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Autore: weitwegvonhier    11/11/2012    2 recensioni
Continuava a sfoggiare quel sorrisino a mezze labbra che, per qualche strano, stupido, irragionevole motivo, mi faceva andare fuori di testa, guardandomi divertito, in attesa della mia prossima stupida, imbarazzante mossa.
- In un caldo giorno d'agosto del 1998 una normale ragazza si scontra con uno sconosciuto per strada e....
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: David Desrosiers, Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A.s. Buongiorno! Come va? :D
Per scrivere questo capitolo mi ci è voluto un po' più del solito, non so perchè, ma mi risultava difficile (e poi, ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine della storia! Uooh). Forse perchè esce un Pierre un po' diverso, un po' più fragile, un po' più umano, quando invece avevamo visto così quasi sempre Maya. Mi torna sempre difficile immaginare cosa farebbe Pierre, il Pierre diciannovenne, o cosa direbbe, o come potrebbe reagire. Per questo, ancora una volta, ho bisogno di chiedere a voi di darmi un parere: come vi è sembrato questo Pierre? 
Vi è piaciuto, o ve lo sareste immaginato (o magari lo avreste preferito) più forte o...non so, diverso?
Vi assicuro che ci metto sempre molto impegno nello scrivere e nel pensare ma, visto che ci tengo a condividere tutto questo con voi, mi interessa soprattutto il vostro parere. Io come ogni volta vi voglio ringraziare, veramente, per leggere questa storia. Grazie a tutti quelli che trovano cinque minuti di tempo nelle loro giornate e a tutti quelli che ne trovano o ne hanno trovati anche due in più per recensire. Vi sono davvero grata, vi adoro! Grazie.

P.s. Il libro di cui si parla più avanti è 'Che tu sia per me il coltello' di David Grossman (:

Basterebbe dirselo un mi manchi, invece che continuare a mancarsi in silenzio per una vita.
- Massimo Bisotti.

 

London, March 26th, 1999
9.36

Stavano passando gli Oasis alla radio in quella mattina, dove cercavo di concentrarmi per fare i compiti, studiare, recuperare e mettermi in pari con il programma scolastico.
And I want to be there when you hit the ground, so don't go away, say what you say but say that you'll stay forever and a day in the time of my life, ‘Cause I need more time just to make things right.
Il volto di Pierre, mentre cantava quelle stesse parole, i suoi occhi, e le sue labbra che si muovevano, mi apparvero davanti all’improvviso e, come se avessi visto un fantasma, come se davvero lo avessi visto apparire lì, di fronte a me, mi spaventai, lasciando cadere la matita.
Fissavo la finestra, immobile, mentre quelle fragili e coraggiose goccioline di pioggia sfidavano la gravità, andandosi a frantumare sul vetro. Chissà se sentivano dolore.
Da una settimana a questa parte, da quando avevo lasciato Montreal, vedevo Pierre ovunque.
A scuola, in centro, persino a casa, quando aprivo l’armadio o quando andavo in cucina. Oppure sentivo il suo odore o mi sembrava di sentire la sua voce e allora subito mi voltavo, quasi triste e sorpresa, nel constatare che non era lui, che non c’era lui.
Che poi era stupido, me ne ero andata io, me ne ero andata da lui. Di nuovo.
Me and you what's going on? All we seem to know is how to show the feelings that are wrong.
Mi alzai andando verso il comodino dove avevo messo tutte le scartoffie dell’altra scuola, rovistai un po’ e…eccolo.
Mi sedetti sul letto con il sorriso stampato sul volto, ripensando a quel giorno, a quel progetto, a quella canzone, a noi, ai due sconosciuti che eravamo, a tutto quello che era successo nel frattempo, ed iniziai a leggere i pensieri di quei due ragazzini un po’ ingenui, un po’ innamorati.
“Siamo qui da dieci minuti, e tutto quello che ci siamo detti è stato ‘hey’, per poi sederci dalle parti opposte del letto e non rivolgersi la parola.”
Mi riconobbi in quelle parole, e tornai con la mente a quel primo giorno in cui, per tutto il tempo, maledicevo Roy per avermi affibbiato un tale rompiscatole, idiota.
“Ho provato ad avvicinarmi a lei, a sedermi accanto a lei, ma si è alzata ed è andata a sedersi alla scrivania. Non so più che cosa fare, perché ce l’ha con me?
P.S. Oggi è bellissima.”
Mi scappò una risata ricordando quanto arrabbiata ero con lui e quale bassa opinione avessi di lui, come cercavo, poi, di combattere i miei sentimenti che, nonostante tutto, c’erano.
Rileggendolo adesso, sembrava che fossero passati anni.
Voglio che stia bene in questa settimana con me.”

