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Autore: Sigyn    11/11/2012    0 recensioni
Sei lettere, sei kink, sei pairing del mio genderbend!AU. Piccolo esperimento PWP insensato.
[Gakuen!AU]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Polonia/Feliks Łukasiewicz, Un po' tutti, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: Bondage, Gender Bender, PWP
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- Questa storia fa parte della serie 'Boys will be Girls and Girls will be Boys '
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#7 – Gag [Fem!Russia/Fem!Lituania]


 
La stoffa premuta sulla sua bocca fa male. Non è ruvida – anzi, è morbida e calda e ha il suo profumo e le fa perfino un po’ di solletico, la perfetta antitesi della situazione in cui si trova – ma è stretta, le schiaccia le labbra e le guance, e se chiude gli occhi per un istante, può già vedere il segno rossastro che lascerà sulla sua pelle, come una cicatrice ancora fresca e bruciante, come un marchio.

Alle sue spalle, Yelena ridacchia silenziosa nell’incavo della sua spalla, chinandosi su di lei, le braccia che le cingono la vita forti e salde, dolorose. Il calore del suo fiato sulla pelle scoperta la fa rabbrividire, la lana del suo maglione le preme contro la schiena.

Se deve essere sincera, Toma non ha la più pallida idea di cosa stia facendo. Insomma, c’è Felicia che la aspetta e una relazione da consegnare domani che non si finirà certo da sola – né verrà scritta dalla sua amica, per quanto sia tecnicamente un lavoro di gruppo, questo è certo. E lei è in uno sgabuzzino, con un sciarpa sulla bocca e le mani dell’inquietante sorella del ragazzo per il quale si è presa una cotta imbarazzante e vagamente masochistica che le accarezzano il ventre. Non sa nemmeno come sia finita in questa situazione.

Le mani di Yelena sono fredde, ghiacciate. Eppure, la sua pelle è così calda lì dove le sue dita corte e tozze la sfiorano – i polpastrelli che premono sulla sua pancia, le unghie che graffiano i suoi fianchi fino a farne uscire il sangue – mentre scendono inesorabilmente.

E poi, Toma non può fare a meno di gemere, mentre quelle dita gelide si fanno strada dentro di lei, improvvise e brutali, e il suo mondo si riduce per un attimo ad un unico punto bruciante. Yelena le bacia il collo – le sue labbra fredde e morbide lo accarezzano appena, dolci e delicate come un sospiro – e poi le morde la spalla, abbastanza forte da farle sbarrare gli occhi e socchiudere la bocca. Una delle sue mani risale pigramente il suo corpo, soppesa brevemente un seno e poi scatta verso l’alto, stringe una delle estremità della sciarpa e tira.

- Pensavo avessimo deciso di usarla perché dovevamo fare silenzio. Qualcuno potrebbe sentirci, sai? – sussurra Yelena nel suo orecchio, e ride piano, con quella sua risata da bambina, innocente e crudele allo stesso tempo. Toma trema, perché i dettagli del come si sia ritrovata lì con lei sono ancora vaghi e confusi, ma il perché è tutto in quella risata.

Le sue dita si muovono di nuovo, stavolta più delicate e lente, e Toma chiude gli occhi e tace.
 




#8 – Harmatophilia [Fem!Germania/Fem!Nord Italia]
 


È tutto perfetto, semplicemente. La sua compagna di stanza da un’amica per tutta la serata, sua sorella che promette di non cercarla per nessun motivo al mondo – e sorride e fa allusioni stupide e volgari come l’idiota che è, ma questo purtroppo è inevitabile -, il cellulare spento e rinchiuso in fretta e furia nella borsa, gli appunti delle lezioni del giorno ricopiati con cura e in bella grafia e la relazione per domani pronta sulla sua scrivania.

E Letizia riesce a scivolare sui vestiti che lei stessa ha buttato sul pavimento. Ecco cosa si ottiene, non prestando attenzione alle proprie cose.

