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Autore: xnephilm    10/11/2012    4 recensioni
"Damien si era addormentato sul divano, la bocca leggermente aperta e la testa poggiata sulla spalla. Il suo respiro profondo e regolare era una melodia rilassante che mi tranquillizzava. Distolsi per un attimo lo sguardo dal libro che stavo leggendo e gli lanciai uno sguardo veloce senza riuscire a trattenere un sorriso affettuoso.
Quando riposava e si lasciava i problemi del suo mondo misterioso alle spalle, i tratti del viso si distendevano così tanto da permettermi di rivedere fra la barba sfatta e quelle piccole rughe d’espressione che tanto mi piacevano, il Damien della mia infanzia. Improvvisamente mi resi conto di quanto quell’immagine così spensierata e rilassata non rispecchiasse pienamente quella dipinta sul suo volto di ogni giorno. Per quel poco in cui avevamo vissuto sotto lo stesso tetto avevo imparato a riconoscere ogni suo piccolo cambiamento d’umore, da quando era contrariato o soddisfatto per qualcosa, a quando si svegliava con il piede sbagliato o inspiegabilmente allegro ma, oltre quella piccola lista di ovvietà, vedevo dominare nei suoi occhi, in quei profondi occhi celesti e lucenti così tanta tristezza e malinconia da stordirmi. Spesso l’avevo ritrovato da solo sul portico, seduto sul vecchio divano di vimini a guardare l’ignoto, smarrito in chissà quali riflessioni. Non l’avevo solo immaginato quel giorno in spiaggia, era realmente un uomo tormentato e io non sapevo da che cosa o il perché."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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cap 5

Stringersi e lasciarsi andare - capitolo 5

 

 

Se io non fossi in me

E tu fossi qualcun altro

Ti direi così tanto

E vorrei raccontare la verità

E ' intensa, posso a malapena a respirare.

 

