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Autore: BlackKay97    10/11/2012    9 recensioni
C’è un solo semidio che ha deciso di rinascere tre volte: Luke Castellan.
A quattordici anni Luke Reasonson, sua seconda vita, scopre di essere un semidio e si imbarca, suo malgrado, in una missione che lo condurrà ad oscure verità su sé stesso e sul suo destino. Potrebbe essere la maledizione vivente che porterà alla fine del mondo.
Contemporaneamente il divino Hermes rischia l’esilio al Tartaro nel tentativo di salvarlo dall’ira dei fratelli e del padre che ritengono Luke debba morire: è troppo potente per essere un semidio. Eppure il dio dei ladri pare aver notato qualcosa che agli altri sarebbe sfuggito.
Scritta da: Kay
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ermes, Gli Dèi, Luke Castellan, Quasi tutti, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La Signora O’Leary si era riposata e ci stava portando in groppa a gran velocità.
Thalia... una così non la si dimentica, fidatevi!
Pensavo a quando le avevo chiesto di venire con me e Travis. Lei aveva rifiutato dicendo che era al comando e non poteva assentarsi, specie per seguire due maschi. Travis poi mi aveva ripetuto chi erano le Cacciatrici e che cosa comportava loro quella scelta. Allora gli avevo chiesto se gli piaceva Phoebe e se per quel patto non potevano stare insieme, ma lui non mi rispose mai. Lo presi, di mia spontanea iniziativa, per un sì.
Ricorderò sempre lo sguardo deciso di Thalia quando mi parlava e quegli splendidi occhi che mandavano lampi. Quel look punk che mi dava alla testa su quel corpo meraviglioso. Era una ragazza intelligente e decisa, lo avevo visto in ogni suo movimento.
- Non farlo. - mi richiamò Travis.
- Non fare cosa? -
- Innamorarti di una di loro. Di una cacciatrice. -
- Non mi sono innamorato di una cacciatrice! - era vero. Trovavo Thalia semplicemente bellissima ed incredibilmente tosta come... beh... a me piacevano le tipe così, ma non ero innamorato! Non lo ero! ... O forse mi sbagliavo? Travis mi squadrò con la sua solita inespressività:- Spero tu abbia ragione. - in qualche modo capii che lo sperava per me.
Continuammo a sfrecciare sull’animale in silenzio, fino a che non mi decisi a porre una certa domanda. Una cosa che da quando mi avevano raccontato la mia precedente vita mi aveva sempre incuriosito. Era una domanda la cui risposta mi spaventava.
- Travis, scommetto che Luke Castellan ha tradito la tua fiducia. Perché allora non cerchi di strangolarmi come ha fatto Percy? -
- Lui ha rinunciato al suo proposito. -. Come al solito ero io a dovergli tirare fuori le parole di bocca, anzi, direttamente dal collo!
- Ok, ma tu non lo hai neanche avuto per la testa. Come mai? Che legame avevi con me... beh, con l’ex-me? -
- Forse un giorno lo capirai. - mi disse semplicemente. Continuai ad insistere per un altro quarto d’ora buono, ma non mi disse nulla di più e rinunciai a capirlo.

Calò la sera.
La signora O’Leary cominciava a non poterne più, così decidemmo di fermarci per la notte.
Lo ammetto: ero distrutto e per questo sollevato che avessimo deciso di fermarci un po’ perché la schiena del cane infernale... diciamo così: non era particolarmente comoda.
Travis continuava a far saettare lo sguardo da una parte all’altra, scrutando prima il cielo, ora la terra. Mi strinsi alle ginocchia cominciando a sentire freddo.
Capii perfettamente che non potevo dirgli nulla per calmarlo. Avevo intuito che, dalla morte di suo fratello, era diventato terribilmente sospettoso. Pensavo che, probabilmente, era convinto di essere sempre in pericolo. Immaginavo che sentisse una nuova responsabilità nei miei confronti e che non volesse fallire. Lui aveva già perso qualcuno per un errore. Io avevo perso qualcuno perché non ero riuscito a correre abbastanza veloce da afferrarlo. Lui ora doveva proteggermi, almeno a suo parere. Io avrei dovuto correre veloce ed afferrare Shilla. Lui poteva ancora farcela. Io avevo già fallito. Allora perché gli dissi di non preoccuparsi e di calmarsi? Perché se ero convinto di non voler vedergli provare quell’odiosa e devastante sensazione che, dal profondo dell’anima, urlava “Fallito!”?