Letizia rimane lì distesa, ridendo come se la cosa fosse assolutamente esilarante. E in effetti è una visione quasi comica, sdraiata scompostamente per terra, con addosso solo mutande e reggiseno con improbabili pois arancioni, una mano che sfrega delicatamente un punto sulla cima della testa e quella risata che le sgorga dalla bocca come un fiume in piena, acuta e infantile e sincera.

Lutgard non ride. Osserva il suo seno morbido e sodo che si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro affannato, le sue guance arrossate e lo splendido contrasto che creano con il bianco latteo del suo corpo quasi interamente scoperto, le sue labbra rosse e gonfie, i suoi grandi occhi marroni appena visibili sotto il velo delle ciglia folte, i corti capelli castani come un’aureola spettinata intorno alla testa. Osserva le sue gambe lisce e candide e non particolarmente lunghe, la sua pancia non perfettamente piatta, il suo viso tondo e un po’ paffuto.

Le prende una mano tra le sue e la aiuta a rialzarsi, e senza dire nulla la bacia per l’ennesima volta, assaporando il sapore delle sue labbra.

Quando si allontana, Letizia ride di nuovo e si getta sgraziatamente sul suo letto, urtando con una mano e facendo cadere la piccola ordinata pila di libri che tiene sul comodino. Lutgard le lancia uno sguardo di rimprovero, poi alza gli occhi al cielo e la segue, cercando di non sorridere.

Sa già che non tutto sarà perfetto. Forse, è meglio così.


 

#9 – Ice Princess [Fem!Spagna/Fem!Austria]
 


- Mi dispiace – dice Anita, e poi il silenzio cade di nuovo tra loro. Rodelind la fissa, seduta sul letto, le mani raccolte in grembo, la schiena dritta, la testa alta, lo sguardo lontano.

Anita si umetta le labbra, e vorrebbe scusarsi di nuovo – per l’ennesima volta – ma le parole le rimangono bloccate in gola, secche e pesanti, soffocandola. É sempre tutto così complicato, con Rodelind – tutto così importante e così serio. Lei è sempre così seria, rinchiusa nel suo piccolo mondo di silenzi e di sguardi significativi, in cui l’unico suono è la melodia algida e controllata del suo pianoforte.

Sospira. Non che questo la giustifichi, ovviamente. Non pensava, non capiva. Aveva bisogno di rumore, di musica, di calore – e Fran era lì, sempre lì, tutta capelli dorati e labbra rosa e sorrisi brillanti e risate argentine, bella e esuberante e libera.

E ora Anita guarda Rodelind, la sua postura rigida, l’espressione incolore. La guarda e prende la sua mano fredda tra le sue.

Rodelind ha delle belle mani: polsi sottili, pelle così chiara che può intravedere il blu delle vene, dita lunghe e forti e aggraziate. Anita bacia il dorso, e poi ognuna di quelle dita che l’hanno sempre sfiorata con tanta calma, un po’ come se fossero insicure e un po’ come se volessero prolungare ogni singolo istante per l’eternità.

Anita alza lo sguardo e la guarda negli occhi, e non ne è certa ma forse quel bagliore è lo scintillare di una lacrima. E allora forse hanno ancora una possibilità – forse, se stanno entrambe così male, potranno capirsi e aiutarsi a vicenda – e le sue mani si spostano sulle spalle esili di Rodelind che ora tremano appena, le accarezzano il viso per un attimo, vagano sulla morbidezza del maglioncino e poi vi si insinuano sotto, assaporano di nuovo la pelle liscia e morbida e calda della sua ragazza.

- Basta – dice Rodelind, un sospiro sommerso subito dal suo respiro rotto, ma la mano di Anita scorre ancora più giù, si posa su una coscia, liscia le pieghe della gonna dell’uniforme, fa per sollevare l’orlo e insinuarsi tra le sue gambe. – Basta – ripete Rodelind, e la sua voce è fredda e tagliente anche se Anita la sente tremare come una foglia. Fa male come se l’avesse appena presa a schiaffi.