Impiegai giusto il tempo necessario ad assimilare la notizia dopodiché, come una furia, mi scagliai contro la porta con i pugni serrati, maledicendomi mentalmente per aver scordato la mia copia di chiavi in casa.
“Damien, apri la porta!” esclamai bussando impaziente, “lo so che ci sei, non fare lo stronzo e apri questa dannata porta!”  chiunque avesse assistito alla scena mi avrebbe classificato come psicopatica,  ne ero certa perché,  l’espressione stampata sul volto di Matt sembrava confermarlo.
“Jennifer, che sta succedendo?” chiese guardandosi intorno con aria smarrita, “posso fare qualcosa?” mi sfiorò la spalla con la mano, come a voler attirare la mia attenzione.
Non feci in tempo a rispondergli che la porta si aprì, rivelando un Damien intento a simulare qualcuno che è appena stato bruscamente svegliato.
“Qual è il problema? Stavo cercando di dormire…” disse prima di sbadigliare in modo teatrale.
Lo guardai inarcando entrambe le sopracciglia di fronte a quella pessima messa in scena. Era vero, si era cambiato i vestiti e adesso indossava un paio di pantaloni di tuta sbiaditi e una vecchia t-shirt bianca che usava come pigiama ma gli occhi erano troppo animati e vigili per darmela a bere.
“Oh, falla finita!” esclamai indicando le borse ai miei piedi, “mi hai praticamente sbattuta  fuori di casa senza alcun tipo di preavviso. Cos’hai da dire riguardo a questo?”
Damien rimase impassibile e quel suo modo di fare mi fece alterare molto più di quanto non lo fossi già. Il suo sguardo glaciale ricadde su Matt,  sembrando  suggerire piuttosto esplicitamente il suo fastidio nell’averlo lì, davanti all’entrata di casa sua.
“Io e Damien dobbiamo parlare” aggiunsi alla fine, intuendo quale fosse la ragione di quel comportamento distaccato e cauto, voltandomi verso  Matt che era rimasto a guardare la scena senza proferire parola.
“Mi dispiace, Matt” continuai,  addolcendo il tono rispetto quello brusco di poco prima.
“Non preoccuparti” rispose lui scrollando le spalle, “starai bene?” rivolse uno sguardo diffidente verso Damien che lo fulminò lanciandogli un’occhiata assassina.
Annuii con forza.
“Ti chiamo domani” disse mentre si piegava per lasciarmi un bacio quasi impercettibile sulle labbra tese. Damien sbuffò.
Quando l’auto di Matt scomparve in fondo alla strada, solo allora, riportai la mia attenzione su Damien, il quale, a quanto pareva mi aveva già preceduta. Sembrava inquieto.
“Allora, vuoi darmi una spiegazione che giustifichi il tuo comportamento?” chiesi provando a mantenere un tono di voce calmo e lineare. Si era alzato un po’ di vento. Mi strinsi nel coprispalle.
“Potrei chiederti la stessa cosa” rispose lui incrociando le braccia al petto, “che ti è preso stasera, perché sei andata via?”
“Non me ne sono andata, sono sempre stata lì” ero leggermente infastidita dal modo in cui voleva ribaltare la
situazione a mio svantaggio. Peccato che, da qualsiasi prospettiva la si guardasse, fossi in una botte di ferro. Il mio atteggiamento era più che giustificato.
“No, io intendevo, perché sei andata via da me…” mi rivolse uno sguardo così intenso da ritrovarmi ad arrossire senza un motivo apparentemente valido.
Ad ogni modo, durò meno di un attimo. Damien interruppe il contatto visivo e scosse la testa e prese un lungo sospiro..
“Quello che intendevo dire…” ricominciò a parlare lentamente ma lo interruppi alzando una mano.
“Non credevo avresti sentito la mia mancanza. Mi sei sembrato parecchio in compagnia”  l’asprezza in quelle parole era palpabile.
Cogliendomi del tutto alla sprovvista, Damien scoppiò a ridere. Una risata amara e priva di gioia.
“Perciò tutto questo è successo per colpa di Rosemary?” era più una costatazione che una vera e propria domanda.
Il fatto che stesse ridendo, per quanto il suo gesto potesse essere stato spento, mi provocava all’interno un impellente voglia di tiragli un ceffone e Dio solo sapeva cosa mi stesse trattenendo dal non farlo. Probabilmente Lui stesso, dall’alto dei cieli.
