Stringersi
e lasciarsi andare -
capitolo 5
Se
io non fossi in me
E
tu fossi qualcun altro
Ti
direi così tanto
E
vorrei raccontare la
verità
E
' intensa, posso a
malapena a respirare.
Impiegai giusto il
tempo
necessario ad assimilare la notizia dopodiché, come una
furia, mi scagliai
contro la porta con i pugni serrati, maledicendomi mentalmente per aver
scordato la mia copia di chiavi in casa.
“Damien, apri la porta!”
esclamai bussando impaziente, “lo so che ci sei, non fare lo stronzo e apri questa dannata
porta!” chiunque
avesse assistito alla
scena mi avrebbe classificato come psicopatica,
ne ero certa perché,
l’espressione
stampata sul volto di Matt sembrava confermarlo.
“Jennifer, che sta
succedendo?” chiese guardandosi intorno con aria smarrita,
“posso fare
qualcosa?” mi sfiorò la spalla con la mano, come a
voler attirare la mia
attenzione.
Non feci in tempo a
rispondergli che la porta si aprì, rivelando un Damien
intento a simulare
qualcuno che è appena stato bruscamente svegliato.
“Qual è il problema? Stavo
cercando di dormire…” disse prima di sbadigliare
in modo teatrale.
Lo guardai inarcando
entrambe le sopracciglia di fronte a quella pessima messa in scena. Era
vero,
si era cambiato i vestiti e adesso indossava un paio di pantaloni di
tuta
sbiaditi e una vecchia t-shirt bianca che usava come pigiama ma gli
occhi erano
troppo animati e vigili per darmela a bere.
“Oh, falla finita!”
esclamai indicando le borse ai miei piedi, “mi hai
praticamente sbattuta fuori
di casa senza alcun tipo di preavviso.
Cos’hai da dire riguardo a questo?”
Damien rimase impassibile
e quel suo modo di fare mi fece alterare molto più di quanto
non lo fossi già.
Il suo sguardo glaciale ricadde su Matt,
sembrando suggerire
piuttosto
esplicitamente il suo fastidio nell’averlo lì,
davanti all’entrata di casa sua.
“Io e Damien dobbiamo
parlare” aggiunsi alla fine, intuendo quale fosse la ragione
di quel
comportamento distaccato e cauto, voltandomi verso
Matt che era rimasto a guardare la scena
senza proferire parola.
“Mi dispiace, Matt”
continuai, addolcendo
il tono rispetto
quello brusco di poco prima.
“Non preoccuparti” rispose
lui scrollando le spalle, “starai bene?” rivolse
uno sguardo diffidente verso
Damien che lo fulminò lanciandogli un’occhiata
assassina.
Annuii con forza.
“Ti chiamo domani” disse
mentre si piegava per lasciarmi un bacio quasi impercettibile sulle
labbra
tese. Damien sbuffò.
Quando l’auto di Matt
scomparve in fondo alla strada, solo allora, riportai la mia attenzione
su
Damien, il quale, a quanto pareva mi aveva già preceduta.
Sembrava inquieto.
“Allora, vuoi darmi una
spiegazione che giustifichi il tuo comportamento?” chiesi
provando a mantenere
un tono di voce calmo e lineare. Si era alzato un po’ di
vento. Mi strinsi nel
coprispalle.
“Potrei chiederti la
stessa cosa” rispose lui incrociando le braccia al petto,
“che ti è preso
stasera, perché sei andata via?”
“Non me ne sono andata,
sono sempre stata lì” ero leggermente infastidita
dal modo in cui voleva
ribaltare la
situazione a mio
svantaggio. Peccato che, da qualsiasi prospettiva la si guardasse,
fossi in una
botte di ferro. Il mio atteggiamento era più che
giustificato.
“No, io intendevo, perché
sei andata via da me…”
mi rivolse uno
sguardo così intenso da ritrovarmi ad arrossire senza un
motivo apparentemente
valido.
Ad ogni modo, durò meno di
un attimo. Damien interruppe il contatto visivo e scosse la testa e
prese un
lungo sospiro..
“Quello che intendevo
dire…” ricominciò a parlare lentamente
ma lo interruppi alzando una mano.
“Non credevo avresti
sentito la mia mancanza. Mi sei sembrato parecchio in
compagnia” l’asprezza
in quelle parole era palpabile.
