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Autore: Miss H_    12/11/2012    12 recensioni
Spoiler Mockingjay!!!!
Ho deciso di raccontare ciò che secondo me avviene tra l'ultimo capitolo capitolo di Mockingjay e l'epilogo. Spero vi piaccia, anche se sono sicura che è un obrobrio con la O maiuscola, visto che è solo la mia seconda FF.
Vi prego recensite in ogni caso, sia che vi sia piaciuta che in caso contrario. Accetto qualsiasi critica costruttiva perché nella vita si può sempre migliorare e questo vale anche per la scrittura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XII~ La tempesta ti travolgerà.

Un raggio di luce che filtra dalla finestra mi illumina il volto e io non posso evitare di svegliarmi. Apro gli occhi e mi trovo ad osservare una maglia blu notte, poi capisco: è la maglietta di Peeta e lui ancora addormentato mi sta tenendo tra le sue braccia.

Vorrei rimanere a letto, in quella posizione fino a che anche lui non si sveglia ma un senso di appetito mi invade in un attimo e io non posso far altro che assecondarlo.

Ho una voragine nello stomaco, il mio ultimo pasto risale a ieri sera ed era anche un pasto molto abbondante ma devo mangiare per due perciò poco importa se non sono passate tante ore dalla mia digestione.
Cerco di sciogliermi dalla stretta di Peeta e ci riesco senza svegliarlo. Provo ad alzarmi dal letto ma mi rimane un po’ difficile, sono al sesto mese di gravidanza e la pancia non è per niente indifferente, anzi a volte mi fa sbilanciare. Dopo svariati tentativi riesco ad alzarmi e mi dirigo in cucina. Ho una strana voglia di biscotti. Mi sono sempre piaciuti i biscotti di Peeta ma questa è la prima volta che mi sveglio con l’idea di prepararmeli da sola a causa della fame.
Arrivata in cucina inizio a tirare fuori gli ingredienti, in realtà non so minimamente quali siano quelli giusti da usare ma mi ricordo di alcuni che usava Peeta perciò li prendo.
Afferro una ciotola e ci metto dentro la farina con un uovo, inizio a girare e poi ci butto il latte.
Il composto è appiccicaticcio, ho le mani impiastricciate e tutta la tavola è cosparsa di farina.
Sto mettendo l’ultimo goccio di latte quando vedo una mano afferrarmi il polso e fermarmi la mano.
Peeta avvicina la sua bocca al mio orecchio e mi sussurra – E così hai deciso di cimentarti nella cucina, eh? Potevi svegliarmi, ti avrei insegnato io. –  Poi mi dà un bacio sul collo e io arrossisco violentemente. Volevo solo lasciarlo dormire, non volevo certo offenderlo.
Mi volto verso di lui e gli dico – Scusami, volevo solo farti riposare un altro po’. Non so perché ma mi è presa voglia di biscotti e per non svegliarti ho voluto provare da sola. – Mi da un lieve bacio sulla punta del naso e quando si allontana mi guarda leggermente accigliato – E tu volevi provare a cucinare? – Mi riprende la mano e dice conducendomi verso la porta della cucina – Vieni Kat, ti porto in panetteria così facciamo i biscotti e poi ti insegno a fare il pane. –
Indosso una semplice salopette di un tessuto moderno chiamato jeans mentre lui ha ancora la sua maglia blu notte e un paio di pantaloni che usa come pigiama, ho giusto il tempo di afferrare un maglione di lana prima che afferri le chiavi e chiuda la porta di casa.
Fuori fa freddo, è febbraio e le strade sono ricoperte di bianco. La mattina ci sono sempre delle persone a spalare la neve, facciamo a turni, tutti quanti del Distretto. In questo mese almeno una volta dovrebbe toccare a me, ma è sempre Peeta quello che ci va anche se non è il suo turno perché dice che nella situazione in cui mi trovo non devo fare nulla che richieda il minimo sforzo.