Quindi reagii come ormai avevo imparato a fare, ovvero, non reagendo affatto.
Avrei potuto riversare fuori quello che avevo dentro e che provavo, i miei sentimenti nei suoi confronti, la mia rabbia, la mia gelosia, spiegargli esattamente il perché del mio comportamento, riversandogli tutto addosso come un torrente in piena una volta per sempre e accettare le conseguenze.
Eppure tutto ciò che feci fu richiudermi nel mio guscio di pietra, quello in cui non avrei mai sofferto e in cui mi rifugiavo quando ero in difficoltà.
“Lascia perdere” dissi, spostandomi per recuperare le valigie, “buonanotte Damien”.
Mentre mi allontanavo, con la coda dell’occhio vidi i suoi lineamenti intristirsi, senza più alcuna traccia d’ilarità a segnarlo, non mi fermai neppure quando lo sentii richiamare il mio nome ed opposi resistenza persino quando la sua mano grande e ruvida si serrò attorno al mio braccio e mi costrinse a voltarmi. Provai a divincolarmi ma non ne fui capace.
“Jen…”
“Non ho più niente da dirti” mentii e nel frattempo soffocai un sospiro affranto.
“E’ una bugia, lo sappiamo tutti e due ma non posso biasimarti, neanche io sono sincero con te, non del tutto almeno…”  stavo per aggiungere qualcosa, ma lui mi precedette.
“Maledizione, ho bisogno che tu mi parli, Jen. Non riesco mai a capire che cosa ti passa per la testa è questo mi fa impazzire” poggiò entrambe le mani sulle mie spalle. Si piegò in modo che i nostri visi fossero alla stessa altezza e per un attimo mi dimenticai di tutto quanto, del vento che soffiava, di quanto fossi delusa e ferita, del bacio con Matt, della rabbia. C’era solo Damien e nient’altro.
“Per favore, parlami…” trapelava disperazione dalla sua voce, non era una semplice richiesta quella che stava facendo ma una vera e propria necessità. Una necessità che avevo anche io.
“Nemmeno tu parli con me. C’è qualcosa che ti tormenta, lo vedo, sai?” lo vidi dilatare gli occhi e quella non fu altro che una conferma, “So anche che fai di tutto per non darlo a vedere ma ci sono dei momenti i cui ti perdi in te stesso, sembri allontanarti anni luce da dove ti trovi e io non capisco il perché!” non riuscivo a non alzare la voce e, per quanto la luce dell’unico lampione a qualche metro di distanza da noi mi permettesse di vedere, il colorito sul suo volto sembrava molto pallido.
“Vuoi che io ti parli, mi confidi con te, ti apra il mio cuore. Come pretendi che possa farlo se  tu sei il primo che mi esclude dalla sua vita?”
Riversare fuori almeno una piccola parte di ciò che avevo da dire mi diede un fievole senso di benessere.
“Non è come pensi. Non ti sto escludendo” il suono delle sue parole fu poco più che un sussurro, nel frattempo si era raddrizzato e aveva serrato le mani a pugno.
“Ah, no?”
“No”
“Dimmelo. Cos’ è che mi tieni nascosto?”
“Non posso. Non voglio
“Allora questa conversazione finisce qui. Buonanotte”.
Riafferrai il manico della valigia che avevo lasciato cadere sull’asfalto polveroso e mi avviai a grandi passi verso casa mia. E quella volta lui non fece niente per impedirmelo.  Il vento si era rafforzato e trascinava con se l’aroma della pioggia ancora lontana. Non sapevo come avrei dovuto sentirmi dopo una discussione del genere, se il vuoto che mi attanagliava lo stomaco fosse una reazione normale o insensata.
Forse ero solo stanca e dormire mi avrebbe aiutata a comprendere.
Prima di varcare la porta e lasciarmi tutto indietro, diedi un’ultima occhiata alle mie spalle.
Damien era ancora lì, immobile, i capelli scompigliati dall’aria burrascosa, la faccia in ombra e imperscrutabile. Perlomeno lui era ancora più scosso di me. Mi chiesi se non fossi una sciocca a fidarmi ancora così ciecamente, dopotutto non lo conoscevo per ciò che era diventato ma solo per come lo conservava il mio ricordo. Se così era, avrei voluto saperlo prima.
Vidi Damien muovere un passo in avanti e respirare una grossa boccata d’aria.