Cogliendomi del tutto alla
sprovvista, Damien scoppiò a ridere. Una risata amara e
priva di gioia.
“Perciò tutto questo è
successo per colpa di Rosemary?” era più una
costatazione che una vera e
propria domanda.
Il fatto che stesse
ridendo, per quanto il suo gesto potesse essere stato spento, mi
provocava
all’interno un impellente voglia di tiragli un ceffone e Dio
solo sapeva cosa
mi stesse trattenendo dal non farlo. Probabilmente Lui stesso,
dall’alto dei
cieli.
Quindi reagii come ormai
avevo imparato a fare, ovvero, non reagendo affatto.
Avrei potuto riversare
fuori quello che avevo dentro e che provavo, i miei sentimenti nei suoi
confronti, la mia rabbia, la mia gelosia, spiegargli esattamente il
perché del
mio comportamento, riversandogli tutto addosso come un torrente in
piena una
volta per sempre e accettare le conseguenze.
Eppure tutto ciò che feci
fu richiudermi nel mio guscio di pietra, quello in cui non avrei mai
sofferto e
in cui mi rifugiavo quando ero in difficoltà.
“Lascia perdere” dissi,
spostandomi per recuperare le valigie, “buonanotte
Damien”.
Mentre mi allontanavo, con
la coda dell’occhio vidi i suoi lineamenti intristirsi, senza
più alcuna
traccia d’ilarità a segnarlo, non mi fermai
neppure quando lo sentii richiamare
il mio nome ed opposi resistenza persino quando la sua mano grande e
ruvida si
serrò attorno al mio braccio e mi costrinse a voltarmi.
Provai a divincolarmi
ma non ne fui capace.
“Jen…”
“Non ho più niente da
dirti” mentii e nel frattempo soffocai un sospiro affranto.
“E’ una bugia, lo sappiamo
tutti e due ma non posso biasimarti, neanche io sono sincero con te,
non del
tutto almeno…”
stavo per aggiungere
qualcosa, ma lui mi precedette.
“Maledizione, ho bisogno
che tu mi parli, Jen. Non riesco mai a capire che cosa ti passa per la
testa è
questo mi fa impazzire” poggiò entrambe le mani
sulle mie spalle. Si piegò in
modo che i nostri visi fossero alla stessa altezza e per un attimo mi
dimenticai di tutto quanto, del vento che soffiava, di quanto fossi
delusa e
ferita, del bacio con Matt, della rabbia. C’era solo Damien e
nient’altro.
“Per favore, parlami…”
trapelava disperazione dalla sua voce, non era una semplice richiesta
quella
che stava facendo ma una vera e propria necessità. Una
necessità che avevo
anche io.
“Nemmeno tu parli con me.
C’è qualcosa che ti tormenta, lo vedo,
sai?” lo vidi dilatare gli occhi e
quella non fu altro che una conferma, “So anche che fai di
tutto per non darlo
a vedere ma ci sono dei momenti i cui ti perdi in te stesso, sembri
allontanarti anni luce da dove ti trovi e io non capisco il
perché!” non
riuscivo a non alzare la voce e, per quanto la luce
dell’unico lampione a
qualche metro di distanza da noi mi permettesse di vedere, il colorito
sul suo
volto sembrava molto pallido.
“Vuoi che io ti parli, mi
confidi con te, ti apra il mio cuore. Come pretendi che possa farlo se tu sei il primo che mi
esclude dalla sua
vita?”
Riversare fuori almeno una
piccola parte di ciò che avevo da dire mi diede un fievole
senso di benessere.
“Non è come pensi. Non ti
sto escludendo” il suono delle sue parole fu poco
più che un sussurro, nel
frattempo si era raddrizzato e aveva serrato le mani a pugno.
“Ah, no?”
“No”
“Dimmelo. Cos’ è che mi
tieni nascosto?”
“Non posso. Non voglio”
“Allora questa
conversazione finisce qui. Buonanotte”.
Riafferrai il manico della
valigia che avevo lasciato cadere sull’asfalto polveroso e mi
avviai a grandi
passi verso casa mia. E quella volta lui non fece niente per
impedirmelo. Il
vento si era rafforzato e trascinava con
se l’aroma della pioggia ancora lontana. Non sapevo come
avrei dovuto sentirmi
dopo una discussione del genere, se il vuoto che mi attanagliava lo
stomaco
fosse una reazione normale o insensata.
