In piedi, al di fuori. Osservo dal palco vuoto la platea. E' solo silenzio, intorno. Neanche il sibilo del vento accompagna la mia nenia poco profonda. Poco significativa. Questa nuda roccia, questo duro spettro d'impalcatura grigio come il tempo. Il tempo, anche esso ignaro che sono qui.. qui? Io sono, ecco. E il pensiero ristagna nel mio cranio. A chi urlare questa mia voce? A chi sussurrare la mia nenia, la mia litania? 

Né ombre del passato, né futuri spettri si avvicinano alla sagoma sul palco. Il cielo plumbeo prese a tuonare, come un padrone minaccioso che caccia il rognoso cane dal suo giardino. Esplode il proiettile, lacerando il violaceo e puntellato drappo. I miei occhi roteano, confusi dal segnale, e osserva. Cercando. Chi? 

Ma è grigio. E il violaceo è subito sostituito dal tetro mantello. 

E cadono, rapidi, a rivoli. Tutt'intorno, toccandomi, sfiorandomi, colpendomi, come martellate negli occhi, sulle labbra. Rapiscono la mia aria, la trasformano in nuovo, predatrici. A miliardi, come gocce, microscopiche anime volatili. Ma due, due. Riflettono una luce, una imago. Le loro iridi vedono l'un l'altra, rigettando speranza. Si schiantano, in poco, al suolo, esplodendo in innumerevoli frammenti. Amalgamandosi nella scura pozzanghera ai miei piedi. Eppure, in tale marasma, ancora solitudine. Il ricordo. Mai avuto. Mai ritrovato.Non c'è soffio, non gocce, non rocce. Affronto il sé, cercando. Cosa? E perché farlo..?