“Non ti sto escludendo, sto solo provando a proteggerti”  la sua voce risuonò nel vento, “Non avercela con me per questo!” urlò.
Chiusi la porta a chiave.


**

Ormai era dall’intero pomeriggio che pioveva incessantemente, la tempesta era arrivata in tutta la sua furia piegando i rami degli alberi con violenza e agitando il mare grigio e tetro.
Guardai verso casa di Jennifer attraverso il vetro tempestato di gocce di pioggia della finestra della camera da letto.
La sua vecchia Ford blu cobalto non era ancora parcheggiata nel vialetto. Mi domandai cosa l’avesse spinta a mettere piede fuori casa con un tempaccio simile.
Restai così per un po’, a scrutare il paesaggio con la speranza di vederla arrivare.
Sbadigliai e sbattei più volte le palpebre per scacciare via la sonnolenza. Quella notte non ero riuscito a dormire, avevo continuato a girarmi e rigirarmi fra le coperte finché la sveglia non aveva cominciato ad assordarmi con il suo suono snervante.
Il pensiero delle parole di Jennifer mi aveva mantenuto sveglio, perso nelle mie riflessioni e nei miei sensi di colpa.  Avevo ancora impressi nella mente i suoi grandi occhi blu colmi di una triste rassegnazione e animati da una potente furia.
La conoscevo bene, le sarebbe passata più rapidamente di quanto avesse impiegato ad arrabbiarsi. Lo faceva sempre.
Eppure una parte di me, un’estesa porzione, era terrorizzata dall’averla persa definitivamente.
Ero cosciente di non essermi comportato nel modo in cui lei si aspettava ma, tanto valeva allontanarla per sempre che essere l’artefice delle sue lacrime.
Perché si, un giorno o l’altro io non ci sarei più stato per lei. Non ero stupido, sapevo il ruolo importante che svolgevo nella sua vita, non si trattava di presunzione ma di una semplice ovvietà.
Lo vedevo nei suoi atteggiamenti, nel modo in cui arrossiva quando mi avvicinavo troppo, vedevo trasparire l’affetto e la tenerezza nei miei confronti dal suo sguardo quando pensava che io non la stessi guardando.
Sfortunatamente per lei, io la osservavo spesso, ogni volta che era distratta o assorta in uno dei suoi libri che le piacevano così tanto. La guardavo ridere e mordicchiarsi il labbro quando si trovava in difficoltà, arricciare intorno al dito una ciocca di capelli quando era agitata e odiavo me stesso e il mondo intero per non poterla avere nel modo in cui desideravo e che lei non immaginava nemmeno.
Se non ero completamente impazzito lo dovevo soltanto ad un’ unica persona. Rosemary.
Lei era,  letteralmente,  la mia psicologa.
Sorrisi, un sorriso amaro e forse anche un po’ divertito. Era l’ultima cosa al mondo che Jennifer si sarebbe aspettata. Anche se non l’aveva espresso ad alta voce, credeva che io e quella donna fossimo legati da sentimenti veri e puri. Non sapeva quanto si sbagliava.
Comunque, chi ero io per distruggere le sue convinzioni? Era meglio per tutti se continuava a crederci.
Non che non ci avessi provato ad innamorarmi di Rosemary, ritenendola in grado di essere l’unica capace di sopportare la mia pena senza lasciarsi prendere troppo dal panico, ma non aveva funzionato.
Alla fine era solo una delle tante che mi portavo a letto per distrarmi.
Ci fu un fruscio di lenzuola che mi spinsero a distogliere lo sguardo dalla casa malandata e cigolante a pochi metri di distanza dalla mia. Rosemary si era alzata e senza nemmeno prendersi la briga di mettersi qualcosa addosso mi si era avvicinata avvolgendomi le braccia attorno alle spalle.
“Devo andare” disse, “fra un’ora devo incontrarmi con un altro paziente ma qualcosa mi dice che non sarà molto divertente” fece una risatina allusiva, tracciando con il dito il contorno della mia clavicola.
“Sei un medico terribile” scherzai. La sentii sorridere.
“Ci vediamo domani?” chiese allontanandosi.
“Ti faccio sapere”
Rosemary sbuffò e un attimo dopo si richiuse la porta del bagno alle spalle con i mano un mucchio di vestiti stropicciati. Dieci minuti dopo era già andata via.
Quel pomeriggio era venuta per parlare di Jennifer, il suo intuito da strizzacervelli aveva intuito che la sera prima qualcosa era andato storto e voleva che ne parlassi con lei, per stare meglio. Mi aveva consigliato di raccontare tutto a Jennifer perché se non l’avessi fatto e lei avesse finito per scoprilo da qualcun altro, sarebbe stato mille volte peggio. 
E forse aveva ragione ma Jennifer restava a Cape Elizabeth solo fino alla fine dell’estate, solo tre mesi e io tre mesi potevo resistere, potevo tenerla all’oscuro di tutto.
Il vento scosse i vetri della finestra facendomi sobbalzare. Istintivamente  guardai  ancora verso casa sua.
Ero preoccupato per lei, non sarebbe dovuta uscire quando fuori c’era una tempesta a spazzare via tutto ciò che trovava lungo il proprio cammino. Avrei voluto tanto che fosse lì con me.
Il telefono squillò, ero praticamente certo che fosse qualcuno del lavoro e non mi andava di rispondere, il suono si face insistente, chiunque fosse dall’altra parte non aveva intenzione di rassegnarsi finché non avessi ascoltato cosa avesse da dirmi. Controllai il display del cellulare. Era Jennifer.