Forse ero solo stanca e
dormire mi avrebbe aiutata a comprendere.
Prima di varcare la porta
e lasciarmi tutto indietro, diedi un’ultima occhiata alle mie
spalle.
Damien era ancora lì,
immobile, i capelli scompigliati dall’aria burrascosa, la
faccia in ombra e
imperscrutabile. Perlomeno lui era ancora più scosso di me.
Mi chiesi se non
fossi una sciocca a fidarmi ancora così ciecamente,
dopotutto non lo conoscevo
per ciò che era diventato ma solo per come lo conservava il
mio ricordo. Se
così era, avrei voluto saperlo prima.
Vidi Damien muovere un
passo in avanti e respirare una grossa boccata d’aria.
“Non
ti sto escludendo, sto solo provando a proteggerti”
la sua voce risuonò nel vento, “Non
avercela con me per questo!” urlò.
Chiusi la porta a chiave.
**
Guardai verso casa di
Jennifer attraverso il vetro tempestato di gocce di pioggia della
finestra
della camera da letto.
La sua vecchia Ford blu
cobalto non era ancora parcheggiata nel vialetto. Mi domandai cosa
l’avesse
spinta a mettere piede fuori casa con un tempaccio simile.
Restai così per un po’, a
scrutare il paesaggio con la speranza di vederla arrivare.
Sbadigliai e sbattei più
volte le palpebre per scacciare via la sonnolenza. Quella notte non ero
riuscito a dormire, avevo continuato a girarmi e rigirarmi fra le
coperte
finché la sveglia non aveva cominciato ad assordarmi con il
suo suono
snervante.
Il pensiero delle parole
di Jennifer mi aveva mantenuto sveglio, perso nelle mie riflessioni e
nei miei
sensi di colpa. Avevo
ancora impressi
nella mente i suoi grandi occhi blu colmi di una triste rassegnazione e
animati
da una potente furia.
La conoscevo bene, le
sarebbe passata più rapidamente di quanto avesse impiegato
ad arrabbiarsi. Lo
faceva sempre.
Eppure una parte di me, un’estesa
porzione, era terrorizzata dall’averla persa definitivamente.
Ero cosciente di non
essermi comportato nel modo in cui lei si aspettava ma, tanto valeva
allontanarla per sempre che essere l’artefice delle sue
lacrime.
Perché si, un giorno o
l’altro io non ci sarei più stato per lei. Non ero
stupido, sapevo il ruolo
importante che svolgevo nella sua vita, non si trattava di presunzione
ma di
una semplice ovvietà.
Lo vedevo nei suoi atteggiamenti,
nel modo in cui arrossiva quando mi avvicinavo troppo, vedevo
trasparire
l’affetto e la tenerezza nei miei confronti dal suo sguardo
quando pensava che
io non la stessi guardando.
Sfortunatamente per lei,
io la osservavo spesso, ogni volta che era distratta o assorta in uno
dei suoi
libri che le piacevano così tanto. La guardavo ridere e
mordicchiarsi il labbro
quando si trovava in difficoltà, arricciare intorno al dito
una ciocca di
capelli quando era agitata e odiavo me stesso e il mondo intero per non
poterla
avere nel modo in cui desideravo e che lei non immaginava nemmeno.
Se non ero completamente
impazzito lo dovevo soltanto ad un’ unica persona. Rosemary.
Lei era, letteralmente, la mia psicologa.
Sorrisi, un sorriso amaro
e forse anche un po’ divertito. Era l’ultima cosa
al mondo che Jennifer si
sarebbe aspettata. Anche se non l’aveva espresso ad alta
voce, credeva che io e
quella donna fossimo legati da sentimenti veri e puri. Non sapeva
quanto si
sbagliava.
Comunque, chi ero io per distruggere
le sue convinzioni? Era meglio per tutti se continuava a crederci.
Non che non ci avessi
provato ad innamorarmi di Rosemary, ritenendola in grado di essere
l’unica
capace di sopportare la mia pena senza lasciarsi prendere troppo dal
panico, ma
non aveva funzionato.
Alla fine era solo una
delle tante che mi portavo a letto per distrarmi.
