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Autore: Son Kla    30/05/2007    2 recensioni
alla fine del viaggio, tutto dovrebbe scorrere tranquillo, soprattutto per goku che ha messo su famiglia. ma non sarà proprio così...
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio, Son Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ookey

Ookey!!! Capitolo 4! Visto che ce l’ho tutta, la metto veloce….sempre più casino da qui in avanti! Ma almeno succedesse qualcosa *ride* …la maggior parte delle volte, passano si e no tre minuti, e poi è tutto un pensare e pensare e pensare….. madò a Goku gli fischieranno un po' le orecchie!!!!

Un baciotto a chiunque si metta a incepparsi il cervello con sto affare!!!

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Quando ci sposiamo?”

Mi riecheggiavano nella mente queste parole, una semplice frase usata dalla Notte dei Tempi, un po’ buffa a sentirla pronunciare da quella voce ancora un po’ puerile. Sembravamo forse due bambini che giocano agli sposi. Ma alle mie orecchie quelle parole significavano ben altro. Non erano un gioco, non erano una semplice ritualità. Erano una promessa, la salvezza dal mio passato e la prospettiva di un futuro felice, o almeno sereno. Goku voleva solo un luogo a cui appartenere, era stata da sempre la sua più grande mancanza, nonostante fosse stata in parte sopperita da Sanzo. E anche io volevo lo stesso, del resto. Perché non si può certo dire che io appartenessi al mio mondo. Cercavamo la stessa cosa, ed eravamo pronti a scambiarcela a vicenda. Sembra assurdo. Lui dava a me qualcosa che non aveva mai avuto, e viceversa. Ma era così, tutto racchiuso nella semplicità di una frase.

Durante il giorno il tempo era stato un po’ capriccioso, pioveva e poi smetteva, tornava il sole ma quando meno te lo aspettavi veniva giù il mondo. Ma a sera si era stabilizzato, l’aria era umida e il terreno bagnato; si intravedeva la luna tra le nuvole ma le stelle, troppo piccole e deboli, rimanevano nascoste. Così che mi venisse impedito anche di vedere una stella cadente, e di esprimere un desiderio, e di poter vivere ancora un giorno nella speranza che quell’astro morente sacrificasse la sua vita per ridarla al mio amore. Quello era il mio desiderio, e avrei desiderato egoisticamente anche la caduta di tutte le piccole lanterne notturne se fosse servito. Avrei privato il Mondo di quello spettacolo che fa sognare tutti, grandi e piccini, in ogni luogo e tempo se questo mi avesse ridato Goku, anche perché trovavo terribilmente ingiusto che qualcuno godesse di quella vista riscaldato dalla persona che amava mentre io non potevo, sarebbe stato meglio che fossero cadute tutte, si può esser felici anche senza stelle, se si ha il nostro amore accanto. Nutrivo così, in maniera atroce, la speranza di riaverlo vicino, soprattutto in quel momento, quella notte. Non a caso proprio in quella notte.

Aveva appena smesso di piovere, anche quella sera di qualche tempo prima.

“Sanzo sarà di cattivo umore.”

“Beh, in teoria non più visto che ha smesso.

Mi stupii che fosse ancora sveglio.

“Sanzo è sempre di cattivo umore.”

“Fa parte del suo carattere” mi voltai verso di lui, anche se non lo vedevo a causa del buio, e cercai la sua mano sotto le lenzuola. Non so perché, ma anche nel buio percepivo subito la sua presenza, e lo trovavo a colpo sicuro, sapevo, anche se non la vedevo, dove era esattamente la sua mano. “ma è una persona fantastica. Devo essere io a dirtelo, Goku?”

“Lo so, hai ragione.”

Aveva la voce troppo sveglia, non mi convinceva.

“Goku, hai fame?”

Perché?”

Ancora più losco. La mancata risposta logica, vale a dire una sfilza di almeno dieci “SI!”, non mi lasciò più dubbi. C’era qualcosa.

Era la prima notte che passavamo in quella casetta, vi eravamo arrivati nel pomeriggio. Tutto era finito, anche se da poco, e non volevamo perdere tempo. Il giorno prima avevamo salutato Gojyo e Hakkai, e quel pomeriggio avevamo accompagnato Sanzo al tempio. Tornando verso casa ricordo le parole di Goku: “Tu starai sempre con me, vero?” Ma era stato lui a non mantenere la promessa.

C’era qualcosa, infatti. Ma non ricordo bene in che momento capii cosa. Cioè, di quella notte ricordo tutto, quindi ricordo cosa aveva, ma forse perché quel qualcosa ce lo avevo anch’io non ricordo di come e quando lo capii. Ma non ha molta importanza.

Il suo odore.

