LACRIME
DI UN GIORNO NUOVO
Rovine.
Macerie.
Distruzione.
Morte.
Tutto
intorno c’era solo morte.
Quello
che vedeva era morte.
Quello
che sentiva era morte.
Quello
che viveva era morte.
Non
erano solo i corpi privi di vita distesi a terra, non era solo la
scuola fatta
a pezzi.
Era
proprio la morte che, quella notte, l’aveva fatta da padrona.
Non
esistono vinti , non esistono vincitori. D’altronde si sa: la
guerra è così.
Astuta
ingannatrice, vigliacca traditrice.
Ti
spinge a lottare, a combattere in nome di quegli ideali che, per quanto
nobili
possano essere, hanno sempre un prezzo troppo alto da scontare.
Costano
sangue versato, sacrifici dannati, lacrime maledette.
E
alla
fine la morte ti sorride, beffarda, perché sa di essere
l’unica ad aver vinto
davvero.
Si
guardava intorno, Harry, e intanto continuava a camminare.
Avanzava
piano, senza fretta. Non aveva una meta da raggiungere.
Strano
a dirsi. Dopo aver trascorso gli ultimi mesi sempre con
l’acqua alla gola, con
lo spauracchio di Voldemort dietro le spalle e con la convinzione che
il suo
nemico fosse sempre un passo avanti a lui, adesso sentiva di avere
tempo, tanto
tempo.
Lo
aveva pensato anche qualche minuto fa: “ci sarebbe stato
tempo”.
Era
proprio questo che lo turbava. Questo tempo che lui poteva ancora
avere, mentre
altri no.
E
sapeva che non avrebbe dovuto pensarlo, ma non riusciva a fare
altrimenti.
Non
poteva farci niente, lui era fatto così.
Giunse
dinanzi al ponte, o perlomeno, dinanzi a ciò che ne restava.
Era
ancora buio. Nemmeno il sole sembrava volersi fare vedere quella
mattina, come
se temesse che, ad un suo sorgere, tutto sarebbe divenuto vero,
definitivo.
Come
se
sapesse che al sopraggiungere dell’alba di un nuovo giorno,
troppi sarebbero
stati coloro che non avrebbero più aperto gli occhi.
Era
stanco, Harry.
Avrebbe
tanto voluto chiudere gli occhi e dimenticarsi di quello che avrebbe
rivisto,
nell’attimo stesso in cui li avrebbe riaperti.
Ma
sapeva che era impossibile. La sofferenza e il dolore sono due zavorre
con cui
si può imparare a convivere, certo. Possono diventare sempre
più leggere.
Ma
dimenticarle no. Harry sapeva che non sarebbe mai riuscito a farlo.
Passi
lontani.
Ora
vicini.
Sempre
leggeri.
Non
era
necessario voltarsi, perché Harry sapeva inconfondibilmente
a chi
appartenessero. Quel profumo di fiori, forse anche a causa
dell’impossibilità
di sentirlo per tanto tempo, lo aveva ormai fatto suo.
Impresso
nella mente.
Scolpito
nel cuore.
Incastrato
nell’anima.
“Spero
che tu non te ne stia qui fuori, da solo, a colpevolizzarti per tutto
quello
che è accaduto stanotte…”
Harry
la invidiava. Non per il coraggio che aveva dimostrato, in quella notte
come in
ogni occasione.
Harry
la invidiava per la sua forza, quella forza che le consentiva di sapere
sempre
cosa dire, o non dire, cosa fare, come agire.
Non
le
rispose, sarebbe stato inutile, dal momento che lei aveva
già capito tutto.
In
fin
dei conti ormai aveva imparato a conoscerlo, a capire quali meccanismi
il suo
cervello avrebbe azionato. Lo sapeva e basta. Proprio come era accaduto
al
funerale di Silente: lei sapeva che lui l’avrebbe lasciata,
sapeva perché
l’avrebbe fatto e sapeva che doveva farlo, pur essendo
l’ultima cosa che
voleva.
Si
voltò
a guardarla.
E
all’improvviso si sentì colpevole.
Davvero
l’aveva invidiata fino ad un attimo fa?
Bè
se
anche l’avesse fatto, ora doveva rimangiarsi tutto.
Ginny
guardava fisso l’orizzonte.
I
lunghi capelli rossi erano spettinati, il volto leggermente pallido. Un
brutto
taglio, piccolo ma profondo, le feriva la guancia e parte delle labbra.
Quando
anche la giovane si voltò a fissarlo, Harry vide che i suoi
occhi erano
asciutti. Eppure sarebbe stato meglio trovarli umidi di lacrime,
pensò Harry,
perché affogare in quegli occhi aridi, privi di quella luce
propria che
solitamente li faceva brillare, era come ricevere un anatema in pieno
petto.
Rimasero
così. Fermi. Intenti solo a fissarsi, a perdersi
l’uno negli occhi dell’altra.