Perché continuavo a dubitare del suo istinto da “semidio esperto” e fare affidamento solo al mio da “mortale di città”?
So solo che, com’era giusto che fosse, lui non mi considerò e continuò a gettare sguardi fugaci in giro.
Mi chiusi nei miei pensieri e, in un certo senso, fui felice che Travis tenesse così d’occhio la situazione: mi trasmetteva quella sicurezza che, da solo, non avrei certamente avuto.
Mi chiesi dove fosse papà. Mi stava osservando? Forse stava consegnando la posta ad uno dei suoi “importanti destinatari” che ormai sapevo essere gli dèi.
Magari invece era alle prese con qualche affare di Wall Street, o si stava preparando per una rapina ad una delle banche Svizzere con cui amava giocare a guardie e ladri. Ovviamente lui stava sempre dalla parte dei ladri!
Altrimenti poteva star controllando come andava il turismo nei vari paesi. O forse, semplicemente, era andato da mia madre. Forse stavano parlando di me. Lui la stava consolando dicendole che me la sarei cavata ed avrebbe mentito dicendo che avrei voluto salutarla prima di partire. Il che era vero, ma non l’avevo detto.
Mi immaginai mia madre sulla poltrona rossa del salotto avvolta nella coperta che tirava sempre fuori quando si sentiva sola. Il fuoco scoppiettava nel caminetto e gettava ombre sui loro volti a cui non avrei potuto attribuire un significato preciso.
Mio padre era seduto sul bracciolo posando una Converse sull’orlo e l’altra gamba un po’ a penzoloni. Teneva una mano sulla spalla della mamma e la guardava. Lei restava a fissare le fiamme con aria assorta, ma lui l’avrebbe sempre guardata con gli occhi lucidi di felicità. Perché era felice di amare quella donna e perché era felice di avere me come figlio. Questo mi diceva sempre, ogni volta che scopriva che li stavo osservando in quei rari momenti. Ma non potevo farci nulla: adoravo vedere la mia mamma ed il mio papà insieme che si volevano bene.
Avevo scoperto che a loro piaceva passare le serate così quando avevo quattro anni e da allora, tutte le sere che papà era a casa nostra, scendevo dalle scale del primo piano dove si trovava la mia cameretta e scrutavo il salotto. A volte non c’erano, ma nelle serate che passavano davanti al fuoco io ero lì. Ero a guardarli seduto sui gradini delle scale, coperto dall’ombra. Stavo a guardarli fino a che non si lasciavano o non mi stancavo io. Li amavo guardare perché mi riempiva il cuore di gioia sapere che anche io avevo due genitori che si amavano come tutti gli altri bambini. Perché mi piaceva assaporare l’intimità del momento e perché desideravo esserne partecipe. Non volevo essere là con loro, ma solo osservarli dalle scale, in silenzio per non rompere la magia.
Mi scoprì una sera papà. Quel giorno era andato tutto storto. A scuola avevo fatto fatica con l’alfabeto: dato che ancora non sapevo di essere un semidio dislessico mi sentii inferiore rispetto agli altri, nonostante fossi ancora piccolo e quasi tutti i miei compagni avessero ancora delle difficoltà con qualche parola più complessa. Alcuni amici del parchetto vicino a casa mia mi avevano preso in disparte e avevano cominciato a dirmi che ero strano e che i miei genitori non si volevano veramente bene. Stavano insieme solo perché c’ero io.
Sapevo perfettamente che le cose non stavano così: li avevo già visti in salotto in quelle serate speciali. Qualche volta li avevo persino sorpresi a scambiarsi un breve e leggero bacio sulle labbra. Nulla di più che un “ti voglio bene” che mi aveva fatto sorridere. Ma sentirsi dire quelle cose, mi ferì lo stesso.