Mi inebriava, come una droga, non potevo farne a meno, ne volevo sempre di più. E percorrevo la sua pelle, alla ricerca di un angolo sempre nuovo, alla ricerca però sempre dello stesso dolce profumo del suo corpo. Ma non solo l’odore mi catturò. Nella mia smaniosa quanto istintiva ricerca mi accorsi che le mani solcavano quella pelle liscia e pura, mai scoperta da altri. Desideravo lasciare su quel velo morbido qualcosa di mio, il segno del mio passaggio, per dire che nessun’altro avrebbe dovuto sentire quell’odore e sfiorare quella pelle. Così, di quando in quando, delicatamente, con le labbra ponevo il sigillo ai luoghi da me conquistati. Esploratrice per un verso, ma anche io venivo delicatamente scoperta. Sentivo un’impacciata insicurezza scorrermi il corpo e il viso, come un bambino che fa qualcosa che non deve, e lo sa bene. Ma lentamente anche lui fece di me il suo territorio, timidamente, forse; ma so che era così, e lo è stato fino in fondo. Probabilmente ero il suo territorio già da molto, come lui il mio. Ma in quella sera dall’aria fresca e umida… umida come la sua pelle, poco dopo, imperlata da un dolce sudore che esaltava il suo odore, che sempre di più mi drogava… frasca come le sue labbra, che mai prima d’ora erano state violate da altre, ma che di questo peccaminoso sacrilegio sembrava già non potessero più fare a meno. In quella sera, dicevo, sbocciò una felicità nuova. E anche se non lo sapevamo, ancora, mentre chiudevo il suo corpo nel mio, mentre lui ripetutamente tornava più vicino a me dopo essersi allontanato, in quella sera ambedue trovavamo un luogo a cui appartenere, qualcosa a cui tornare, una ragione per vivere.

Aprii gli occhi di scatto. Nel ricordare mi ero addormentata, o forse ero solo in un dormiveglia un po’ più profondo.. ma la felicità nuova di quella notte, forse a causa dei ricordi, si fece sentire con un calcio. Proprio come i pensieri che mi attraversavano la mente, in un primo momento faceva male, ma visto con gli occhi del cuore non era altro che un segnale, una sicurezza, che forse in quel momento avevo sognato, ma otto mesi prima quella gioia l’avevo vissuta veramente.

Sospirai. Chissà se aveva piovuto anche là; alla nostra casetta, al tempio. Chissà se Sanzo era di cattivo umore, sicuramente sì.

“Non riesci a dormire?” un sussurro delicato quanto inaspettato.

“Ha tirato un calcetto e mi sono svegliata.

“Già da lì dentro inizia a menare le mani? Meno male che per ora non può agitare a sproposito anche la lingua!”

Sorrisi appena. E Gojyo si accorse che qualcosa non andava.

“C’è qualcosa che non va?”

“No… nulla” Non mentii totalmente, non c’era nulla che non andava, anzi, andava tutto come sempre, come andava da poco più di una settimana.

“Hai fame?”

Perché?”

Mi irrigidii. Mentre pronunciavo la domanda pensavo che quella che mi aveva posto lui non aveva senso, e volevo conoscerne il motivo. Ma quasi subito la cosa non ebbe più importanza. Ben altro quelle due semplici domande chiedevano alla mia mente. Ricordi e dubbi che nascevano in una notte buia e umida, il dubbio di dimenticarmi di quella notte così simile di otto mesi prima… La paura che adesso una notte simile potesse sostituire quella che sembrava tanto lontana… Forse era il dolore che non mi permetteva di capire che quella notte non l’avrei mai dimenticata. Ma mai come quella sera il ricordo di Goku mi aveva attanagliato il cuore, mai lo avevo sentito così vicino da quando mi aveva lasciata. Quel sogno, o quel ricordo, qualunque cosa fosse, mi aveva fatto desiderare di toccarlo, di averlo lì. Un desiderio che non si era ancora spento, forse che si stava lentamente rassegnando, ma che adesso pensavo di poter realizzare a causa dell’illusione così reale creata dal sogno. E proprio questa sicurezza di poterlo fare che poi mi veniva preclusa mi faceva soffrire ancora di più. Perché, mi domandavo. Eppure lo avevo sentito così vicino, mi sembrava di averlo toccato davvero, di aver rivissuto sul serio quello che era successo..

“Va tutto bene?”

Tornai alla realtà. Il mio “Perché?” era rimasto un po’ soffocato in gola e Gojyo non si era preoccupato di rispondere, capiva solo che c’era qualcosa che non andava. Mi accorsi in quel momento di star stringendo la sua mano. E fu tutto più chiaro. Mi stavo aggrappando a Gojyo e lui cercava di darmi una nuova vita. Ma in lui io inconsciamente cercavo un corpo per Goku. Non di giorno, forse, quando la luce fa scappare gli spiriti, o l’unica cosa a scappare è il nostro sesto senso, la nostra capacità percettiva, più razionalmente, la nostra malinconia. Ma di notte era così. Quando di notte nel silenzio senti la voce di chi non ti può più parlare, inutili sono gli sforzi per non ascoltarla. Mi abbandonavo completamente al ricordo di Goku, la mia mente e il mio spirito erano con lui e così cercavo una pelle calda da poter sfiorare, che Goku non aveva più. Probabilmente la sua ora era fredda e pallida. Ma nei miei ricordi no. Nei miei ricordi era ancora vivo, e aveva ancora la pelle calda e profumata.