14.22

-Maya! Ti vogliono al telefono!-
 
-Si?-
-Mayaaaaaaaaaaaaaaaaa!- Allontanai la cornetta dall’orecchio ridendo.
-Daviiiiiiiiiiiiiid!-
-Come va la vita a Londra?-
-Va. A Montreal invece? Mi mancate da morire.-
In sottofondo sentivo Seb che urlava a David di passargli la cornetta. –Seb?-
-Maya! Torna ti prego.- Il suo tono serio mi inquietò un po’. –Hey Seb, ma va tutto bene?-
-No che non va bene. Pierre ha lasciato il gruppo e ora vuole fare una pazzia e com- David strappò la cornetta del telefono dalle mani di Seb e con un –Lascialo stare, manchi a tutti noi, speriamo di rivederti presto!- mi liquidò.
Posai il telefono lasciando che lo sguardo mi si posasse su quella foto sopra al camino, dove c’eravamo noi sei, sorridenti e spensierati.

19.20

-Maya, è arrivata questa per te da Montreal!- Mia zia mi porse una lettera, sorridente. La presi con le mani che mi tremavano, la sua scrittura era inconfondibile.
Pierre ha lasciato il gruppo… Pierre ha lasciato il gruppo…
La aprii cercando di non pensare a cosa potesse esserci scritto, cercando di mantenere la mente più lucida possibile, in modo da non fraintendere niente di quello che potesse significare ma, come al solito, tutto il resto del mio corpo sembrava volermi contraddire.
 