 
**

 
Chiusi a chiave la porta in legno invecchiato del Bestseller Bookstore lottando contro il vento e la pioggia battente. Dovevo essere proprio pazza per aver messo piede fuori di casa con quella tormenta spaventosa.
Miss Adams, mi aveva telefonata tutta rammaricata, con la sua vocina tenera e potente in egual misura, dicendo che quella mattina prima di andar via, aveva scordato le finestre del negozio aperte e di essere preoccupata che a causa della tempesta molti dei libri potessero danneggiarsi. Se il tempo non fosse migliorato entro quella notte sicuramente le previsioni dell’anziana signora si sarebbero avverate.
Così, senza pensarci due volte, ero andata in città, con non poche difficoltà a causa di vento, scarsa visibilità, alberi caduti e strade trafficate.
Alla fine, una volta arrivata a destinazione mi ero assicurata di chiudere anche il minimo e impercettibile spiffero d’aria e avevo finito col trattenermi più del necessario, smaltendo tutte le ordinazioni che avevamo ricevuto dai clienti. In fin dei conti, a casa non avevo nulla d’interessante da fare a parte sfregare le unghie contro i vetri in preda a istinti omicidi.
Al mio risveglio non avevo potuto fare a meno di notare l’auto di Rosemary, ferma sul vialetto di fronte e diciamo che non era stata la visone più bella del mondo. A completare il tutto,  intorno alle due del pomeriggio avevo adocchiato un fruscio di tende e delle ombre al piano di sopra, dove sapevo fosse la camera da letto di Damien e avevo finito con lo sperare che tutto quell’oscillare avanti e indietro riportasse alla luce il pranzo appena consumato di Rosemary, interrompendo il loro idillio romantico.
Quindi, onde evitare che da minacce mentali e a distanza il tutto si trasformasse in un film dell’orrore, era meglio tenermi occupata.
Peccato che il mio cervello iperattivo fosse in grado di pensare a più cose contemporaneamente e nessuna di queste riguardava minimamente il lavoro ma una serie di flashback e d’immagini in slowmotion della serata precedente. Se Damien riteneva me una persona difficile da capire, evidentemente  non aveva passato molto tempo in compagnia di se stesso.
Una folata di vento più forte delle altre, sollevò il mio ombrello in aria e lo ridusse ad un mucchio di ferraglia raggrinzita, perciò fui costretta a ritornare alla macchina senza alcuna protezione contro la pioggia.
Inutile dire che quando la raggiunsi ero zuppa fino alle ossa. Tremando come una foglia, accesi l’aria calda e per qualche minuto assaporai il delicato calore delle ventole sulla pelle.
Quel giorno in città le strade erano deserte a accezione di qualche passante che rientrava a casa e di poche automobili di passaggio. Persino le scuole sarebbero rimaste chiuse  finché il peggio non fosse passato.
Per tornare a casa avrei dovuto allungare prendendo una strada alternativa, visto che la principale era allagata. 
Con i capelli incollati alla faccia e i vestiti grondanti d’acqua, imboccai la via del ritorno, ansiosa di tornare a casa, farmi un bel bagno bollente e infilarmi nel mio pigiama felpato a prova di stupro.
Senza ombra di dubbio, avrei trascorso quella sera leggendo un buon libro stravaccata sul divano, accompagnando il tutto con una gigantesca tazza di cioccolata calda.
A dirla tutta, Matt mi aveva chiamata offrendosi di venire a farmi compagnia ma non avevo avuto cuore di farlo avventurare fuori, nel bel mezzo del diluvio universale.
E poi non ero proprio dell’umore giusto per essere romantica.
Senza che potessi farci niente, sentivo ancora riecheggiare nelle orecchie le parole di Damien.