Ci fu un fruscio di
lenzuola che mi spinsero a distogliere lo sguardo dalla casa malandata
e
cigolante a pochi metri di distanza dalla mia. Rosemary si era alzata e
senza
nemmeno prendersi la briga di mettersi qualcosa addosso mi si era
avvicinata
avvolgendomi le braccia attorno alle spalle.
“Devo andare” disse, “fra
un’ora devo incontrarmi con un altro paziente ma qualcosa mi
dice che non sarà
molto divertente” fece una risatina allusiva, tracciando con
il dito il
contorno della mia clavicola.
“Sei un medico terribile”
scherzai. La sentii sorridere.
“Ci vediamo domani?”
chiese allontanandosi.
“Ti faccio sapere”
Rosemary sbuffò e un
attimo dopo si richiuse la porta del bagno alle spalle con i mano un
mucchio di
vestiti stropicciati. Dieci minuti dopo era già andata via.
Quel pomeriggio era venuta
per parlare di Jennifer, il suo intuito da strizzacervelli aveva
intuito che la
sera prima qualcosa era andato storto e voleva che ne parlassi con lei,
per
stare meglio. Mi aveva consigliato di raccontare tutto a Jennifer
perché se non
l’avessi fatto e lei avesse finito per scoprilo da qualcun
altro, sarebbe stato
mille volte peggio.
E forse aveva ragione ma
Jennifer restava a Cape Elizabeth solo fino alla fine
dell’estate, solo tre
mesi e io tre mesi potevo resistere, potevo tenerla
all’oscuro di tutto.
Il vento scosse i vetri
della finestra facendomi sobbalzare. Istintivamente
guardai
ancora verso casa sua.
Ero preoccupato per lei,
non sarebbe dovuta uscire quando fuori c’era una tempesta a
spazzare via tutto
ciò che trovava lungo il proprio cammino. Avrei voluto tanto
che fosse lì con
me.
Il telefono squillò, ero
praticamente certo che fosse qualcuno del lavoro e non mi andava di
rispondere,
il suono si face insistente, chiunque fosse dall’altra parte
non aveva
intenzione di rassegnarsi finché non avessi ascoltato cosa
avesse da dirmi. Controllai
il display del cellulare. Era Jennifer.
**
Chiusi a chiave la porta
in legno invecchiato del Bestseller Bookstore lottando contro il vento
e la
pioggia battente. Dovevo essere proprio pazza per aver messo piede
fuori di
casa con quella tormenta spaventosa.
Miss Adams, mi aveva
telefonata tutta rammaricata, con la sua vocina tenera e potente in
egual
misura, dicendo che quella mattina prima di andar via, aveva scordato
le
finestre del negozio aperte e di essere preoccupata che a causa della
tempesta
molti dei libri potessero danneggiarsi. Se il tempo non fosse
migliorato entro
quella notte sicuramente le previsioni dell’anziana signora
si sarebbero
avverate.
Così, senza pensarci due
volte, ero andata in città, con non poche
difficoltà a causa di vento, scarsa
visibilità, alberi caduti e strade trafficate.
Alla fine, una volta
arrivata a destinazione mi ero assicurata di chiudere anche il minimo e
impercettibile spiffero d’aria e avevo finito col trattenermi
più del
necessario, smaltendo tutte le ordinazioni che avevamo ricevuto dai
clienti. In
fin dei conti, a casa non avevo nulla d’interessante da fare
a parte sfregare
le unghie contro i vetri in preda a istinti omicidi.
Al mio risveglio non avevo
potuto fare a meno di notare l’auto di Rosemary, ferma sul
vialetto di fronte e
diciamo che non era stata la visone più bella del mondo. A
completare il
tutto, intorno alle
due del pomeriggio
avevo adocchiato un fruscio di tende e delle ombre al piano di sopra,
dove
sapevo fosse la camera da letto di Damien e avevo finito con lo sperare
che
tutto quell’oscillare avanti e indietro riportasse alla luce
il pranzo appena
consumato di Rosemary, interrompendo il loro idillio romantico.
Quindi, onde evitare che
da minacce mentali e a distanza il tutto si trasformasse in un film
dell’orrore,
era meglio tenermi occupata.
