disse appena mi vide.
“Ehi.” Feci un cenno con la testa.
“Il capo è furioso, lo sai?!” mi disse mentre puliva dei bicchieri.
“Veramente mi ha già licenziata, stamattina.” Dissi alzando le spalle.
“Oh…” mi rispose.
“E inoltre il proprietario dell’edicola in cui lavoravo è morto ieri sera per infarto e adesso io mi ritrovo senza uno straccio di lavoro e per di più siamo a fine mese, il che vuol dire bollette in arrivo ed io ho zero contante.” Sputai tutto fuori.
“Sai che ti ci vuole?” mi disse lei sorridendomi.
“Un super-alcolico!” replicai.
“Esattamente! Questo lo offre la casa.” Mi disse mentre mescolava i vari tipi di alcolici in un unico mixer.
“Con tanto ghiaccio.” Gli dissi.
Quando mi passò il bicchiere, buttai giù tutto senza prendere fiato.
“Uuuh! Ragazza tosta!” sentii quella voce alle spalle.
“Non ci posso credere.” Dissi alzando gli occhi al cielo.
“Felice di rivederti anche a te, Evelyn.” Mi disse accomodandosi affianco a me.
“Non mi presenti il tuo nuovo amico?!” mi chiese Amy.
“Johnny, Amy. Amy, Johnny.” Dissi.
“Sapevo già chi era, la presentazione era pura formalità.” Disse Amy sbattendo le ciglia.
Ci stava forse provando?!
“Vedi, a qualcuno piace la mia presenza.” Mi disse Johnny, inumidendosi le labbra.
“Ma fammi il piacere… secondo giro.” Dissi ad Amy.
“Questo però-“
“Non lo paga la casa, lo so.” La interruppi.
E anche il secondo lo buttai giù, mentre Johnny ed Amy conversavano allegramente.
Mi alzai dallo sgabello e me ne andai, stufa di vedere quei due flirtare spensierati mentre io ero incasinata fino al collo.
“Ehi! Aspetta! Non puoi guidare nelle tue condizioni.” Mi disse il biondino rincorrendomi.
“Non sei la mia balia!” gli dissi.
“Non ti lascio guidare in queste condizioni.” Disse sedendosi sopra la mia moto.
Sbuffai ed alzai gli occhi al cielo.
“Senti è una giornata di merda per me! Tu non hai nulla da fare che seguirmi?” sbottai.
“Mmm si in effetti avrei da fare.” Disse mettendosi una mano sul mento.
“Perfetto! Adesso scendi dalla mia moto.” Dissi con un sorriso falso.
“No.” Mi rispose sorridendo.
Mi stava dando i nervi.
“Vorrei andare a casa, se non ti dispiace.” Incrociai le braccia.
“Ok, dammi le chiavi ti ci porto io.” Disse.
“Cosa? La mia moto la guido solo io.” Dissi.
Lui rimase impassibile.
“E va bene!” dissi dandogli le chiavi.
Un sorriso sbilenco comparve sul suo viso e mi fece avvampare.
“Reggiti forte!” disse scherzando.
Salii in sella dietro di lui e con imbarazzo strinsi le mie braccia intorno alla sua vita. Fortuna che lui era girato in avanti e non poteva vedere la mia faccia rosso peperone.
Gli dissi, a mio malgrado, dove abitavo e poi partimmo.
Se io ero un pericolo pubblico a guidare, a lui dovevano proprio togliergliela la patente! Più e più volte sorpassava con una velocità inaudita e per poco non rischiavamo un frontale con un tir.
Quando scesi dalla moto, gli strappai le chiavi di mano e lo fulminai con uno sguardo torvo.
Una fitta di dolore alla spalla mi mozzò il fiato.
 “Ehi?” disse Johnny.
“Credo che la ferita si sia riaperta.” Dissi a denti stretti.
“Entriamo in casa, devo vederla.” Mi disse.
“No!” replicai.
Mi guardò con un grade punto interrogativo disegnato sulla fronte.
“C’è mia nonna.” Dissi imbarazzata.
“O mio dio… digli che sono il tuo ragazzo!” disse lui.
“Neanche morta!” risposi.
“Evelyn devo vederti la ferita.” Mi disse serio.
Sbuffai ed aprii la porta di casa con molta calma.
“Evelyn?”
Ed io che pensavo di entrare di nascosto e sgattaiolare in camera in silenzio.
“Si nonna?” risposi.