Sentivo l’odore di Gojyo. Ora che ci ripenso anche la sua pelle ha un buon odore. E’ un odore forte, virile, estremamente sensuale. Ma in quel momento non lo sopportavo. Stava cancellando il ricordo di Goku, il ricordo del suo odore, della sua pelle. Forse ero io che lo stavo sostituendo a Goku, ma mi arrabbiai con lui per questo.

“Ti prego, lasciami stare.”

Che c’è?”

“Niente, Gojyo, davvero. Se vuoi farmi un piacere lasciami stare.”

“E tu se vuoi farmi un piacere smettila di fare così! Ti stai distruggendo, e io non ce la faccio più a vederti star male a questo modo!”

Mi sentii terribilmente in colpa. Era colpa mia, colpa di demoni sconosciuti, colpa di un destino maledetto. Ma non colpa di Gojyo. Mi lasciai abbracciare, baciare la fronte. Ma i suoi baci erano sempre più numerosi, e delicatamente mi ricoprirono piano piano tutto il volto. Ma le labbra, anche quando ci provò, non gli permisi di baciarle. Sarebbe entrato tra me e Goku, e invece con lui dovevo iniziare da zero. Sapeva bene quello che faceva, lo sentivo. Esplorava il mio corpo con dolcezza e delicatezza, ma anche con altrettanta sicurezza. Era tutto chiaro per lui: sapeva cosa l’aspettava in un determinato punto, sapeva cosa avrebbe trovato e a colpo sicuro trovava ciò a cui mirava, e già sapeva che reazione avrebbe scatenato in me. Non come Goku, al quale a volte dovevo indicare la strada perché sembrava perdersi. Ma forse, ora posso dire che un po’ si perdeva per divertimento, per gustare più a fondo quei teneri momenti, così, d’istinto, com’è tipico di lui. E con tutta l’abilità che lo contraddistingueva, e lo contraddistingue, Gojyo mi stava coinvolgendo in quell’arte di cui io oso definirlo maestro. Non sbagliò davvero niente, fu veramente dolcissimo. Ma quando lo sentii troppo vicino, troppo vicino a ciò che mi rimaneva di Goku, a ciò che mi aveva lasciato, mi tirai indietro. Non gli permisi di avvicinarsi, di sigillarmi definitivamente, di prendersi tutta me stessa. Perché se avesse riguardato solo me avrebbe potuto anche farlo, avrei potuto dimenticare il mio dolore almeno per un po’, così. Ma ora non potevo e non volevo dimenticarlo, neanche un attimo. Il tesoro che mi aveva lasciato era troppo vicino a dove sarebbe andato Gojyo; non per paura che gli avrebbe fatto male, sapevo che non lo avrebbe fatto, ma per paura che avrebbe fatto suo anche lui, figuratamene ai miei occhi, e così Goku se ne sarebbe andato per sempre. E, devo riconoscerlo, ancora più dolce fu quando si accorse della mia paura e con delicatezza si allontanò. Lo fece lentamente, continuando con le carezze e coi baci, ma piano piano si rimetteva di fianco a me e mi ricopriva. Continuò a coccolarmi un bel po’. Non potevo più fargli questo, e decisi.

“Scusami, Gojyo. Ti ringrazio di cuore, sei una persona fantastica. Gli baciai la fronte e mi alzai. Mi rivestii velocemente, lui si accese una sigaretta. Non tentò di fermarmi, forse sapeva che non sarebbe servito a nulla.

“Effettivamente non sapevo come avrei fatto a sopportare una stupida scimmia come figlio. Scherzava ma credo che un po’ soffrisse.

Ormai era mattina, anche se molto presto; andai da Hakkai che dormiva ancora profondamente nella stanza accanto. Mi scusai più volte, ma lui altrettante volte mi rincuorò, e mentì dicendo che era quasi sveglio.

“Ti prego, riportami a casa.”

Annuì. Non chiese spiegazioni, non tentò di dissuadermi, non volle sapere cosa avevo intenzione di fare. Capì, forse dal mio tono di voce, forse perché lui le cose riesce sempre a capirle al volo, che avevo deciso. Partimmo pochi minuti dopo, io e Hakkai, Gojyo non uscì nemmeno dalla stanza, e me ne andai senza salutarlo.

Due notti così simili, e simili gli avvenimenti di cui erano state teatro. Solo un’unica differenza, gli attori. Il protagonista dello spettacolo della mia vita era uno solo.

<tornare ma lui non tornerà.>> Così aveva detto Gojyo, qualche giorno prima. Ma non aveva considerato che per incontrarsi ci sono due modi, o si muove uno o si muove l’altro. Non avevo intenzione di aspettarlo, l’avevo fatto fino a quel momento, inconsciamente e stupidamente, forse, ed era stato solo doloroso e inutile. Non sarebbe tornato, lo sapevo. Ma volevo che tornasse insieme a me. E quindi, visto che lui non poteva muoversi..

  
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