Peccato che il mio
cervello iperattivo fosse in grado di pensare a più cose
contemporaneamente e
nessuna di queste riguardava minimamente il lavoro ma una serie di
flashback e
d’immagini in slowmotion della serata precedente. Se Damien
riteneva me una
persona difficile da capire, evidentemente
non aveva passato molto tempo in compagnia di se stesso.
Una folata di vento più
forte delle altre, sollevò il mio ombrello in aria e lo
ridusse ad un mucchio
di ferraglia raggrinzita, perciò fui costretta a ritornare
alla macchina senza
alcuna protezione contro la pioggia.
Inutile dire che quando la
raggiunsi ero zuppa fino alle ossa. Tremando come una foglia, accesi
l’aria
calda e per qualche minuto assaporai il delicato calore delle ventole
sulla
pelle.
Quel giorno in città le
strade erano deserte a accezione di qualche passante che rientrava a
casa e di
poche automobili di passaggio. Persino le scuole sarebbero rimaste
chiuse finché
il peggio non fosse passato.
Per tornare a casa avrei
dovuto allungare prendendo una strada alternativa, visto che la
principale era
allagata.
Con i capelli incollati
alla faccia e i vestiti grondanti d’acqua, imboccai la via
del ritorno, ansiosa
di tornare a casa, farmi un bel bagno bollente e infilarmi nel mio
pigiama
felpato a prova di stupro.
Senza ombra di dubbio,
avrei trascorso quella sera leggendo un buon libro stravaccata sul
divano, accompagnando
il tutto con una gigantesca tazza di cioccolata calda.
A dirla tutta, Matt mi
aveva chiamata offrendosi di venire a farmi compagnia ma non avevo
avuto cuore di
farlo avventurare fuori, nel bel mezzo del diluvio universale.
E poi non ero proprio
dell’umore giusto per essere romantica.
Senza che potessi farci
niente, sentivo ancora riecheggiare nelle orecchie le parole di Damien.
Sto
solo provando a proteggerti,
aveva detto. Ma da cosa, maledizione? Se fossi stata una persona
più arrendevole,
avrei semplicemente accettato passivamente e continuato la mia vita
senza
troppe complicazioni. Purtroppo, in tempi non troppo lontani, in
famiglia ero
nota per essere quella testarda e determinata. Sarebbero stati tutti
contenti
di sapere che la vecchia Jennifer era tornata più in forma
che mai.
Realizzai di essere arrivata
nei pressi del
faro, lo vedevo in lontananza, in tutta la sua imponenza. Si stagliava
sopra la
scogliera, con grossi nuvoloni grigi a fargli da sfondo. Il mare
rifletteva il
colore cupo del cielo e sfogava la sua ira, in rabbiose onde schiumose
contro
le rocce.
Proseguii, schiacciando il
piede sull’acceleratore, la strada era sgombra e poi, stavo
letteralmente
gelando.
Non sapevo che di lì a
poco avrei passato in minuti più terribili della mia vita.
Fu questione di un attimo,
ci fu lampo seguito da un rombo e poi un altro lampo ancora,
più potente del
primo che colpì dritto un albero proprio mentre passavo con
la mia Ford.
L’albero, crollò al suolo
e io riuscii ad evitarlo per un soffio, sterzando bruscamente verso
sinistra.
Ma l’asfalto era bagnato e
le ruote persero aderenza così iniziai a vorticare sulla
strada senza riuscire
a frenare o a cambiare traiettoria rischiando di precipitare
giù per la
scogliera. Non riuscivo a vedere niente.
Sterzai un’altra volta ma
ormai avevo perso il controllo dell’auto. Sarei morta in quel
posto a causa di
uno stupido incidente. Damien quella volta si sarebbe arrabbiato sul
serio. Tirai
con tutta la forza che avevo il freno a mano, come ultimo tentativo e
pregai.
L’impatto fu da mozzare il
fiato. Urlai.
La Ford si arrestò
bruscamente mentre ancora roteava diretta verso un piccolo dirupo, poi
lo
schianto che mandò in frantumi il parabrezza in mille
schegge che mi
graffiarono il viso, fui sbalzata all’indietro e colpii la
testa contro il
sedile. Ci fu uno sbuffo, probabilmente l’ultimo lamento del
motore, poi tutto
si fermò. Era
tutto finito, ero salva.
