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Autore: britt4ever    10/11/2012    3 recensioni
South Carolina 1779
William Tavington è un Colonnello Inglese, temuto e odiato da tutti, non cerca l'amicizia, non cerca l'amore, non vuole costruirsi una famiglia.. I suoi occhi ghiaccio rappresentano la sua vita.. il Vuoto.
Ma un giorno il destino lo avvicina a Beatrix, una ragazza dal passato oscuro. Lei lo travolge con la sua allegria, la sua vivacità, la sua forza e gli fa desiderare proprio quelle cose che lui aveva evitato per tutta la sua vita.. Una tempesta in piena.
Lei farà crollare tutte le sue certezze e metterà in discussione la sua esistenza, solo una donna.. ma forse La Donna giusta per lui..
Riuscirà Beatrix a portare via le tenebre che avvolgono William?
-CONTENUTI TALVOLTA FORTI-
Genere: Erotico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAP I
Capitolo II
Beatrix






 
"Non capisco, Colonnello, perché stiamo andando a Pembroke a quest’ora della mattina. Dopo la lunga e dolorosa battaglia di ieri pensavo che almeno mezza giornata il Generale potesse concederla.."
Tavington e Bordon, il suo secondo in comando, si dirigevano a cavallo verso il villaggio, con a seguito sette o otto Dragoni. Tavington non aveva avvisato i suoi uomini sulle intenzioni di Cornwallis perché era un affare che gli stava molto a cuore. Non potevano esservi voci ingiustificate.
"Ci sarà tempo per il sollazzo, non ti preoccupare, ma prima di tutto il dovere. Se siamo richiesti lì, è lì che andremo."
"Certo Colonnello, al vostro servizio."
Quel villaggio era affollato di sporchi 'bifolchi armati col forcone'. Gente troppo alla buona, molto lontana dalle raffinatezze Inglesi. Tavington aveva sempre odiato l’America, quando seppe del suo trasferimento nelle colonie la cosa non lo rallegrò affatto. Sapeva che c’era da lavorare su quella gente inetta e ignorante. Lo sapeva, e non era quello che lo turbava. Ma questi coloni erano gente barbara, arretrata, arricchiti semplicemente col lavoro degli schiavi.
La sua Inghilterra, invece, quanto gli mancava!
Dover abbandonare la sua piovosa Londra fu per William un colpo al cuore. Amava l’avanguardia Inglese, le sue metropoli, the Biggest Empire in the World. Non riusciva neanche a confrontare la finezza Inglese con la rozza America, erano incommensurabili. Purtroppo si trovava lì fino a quando l’esercito di Re Giorgio III avesse battuto quello sbiadito esercito fatto di contadini.
Tutti quanti lo temevano, lo sentiva. Tutta la gente si era riunita attorno all’esercito dei Dragoni Verdi e li fissavano impauriti.
Che le danze abbiano inizio.
"Popolo di Pembroke, siamo venuti qui per parlare a tutti voi."
Ecco il solito annuncio di Bordon che richiamava l’attenzione sulla legione.
"Chi siete voi?"
Una donna irriverente si mosse tra la folla. La più coraggiosa, o forse l’unica che dimostrò un minimo di coraggio per aprire bocca. Spinse la gente per giungere davanti ai cavalli per fronteggiare meglio gli uomini. Lei si rivolse a Bordon credendo di parlare con il Capo.
"La domanda che dovresti fare dolcezza è chi sono io...perdonate l’intrusione, il mio nome è Tavington, Colonnello William Tavington."
Il volto imperturbabile della donna venne scalfito leggermente dalle parole dell'uomo. I suoi occhi si volsero verso il Colonnello che ebbe finalmente l’opportunità di rimirare le fattezze dell’impudente.
" 'The Butcher'? "
Una risatina maligna risalì dalle corde di Tavington.
"Avete sentito parlare di me vedo, fantastico!"
I suoi occhi quasi cedettero, la paura stava spingendo fuori, ma lei resistette perché non voleva dimostrarsi debole.
"Come ha detto bene il Capitano, siamo venuti qui per cercare una persona. Una donna per la precisione, Samantha Kohl. Perciò che si faccia avanti."
Lei continuava a fissarlo con fare arrogante, come se credesse davvero di essere superiore a lui.
"Perché volete mia madre?"
Ma guarda il destino, chi lo avrebbe mai detto.
"È tua madre? Bene, allora portala qui, schiava."