La mano di Anita si ritrae, lentamente. La sua voce strozzata le sembra quella di un’estranea quando guarda Rodelind in viso – non piange, non ancora, e i suoi occhi sono fuoco blu – e le dice che la ama, tentando di sorridere nonostante il dolore e la paura che di nuovo le serrano la gola.

- Vattene – risponde Rodelind, e Anita sa che è l’unica parola che le dirà per molto tempo.


 


#10 – Jewelry [Fem!Francia/Fem!Prussia]
 


La collana di Gilda cattura la luce di quel pomeriggio troppo bello. Troppo bello per non uscire, troppo bello per rimanere chine sui libri, troppo caldo, troppo brillante, con un cielo troppo blu e un sole troppo dorato.

Françoise perde la concentrazione per l’ennesima volta. Il suo sguardo vaga oziosamente per la stanza, da un righello ad un evidenziatore a un block notes alla sedia che dovrebbe essere occupata da Anita se solo Anita non avesse problemi-con-la-mia-ragazza e non stesse cercando un regalo da comprarle o qualcosa del genere – per un attimo si sente davvero in colpa anche se sa che quelle due non dureranno comunque, passa oltre -, si ferma per qualche istante sul nulla di una pagina bianca in attesa di essere scritta e si posa di nuovo sul ciondolo al collo della sua amica.

È solo una piccola croce nera, semplice, decisamente troppo poco ornata per i suoi gusti. Eppure, Gilda non se ne separa mai, nemmeno per indossare qualcosa di più carino. Gilda non è una persona religiosa e ha molto probabilmente la stessa spiritualità di un rapanello, e quel ciondolo non sembra nemmeno prezioso. Forse è una cosa di famiglia, un ricordo d’infanzia: sua sorella ne ha uno uguale, in fondo. Anche se non lo ammetterebbe mai, pensa Fran intenerita, la sua amica sa essere così adorabilmente sentimentale.

Françoise si chiede pigramente come sarebbe prenderlo in mano, rigirarsi la catenina tra le dita. Una volta le ha chiesto di prestarglielo, e Gilda le ha tenuto il muso per tutto il giorno. Sorride maliziosa, e immagina di far scorrere le dita più giù, sopra il seno piccolo e sodo di Gilda e poi sotto la sua camicetta, di sentire la consistenza di quella pelle candida e carezzarla con la punta delle dita, di tenere la piccola croce scura tra i denti e tirare l’altra verso di sé. Vede già il suo sguardo pungente e seccato, le sue sopracciglia lievemente inarcate, le sue labbra scarlatte tirate in un sorriso di sfida come se volesse capire fino a quanto oserebbe spingersi prima di fermarla ...

- Fran. Smettila di sfogare la tua perversione su di me. Lo sai che non ti darei corda, e poi sono troppo figa per te -.

Françoise alza lo sguardo sulla sua espressione seccata e sorride, scrollando le spalle e chiedendole scusa con un sguardo silenzioso. Gilda sospira e scuote la testa, uno di quei ghigni strafottenti che le riescono tanto bene stampato sulla bocca lucida di rossetto: - Dimmi che non c’erano fruste. O che io tenevo in mano la frusta -.

Françoise si rigira una ciocca di capelli biondi tra le dita. – Ma certo, mon amie. Fruste e corsetti e catene e un paio di forbici – risponde, perché Gilda spesso non sa se stia dicendo la verità o scherzando ma accetta tutto senza giudicarla, perché capisce che se anche non stesse mentendo tra loro non cambierebbe niente e non le chiederebbe mai di cambiare per lei o per la loro amicizia.

Gilda sorride, scoprendo i denti bianchi: - Io tenevo le forbici, ovviamente -.

- Ovviamente -.

 


#11 – Keraunophilia [Fem!Antica Germania/Fem!Antica Roma]


 
- Non mi dica che ha paura, signora Beilschmidt -.