Ci avviamo abbastanza velocemente verso la nostra destinazione per evitare di venir sorpresi da una bufera di neve. Quando entro un lieve venticello caldo mi scompiglia i capelli e mi fa sentire subito a mio agio. Ci sono entrata poche volte in panetteria, giusto il tempo di fare un saluto o vendere qualcosa al bancone. Ma il più delle volte c’è Delly, è lei che si occupa di servire i clienti, è davvero brava.
Ci avviamo verso dei tavoli in marmo, sopra alcuni vi sono delle spianatoie in legno chiaro dove Peeta impasta il pane. Mentre lui va a prendere i grembiuli io mi avvicino ad uno di essi e noto una piccola incisione nella spianatoia, con aria assorta la tocco e tutto mi torna in mente. E come potrei dimenticarlo?
E’ successo il mese scorso, quindi quando ero al quinto mese di gravidanza, a causa di una mia voglia insana di tornare nei boschi.
Mi svegliai con il rimpianto di non poter più sentire le foglie scricchiolare sotto i miei piedi, di non poter più annusare l’odore di muschio che tanto mi piace, di non poter più ascoltare gli uccelli cinguettare mentre io me ne rimango nella penombra per uccidere una piccola preda.
Tutto a causa di quel sogno così reale dove mi trovavo nei boschi a cacciare come se niente fosse in compagnia di Prim. Quando ripenso a lei una fitta mi colpisce alla pancia.
Mi alzai velocemente dal letto, Peeta era già andato in panetteria quindi ero da sola e avevo tutto il tempo libero per andare a fare una passeggiata nei boschi e tornare. Mi preparai stando attenta a coprire bene la pancia, mi misi due magliette e indossai anche la giaccia di mio padre che essendo larga permetteva di nascondere abbastanza il notevole volume del mio grembo.
Ero pronta, mi sembrava di essere tornata ai tempi in cui andavo via di casa la mattina presto mentre mia madre e mia sorella continuavano a dormire, e probabilmente sarebbe sembrato tutto uguale a prima se non avessi avuto questo pancione che mi sbilanciava.
Mi incamminai per la strada, per lo stesso sentiero che facevo quando andavo a caccia, passai vicino ai resti della mia casa al Giacimento, lì vicino trovai un fiore celestino, un fiore che mi ricordava tanto Rue nella sua veste sul carro della parata. Lo posai nel punto in cui ci doveva essere la cameretta dove dormivamo io e Prim e continuai il mio percorso asciugandomi una lacrima.
Arrivata nel luogo in cui c’era prima la rete elettrificata e passai oltre, infine mi avvicinai ad un albero cavo. Mi appoggiai al suo tronco e involontariamente infilai la mano nella cavità. Ad un tratto sentii una corda liscia e accanto delle aste in legno, capii subito di cosa si trattava: erano il mio vecchio arco e le mie frecce, resistiti al bombardamento per miracolo, con un gesto naturale afferrai l’arco e la faretra e misi quest’ultima sulla mia spalla destra.
Continuai a camminare ancora per un po’ e poi mi dissi – E’ questo il momento, il momento in cui il mio braccio avrà nuovamente la sua estensione, avrà nuovamente il suo fedele compagno.
E la caccia era iniziata. Cercai di camminare facendo meno rumore possibile e attesi con le orecchie in ascolto di sentire un minimo rumore che tradisse la mia preda.
Dopo pochi minuti sentii uno scricchiolio, come se qualcuno avesse spezzato un ramo, senza rendermene nemmeno conto mi voltai e una freccia fu scoccata dalle mie stesse mani ma per mia sfortuna fui troppo lenta e non riuscii a centrare il bersaglio. Attesi un altro po’ e questa volta quando vidi davanti la mia preda la colpii, non perfettamente nell’occhio ma comunque la uccisi, era uno scoiattolo. Continuai a cacciare senza però trovare niente, anzi in realtà gli animali c’erano ma ero io a non volerli uccidere perché non servivano per sfamarmi, non almeno fisicamente. Uccidere quegli animali era sempre stato per me solo un atto per dare da mangiare alla mia famiglia, ora invece dovevo solo sfamare la mia anima a pezzi e quel desiderio insano di voler tornare ad essere la Katniss forte e coraggiosa di un tempo.