“Ma non dovevi andare a lavoro?” disse venendomi incontro.
“Ehm no, ecco… c’è stato un disguido.” Le risposi.
“Ah capito… chi è questo giovanotto?” mi chiese, guardandomi.
“Sono il suo ragazzo, piacere di conoscerla signora.” Disse Johnny con un sorriso smagliante.
Lo fulminai con lo sguardo e nel frattempo mi maledicevo per averlo portato con me.
“Oh! Evelyn, non mi avevi mai detto che avevi un fidanzato.” Mi disse la nonna.
“Ehm no, ecco…” mi grattai la nuca in cerca di qualche scusa.
“Sono passato solamente per prendere il computer di sua nipote, dice che non gli funziona così pensavo di dargli un’occhiata.” Disse lui, molto languido.
“Ma che ragazzo gentile!” disse la nonna sorridendogli.
Anche mia nonna era stata ammaliata dal biondino dagli occhi azzurri con un sorriso da far svenire.
“Se non le dispiace…” disse lui avviandosi verso le scale.
“Ma certo che no!” disse la nonna.
“Seconda porta a sinistra.” Dissi io, seguendolo a ruota.
“Evelyn, aspetta un momento…” disse la nonna.            
“Cosa c’è?” la spalla cominciava a pulsare e a dolere sempre di più.
“Mi raccomando, vedi che puoi fare con quel giovanotto… sempre simpatico e a modo, trattalo bene.” Mi disse.
Mia nonna era sempre stata dell’idea che io e James saremmo stati bene insieme, le era sempre piaciuto e spesso mi diceva di portarlo a casa. Ma lei non sapeva che James era morto adesso. Le avevo detto che si era trasferito in Europa.
“Certamente nonna.” Le dissi rassicurandola.
Salii le scale di corsa e andai in bagno per prendere il kit di primo soccorso. In camera, Johnny mi stava aspettando seduto sul letto.
“Sei bianca cadaverica.” Disse guardandomi in viso.
Mi tolsi il giacchetto e la maglia con il suo aiuto, la ferita aveva ripreso a sanguinare.
“Sei riuscita a farti saltare i punti.” Disse lui irritato.
Prese un paio di forbici piccole che c’erano nel kit e cominciò a togliere i punti che ormai si erano rotti.
“Questa dovrebbe far male.” Disse.
Ad ogni punto tolto, il dolore cresceva e il bruciore diventava sempre più insopportabile.
“Fa qualcosa!” dissi digrignando i denti.
“Non sono un medico! Devo portarti da Reed.” Disse.
Prese le bende e cominciò a stringerle forti intorno alla spalla per cercare di fermare il flusso di sangue. Mi aiutò a mettere una felpa e poi un giacchetto che mi avrebbero tenuto al caldo.
“No… non mi servono.” Dissi.
“Devi metterli altrimenti ti raffreddi.” Insisté.
“Oh, non preoccuparti…” dissi.
 “Di a mia nonna che stiamo uscendo.” Gli dissi mentre mi incamminavo velocemente verso le scale. Stavo per venire a meno del giuramento che avevo fatto. Imposi una mano sulla spalla e in meno di un secondo una spessa lastra di ghiaccio si era formata su di essa, poi indossai il giacchetto.  Uscii di casa e Johnny mi seguì a ruota.
Saltammo in moto e in men che non si dica fummo di fronte al Baxter Building.
“Non ce la faccio a camminare.” Dissi appena pocciai un piede a terra. Se non ci fosse stato Johnny a sorreggermi, sarei caduta a terra.
Mi prese in braccio e mi portò dentro. La mia vista era sfocata e la spalla mi doleva da morire.
L’ultima cosa che vidi furono gli occhi preoccupati di Sue e Reed, ed uno strano omaccione arancione. 

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Buongiorno!
Eccoci giunti al terzo capitolo :)
Le cose per Evelyn cominciano a mettersi male e presto avrà bisogno dell'aiuto dei Fantastici 4, lo accetterà? Chi lo sa u.u
Inoltre fino adesso non ho ricevuto nessuna recensione anche se le visualizzazioni sono alte, perciò fatemi sapere che ne pensate (anche due paroline, ma saranno utili per una come me che è paranoica e rilegge i capitoli tremila volte prima di pubblicarli xD)
La citazione è tratta dalla canzone Dead Memories dei Slipknot, stavolta l'ho azzeccata bene!
See you soon,
Artemis Black

  
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