Ringrazia Dio per aver
avuto il buonsenso di inserire la cintura di sicurezza, altrimenti
avrei finito
con lo schizzare fuori dal parabrezza con una forza tale da riuscire a
spezzare
la mia vita nel giro di due secondi.
Mi tremavano le mani, la
parvenza di lucidità che ero riuscita a mantenere per tutto
quel tempo erano
svaniti lasciando il posto al panico. Ero confusa, incapace di
ragionare
chiaramente.
Avevo la vista appannata,
non mi ero resa conto di aver iniziato a piangere, non un pianto
normale ma
disperato.
Mi strofinai gli occhi per
cancellare le lacrime che colavano lungo il mio viso e nel farlo mi
sporcai le
mani con il sangue proveniente dai tagli poco profondi. Anche il labbro
superiore aveva risentito dell’urto, avvertivo il gusto
metallico sulla lingua.
Respirai affondo per
regolarizzare il respiro. Decisi di uscire di lì, di
chiedere aiuto a qualche
auto di passaggio.
Afferrai la maniglia dello
sportello che oppose un po’ di resistenza prima di aprirsi e
lasciarmi andare.
Sentivo le gambe molli, tanto da ritenere un evento straordinario il
fatto di
riuscire a mettere un piede dopo l’altro e di riuscire a
trasportarmi sul
ciglio della strada. Mi lasciai ricadere contro il tronco di un albero
malconcio, da lì mi avrebbero sicuramente vista. La pioggia
non accennava a
voler smettere e continuava a cadere incessante colpendomi con violenza
a causa
del vento. Stavo morendo di freddo.
Ma dopo qualche minuto fu
ben chiaro che nessuno sarebbe passato di lì, almeno non
subito e io avevo
bisogno di tornare a casa, bisogno di rannicchiarmi nelle braccia di
qualcuno.
Fra le braccia protettive di Damien. Volevo sentire la sua voce calda e
profonda sussurrarmi parole di conforto contro la fronte, non
m’importava se
voleva evitarmi o se fosse furioso con me, volevo lui e nessun altro.
Dandomi della stupida per
non averlo fatto prima, cercai il telefono nella tasca dei jeans e
composi il
numero con le dita che ancora tremavano. Attesi, mentre il telefono
squillava
ripetutamente e per un attimo credetti che stesse volutamente ignorando
la mia
chiamata per via di quella discussione la sera prima e per come mi ero
comportata.
Proprio quando avevo
cominciato a perdere le speranze, la voce di Damien mi raggiunse
attraverso il
ricevitore.
“Ehi…” rispose leggermente
roco, simile a una persona dopo un lungo pianto.
“Dame” dissi con un filo
di voce ma m’interruppi subito, provando a mantenermi il
più calma possibile
per non spaventarlo.
“Jen, tutto bene?” chiese
in allerta.
“Puoi venire a prendermi?
La mia auto è fuori uso…”
“Certo, dove sei?”
sembrava non essersi accorto di nulla, “è successo
qualcosa?” chiese dopo un
attimo di pausa. Come al solito sottovalutavo sempre quanto fosse
dannatamente
bravo a capire quando non gli dicevo la verità, anche
dall’altro capo del
telefono.
“Sto bene” mi affrettai a
dire, ignorando il profondo senso di debolezza che incombeva su di me.
“Jennifer, voglio sapere esattamente
cosa è successo” ed eccolo
lì, l’emblema della preoccupazione.
Sentii distintamente il
suono di lui che si precipitava giù per le scale.
“Ho avuto un incidente con
la macchina, nessun altro è coinvolto. Non mi sono fatta
niente di grave”
continuai ad insistere su quell’aspetto.
“Questo lascialo decidere
a me. Dimmi dove ti trovi” in sottofondo sentii il fragore
del motore della
jeep che si animava.
“Sulla strada che porta al
faro, vicino a dove giocavamo a nascondino, ti ricordi?”
“Sto arrivando, dammi
cinque minuti” disse in un soffio e chiuse la chiamata.
Presi un bel respiro,
quell’orribile sensazione di debolezza si era insinuata
ancora di più nei
muscoli, offuscando la vista ad intervalli regolari. Sbattevo i denti
per il
freddo pungente e provai a ripararmi meglio sotto i rami spogli di
quell’albero
scarno, inutilmente. Ero cosi debole…
“…Otto,
nove…” lanciai uno sguardo alle mie spalle. Damien
scrutava attento il
paesaggio circostante alla ricerca del nascondiglio perfetto, fra tutti
era il
più bravo in quel gioco e io lo attribuivo al fatto che
fosse molto silenzioso.
