Il sole stava tramontando tingendo di rosso l’erba dei
campi dell’Amburgo.
Due figure solitarie continuavano ad allenarsi,
imperterrite, nonostante tutti gli altri fossero già a casa da un pezzo.
Lei
era lì, li osservava da lontano, le dita di una mano intrecciate nella
rete che faceva da recinzione, lo sguardo fisso su quel ragazzo caparbio al
centro della porta…
“BUH!” una voce squillante alle sue spalle, un
pizzicotto sul fianco che la fece sobbalzare.
“Reb! Accidenti! Per poco
non mi facevi morire!” guardò l’amica con aria di rimprovero, cercando di calmare
i battiti del cuore.
Sul viso dell’altra un’espressione di
malizioso divertimento “Già… perché tu non stavi già morendo! Dietro a qualcuno!” la
schernì, scuotendo il caschetto biondo in direzione del campo con fare
saputo.
Il viso sotto gli occhiali s’imporporò e gli occhi timidi da
cerbiatto si puntarono al suolo. Rebecca si pentì un poco vedendo la reazione
dell’amica.
“Ok, ok, scusa!” disse abbracciandole le spalle e
voltandola nuovamente verso i due giocatori, i quali avevano finalmente deciso di
smettere “Cosa credi?Lo sai che anche io ho il mio motivo d’esser qui!”
Si
guardarono, sorridendo complici per poi tornare ad osservare gli oggetti del
loro desiderio. Un sospiro sfuggì ad entrambe, simultaneamente, ed entrambe
scoppiarono a ridere, tenendo una mano sulla bocca onde evitare che i ragazzi le
potessero sentire.
“Tu almeno ci parli…” riuscì a dire la morettina
all’amica, che la guardò con disappunto.
“Accidenti, Lena! Ci sei in
classe insieme da un secolo e lui manco sa come ti chiami! Quello che comincia
è l’ultimo anno, vuoi darti una svegliata si o si?!” nel parlare aveva puntato
le mani ai fianchi con fare militaresco, i piedi ben piantati atterra e gli
occhi verdi socchiusi con fare minaccioso.
La guardò con un sorriso dolce e
riconoscente. In quell’istante udirono dei gridolini provenire dall’altra parte
del campo. Si voltarono. Due ragazze della loro età, bionde, perfettamente
truccate e vestite alla moda erano evidentemente arrivate a recuperare i loro
fidanzatini. Un bacio fugace, un braccio stretto attorno ai fianchi sottili. Le
due coppie che si allontanavano.
Un sospiro di rassegnazione.
Le due
amiche si squadrarono. L’una coi capelli corti che lasciavano scoperti i lobi
delle orecchie strapieni di anellini d’argento, maglia e pantaloni neri, ai
polsi decine di bracciali e le dita ricoperte di anelli. Unghie rigorosamente
laccate di nero, occhi verdissimi da gatta sottolineati da pesante eye liner
scuro e labbra truccate di viola.
L’altra… l’opposto. Semplice. Fin troppo.
Il lunghi capelli mogano raccolti in una coda tenuta da un elastico nero,
assolutamente non truccata, i grandi occhi nocciola seminascosti dalla pesantissima
montatura degli occhiali. L’abbigliamento, poi… Camicetta bianca,
anonima e gonna scozzese sul verde, lunga sotto il ginocchio. In terra, accanto
a lei, un libro fantasy.
Sulle labbra della bionda un sorriso “Chi
ci ama ci segua!” urlò, raccogliendo il libro da terra e trascinando via l’amica,
che rispose mesta “E fu così che restammo sole…”
Rebecca si fermò di botto, prendendo l’altra per le spalle
e guardandola seria “No, Lena. Finchè saremo insieme, non saremo mai
sole!”
La schiuma morbida riempì il boccale, per poi
debordare ed andare a colare sul bancone.
I braccialetti della ragazza
tintinnarono quando pulì il bicchiere per poi posarlo sul vassoio, pronto ad
essere servito.