Ad un tratto mi trovai davanti una specie di roditore, simile a quello della 75a Edizione degli Hunger Games. Non feci in tempo a pensare che lo ritrovai trafitto nella pancia da una freccia, dalla mia stessa freccia, l’odio verso quell’animale mi accecava perché mi ricordava ciò che io e Peeta abbiamo dovuto passare. Mi avvicinai al roditore che nonostante fosse ferito continuava a vivere. Estrapolai la freccia dal suo costato e con rabbia e rancore infilzai nuovamente la sua pancia, più e più volte con una velocità impressionante e ogni volta che gli infliggevo un nuovo colpo mi sembrava di allontanare dalla mia memoria un brutto ricordo del passato, ogni colpo inflitto era dedicato ad una persona e alla fine stanca e affaticata mi ritrovai con le mani insanguinate, la treccia sciolta e anch’essa insanguinata e tutto il viso sporco. Del piccolo roditore non rimaneva più nulla se non un corpo trucidato.
Quando mi resi conto di quello che avevo fatto, mi allontanai dal cadavere disgustata da quello che era capace di fare il mio odio, solo uccidere, ecco cos’ero in grado di fare, solo uccidere.
Mi allontanai sempre più velocemente fino a che non mi ritrovai a correre all’impazzata per quanto la pancia mi concedesse. Ma mentre correvo non pensavo a cosa c’era intorno a me e infatti non mi accorsi del ramo penzolante per aria finché non ci andai a sbattere contro tagliandomi la fronte.
Tornai a casa e mi diedi una ripulita senza però curarmi la ferita, non era niente di grave. Mi cambiai d’abito, misi lo scoiattolo sull’acquaio di cucina e poi mi diressi verso la panetteria dove sapevo di trovare Peeta.
Ancora non c’era la neve sulle strade ma il freddo era comunque presente e ti gelava le vene ricordandoti che non deve esserci per forza il candido mantello bianco per sentire freddo.
Arrivata in panetteria salutai velocemente Delly augurandogli una buona giornata e poi mi recai nel retro bottega dove vi era il vero e proprio forno.
Mi avvicinai in silenzio come se fossi ancora a caccia, non volevo spaventarlo e quando spuntai da dietro la porta lo vidi mentre stava prendendo una teglia di torte tutte finemente decorate e la stava appoggiando su una delle spianatoie lì vicino.
Quando i nostri sguardi si incrociarono il suo volto si illuminò e lasciando la teglia rumorosamente sul tavolo si avvicinò a me. Mi diede un bacio sulla guancia e mi disse – Buon giorno! – poi si chinò sul mio ventre gonfio che ovviamente non si poteva evitare di nascondere neanche con le maglie larghe e vi diede un sonoro bacio sopra. Quando rialzò la testa il suo sguardo cadde proprio sulla mia ferita. Avrei voluto tanto che non ci avesse fatto caso ma ovviamente era chiedere troppo visto che Peeta sa nei minimi dettagli come è fatto il mio volto e qualsiasi cosa che non rientra nel normale causa la sua preoccupazione.
Mi guardò serio e mi disse avvicinando un dito al taglio – Ehi, cos’hai fatto? – Non sapevo cosa dirgli, non volevo mentirgli perché sapevo che era inutile visto che non so mentire ma anche dirgli la verità non sapevo se fosse la cosa migliore. Optai per la seconda scelta e decisi di dire una mezza verità – Oggi mi è presa una strana voglia, in un attimo mi sono mancati i boschi, l’odore del muschio, le foglie che scricchiolano e quindi ho deciso di andare a fare una passeggiata. – Lo guardai con aria innocente. La sua faccia assunse un lieve colorito rosso e il suo corpo si irrigidì.  – Vorresti dirmi che tu nello stato in cui sei – disse indicando la mia pancia – sei andata nei boschi? – Ormai il danno era fatto e non potevo più ritirarmi. Di lì a poco si sarebbe scatenata una vera e propria tempesta che mi avrebbe trovato e travolto senza pietà. Una tempesta che mai mi sarei aspettata di incontrare, a cui ero sempre riuscita a sfuggire, ma questa volta lei era più forte di me ed io non ero pronta per evitarla nuovamente.
