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Autore: Giusyna    10/11/2012    6 recensioni
Non esistono vinti , non esistono vincitori. D’altronde si sa: la guerra è così.
Astuta ingannatrice, vigliacca traditrice.
Ti spinge a lottare, a combattere in nome di quegli ideali che, per quanto nobili possano essere, hanno sempre un prezzo troppo alto da scontare.
Costano sangue versato, sacrifici dannati, lacrime maledette.
E alla fine la morte ti sorride, beffarda, perché sa di essere l’unica ad aver vinto davvero.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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LACRIME DI UN GIORNO NUOVO

 

 

 

Rovine.

 

Macerie.

 

Distruzione.

 

Morte.

 

 

Tutto intorno c’era solo morte.

 

Quello che vedeva era morte.

 

Quello che sentiva era morte.

 

Quello che viveva era morte.

 

 

 

Non erano solo i corpi privi di vita distesi a terra, non era solo la scuola fatta a pezzi.

 

Era proprio la morte che, quella notte, l’aveva fatta da padrona.

 

Non esistono vinti , non esistono vincitori. D’altronde si sa: la guerra è così.

Astuta ingannatrice, vigliacca traditrice.

Ti spinge a lottare, a combattere in nome di quegli ideali che, per quanto nobili possano essere, hanno sempre un prezzo troppo alto da scontare.

 

Costano sangue versato, sacrifici dannati, lacrime maledette.

 

E alla fine la morte ti sorride, beffarda, perché sa di essere l’unica ad aver vinto davvero.

 

Si guardava intorno, Harry, e intanto continuava a camminare.

Avanzava piano, senza fretta. Non aveva una meta da raggiungere.

Strano a dirsi. Dopo aver trascorso gli ultimi mesi sempre con l’acqua alla gola, con lo spauracchio di Voldemort dietro le spalle e con la convinzione che il suo nemico fosse sempre un passo avanti a lui, adesso sentiva di avere tempo, tanto tempo.

Lo aveva pensato anche qualche minuto fa: “ci sarebbe stato tempo”.

 

Era proprio questo che lo turbava. Questo tempo che lui poteva ancora avere, mentre altri no.

 

E sapeva che non avrebbe dovuto pensarlo, ma non riusciva a fare altrimenti.

Non poteva farci niente, lui era fatto così.

Giunse dinanzi al ponte, o perlomeno, dinanzi a ciò che ne restava.

 

Era ancora buio. Nemmeno il sole sembrava volersi fare vedere quella mattina, come se temesse che, ad un suo sorgere, tutto sarebbe divenuto vero, definitivo.

Come se sapesse che al sopraggiungere dell’alba di un nuovo giorno, troppi sarebbero stati coloro che non avrebbero più aperto gli occhi.

 

Era stanco, Harry.

Avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi e dimenticarsi di quello che avrebbe rivisto, nell’attimo stesso in cui li avrebbe riaperti.

Ma sapeva che era impossibile. La sofferenza e il dolore sono due zavorre con cui si può imparare a convivere, certo. Possono diventare sempre più leggere.

Ma dimenticarle no. Harry sapeva che non sarebbe mai riuscito a farlo.

 

 

Passi lontani.

 

Ora vicini.

 

Sempre leggeri.

 

 

Non era necessario voltarsi, perché Harry sapeva inconfondibilmente a chi appartenessero. Quel profumo di fiori, forse anche a causa dell’impossibilità di sentirlo per tanto tempo, lo aveva ormai fatto suo.

 

Impresso nella mente.

 

Scolpito nel cuore.

 

Incastrato nell’anima.

 

“Spero che tu non te ne stia qui fuori, da solo, a colpevolizzarti per tutto quello che è accaduto stanotte…”

 

Harry la invidiava. Non per il coraggio che aveva dimostrato, in quella notte come in ogni occasione.

Harry la invidiava per la sua forza, quella forza che le consentiva di sapere sempre cosa dire, o non dire, cosa fare, come agire.

 

Non le rispose, sarebbe stato inutile, dal momento che lei aveva già capito tutto.

In fin dei conti ormai aveva imparato a conoscerlo, a capire quali meccanismi il suo cervello avrebbe azionato. Lo sapeva e basta. Proprio come era accaduto al funerale di Silente: lei sapeva che lui l’avrebbe lasciata, sapeva perché l’avrebbe fatto e sapeva che doveva farlo, pur essendo l’ultima cosa che voleva.

Si voltò a guardarla.

E all’improvviso si sentì colpevole.

Davvero l’aveva invidiata fino ad un attimo fa?

Bè se anche l’avesse fatto, ora doveva rimangiarsi tutto.

 

Ginny guardava fisso l’orizzonte.

I lunghi capelli rossi erano spettinati, il volto leggermente pallido. Un brutto taglio, piccolo ma profondo, le feriva la guancia e parte delle labbra.

 

Quando anche la giovane si voltò a fissarlo, Harry vide che i suoi occhi erano asciutti. Eppure sarebbe stato meglio trovarli umidi di lacrime, pensò Harry, perché affogare in quegli occhi aridi, privi di quella luce propria che solitamente li faceva brillare, era come ricevere un anatema in pieno petto.