Poco più lontano c’erano i gemelli Bennet, un
maschio e una femmina pel di
carota inseparabili che si nascondevano dentro un grosso cespuglio.
Più avanti
la figlia della signora Collins correva verso un’insenatura
di uno scoglio più
larga delle altre, invece il minore degli Stewart si affannava verso
chissà quale
nascondiglio.
“…Dodici,
tredici…” guardai di nuovo in direzione di Damien
e quella volta mi sorrise,
per poi scattare in avanti e correre dalla parte del faro.
“Sbrigati,
Jen! Non vorrai farti battere anche questa volta!”
gridò mentre si allontanava.
Ma
io sapevo già dove andare. In un lampo corsi il
più veloce possibile nella
stessa sua direzione solo che ad un certo punto deviai verso destra. Si
trattava di una larga voragine nella roccia marina che mi aveva
mostrato mio
padre quando eravamo rientrati con la barca dopo una lunga mattinata
passata a
pescare, solo che per raggiungerla avrei dovuto arrampicarmi un
po’. Avevo la
vittoria assicurata, nessuno mi avrebbe trovata lì.
Non
sentivo più Paige contare, sicuramente doveva già
aver iniziato la sua ricerca,
ma non aveva importanza, ero quasi arrivata, dovevo solo salire un
po’ più in
alto…il piede che avevo appena mosso in avanti,
slittò sullo scoglio, facendomi
perdere l’equilibrio. Caddi all’indietro,
inciampando in ogni spigolo e buco di
quella scogliera, scorticandomi la pelle che sfregava contro le pietre,
afferrandomi a qualsiasi cosa mi capitasse a tiro per rallentare
l’impatto.
Fortunatamente, terminai il mio ruzzolone in una piccola e stretta
conca sabbiosa
con qualche centimetro d’acqua e non sulla dura pietra.
A
parte dei leggeri tagli e qualche sbucciatura, stavo bene e sebbene mi
fossi
presa un gran spavento stavo già pensando ad un modo per
ritornare dai miei
amici. Nel rialzami mi resi conto di essermi slogata una caviglia, una
fitta
terribile mi fece piegare a metà dal dolore. Non avrei
potuto arrampicarmi. In
quel momento iniziai a preoccuparmi sul serio.
Aguzzai
le orecchie per captare una voce familiare, una risata o delle grida
proveniente da qualcuno, ma non sentivo nulla a parte il rumore del
mare e il
verso di qualche gabbiano. Forse sarebbero riusciti a trovarmi da soli.
Passarono quelli che credetti essere cinque, dieci, venti minuti ed ero
ancora
lì, sola e zuppa d’acqua.
“Aiuto!
Mi sentite? Qualcuno mi aiuti!” niente, continuavo a gridare
senza sosta ma
nessuno venne in mio soccorso.
Scoppiai
a piangere, terrorizzata. Sarei rimasta lì per sempre e non
avrei più rivisto i
miei genitori e il nonno e i miei amici. Piansi più forte.
“Jennifer,
dove sei?”
Alzai
di scatto la testa, attirata da quel richiamo. Non me l’ero
immaginato vero?
“Jennifer!”
“Jen!” no, era reale, era
la voce di Damien.
“Sono
qui! Dame, sono qui!”
“Jennifer!
Jennifer!” mi aveva trovata...
“Jen, ti prego apri gli
occhi”.
Lo feci, molto lentamente
e con enorme fatica. Ci volle qualche secondo per mettere a fuoco le
immagini e
quando finalmente i contorni del mondo circostante tornarono al proprio
posto,
vidi Damien inginocchiato di fronte a me, con i capelli incollati alla
fronte
per via della pioggia e delle piccole gocce intrappolate fra le ciglia.
“Grazie a Dio”
mormorò prima
di stringermi contro di
lui e darmi un bacio sulla testa.
“Dame…” le parole mi
scivolarono via dalle labbra in un mormorio confuso, avrei voluto
tranquillizzarlo, ricambiare il suo abbraccio e ritornare a casa. E
provai a
farlo, provai a fare tutte quelle cose senza riuscirci. Avevo freddo,
il
tremore aveva assunto un andamento molto simile a degli spasmi e stavo
per
svenire un’altra volta. Sprofondai nel buio.