La porta della brauhaus si aprì, lasciando entrare una
figurina che in quel posto pareva del tutto fuori luogo.
La donna si avvicinò
al bancone, salendo agilmente su uno degli alti sgabelli.
La bionda dietro il banco le si avvicinò, porgendole una birra “Hai finito,
finalmente! E’ tardi anche stasera!” le labbra truccate di viola si piegarono in una
smorfia di disappunto mentre gli occhi verdi erano velati da un’ombra
triste.
L’altra non rispose. Sciolse la crocchia che tratteneva i
lunghi capelli, lasciandoli cadere disordinatamente sulle spalle, afferrò il boccale
e bevve un lungo sorso. Posò il grande bicchiere dinnanzi a se, continuando
a fissarlo. Le sfuggì un sospiro, un’espressione amara si dipinse sulle labbra
a cuore. Serrò gli occhi “E’ stato lì di nuovo…”
I bracciali
tintinnarono sul bancone mentre la bionda vi si appoggiava a braccia
conserte “E?...”
Rispose senza guardare “E nulla! Gli ho dovuto raccontare una
delle solite storie!” aveva quasi gridato.
L’amica allungò una mano, scoprendo
il tatuaggio che le ricopriva il braccio, e le carezzò il viso con fare
affettuoso “Non puoi continuare così! Questo lavoro ti stà uccidendo! Non puoi continuare
a lavorare per due ed in più occuparti anche della vita privata di quella
carogna del tuo capo! Le fai da segretaria in tutto e per tutto! Il tuo telefono
squilla ad ogni ora del giorno e della notte, da Natale a Pasqua a Capodanno!
Non hai ferie, non hai riposi. E, in più, ti devi occupare anche di pararle quel
bel sederino quando pianta le corna al suo fidanzato!”
“Reb!” gli occhi da
cerbiatto scattarono, furiosi, ma l’altra non si fece intimidire.
“Piantala, Lena! Lo sai benissimo! Quanti anni sono che va avanti questa storia?
Quattro? Cinque? E’ sempre così! Lei si trova un giocattolo nuovo, fa di tutto,
ma proprio di tutto per averlo, e poi torna diretta tra le braccia di quel
maiale del suo ex! Perché, poi, lo sa soltanto lei! E il bello è che per conquistare
le sue nuove prede e tenersele finche non si stufa la sua carta segreta sei tu!
Tu cerchi ogni informazione possibile ed immaginabile, tu prenoti ristoranti
ed alberghi, tu compri i regali! Tu racconti le palle al posto suo…” le ultime
parole le si spensero quasi in gola, vedendo le lacrime che affioravano nei
grandi occhi dell’amica.
“Reb… lo sai! Questo dannato lavoro mi serve! Non
sarei pagata così tanto se non lavorassi ventiquattr’ore su ventiquattro! E se
non facessi tutto quello che vuole lei! Mi sento un verme… soprattutto
quando devo mentire a lui… Ma non posso rischiare di perdere questo lavoro! Lo
sai quanto costano le cure!” la voce tremava, ma le lacrime erano state ricacciate
indietro con determinazione.
Un sorriso triste sul viso della bionda, poi
un lampo d’improvvisa allegria “Dai dai! Smettiamola di parlare di cose tristi!
Ho chiesto ad Erik di tenerci aperta la pista un po’ di più, stasera! Finisco di
riordinare e andiamo!”
“Ma non posso! Mamma mi aspetta e…”
“Tua madre la
avviso io! E non ti preoccupare per lei! Le cure vanno bene, mi pare, no? Due
ore in più da sola non saranno un problema! Anzi, lo sai che le si apre il cuore
quando sente che vai a pattinare!”
Cedette sospirando. Rebecca aveva ragione,
sua madre era sempre felice quando la sapeva sul ghiaccio.
Lasciarono il
locale e corsero al palazzetto. L’orario di apertura al pubblico era quasi
terminato, la gente stava sfollando, ma loro entrarono ugualmente. Erik Koning,
il gestore, era loro amico da secoli. Spesso erano andate a pattinare fuori
orario con lui come unico spettatore.