Sto solo provando a proteggerti, aveva detto. Ma da cosa, maledizione? Se fossi stata una persona più arrendevole, avrei semplicemente accettato passivamente e continuato la mia vita senza troppe complicazioni. Purtroppo, in tempi non troppo lontani, in famiglia ero nota per essere quella testarda e determinata. Sarebbero stati tutti contenti di sapere che la vecchia Jennifer era tornata più in forma che mai.
Realizzai di essere arrivata nei pressi del faro, lo vedevo in lontananza, in tutta la sua imponenza. Si stagliava sopra la scogliera, con grossi nuvoloni grigi a fargli da sfondo. Il mare rifletteva il colore cupo del cielo e sfogava la sua ira, in rabbiose onde schiumose contro le rocce.
Proseguii, schiacciando il piede sull’acceleratore, la strada era sgombra e poi, stavo letteralmente gelando.
Non sapevo che di lì a poco avrei passato in minuti più terribili della mia vita.
Fu questione di un attimo, ci fu lampo seguito da un rombo e poi un altro lampo ancora, più potente del primo che colpì dritto un albero proprio mentre passavo con la mia Ford.
L’albero, crollò al suolo e io riuscii ad evitarlo per un soffio, sterzando bruscamente verso sinistra.
Ma l’asfalto era bagnato e le ruote persero aderenza così iniziai a vorticare sulla strada senza riuscire a frenare o a cambiare traiettoria rischiando di precipitare giù per la scogliera. Non riuscivo a vedere niente.
Sterzai un’altra volta ma ormai avevo perso il controllo dell’auto. Sarei morta in quel posto a causa di uno stupido incidente. Damien quella volta si sarebbe arrabbiato sul serio. Tirai con tutta la forza che avevo il freno a mano, come ultimo tentativo e pregai.
L’impatto fu da mozzare il fiato. Urlai.
La Ford si arrestò bruscamente mentre ancora roteava diretta verso un piccolo dirupo, poi lo schianto che mandò in frantumi il parabrezza in mille schegge che mi graffiarono il viso, fui sbalzata all’indietro e colpii la testa contro il sedile. Ci fu uno sbuffo, probabilmente l’ultimo lamento del motore, poi tutto si fermò.  Era tutto finito, ero salva.
Ringrazia Dio per aver avuto il buonsenso di inserire la cintura di sicurezza, altrimenti avrei finito con lo schizzare fuori dal parabrezza con una forza tale da riuscire a spezzare la mia vita nel giro di due secondi.
Mi tremavano le mani, la parvenza di lucidità che ero riuscita a mantenere per tutto quel tempo erano svaniti lasciando il posto al panico. Ero confusa, incapace di ragionare chiaramente.
Avevo la vista appannata, non mi ero resa conto di aver iniziato a piangere, non un pianto normale ma disperato.
Mi strofinai gli occhi per cancellare le lacrime che colavano lungo il mio viso e nel farlo mi sporcai le mani con il sangue proveniente dai tagli poco profondi. Anche il labbro superiore aveva risentito dell’urto, avvertivo il gusto metallico sulla lingua.
Respirai affondo per regolarizzare il respiro. Decisi di uscire di lì, di chiedere aiuto a qualche auto di passaggio.
Afferrai la maniglia dello sportello che oppose un po’ di resistenza prima di aprirsi e lasciarmi andare. Sentivo le gambe molli, tanto da ritenere un evento straordinario il fatto di riuscire a mettere un piede dopo l’altro e di riuscire a trasportarmi sul ciglio della strada. Mi lasciai ricadere contro il tronco di un albero malconcio, da lì mi avrebbero sicuramente vista. La pioggia non accennava a voler smettere e continuava a cadere incessante colpendomi con violenza a causa del vento. Stavo morendo di freddo.
Ma dopo qualche minuto fu ben chiaro che nessuno sarebbe passato di lì, almeno non subito e io avevo bisogno di tornare a casa, bisogno di rannicchiarmi nelle braccia di qualcuno. Fra le braccia protettive di Damien. Volevo sentire la sua voce calda e profonda sussurrarmi parole di conforto contro la fronte, non m’importava se voleva evitarmi o se fosse furioso con me, volevo lui e nessun altro.
Dandomi della stupida per non averlo fatto prima, cercai il telefono nella tasca dei jeans e composi il numero con le dita che ancora tremavano. Attesi, mentre il telefono squillava ripetutamente e per un attimo credetti che stesse volutamente ignorando la mia chiamata per via di quella discussione la sera prima e per come mi ero comportata.
Proprio quando avevo cominciato a perdere le speranze, la voce di Damien mi raggiunse attraverso il ricevitore.
“Ehi…” rispose leggermente roco, simile a una persona dopo un lungo pianto.
“Dame” dissi con un filo di voce ma m’interruppi subito, provando a mantenermi il più calma possibile per non spaventarlo.
“Jen, tutto bene?” chiese in allerta.
“Puoi venire a prendermi? La mia auto è fuori uso…”
“Certo, dove sei?” sembrava non essersi accorto di nulla, “è successo qualcosa?” chiese dopo un attimo di pausa. Come al solito sottovalutavo sempre quanto fosse dannatamente bravo a capire quando non gli dicevo la verità, anche dall’altro capo del telefono.
“Sto bene” mi affrettai a dire, ignorando il profondo senso di debolezza che incombeva su di me.
“Jennifer, voglio sapere esattamente cosa è successo” ed eccolo lì, l’emblema della preoccupazione.
Sentii distintamente il suono di lui che si precipitava giù per le scale.
“Ho avuto un incidente con la macchina, nessun altro è coinvolto. Non mi sono fatta niente di grave” continuai ad insistere su quell’aspetto.
“Questo lascialo decidere a me. Dimmi dove ti trovi” in sottofondo sentii il fragore del motore della jeep che si animava.
“Sulla strada che porta al faro, vicino a dove giocavamo a nascondino, ti ricordi?”
“Sto arrivando, dammi cinque minuti” disse in un soffio e chiuse la chiamata.
Presi un bel respiro, quell’orribile sensazione di debolezza si era insinuata ancora di più nei muscoli, offuscando la vista ad intervalli regolari. Sbattevo i denti per il freddo pungente e provai a ripararmi meglio sotto i rami spogli di quell’albero scarno, inutilmente. Ero cosi debole…