I suoi occhi marrone scuro come la pece lo scrutarono, era evidentemente infervorata dall’epiteto usato.
"Schiava? Io non sono la schiava di nessuno, tanto meno di uno schifoso Inglese."
Lo sfidò puntando quei fastidiosi occhi su di lui. Si credeva davvero più forte? Forse aveva bisogno di una dimostrazione della forza Inglese. Tavington tirò fuori la pistola e gliela puntò dritta verso il centro della fronte, ad una spanna da lei colpirla era scontato perfino per un tiratore poco esperto.
"Vuoi vedere come ti rendo la mia schiava, puttanella? Dimmi subito dove si trova quella cagna di tua madre a meno che tu non voglia una pallottola in testa."
Lei vacillò, non sapendo cosa fare. Che cosa volevano quegli uomini da sua madre, lei lo diceva sempre che prima o poi sarebbero arrivati per lei, ma non le aveva spiegato mai il perché.
Che situazione tremenda, non poteva dire loro della madre e se le avessero fatto qualcosa?
No, non poteva proprio.
"I-io.."
"Eccomi, sono io la donna che volete. Sono Samantha Kohl."
Sua madre giunse accanto a lei posizionandosi troppo vicino al brutale Tavington. Come mai tutto questo coraggio, perché non aveva trovato mai lo stesso coraggio per parlarle? Per dirle veramente la sua storia. Per tutta la sua vita sua madre era stata un fantasma che vagava per casa, parlava con lei solo se necessario, quasi come se la sola vista della figlia potesse urtarla. Sua madre non lo aveva mai detto in modo esplicito, ma lei lo aveva capito. Non le disse mai del suo vero padre, poteva essere morto, come poteva invece essere in giro a godersi la sua vita. Perché non l’aveva mai cercata? Perché non si era mai presentato davanti alla sua porta per sapere di lei. Ogni suo compleanno, almeno quelli che si ricordava, aspettava davanti alla sua finestra nella speranza che suo padre venisse da lei, per farle gli auguri. Ma lo aveva aspettato invano e dopo ventitré compleanni si era ormai avvezza alla sua mancanza. Ricordare il passato le faceva male, perché sapeva che quel passato aveva ripercussioni sul suo presente e forse anche sul suo futuro.
E sua madre cosa aveva fatto?
Niente.
Non poteva dire che fu una madre cattiva, nemmeno benevola. Mai botte, mai sgridate, mai elogi.
L’indifferenza.
Questo era stato da sempre l’atteggiamento di sua madre nei suoi confronti. Le faceva male, molto male. Ma non ebbe mai il coraggio di dirlo a lei, la vedeva come una foglia in autunno, secca e fragile pronta a cadere in ogni istante. Per tutta la sua vita crebbe da sola, senza punti di riferimento e senza quella lanterna materna a rischiarare le tenebre della vita.
Sola.
I pochi amici che riusciva a farsi non la capivano fino in fondo. Nessuno poteva capire il dolore che sentiva dentro, perché per comprenderlo veramente bisogna passarci sopra, essere abbandonati dai propri genitori e solo allora si può provare empatia. Ma lei tutto questo non riuscì a trovarlo mai. La sua vita non le piaceva, non si trovava a suo agio con quelli di Pembroke.
Loro rappresentavano la tipica famiglia coloniale.
Famiglie perfette, madri e padri che si amavano, figli adorabili e umili schiavi.
Perfette, quasi finte, famiglie che solo superficialmente sembravano oniriche e poi si rivelavano un covo di complotti, tradimenti, gelosie e bugie. Lei non voleva essere come loro, voleva qualcosa di vero, qualcosa di carnale.
E da qui giungiamo all’altra questione esistenziale.
L’amore.
Oh l’amour, l’amour, oppio per poeti. Lei non si era mai innamorata, almeno non come lo aveva sempre inteso lei. Tutte le sue compagne avevano tanti ammiratori, si accerchiavano di aitanti giovanotti solo per il gusto della conquista. Quello che volevano realmente non era l’oggetto del desiderio in sé, più che altro era l’atto di conquista. Illudere i ragazzi, sentirsi dee e poi gettarli nel baratro dell’amore. Che cosa sciocca, degno di una ragazza sciocca! Lei era diversa, non voleva qualcosa di labile, cercava una certezza, quel qualcosa che non sarebbe mai andato via. Un bastone che la reggesse nei momenti gloriosi, ma anche nei momenti più bui della vita. Non era una ragazza di facili costumi, ma non era neanche una puritana. Era vergine, ma non pensate che dipendesse per qualche stupida religione che dichiari la donna illibata fino al matrimonio.