E vorrebbe strangolarla – anche se lei è il suo capo e lei una persona controllata e rispettosa e seria e fiera di esserlo – solo per il sorriso che sente nelle sue parole, mentre il buio le avvolge per un istante, facendola trasalire. Vorrebbe strangolare lei e le sue stupide battutine – com’è possibile che una donna così poco seria sia diventata preside, poi? – e quel maledetto temporale.

La luce di un lampo le illumina il viso olivastro, brilla nei suoi occhi marroni che per un istante scintillano d’ambra. La signora Vargas sorride, piccole rughe ai lati della bocca e intorno agli occhi su una faccia che altrimenti sembrerebbe così assurdamente giovane. Aldegund vorrebbe poter non farlo ma rimane a fissarla, una mano ancora inutilmente protesa verso i documenti che teoricamente è venuta a prendere.

E poi la sala professori è immersa nuovamente nella penombra, la pioggia che batte incessante contro i vetri delle finestre e la sagoma scura della preside fin troppo solida e reale di fronte a lei per poterla ignorarle.

Il rombo sordo di un tuono oltre l’orizzonte le rimbomba nelle orecchie, nella mente. Un altro lampo illumina tutto per uno sfolgorante secondo, e lei quasi sente l’elettricità scorrere nelle sue vene, le gocce di pioggia infrangersi gelide e veloci e furiose contro la sua pelle, l’odore della terra umida sospeso nell’aria.

E Lavinia Vargas non smette di sorridere – e per un attimo sembra capire così tanto, questa sciocca che si crede spiritosa, questa donna convinta di essere ancora una ragazzina.

Non sono più giovani, si costringe a ricordare Aldegund, anche se le sue mani tremano mentre l’espressione della preside rimane stabile e ferma e i suoi occhi sono caldi e gentili come se il freddo della pioggia non potesse toccarla, anche se non si sente come la donna forte e sicura che sa di essere ma come un animale spaventato, succube dei suoi stessi istinti.

Non sono nemmeno vecchie, ma dovrebbero essere in grado di controllarsi – lei sta cercando di farlo, almeno. E Lavinia Vargas, con il suo sorriso beffardo e la sua pelle liscia e la luce dei lampi negli occhi, rimane sempre il suo capo.

- Buongiorno, signora preside – dice, prima di afferrare con un gesto meccanico i documenti che stava cercando e voltarle le spalle.

 



#12 – Loss of control [Fem!America/Fem!Russia]



La spinge sul pavimento, rapida e brusca, senza la minima cura. Il tappeto è ruvido contro la sua schiena nuda, il fiato le si blocca nella gola per istante, e poi l’altra quasi cade su di lei, schiacciandola a terra, e lei sente tutto il peso e il calore del suo corpo contro il suo, il suo respiro ansante nel suo orecchio.

La ragazza la bacia, famelica, e il suo più che un bacio è un morso, e lei sente il sapore del sangue nella bocca. Quando i loro volti si allontanano lentamente, Yelena la guarda, sorpresa, cercando di riprendere fiato, di calmare il battito del suo cuore impazzito. Alla fine, sorride, divertita e forse, in fondo, perfino un po’ colpita: - Siamo molto impazienti, non è vero? -.

La ragazza – Alice? Freda? Non ricorda il suo nome, ma pensa che forse terrà a mente più a lungo la sua pelle lucente di sudore, i disordinati capelli d’oro che le incorniciano il viso – le regala un sorriso bianco e arrogante, prima di stringere i suoi polsi tra le mani e chinarsi a baciarle il seno.

Yelena chiude gli occhi, sentendo i suoi denti scalfire appena la sua pelle. Non è abituata a questo genere di cose, ma non è nemmeno contraria a lasciar prendere il controllo a questa ragazzina senza nome.

Tanto, poi, è certa di poterla convincere a scambiarsi i ruoli.

  
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