Con un filo di voce risposi alla sua domanda – Sì, ma…ma io non sono così sconsiderata, cioè mi sono coperta con due maglie e una giacca e poi non è tutta colpa mia, insomma sono queste voglie che mi prendono e non mi abbandonano finché non le ho esaudite. – Ma Peeta non aveva intenzione di ascoltare le mie scuse, vidi la sua faccia cambiare espressione turbata da tutte le cose che potevano succedermi se fossi andata un’altra volta nei boschi. Ancora soprappensiero, con lo sguardo fisso in un punto all’orizzonte e con una lieve lacrima che gli rigava il volto mi disse – Ti prego dimmi che non hai cacciato. – Rimasi in silenzio, se avessi detto la verità stavolta me la sarei vista proprio brutta, ma se avessi dovuto mentirgli non mi sarei mai sentita più adeguata accanto a lui e poi tornata a casa avrei comunque dovuto giustificare la presenza dello scoiattolo sull’acquaio. I miei pensieri vennero scossi dalla voce di Peeta – Ti prego dimmi che non l’hai fatto. –
Non volevo ferirlo , non volevo vederlo soffrire, questo era uno di quei momenti in cui avrei voluto scomparire, morire nell’arena, scappare nei boschi, tutto fuorché vedere la persona che amo soffrire. Ma se soffriva era tutta colpa mia e non me la sentivo proprio di mentirgli, così dissi tutta la verità – Vorrei potertelo dire, ma non posso perché mentirei e non voglio, preferisco dirti la dura e amara verità piuttosto che ingannarti. Sì, sono andata a caccia, ma non è successo niente, ho solamente cacciato uno scoiattolo, poi è… è – la mia voce si ruppe e i miei occhi iniziarono a pungere, il ricordo di quello che feci era ancora vivido nei miei ricordi e tuttora lo è. Mi feci coraggio e continuai – E poi è comparso un roditore simile a quelli che c’erano nell’arena dell’Edizione della Memoria e non so nemmeno come, mi sono ritrovata con le mani sporche di sangue, del sangue di quell’animale, impazzita dall’odio. Non mi riconoscevo nemmeno più, sono corsa via ma nel farlo non ho visto un ramo e mi sono fatta questo taglio sulla fronte ma come ti ho detto non è successo niente di grave. – Quando finii osservai attentamente il volto di Peeta, era distrutto, si stava immaginando la scena. Prese un respiro profondo e poi con tutta la rabbia che aveva mi disse – Cioè tu sei andata nei boschi, tu con il tuo pancione di cinque mesi hai avuto la brillante idea di andare a cacciare? Katniss ma ti rendi conto di che cosa hai fatto? – ormai non stava più parlando normalmente, stava letteralmente urlando e io in cuor mio sperai che non vi fossero clienti nel negozio. – Katniss, non è un gioco! Tu hai in pancia nostra figlia, lo vuoi capire? Avresti potuto trovare una bestia feroce, saresti potuta inciampare in un sasso o peggio e io non sarei stato lì presente ad aiutarti, io non avrei potuto fare nulla perché all’oscuro di tutto! Katniss lì dentro – disse indicando il mio grembo – c’èmia figlia capisci? Tu non puoi comportarti così! Ero convinto che saresti stata una buona madre, un’ottima madre ma evidentemente mi sbagliavo! Tu non hai neppure la più pallida idea di che cosa ti poteva accadere. Non hai pensato alla piccola? Non hai pensato ai rischi che stavi correndo? No, certo che no perché ovviamente tu devi sempre agire a pro tu, non degli altri. – Tutte quelle parole, tutto quello che disse mi distrusse completamente, non per la durezza nella sua voce, non per il tono, non per il suo sguardo ma semplicemente perché aveva ragione: ero una stupida e dovevo ringraziare chi mi protegge da lassù se a quest’ora sono ancora viva. Si allontanò da me e tornò al banco con la spianatoia, mi guardò con gli occhi lucidi che riflettevano tutto il dolore che stava soffrendo e con un filo di voce disse – Vattene, vattene via. Vai a casa, non voglio vederti, voglio rimanere da solo. – Indugiai un attimo, non ero disposta a lasciarlo in quelle condizioni in panetteria ma voltai le spalle e me ne andai non appena lui mi urlò contro – Ho detto vattene! – e prima di girarmi vidi che infilzava la lama del coltello sulla superficie della spianatoia.