Montreal, March 23rd, 1999 – Per Maya.
Cara Maya,
dal giorno in cui hai deciso di lasciare tutto e partire, fuggire, andartene, è ormai passato un mese e, come sai, in un mese possono accadere molte cose.
Non voglio essere bugiardo o ipocrita, non con te, non potrei. Non voglio rinnegare niente di quello che c’è stato tra di noi, di quello che ho provato, e di quello che provo ancora oggi.
Quando hai deciso di lasciarmi, anzi, di lasciarci, hai preso una strada, la tua strada, e adesso io sento il bisogno di prendere la mia strada che però, ancora adesso mentre ti scrivo, non ho proprio idea di dove potrà condurmi.
Non so perché ti sto scrivendo questa lettera, non so perché sento il bisogno di parlartene, forse è perché so, nonostante tutto, che tu sei l’unica persona qui che potrebbe mai capire quello che significa tutto questo.
Prima che inizi ad agitarti e posi questa lettera per riprenderti un po’, non voglio dirti addio, quindi ti prego, leggila tutta d’un fiato, arriva fino al punto finale.
Voglio partire dalla premessa che tu sei stata la persona che mi ha fatto capire cosa sia l’amore, sei stata la persona che mi ha guardato negl’occhi ed ha visto in me tutto quello che neanche io sapevo esserci, che mi ha preso la mano e che mi ha, in qualche modo, salvato.
Voglio ringraziarti per avermi permesso di essere me stesso, per aver superato i tuoi pregiudizi verso di me, per avermi amato e odiato. Voglio scusarmi per averti fatto del male, o per essermi presentato come uno sbruffone. Voglio dirti che nonostante il seguito di questa lettera e della mia vita, io ti amo.
Ho riletto la tua lettera cento volte, quella che tu non volevi definire una lettera d’addio ma che l’addio me l’ha sparato a tutta velocità nel cuore e nello stomaco.
Ho riletto quella lettera, cercando di trovarci uno spiraglio, una speranza, un qualsiasi cosa che mi spingesse a dire ‘No Pierre, non hai capito niente, tornerà.’, ma più che la leggevo e più che il cuore mi si accartocciava nel petto.
“Sii felice”, mi hai scritto. Come se tu pensassi che andatone all’improvviso io potessi essere felice.
Mi conosci abbastanza bene ormai, da sapere che sono sempre sincero con te e che, ora, a distanza di un mese, posso dirti che sei stata un’egoista. Ma non in senso dispregiativo, non posso condannarti per aver pensato a te stessa in un periodo come quello, ma posso condannarti, permettimelo ti prego, per aver deciso di non pensare più a me. Andandotene hai deciso per entrambi che io non avrei avuto più bisogno di te, e non sai quanto ti sei sbagliata.
Ti scrivo questa lettera a distanza di un mese, non per ferirti o per rinfacciarti qualcosa, non per odiarti perché, come ti ho detto prima che tu partissi, non potrei né vorrei mai, ma per comunicarti che mi sono reso conto che a certe cose, eri tu che davi un senso.
Ho deciso di lasciare il gruppo, la mia chitarra è in un angolo della stanza a prendere polvere. Dicono che quando si è tristi o persi nascono le canzoni più belle, ma non sono riuscito a scrivere neanche una parola. Neanche una nota.
Mi manca la tua voce, mi manca vederti a scuola, mi manca rischiare di rompermi qualche ossa perché tu non guardi mai dove vai (è inutile, questa faccenda non la risolveremo mai) e mi manchi tu.
Ricordi il libro che mi hai lasciato? (Tu ami i ricordi, ti prego di volerne condividere altri con me, adesso.) Bene, ho finito di leggerlo e ci sono alcune frasi che mi sono segnato, ma una in particolare, voglio scriverla in questa lettera.
“Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo ne rimanga fuori, che sia solo l’esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno.”
Non so più neanche con quale intento ero partito a scrivere. La verità è che mi manchi, mi manchi da morire, e vorrei averti qui per passare una notte con te. E se te lo chiedessi? Potrei chiederti una notte, una sola notte, la nostra notte d’addio, come quella a San Francisco, la notte del per sempre.
Ma non lo farei, come potrei chiedertelo? Saprei che la tua risposta sarebbe un si, e da quella notte non riuscirei più a venirne fuori. Farei dei giorni la notte, e la prolungherei per tutta la vita. Ti terrei in quel letto con me, in quella stanza con me, come se quella stanza fosse le nostre parentesi, e al di fuori il mondo.
Adesso però, devo smetterla di scrivere, perché mi stanno tornando alla mente un migliaio di ricordi ai quali voglio dedicarmi con attenzione.
Per quanto mi sia difficile separarmi da questa foto, voglio che l’abbia tu. Non dimenticarti di quel giorno, in cui pensavamo che l’addio potesse essere per sempre e in cui ci siamo tenuti stretti fino alla fine.

Non voglio dirti addio,
Pierre

P.s. Ti amo
 
Pierre era l’unica persona che riusciva allo stesso tempo a riempirmi di certezze e a distruggerle completamente.
Fissavo quella foto, dove eravamo abbracciati, in quell’ultimo giorno che pensavamo nostro e sentivo Londra premermi sul corpo.
Non potevo tornare però, non ora, non così. Avevo preso una decisione, avevo diciannove anni, dovevo essere in grado di prendermi le mie responsabilità e fare i conti con le mie scelte.
Ma quel “P.s. Ti amo” aveva afferrato prepotentemente tutta la convinzione dentro di me, l’aveva scaraventata al suolo e l’aveva calpestata insistentemente.
Perdonami se non sono lì con te, e se non ci sarò neanche domani.

   
 
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