Quella sera c’era più ressa del solito,
notarono mentre si avviavano verso la pista. Dall’altra parte, oltre il bordo,
una torma di ragazzine accerchiava tre persone, due bionde ed una mora,
quest’ultima di struttura particolarmente imponente.
Non le riusciva di
distinguere altro. Aveva tolto gli occhiali e, non avendo avuto in programma di
andare a pattinare, non si era portata le lenti. In fondo, comunque, non ne
aveva poi bisogno. Senza nessun altro in pista, ad esclusione di Reb (che, come
sempre, si era fermata a chiacchierare con Erik) si muoveva sul ghiaccio senza
problemi pur vedendoci ben poco.
Aprì lo sportello e s’immerse nel suo
ambiente naturale. Respirò l’aria gelida e lasciò che il freddo le aggredisse le
membra non ancora riscaldate del movimento, assaporando il suono graffiante
delle lame sul ghiaccio.
Il mondo non esisteva più. I suoi problemi non
esistevano più.
Si mosse agile e sicura sulla gelida superficie bianca, senza più curarsi
del baccano che pia piano si allontanava dalla pista. Un poco di riscaldamento, una
trottola, un piccolo salto. Poi figure sempre più complesse, man mano
che il corpo si scaldava e rispondeva sempre meglio. Un angelo, un’altra trottola
e poi… un salto… e subito un altro! L’applauso di Reb che le
veniva in contro tagliando la pista e sorridendo. L’abbraccio dell’amica.
Si
misero a pattinare insieme, giocando sul ghiaccio e scambiando battute con
Erik.
Non si accorse di quello sguardo, di quegli occhi neri che l’avevano
fissata per lunghi attimi, sconcertati.
Forse era meglio così…
Poi il suo
cellulare che squillava, il suono insistente nel suo auricolare…
Un
sospiro.
Il biondo caschetto di Rebecca scosso da un “no” sconsolato.
Un
sorriso triste e un poco rassegnato.
“Freuilain Angela…”
“Eleonor ! Ho
bisogno di lei qui, immediatamente! Melody Kaltz è a Monaco e dobbiamo ottenere
subito un’intervista!”
L’enorme montatura degli occhiali tornò a mascherare
il viso, nascondendo gli occhi nocciola mentre la massa ribelle dei lunghi
capelli veniva ordinatamente ricomposta in una severa crocchia.
Rebecca guardò l’amica, espirando furiosa “Non può! Non può farti questo! Non sei al
suo servizio come nel Medioevo!”
Nessuna risposta, solo labbra serrate
e movimenti lenti per rivestirsi…
“Reb ha ragione, Lena… Non puoi
continuare a farti trattare a quel modo!”
Un sospiro.
Un
sorriso triste “Avete ragione….” si voltò, facendo scorrere lo sguardo su gli unici due
amici che aveva in quella grande città “ma sapete perché lo faccio, no?
Quindi….”
I due sospirarono, scambiandosi uno sconsolato sguardo d’intesa.
Certo, sapevano perché quella donna, dall’apparenza fragile, banale, il classico
topo da biblioteca, lavorasse ventiquattrore al giorno e trecentosessantacinque
giorni l’anno per quell’arpia del suo capo. Perché lei, una volta stella del
ghiaccio, aveva abbandonato tutto, diventando un’ombra al servizio di colei la
quale una volta era stata la sua più acerrima rivale.
“Cosa vuole
stavolta?” chiese, arrendendosi, Erik.
“Un’intervista con Melody Kaltz…”
Il
viso dell’omone s’illuminò “Corri!”
Le due donne lo fissarono come fosse
impazzito.
“Erik, che cavolo farnetichi?” Rebecca l’apostrofò stizzita, ma
lui non le diede retta.
“La Kaltz era qui fino a dieci minuti
fa! Probabilmente è ancora là fuori! Muoviti!” dicendo così, spinse le ragazze
verso l’uscita.