Passammo vari giorni senza parlarci, vivevamo in casa ma era come se per lui non esistessi più, e io straziata dai sensi di colpa mi limitavo a non far pesare troppo la mia presenza. La notte non dormivamo nello stesso letto, lui andava a dormire sul divano del salotto lasciandomi sola, abbandonata a me stessa e ai miei incubi. Ogni notte mi svegliavo due o tre volte urlando e implorando Peeta di tornare da me, ma nessuno veniva, nessun abbraccio, nessuna stretta, niente.
Ero consapevole che anche lui non dormiva la notte, le occhiaie presenti sotto i suoi occhi azzurri ne erano la prova vivente ma non riusciva a perdonarmi il fatto di aver messo in pericolo la mia vita e quella di Dandelion.
Una notte fui travolta da un incubo più forte degli altri, mi svegliai sudata da capo a piedi come mai mi era successo,urlavo, mi contorcevo nel letto tenendomi stretta il ventre, mi esplodeva la testa, imploravo di morire chiunque mi stava infiggendo questa sofferenza, non ne potevo più volevo soltanto morire. Poi non mi resi nemmeno conto come, ma caddi dal letto, per fortuna non battei la pancia perché quella era protetta dalle mie braccia, ma il rumore sordo del mio corpo che si scontava col pavimento risuonò in tutta la casa. In un attimo Peeta salì le scale, ero sicura che era sveglio ma pensavo che non sarebbe venuto nemmeno questa volta ma mi sbagliavo. Accese la luce e poi si precipitò verso di me. – Kat! Kat, stai bene? Cosa è successo? Ti ho sentito urlare e pensavo che fosse un altro dei tuoi soliti incubi ma poi ho sentito un tonfo e non ho potuto più resistere e così sono corso su. Ti sei fatta male? Hai qualcosa di rotto? Hai battuto la pancia? La bambina sta bene? Oh, Kat! –Mi abbracciò e mi aiutò ad alzarmi mentre non la finiva più con le domande. Se non fosse successo nulla tra di noi gli avrei tirato una sberla, ma tutto quel silenzio era insopportabile e sentire di nuovo la sua voce, nonostante non la smettesse più si parlare è piacevole per me. Appena riuscii a calmarlo risposi ad ogni sua domanda e man mano che parlavo vedevo il suo corpo irrigidirsi sempre di meno. Finché lui non mi baciò. Non fu un bacio casto ma violento e pieno di passione. Misi le mani sulle sue spalle e lo avvicinai a me, per quanto la pancia mi permettesse. Quando ci staccammo vidi che aveva gli occhi pieni di lacrime e che alcune stavano già scendendo sulle sue guance. – Oh, Kat! Scusami, scusami per come ti ho trattato. Ho pensato solo a rimproverarti senza provare a comprenderti, senza capire che in fondo non era del tutto colpa tua, scusami tanto. – disse, ma quella che doveva scusarsi ero io non lui perciò non lo feci finire e dissi – Peeta, la colpa è mia tutta mia. Non devi scusarti perché hai ragione, mi sono comportata da stupida, dovevo pensare alla bambina e invece ho pensato solo a me stessa e alla nostalgia che provavo. Scusami te. – e lo abbracciai nuovamente. Sentii la sua bocca vicino al mio orecchio sussurrare – Quello che ho detto… l’ho detto solo perché ero arrabbiato, io sono convinto che tu sarai un’ottima mamma e non devi minimamente dubitare delle tue capacità perché sei stupenda e sei bellissima. – Rimanemmo così per un po’ di tempo e poi ci addormentammo abbracciati sul nostro letto.