Casualmente, quella sera, papà venne a farci visita. Gli raccontai tutto: lui era in assoluto il mio migliore amico e mi capiva sempre. Anche quella volta mi disse che avrei imparato a leggere, che dovevo impegnarmi, ma che se qualcosa fosse andato storto... non sarebbe stata la fine del mondo. Aggiunse che i miei amici erano invidiosi perché:- ... modestie a parte, tua papà è un tipo forte, caro il mio mini-me! - mi fece l’occhiolino e mi scompigliò i capelli facendomi sfuggire una risata. Avevamo cenato e poi mi aveva aiutato ad infilarmi il pigiama ed a mettermi sotto le coperte. Mi baciò sulla fronte, mi passò una mano tra i capelli sorridendo affettuosamente e spense la luce augurandomi la buona notte.
Aspettai alcuni minuti, poi, quando calò il silenzio, scesi per le scale.
Loro erano là. Questa volta si tenevano per mano. Sorrisi e mi sedetti a guardarli. Restai a lungo, ore probabilmente! Sentii la stanchezza sopraggiungere, ma volevo godere di quella conferma di ciò che papà mi aveva detto appena quel tardo pomeriggio. Piano, piano, senza che me ne rendessi conto, Morfeo giunse ed io mi addormentai con la testa appoggiata ad un piolo della ringhiera in legno della scala.
Papà mi raccontò in seguito che fu il primo ad andare a letto dei miei due genitori: aveva avuto parecchie consegne quel giorno ed era troppo stanco per durare fino all’una di notte circa, come facevano di solito. Motivo per cui mi ritrovò davanti a sé salendo le scale. Aveva pensato “Luke, sei un caso perso!” con un tono d’affetto e, anche se non lo disse, io sapevo che lo aveva detto guardandomi di sottecchi, storcendo il labbro in un sorriso di disapprovazione e scuotendo la testa prima di sospirare e prendermi in braccio per riportarmi a letto.
Mi scese una lacrima per la guancia: quanto desideravo tornare a vedere i miei genitori insieme davanti al caminetto dalle scale. Invece ero lì, a prendere freddo. A rischiare la vita. Travis mi si avvicinò, mi appoggiò la sua gicca di pelle nera sulle spalle e mi diede un semplice comando:- Dormi. -
- E la guardia? -
- La monteremo io e la signora O’Leary. Tu dormi. -. Sospirai. Non potevo fare altro, così mi sdraiai a terra raggomitolato nella casacca calda di Travis e mi addormentai nella speranza che, anche quella sera, giungesse mio papà a prendermi ed a portarmi a letto, in camera mia, sotto le coperte, al mio amato focolare domestico.

Angolo di Kay & Connor Stoll

Kay: Lo so che è da un po' che non aggiorno, ma al momento sono in periodo verifiche! Non ho avuto molto tempo per postare nuovi capitoli, scusate. Intanto... vi piace??? Io lo trovo dolce. Mi sembrava bello mettere una parentesi di Slice-of-life, anche per spiegare come mai Luke ha un certo carattere e compie determinate scelte.
Connor: Wellàààà!!! Come vaaaa???
Kay: Eh... sei sbronzo?
Connor: Noooo! Perchè dici???
Kay: Non saprei... chi ti ha dato la vodka che tieni in mano?
Connor: Nessunoooo!!! *ondeggia poco stabilmente*
Kay: Conny, calmati.
Connor: Sono calmo. Wellààààà! Vicinatoooo!
Kay: *corre a tappargli la bocca* Oh... Shut up! Ti si rovina il fegato, sai?
Connor: Meglio la vodka che una canna!
Kay: Connor!!! ... Non ho parole! Vomita e ti giuro che pulisco il pavimento con i tuoi capelli!
Connor: Che schifo. Non vomito. *se ne va barcollando*
Kay: Cosa devo fare??? A_A *sospira* Vabbè, un abbraccio,
                                                                                             Kay & Connor Stoll
   
 
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