Afferrato il senso delle parole dell’amico, le due
iniziarono a correre, sperando di trovare ancora la star del pattinaggio
nei pressi del palazzetto.
Quando fu fuori, non fece caso al rombo dell’auto
sportiva che si allontanava a gran velocità, la sua attenzione era catalizzata
da due figure che si apprestavano a salire su una grossa Mercedes bianca.
“Melody!” le venne istintivo gridare. Le parve di fare un tuffo nel
passato, a quando la stella del ghiaccio era lei, e Melody una delle tante
ragazzine che desideravano emularla. Ma ora….
Grandi occhi azzurri si voltarono
verso la figura che correva verso di loro. Sul momento non la riconobbe,
pensò ad un’altra delle sue fan… Poi…
“Oddio… Lena!” corse via
sbattendo lo sportello dell’auto e lasciando il fratello di stucco. Non le
pareva vero! Abbracciò quell’amica che non vedeva ormai da anni.
“Oddio…” ripetè, squadrandola da capo a piedi “Non sei cambiata di una virgola! E dove ti
potevo trovare, se non vicino ad un palazzo del ghiaccio!”
“Tu, direi,
sei cambiata non poco, invece!” rispose sorridendo.
“Già…” un sorriso
sicuro. Ora era lei la star del pattinaggio tedesco… Un pensiero improvviso la
colpì, sconcertandola “Certo che Wakabayashi dev’essere
telepatico!”
“Scusa?” la donna era sorpresa nel sentire l’amica nominare il
portiere.
“Era qui con noi un istante fa… E mi ha chiesto che fine avessi
fatto! E’ pazzesco!”
“Già…” non comprese il perché, ma una stretta dolorosa le
serrò lo stomaco… Ricordi di un amore adolescente…
“Ma, dì un po’..”
il filo dei pensieri venne interrotto dalla giovane campionessa “Cosa fai qui a
Monaco?”
“Lavora per Angela Weiss…”
Melody si accorse solo allora dell’altra figura alle spalle dell’amica. Un sorriso
le illuminò il volto “Reb!” esclamò, correndole incontro.
“Ciao, campionessa!” disse stringendo la
ragazza.
“Reb….”
Gli occhi verdi si sollevarono, incrociando lo sguardo
inebetito del centrocampista dell’Amburgo, che fino a quel momento si era tenuto
in disparte.
“Hermann…” rimase un attimo imbambolata, il cuore che prima
perdeva un battito per poi accelerare all’impazzata.
Melody colse
il disagio e fu lesta ad interrompere quella situazione d’imbarazzo “Lavori per
Angela?” chiese rivolta a colei che era stata il suo idolo da ragazzina.
Un
sorriso rassegnato sulle labbra della donna “Già…”
“Ma… scusa… se lavori per lei,
com’è possibile che Wakabayashi non sappia che sei qui?”
Rebecca rispose per
l’amica “Credo che semplicemente non l’abbia riconosciuta… Visto e considerato
che praticamente Wakabayashi, ultimamente, vede più Lena che Angela!”
Lena
fulminò la bionda con lo sguardo. Il tono tagliente che aveva usato era fin
troppo esplicito…
Melody scosse il capo socchiudendo gli occhi.
“Lo
sapevo…”
Si guardarono tutte e tre, consapevoli di quello che stava
accadendo.
“Si può sapere che avete! Sembrate ad un funerale!” Hermann si
era appoggiato coi gomiti su tetto dell’auto, masticando il suo eterno stecchino
mentre le squadrava con disappunto.
Le tre sospirarono, ricambiando lo
sguardo del calciatore con compassione: lui era un uomo, non poteva
capire…
“Quando mio fratello mi ha detto che si erano messi insieme ho
sperato che non fosse una cosa seria… Ma stasera Wakabayashi mi ha confermato
che non è così, purtroppo…” si erano portate nella stanza d’albergo di Melody,
dopo che Lena aveva avvisato la redazione di esser riuscita ad ottenere
un’intervista con la pattinatrice per il giorno seguente.