–Ehi dolcezza, li vuoi fare questi biscotti o no? – la voce di Peeta mi riporta alla realtà. Ha indossato il grembiule e questo a parer mio lo rende ancora più sexy, sorrido lievemente e mi tolgo il maglione, qui dentro fa davvero caldo.
Rimango con la mia salopette di jeans che mette in risalto il pancione di sei mesi.
Peeta mi spiega come si fa a fare l’impasto per i biscotti, avrei voluti farli io ma non ne sono capace perciò mi limito ad osservarlo. Appena la pasta è pronta la stendo e con delle formine faccio dei piccoli fori, che vengono poi stesi dalle mani abili di Peeta sulla teglia e vengono poi infornati.
Mi guarda per un po’ e poi dice – Beh, mentre aspettiamo che i biscotti siano pronti ti posso insegnare a fare il pane. Almeno questo dovrei essere in grado di farlo no? – Al solo pensiero di vedermi con le mani nell’impasto mi metto a ridere però accetto la proposta volentieri.
Prima iniziamo a fare una specie di vulcano con la farina, poi ci versiamo l’acqua, aggiungiamo il lievito e mettiamo un pizzico di sale. Iniziamo ad impastare.
L’impasto di Peeta è perfetto, ma non posso dire altrettanto del mio e infatti lui commenta ridendo – Non so cosa mi aspettassi da te, ma di certo non ho mai avuto un’allieva più imbranata di te. –
Io facendo finta di fare l’offesa ribatto – Non è vero, non sono un disastro. – Lui continua – A no? –
- No. – Rispondo e gli lancio un po’ di farina addosso. Lui con un sorriso ribatte – Vuoi la guerra eh? Eccoti accontentata! – e mi lancia un altro po’ di farina.
Dopo un po’ di minuti, siamo totalmente ricoperti di qualsiasi cosa contenuta nella panetteria che ridiamo a più non posso. Lui si avvicina a me e dice – Ti amo. –
- Anch’io. – rispondo e rimaniamo così, io che do le spalle al suo petto mentre osserviamo la mia pancia sporcata da qualche traccia di farina. 
 

~ Angolo della scrittrice: 
Ciao a tutti! Finalmente sono riuscita a pubblicare questo capitolo! E' ancora bello fumante perché l'ho finito da oggi pomeriggio. :D 
Inanzitutto vorrei ringraziare coloro che seguono, recensiscono e hanno questa storia tra le preferite/ seguite/ricordate, grazie davvero perché senza di voi io mi sentirei perduta. 
Che dire, questo capitolo è una cosa un po' diversa, so che è mooolto lungo ma se siete arrivati alla fine vi chiedo quest'ultimo sfozo di leggere anche le sciocchezze che dico. ^^ 
Volevo fare un capitolo per il quinto mese ma se l'avessi fatto avrei aumentato troppo il numero dei capitoli perciò ho deciso di accorpare il quinto e il sesto mese di gravidanza in questo MEGA-CAPITOLO. ♥ 
Bene, detto questo spero che vi sia piaciuto, 
un bacio
Miss H. 
P.S. Ah, quasi dimenticavo ditemi il vostro parere tramite una recensionciuccia (?), accetto anche quelle negative perché l'importante è migliorare e se sono costruttive si impara meglio. 

  
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