Niente di tutto questo.
Lei voleva la passione, il calore, la carne che scotta e che brucia fino a liquefarsi. Voleva qualcosa che la consumasse dentro, che la divorasse. Voleva trovare davvero l’amore, non per un semplice capriccio, bensì per cercare la sua metà, aveva letto il Simposio Platonico e ne era rimasta attratta. Voleva ricongiungersi alla sua metà e solo allora sarebbe stata veramente libera.
Solo in quel momento si accorse dello sguardo di Tavington su di lei, la stava fissando, scrutando, analizzando.
Occhi su occhi.
Ghiaccio contro tempesta.
Lei aveva viaggiato mentalmente rivivendo la sua vita, senza sentire i suoi occhi su di lei.
Quegli occhi.
Freddi, calcolatori, ghiacciati.
Se non fosse stato per la persona, avrebbe potuto trovarli quasi affascinanti. Chissà quante donne doveva aver illuso con il suo portamento. Ma non appena lei iniziò a scontrarsi visivamente con lui, Tavington cambiò bersaglio.
Ebbe solo il tempo di girare la testa, per vedere Tavington sollevare la pistola contro sua madre e senza emozioni dire:
"Sei tu. Abbiamo fatto in fretta a trovarti, ci hai risparmiato la fatica di bruciare tutte queste case insignificanti per prenderti."
"Ebbene sì, sono qua. Ditemi, cosa volete da me?"
Con un ghigno malefico Tavington sputò la sua sentenza di morte.
"Questo te lo manda il Generale Cornwallis."
E cosi dicendo, Tavington sparò alla donna e la uccise nel preciso istante in cui il proiettile forò la sua fronte.
Il suo corpo cadde a terra.
Occhi sbarrati.
Era morta.
Perché? Cosa aveva fatto?
Troppi interrogativi senza risposta.
"Ritornate pure alle vostre..faccende. Lo spettacolo è finito."
La gente si rivelò per quello che era sempre stata, nessuno aprì bocca. Nessuno mosse un dito per protestare. Ognuno tornò alle proprie occupazioni. Lei non ce la faceva a muoversi.
La vedeva morta, sporca di sangue, uno spettacolo osceno.
"Tu non vai da nessuna parte."
Tavington scese dal suo cavallo e si appropinquò a lei.
Era alto, non tantissimo, ma sicuramente più alto di lei. La sua camminata rispecchiava il suo modo di vestire, la classe fatta in persona.
Che pallone gonfiato, quanto si gonfierà il suo ego ogni qualvolta le persone fanno esattamente quello che vuole!
"Non vi è bastato uccidere mia madre, volete completare il quadretto familiare? Siete un fottuto bastar.."
Non riuscì a terminare la frase che un sonoro schiaffo la colpì. La sua pelle si accaldò subito, non poteva vederlo, ma sentì la guancia rossa per lo schiaffo. Si sentiva uno schifo, nessuno le aveva mai alzato le mani contro, nessuno.
"Capirai, che per me la disciplina è molto importante. Non devi mai mancarmi di rispetto, nessuno si è mai permesso in tutta la mia vita e non sarà di certa una sciatta contadinella a farlo."
"Cosa volete?"
"Cosa voglio, mmh? Qualcosa mi dice che la lezione non ti ha scoraggiata, che ragazzina impertinente, non devo sculacciarti, vero?"
Le sue dita si mossero lungo il perimetro della sua guancia saggiando la consistenza. Le sue sporche mani su di lei le dettero il voltastomaco, anche se non poteva negare la delicatezza del suo tocco.
"Credete di poter fare tutto quello che volete solo perché, in questo momento, siete superiore?"
"Na-na-na. Qui siamo ancora lontani dal rispetto che mi devi, dolcezza. Comunque sia,  non farmi perdere tempo e sali sul cavallo."
Il suo mondo crollò in un secondo, sua madre era ancora a terra e lui voleva portarla via, no!
"C-cavallo? Non capisco Colonnello, perché?"
"Quante domande, selvaggia. Ti basti sapere che ho del lavoro per te. Sei fortunata, siamo in carenza di..'personale' al Forte e abbiamo bisogno di manodopera fresca."
Il suo risolino venne seguito a coro dagli altri soldati. Ridevano di qualcosa che solo loro avevano capito.