 

Rimasero così. Fermi. Intenti solo a fissarsi, a perdersi l’uno negli occhi dell’altra.

 

Fino a quando Harry, forse per colpa della disperazione che aleggiava nell’aria o per via degli orrori che avevano visto quella notte o semplicemente per l’immenso amore che provava per lei, le si avvicinò e l’abbracciò.

Ginny si lasciò cullare dalle braccia del ragazzo, abbandonandosi alla sua premura.

 

Fu solo dopo svariati minuti che la giovane ruppe quel silenzio che si era creato.

 

“Harry?”

 

“Dimmi”.

 

“Ti ricordi quando al funerale di Silente mi dicesti che noi non potevamo stare insieme, che poteva essere rischioso per me e tu avevi paura di sapermi in pericolo?”

 

Harry annuì brevemente.

 

“Ecco… devo confessarti una cosa”.

 

Il giovane Potter la osservò, curioso. Poi le disse:

 

“Sentiamo: sono tutto orecchi”.

 

La giovane sospirò e prese fiato:

 

“Quando mi dicesti quelle cose, io mi sentii… confusa. Una parte di me voleva prenderti per il bavero della camicia e dirti che dovevi smetterla di rifugiarti dietro la tua sindrome da eroe solitario, perché da soli non si arriva da nessuna parte, anzi si è più deboli, più fragili. E probabilmente avrei fatto bene a dirti queste cose con poca calma e magari continuando a strattonarti per la camicia”

 

Harry sorrise. L’amava anche per questo.

 

“Però l’altra parte di me…”

 

“L’altra parte di te?” Le fece eco lui.

 

“L’altra parte di me non poteva fare altro che essere fiera dell’uomo che eri diventato. L’altra parte di me aveva capito che lo facevi per me, per la mia sicurezza. E così mi sono detta che era questo il suggerimento che dovevo seguire, che dovevo essere forte per entrambi, perché se mi fossi ribellata alla tua decisione avrei reso tutto più difficile, per non dire più doloroso.”

 

Harry le accarezzò il viso, tentando di mostrarle, con quel gesto, tutta la gratitudine e la riconoscenza per averlo capito… e per aver accettato. Ginny tuttavia proseguì:

 

“Però adesso…”

 

“Adesso?” Harry la spinse a continuare.

 

“Adesso  sono io che ti chiedo di perdonarmi, Harry, perché per una volta ho deciso di fregarmene e di ritagliarmi la parte dell’egoista. Finora ho accettato di starti lontana, con buona pace del mio cuore, perché tu dovevi salvare il mondo, per quanto possa essere assurdo pensare che un ragazzo di appena diciassette anni abbia sulle sue spalle il destino della comunità magica.

Ma ora tu lo hai salvato il mondo. Tu sei vivo, io sono viva. Ma non posso affrontare tutto questo da sola, non più. Non ci riesco”.

 

Si guardarono negli occhi per un istante che parve loro infinito.

 

“Non posso tornare là dentro, da mio…”

 

Le sfuggì un singhiozzo.

 

“Da mio fratello… senza avere la certezza che tu sarai al mio fianco. Non riesco più ad essere forte, Harry. Io ho bisogno di te, Harry”.

 

A quella disperata confessione, Harry la strinse ancora di più. Mentre Ginny concedeva a poche lacrime silenziose di bagnarle il viso.

 

“Ti prego, Harry, non lasciarmi sola”.

 

Il tempo si fermò a quella preghiera. Harry le prese il volto tra le mani.

 

“Non ho nessuna intenzione di farlo,amore mio”.

 

 

 

E pianse Ginny.

              

Pianse come la bambina che era stata, quella che, giocando a nascondino, non riusciva a trovare più il suo fratellone, che furbo com’era, poteva essersi nascosto ovunque.

 

Pianse come la ragazza, quella che non avrebbe più potuto dire al suo fratellone di farsi i fatti suoi e non impicciarsi della sua corrispondenza o dei suoi ammiratori.

 

Pianse come la sorella, quella che non avrebbe più potuto giocare a Quidditch con il suo fratellone, che non avrebbe più potuto fare a gara con lui per aggiudicarsi l’ultima fetta di torta della mamma.

 

 

Quando poi, rientrata in sala grande con Harry al suo fianco, si chinò per lasciare al suo fratellone una carezza e un bacio sulla fronte e quando, rialzatasi, Harry non smise di stringerle la mano,

 

pianse di nuovo.

 

Ma stavolta pianse anche come la donna, quella che sapeva che anche nelle ore più tristi della sua vita, quelle senza spiegazioni, senza logica, senza perché, avrebbe comunque avuto accanto a sé l’uomo che amava e che l’amava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Cosa dire? Dopo il momento dolce e senza pretese della mia storia precedente, ho deciso di scrivere qualcosa di diverso.

A mia discolpa, posso solo dire che mi piace sperimentare situazioni diverse J

Sono ben accetti tutti i commenti, sia positivi che critici, e tutti i suggerimenti.

Baci,

Giusyna.

  
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