“Ma si può
sapere cos’avete da ridire? Wakabayashi è al settimo cielo, una volta ogni tanto
lo vedo soddisfatto della donna con cui stà, e voi lì a tramare!” dovette
smettere di parlare, inchiodato dallo sguardo delle tre.
La sorella sospirò,
paziente “Hermann… Sono felice per lui, ma Angela non è mai stata una santa con
gli uomini!”
“Wakabayashi se l’è sempre cavata con le donne!” replicò
portando le braccia al petto con fare risoluto. Lui ed il portiere erano da
sempre grandi amici. Aveva per il giapponese un’ammirazione reverenziale fin
anche superiore a quella che portava al capitano della nazionale,
Schneider...
“Comunque, Wakabayashi sembra piuttosto preso da questa storia… Ma
non è tipo tale da farsi mettere i piedi in testa! Vero, Lena?” chiese la
bionda principessa del ghiaccio.La domanda aveva un sottinteso… Avvertì gli
occhi verdi dell’amica su di sé, si maledisse, e mentì…
“Certo!
Quei due fanno davvero una splendida coppia! Sembra che Angela abbia
finalmente trovato chi è in grado di tenerle testa!” lo sguardo di Rebecca era una lama
tagliente…
Quando furono fuori dall’albergo, lontane dalla vista dei
due fratelli, la bionda l’afferrò, facendola voltare di scatto e guardandola
dritta in faccia “Perché?! Perché hai mentito pure a loro!?” era un urlo disperato:
non avrebbe mai creduto che l’amica potesse fare una cosa del genere,
non la riconosceva più!
Lacrime scorsero al di sotto delle spesse lenti, la voce rotta
“Se lei… se loro avessero saputo… gliel’avrebbero detto… e…”
“E
cosa?! Ma ti rendi conto?! Avevi l’occasione di fargli un favore! E’ tra le mani
del diavolo, potevi salvarlo e invece ce l’hai lasciato!”
“Reb…”
La furia
si sciolse vedendo il pianto dell’amica. L’abbracciò, tenendola
stretta.
“Perché, piccola?”
L’altra rispose tenendo il viso premuto
sulla sua spalla “Lo sai…o lui…o mia madre…non ho molta scelta…Quel maledetto posto
MI SERVE! “
La strinse di più. Lo sapeva. E sapeva cosa doveva provare
l’amica, lei che era sempre stata trasparente e sincera.
“Mi
odio…”
“Piantala, Lena…”
“Ho paura, Reb… Lo so che mi detesti pure tu ora…
non voglio restare sola, non ce la farei…”
L’allontanò un poco,
asciugandole le lacrime con un dito “Smettila, scema! Non ti detesto… e non ti
mollo… Come dice Hermann, Wakabayashi se la sa cavare con le donne!” così
dicendo le strizzò un occhio.
Sorrise, asciugando il volto “Speriamo…” e le vennero
in mente i suoi occhi: neri, profondi, magnetici… Quegli occhi, l’unica
cosa che l’aveva tenuta in piedi, che le aveva dato la forza quel giorno di
tanti anni prima… Una lama sottile le trafisse il cuore. Gli doveva molto…
anche se lui neppure lo sapeva.
In quel momento prese la sua
decisione.
Sarebbe costata cara, ma non ne poteva più di sentirsi a quel
modo. Neppure la sua migliore amica la riconosceva più! Lei stessa stentava a
riconoscersi…
Aveva combattuto per tutta la vita, non sarebbe stato un
problema ricominciare! D’altro canto di denaro ne aveva messo da parte a
sufficienza, in previsione dei periodi bui…
Guardò Rebecca e le sorrise,
ricambiata.
No, non era sola. Potevano sempre contare l’una
sull’altra.
Quella certezza scacciò ogni dubbio.
Avrebbe agito, anche a
costo di perdere quel lavoro che era per lei di vitale importanza.