Fino
a
quando Harry, forse per colpa della disperazione che aleggiava
nell’aria o per
via degli orrori che avevano visto quella notte o semplicemente per
l’immenso
amore che provava per lei, le si avvicinò e
l’abbracciò.
Ginny
si lasciò cullare dalle braccia del ragazzo, abbandonandosi
alla sua premura.
Fu
solo
dopo svariati minuti che la giovane ruppe quel silenzio che si era
creato.
“Harry?”
“Dimmi”.
“Ti
ricordi quando al funerale di Silente mi dicesti che noi non potevamo
stare
insieme, che poteva essere rischioso per me e tu avevi paura di sapermi
in
pericolo?”
Harry
annuì brevemente.
“Ecco…
devo confessarti una cosa”.
Il
giovane Potter la osservò, curioso. Poi le disse:
“Sentiamo:
sono tutto orecchi”.
La
giovane sospirò e prese fiato:
“Quando
mi dicesti quelle cose, io mi sentii… confusa. Una parte di
me voleva prenderti
per il bavero della camicia e dirti che dovevi smetterla di rifugiarti
dietro
la tua sindrome da eroe solitario, perché da soli non si
arriva da nessuna
parte, anzi si è più deboli, più
fragili. E probabilmente avrei fatto bene a
dirti queste cose con poca calma e magari continuando a strattonarti
per la
camicia”
Harry
sorrise. L’amava anche per questo.
“Però
l’altra parte di me…”
“L’altra
parte di te?” Le fece eco lui.
“L’altra
parte di me non poteva fare altro che essere fiera dell’uomo
che eri diventato.
L’altra parte di me aveva capito che lo facevi per me, per la
mia sicurezza. E
così mi sono detta che era questo il suggerimento che dovevo
seguire, che
dovevo essere forte per entrambi, perché se mi fossi
ribellata alla tua
decisione avrei reso tutto più difficile, per non dire
più doloroso.”
Harry
le accarezzò il viso, tentando di mostrarle, con quel gesto,
tutta la
gratitudine e la riconoscenza per averlo capito… e per aver
accettato. Ginny
tuttavia proseguì:
“Però
adesso…”
“Adesso?”
Harry la spinse a continuare.
“Adesso sono io che ti chiedo di
perdonarmi, Harry,
perché per una volta ho deciso di fregarmene e di
ritagliarmi la parte
dell’egoista. Finora ho accettato di starti lontana, con
buona pace del mio
cuore, perché tu dovevi salvare il mondo, per quanto possa
essere assurdo
pensare che un ragazzo di appena diciassette anni abbia sulle sue
spalle il
destino della comunità magica.
Ma
ora
tu lo hai salvato il mondo. Tu sei vivo, io sono viva. Ma non posso
affrontare
tutto questo da sola, non più. Non ci riesco”.
Si
guardarono negli occhi per un istante che parve loro infinito.
“Non
posso tornare là dentro, da mio…”
Le
sfuggì un singhiozzo.
“Da
mio
fratello… senza avere la certezza che tu sarai al mio
fianco. Non riesco più ad
essere forte, Harry. Io ho bisogno di te, Harry”.
A
quella disperata confessione, Harry la strinse ancora di
più. Mentre Ginny
concedeva a poche lacrime silenziose di bagnarle il viso.
“Ti
prego, Harry, non lasciarmi sola”.
Il
tempo si fermò a quella preghiera. Harry le prese il volto
tra le mani.
“Non
ho
nessuna intenzione di farlo,amore mio”.
E
pianse Ginny.
Pianse
come la bambina che era stata,
quella che, giocando a nascondino, non riusciva a trovare
più il suo
fratellone, che furbo com’era, poteva essersi nascosto
ovunque.
Pianse
come la ragazza, quella che non
avrebbe più potuto dire al suo fratellone di farsi i fatti
suoi e non
impicciarsi della sua corrispondenza o dei suoi ammiratori.
Pianse
come la sorella, quella che non
avrebbe più potuto giocare a Quidditch con il suo
fratellone, che non avrebbe
più potuto fare a gara con lui per aggiudicarsi
l’ultima fetta di torta della
mamma.
Quando
poi, rientrata in sala grande con Harry al suo fianco, si
chinò per lasciare al
suo fratellone una carezza e un bacio sulla fronte e quando,
rialzatasi, Harry
non smise di stringerle la mano,
pianse
di nuovo.
Ma
stavolta pianse anche come la donna,
quella che sapeva che anche nelle ore più tristi della sua
vita, quelle senza
spiegazioni, senza logica, senza perché, avrebbe comunque
avuto accanto a sé
l’uomo che amava e che l’amava.
Note
dell’autrice:
Cosa
dire? Dopo il momento dolce e senza pretese della mia storia
precedente, ho
deciso di scrivere qualcosa di diverso.
A
mia
discolpa, posso solo dire che mi piace sperimentare situazioni diverse J
Sono
ben accetti tutti i commenti, sia positivi che critici, e tutti i
suggerimenti.
Baci,
Giusyna.