 “Uno, due, tre…” Paige stava contando coprendosi la faccia con entrambe le mani. Era un pomeriggio caldo d’estate e stavamo giocando a nascondino nei pressi il grande faro. Ci piaceva quel posto così vicino agli scogli perché era molto ampio e c’erano un sacco di rientranze in cui potersi nascondere. I nostri genitori non volevano che andassimo lì, era pericoloso, ci dicevano. Ma noi non li ascoltavamo e ci andavamo lo stesso quando erano troppo impegnati a chiacchierare di noiosi discorsi d’adulti ed erano distratti.
“…Otto, nove…” lanciai uno sguardo alle mie spalle. Damien scrutava attento il paesaggio circostante alla ricerca del nascondiglio perfetto, fra tutti era il più bravo in quel gioco e io lo attribuivo al fatto che fosse molto silenzioso. Poco più lontano c’erano i gemelli Bennet, un maschio e una femmina pel di carota inseparabili che si nascondevano dentro un grosso cespuglio. Più avanti la figlia della signora Collins correva verso un’insenatura di uno scoglio più larga delle altre, invece il minore degli Stewart si affannava verso chissà quale nascondiglio.
“…Dodici, tredici…” guardai di nuovo in direzione di Damien e quella volta mi sorrise, per poi scattare in avanti e correre dalla parte del faro.
“Sbrigati, Jen! Non vorrai farti battere anche questa volta!” gridò mentre si allontanava.
Ma io sapevo già dove andare. In un lampo corsi il più veloce possibile nella stessa sua direzione solo che ad un certo punto deviai verso destra. Si trattava di una larga voragine nella roccia marina che mi aveva mostrato mio padre quando eravamo rientrati con la barca dopo una lunga mattinata passata a pescare, solo che per raggiungerla avrei dovuto arrampicarmi un po’. Avevo la vittoria assicurata, nessuno mi avrebbe trovata lì.
Non sentivo più Paige contare, sicuramente doveva già aver iniziato la sua ricerca, ma non aveva importanza, ero quasi arrivata, dovevo solo salire un po’ più in alto…il piede che avevo appena mosso in avanti, slittò sullo scoglio, facendomi perdere l’equilibrio. Caddi all’indietro, inciampando in ogni spigolo e buco di quella scogliera, scorticandomi la pelle che sfregava contro le pietre, afferrandomi a qualsiasi cosa mi capitasse a tiro per rallentare l’impatto. Fortunatamente, terminai il mio ruzzolone in una piccola e stretta conca sabbiosa con qualche centimetro d’acqua e non sulla dura pietra.
A parte dei leggeri tagli e qualche sbucciatura, stavo bene e sebbene mi fossi presa un gran spavento stavo già pensando ad un modo per ritornare dai miei amici. Nel rialzami mi resi conto di essermi slogata una caviglia, una fitta terribile mi fece piegare a metà dal dolore. Non avrei potuto arrampicarmi. In quel momento iniziai a preoccuparmi sul serio.
Aguzzai le orecchie per captare una voce familiare, una risata o delle grida proveniente da qualcuno, ma non sentivo nulla a parte il rumore del mare e il verso di qualche gabbiano. Forse sarebbero riusciti a trovarmi da soli. Passarono quelli che credetti essere cinque, dieci, venti minuti ed ero ancora lì, sola e zuppa d’acqua.
“Aiuto! Mi sentite? Qualcuno mi aiuti!” niente, continuavo a gridare senza sosta ma nessuno venne in mio soccorso.
Scoppiai a piangere, terrorizzata. Sarei rimasta lì per sempre e non avrei più rivisto i miei genitori e il nonno e i miei amici. Piansi più forte.

“Jennifer, dove sei?”
Alzai di scatto la testa, attirata da quel richiamo. Non me l’ero immaginato vero?
“Jennifer!”
“Jen!” no, era reale, era la voce di Damien.

“Sono qui! Dame, sono qui!”
“Jennifer! Jennifer!” mi aveva trovata...

“Jen!... Jennifer, mi senti?” percepivo la presenza di Damien da qualche parte vicino a dov’ero, sentivo le sue mani che mi scuotevano dalle spalle e il panico nella sua voce.
“Jen, ti prego apri gli occhi”.
Lo feci, molto lentamente e con enorme fatica. Ci volle qualche secondo per mettere a fuoco le immagini e quando finalmente i contorni del mondo circostante tornarono al proprio posto, vidi Damien inginocchiato di fronte a me, con i capelli incollati alla fronte per via della pioggia e delle piccole gocce intrappolate fra le ciglia.
“Grazie a Dio” mormorò  prima di stringermi contro di lui e darmi un bacio sulla testa.
“Dame…” le parole mi scivolarono via dalle labbra in un mormorio confuso, avrei voluto tranquillizzarlo, ricambiare il suo abbraccio e ritornare a casa. E provai a farlo, provai a fare tutte quelle cose senza riuscirci. Avevo freddo, il tremore aveva assunto un andamento molto simile a degli spasmi e stavo per svenire un’altra volta. Sprofondai nel buio.