**
Lo
so, lo so, non credete ai vostri occhi, ho pubblicato il nuovo
capitolo.
Godetevi il momento perché l’altro
arriverà il mese prossimo e vorrei far
presente a tutti che il 21 dicembre finisce il mondo,
quindi…non garantisco
ahahah. Apparte gli scherzi (no, non mi riferisco alla fine del mondo,
quella è
sicura) il capitolo 6 è quasi ultimato, devo solo buttarlo
al pc e rileggerlo,
quindi approssimativamente, tenendo conto dello studio, degli impegni
con la
scuola guida, di mia madre che strilla perché devo aiutarla
con le faccende
domestiche, di mio padre che s’impossessa del mio computer
per vedere le
partite di calcio in streaming e della mia vita
sociale…direi un paio di
settimane e sarà reso pubblico. Poi potrebbe sempre
succedere un miracolo e
magicamente lo vedrete spuntare nel giro di una settimana, non
disperate!
Comunque, tornando a noi, diciamo che questo è una specie di
capitolo di
transizione o meglio, a me piace chiamarlo così invece di
“inutile capitolo in
cui non succede niente di così particolarmente
affascinante” perché
ammettiamolo, è così.
Ora,
come tutti avrete notato c’è una parte in cui ho
scritto dal punto di vista di
Damien, non so se ce ne saranno ancora ma se succederà
saranno molto
sporadiche. Ho voluto descrivere dalla sua prospettiva per provare a
farvi
capire quello che il personaggio sente, almeno larghe linee e, allo
stesso
tempo ho cercato di confondere un po’ le idee. Non so se sono
ci sono riuscita,
quindi se recensite non è che poteste farmelo sapere? Tipo:
“Brava, ho capito
che Dame è depresso ma non so per quale motivo”
oppure, “Sai, fai schifo nel
fare queste cose, non riprovarci mai più”, o
ancora “Ho capito qual è il suo
problema!” (e in questo caso mi piacerebbe sapere la vostra
teoria J).
Vi
prometto, sull’Angelo (si, in tutto questo tempo ho
praticamente divorato la
saga di Shadowhunters, che consiglio caldamente di leggere a tutti *-*)
che il
sesto capitolo sarà più ricco di momenti
Jen/Dame…anticipazioni? Vi basti
sapere che ci sarà un letto. Siete curiose eh?
Ùù
Passiamo
ai ringraziamenti:
Nixphoe:
una delle veterane, che si accolla le mie
storie dai tempi della preistoria. Sappi che ti amo e che adoro le tue
recensioni, visto che rendono molto bene il concetto lol.
_FairyGirl_:
mi riempi sempre di mille
incoraggiamenti e lo apprezzo davvero tanto, credimi <3
FallingInLove:
sembri
davvero accanita su ogni capitolo che pubblico e mi fornisci
un’analisi
dettagliata di quello che pensi, il che mi fa comprendere che la gente
capisce
ciò che intendo dire ahah
bswan_:
hai
conosciuto la mia storia tramite twitter e da lì
è nata una lunga storia
d’amore fra
me e te destinata
a concludersi con un matrimonio a Las Vegas. Te l’ho
già detto, grazie per
apprezzare ciò che scrivo, visto che ci sono momenti in cui
io stessa non lo
faccio.
E poi ci
sono loro MadHatter27
e Eynes voi
ragazze, siete
due deficienti, due idiote con cui ho tante cose in comune e che stimo
molto
come esseri umani. Anche a voi un grosso grazie per aver recensito
<3
Un grazie va
anche a tutti coloro che leggono soltanto, a chi ha messo la storia fra
le
ricordate e le preferite e le seguite. GRAZIE!
Ultima cosa.
Se a qualcuno interessa ho pubblicato un’altra fanfiction,
questa sarà molto
più corta o forse una raccolta di mini storie ma non
verrà aggiornata con la
frequenza di questa. E’ solo per il piacere di scrivere.
V’informo
anticipatamente che è una songfic tratta dal nuovo singolo
di Taylor Swift
“Begin Again” (PUBBLICITA’ XD) quindi a
chi facesse piacere ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1334966&i=1
Noemi
<3