"Io non ho intenzione di venire, ho già qui tutto quello che mi serve."
Quella frase riusciva a malapena a convincere se stessa, figuriamoci Tavington.
"La scelta è tua. O con le buone, e ti assicuro che sono rare, o con le cattive. Fossi al tuo posto sceglierei la seconda opzione ho proprio voglia di sgranchirmi un po’. Allora? Tanto verrai comunque al Forte, dipende da te il come."
E così dicendo si avvicinò sempre di più a lei, come se volesse fronteggiarla meglio.
"Siete un uomo spregevole,Tavington. Godete nel ferire gli altri, avete davvero bisogno di questo?"
Lui non sembrò offeso dalle sue parole, anzi gli gonfiarono il petto.
"Penso proprio che io e te ci divertiremo molto insieme."
Tavington afferrò il suo braccio e la spinse verso il cavallo.
"Su da brava, sali su, non farmi perdere altro tempo."
Lei salì sopra, aspettando che anche il Colonnello facesse lo stesso. Era incredibile il modo in cui riusciva a salire con raffinatezza anche sul cavallo. Appena salito sopra prese le redini e spronò il cavallo e così si mossero, sollecitando anche gli altri militi a fare lo stesso. Il suo corpo si trovava dietro quello di lei e il suo sesso cozzava contro il suo fondoschiena facendole sentire qualcosa che avrebbe preferito non percepire.
I due corpi erano vicini, molto vicini.
Lei sentì il respiro di Tavington sul collo, aria calda che le fece il solletico e il suo corpo reagì senza il controllo della sua volontà.
Brividi in tutto il corpo, i peli si rizzarono come se sentisse freddo. Tavington sorrise fugacemente nel vedere l’effetto che le faceva e così si spinse oltre avvicinando la bocca al suo orecchio.
"Hey selvaggia, non mi hai ancora detto come ti chiami."
"Perché? Vi importa veramente saperlo?" rispose acida lei.
"No, però devo pur sapere con quale appellativo richiamare la tua attenzione, a meno che a te piaccia che ti chiami selvaggia.."
La sua bocca sfiorò l’orecchio, rendendolo leggermente umido al suo passaggio.
"Ribelle.."
La sua bocca morse leggermente il suo collo, la parte sensibile che si trovava sotto l’orecchio.
"Rozza contadina.."
Mentre tenne le redini con una mano, riuscì a liberare l’altra per sollevarle leggermente la gonnella sgualcita, rivelando poco a poco la sua gamba. La sua mano salì sempre più, infuocando la sua pelle per il suo tocco lascivo.
"Puttan…"
No, questo era troppo.
La sua corsa venne arrestata dalla mano di lei, che abbassò nuovamente la gonna, allontanando così la mano indesiderata.
"Beatrix. Beatrix è il mio nome. È la variante di Beatrice, mia mamma è sempre stata un po’ strana."
Lui ritornò nella posizione di prima, fiero come al solito.
"Beatrix? È un nome inusuale per una coloniale ed io ne ho visti di coloni. Il tuo nome mi suggerisce che devi avere un caratterino da cattiva micetta."
La sua voce, le sue parole, ma come si permetteva di giudicarla così?
"Immagino che questo soddisferebbe i vostri sogni erotici, Colonnello. Vi piacerebbe."
"Sogni, dici? Io non ho bisogno di sogni, sono un uomo pragmatico, Beatrix, vivo di concretezza. Non mi faccio tanti castelli mentali, se voglio qualcosa la prendo e senza tante cerimonie." ribattè lui.
"Più parlo con voi e più vi odio Tavington, cosa volete realmente da me, c'entra con mia madre?"
"No, tua madre lasciala giacere tra i morti. Tu mi servi, come ti ho già detto prima, al Forte."
Sì, certo e casualmente loro avevano bisogno di una cameriera al Forte. Guarda il caso.
"Ma che fortuna, Colonnello, avete ucciso per sbaglio una cameriera o forse si è uccisa lei pur di non vedervi più?"
Eccolo di nuovo il ghigno malefico che le fece vibrare i peli.
"Chi ha mai parlato di cameriera? Tu mi servi per altro dolcezza, per qualcosa di più..utile a tutti."
"Utile? Cosa dovrei fare esattamente, Colonnello?"
"Quante domande tesoro, molto presto lo scoprirai. Non vorrei mai rovinarti la sorpresa."
   
 
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