 

 

 

 

 

 

 

**

Lo so, lo so, non credete ai vostri occhi, ho pubblicato il nuovo capitolo. Godetevi il momento perché l’altro arriverà il mese prossimo e vorrei far presente a tutti che il 21 dicembre finisce il mondo, quindi…non garantisco ahahah. Apparte gli scherzi (no, non mi riferisco alla fine del mondo, quella è sicura) il capitolo 6 è quasi ultimato, devo solo buttarlo al pc e rileggerlo, quindi approssimativamente, tenendo conto dello studio, degli impegni con la scuola guida, di mia madre che strilla perché devo aiutarla con le faccende domestiche, di mio padre che s’impossessa del mio computer per vedere le partite di calcio in streaming e della mia vita sociale…direi un paio di settimane e sarà reso pubblico. Poi potrebbe sempre succedere un miracolo e magicamente lo vedrete spuntare nel giro di una settimana, non disperate! Comunque, tornando a noi, diciamo che questo è una specie di capitolo di transizione o meglio, a me piace chiamarlo così invece di “inutile capitolo in cui non succede niente di così particolarmente affascinante” perché ammettiamolo, è così.
Ora, come tutti avrete notato c’è una parte in cui ho scritto dal punto di vista di Damien, non so se ce ne saranno ancora ma se succederà saranno molto sporadiche. Ho voluto descrivere dalla sua prospettiva per provare a farvi capire quello che il personaggio sente, almeno larghe linee e, allo stesso tempo ho cercato di confondere un po’ le idee. Non so se sono ci sono riuscita, quindi se recensite non è che poteste farmelo sapere? Tipo: “Brava, ho capito che Dame è depresso ma non so per quale motivo” oppure, “Sai, fai schifo nel fare queste cose, non riprovarci mai più”, o ancora “Ho capito qual è il suo problema!” (e in questo caso mi piacerebbe sapere la vostra teoria
J).
Vi prometto, sull’Angelo (si, in tutto questo tempo ho praticamente divorato la saga di Shadowhunters, che consiglio caldamente di leggere a tutti *-*) che il sesto capitolo sarà più ricco di momenti Jen/Dame…anticipazioni? Vi basti sapere che ci sarà un letto. Siete curiose eh? Ùù
Passiamo ai ringraziamenti:

Nixphoe: una delle veterane, che si accolla le mie storie dai tempi della preistoria. Sappi che ti amo e che adoro le tue recensioni, visto che rendono molto bene il concetto lol.
_FairyGirl_: mi riempi sempre di mille incoraggiamenti e lo apprezzo davvero tanto, credimi <3
FallingInLove: sembri davvero accanita su ogni capitolo che pubblico e mi fornisci un’analisi dettagliata di quello che pensi, il che mi fa comprendere che la gente capisce ciò che intendo dire ahah
bswan_: hai conosciuto la mia storia tramite twitter e da lì è nata una lunga storia d’amore fra me e te destinata a concludersi con un matrimonio a Las Vegas. Te l’ho già detto, grazie per apprezzare ciò che scrivo, visto che ci sono momenti in cui io stessa non lo faccio.
E poi ci sono loro MadHatter27 e Eynes voi ragazze, siete due deficienti, due idiote con cui ho tante cose in comune e che stimo molto come esseri umani. Anche a voi un grosso grazie per aver recensito <3
Un grazie va anche a tutti coloro che leggono soltanto, a chi ha messo la storia fra le ricordate e le preferite e le seguite. GRAZIE!
Direi che è tutto. Wow, vi rendete conto che ho scritto TROPPO? Si vede che non ho sonno e ho fatto le cose con calma loool.
Ultima cosa. Se a qualcuno interessa ho pubblicato un’altra fanfiction, questa sarà molto più corta o forse una raccolta di mini storie ma non verrà aggiornata con la frequenza di questa. E’ solo per il piacere di scrivere. V’informo anticipatamente che è una songfic tratta dal nuovo singolo di Taylor Swift “Begin Again” (PUBBLICITA’ XD) quindi a chi facesse piacere ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1334966&i=1

 
                                                                            Noemi <3

  
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