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Autore: PattyOnTheRollercoaster    13/11/2012    1 recensioni
«Ciao. Io mi chiamo Penny Bell.»
«Piacere di conoscerti, io sono Jack on the Road», disse Jack scuotendo la foglie a mo’ di saluto.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Penny Bell e Jack on the Road





   Penny Bell aveva sette anni e pensava di non saper fare nulla.
   Tutti i suoi amici sapevano fare qualcosa meglio degli altri, tranne lei. Herbie sapeva giocare bene a calcio, Lydia sapeva cantare tutte le sigle dei cartoni animati, Hanna era molto brava a scuola e Romina riusciva a fare cento salti con la corda. Invece Penny Bell che cosa sapeva fare meglio degli altri? Anche lei sapeva saltare la corda molto bene, ma non era mai arrivata a cento. Il calcio non le piaceva, non era particolarmente brava a scuola e la sua voce aveva la stessa potenza di un pigolio.
   Questo era un vero problema per Penny Bell. Non sapeva neanche che cosa le piacesse fare di più. E ogni volta che le domandavano “Che cosa ti piace fare Penny B? Disegnare? Giocare a nascondino?”, lei era costretta a rispondere: “Non lo so”.

   Stava dunque camminando mano nella mano con la mamma, lungo il parco giochi, rimuginando su questa sua profonda incapacità.
   Il parco giochi era un parco davvero grande, secondo Penny. C’erano quattro altalene, due delle quali erano nuove, e lei doveva sempre contendersele con gli altri bambini, perché quelle vecchie cigolavano ogni volta che ci si dondolava, mentre quelle nuove non facevano mai rumore. C’erano anche dei curiosi animali su molla nei quali ci si poteva dondolare, ma nessuno riusciva mai a capire di che animali si trattassero. Poi c’era un girello, una rete a mezzo metro da terra sulla quale camminare, e infine l’attrazione preferita da Penny Bell: lo scivolo casetta. Lì organizzavano vere e proprie famiglie, nella quale lei, per qualche strano motivo, finiva sempre per fare la zia. Ma le piaceva stare seduta sotto il tetto della casa scivolo a cucinare trifogli, sgridare i suoi nipoti e parlare con la sua amica del cuore, Babette, dei disastri che combinavano ‘i bambini’.

   Quel giorno però Babette non c’era, e nemmeno il suo fratellino minore che faceva sempre il neonato di casa. Senza sapere cosa fare Penny Bell abbandonò la mamma. La lasciò assieme a tutte le altre mamme, che assieme formavano un gruppo compatto sulle panchine di legno. Si diresse al limitare del parco, dove c’erano alcuni alberi alti e frondosi. Fu allora che vide Jack per la prima volta.
   Penny B camminava e si avvicinava all’albero più grande di tutti. Sulla corteccia ruvida e marrone, mentre la bambina guardava distrattamente le fronde, spuntò all’improvviso un occhio, ma subito si richiuse. I rami si scossero impercettibilmente e le foglie verdi frusciarono.
  Penny esitò, si guardò attorno, poi andò decisa verso l’albero. Ancora: due occhi comparvero, ma subito si richiusero, mentre un vago brontolio aleggiava nell’aria. Nel frattempo Penny era arrivata ai piedi dell’albero.

   Guardò in alto, poi, siccome non vedeva nulla, disse: «Ciao.»
Jack tentò con tutte le sue forze di non muoversi, tenne gli occhi chiusi più forte che poteva, ma ad un tratto Penny Bell cominciò a grattargli la corteccia, e Jack venne scosso dal solletico. I rami si mossero, le foglie frusciarono, e tutto il tronco di Jack vibrò in una risata. Aprì gli occhi e supplicò Penny: «Basta! Per favore basta!»
   Penny Bell smise di grattare, sorridente, e guardò verso l’alto. Gli occhi di Jack si trovavano sotto i rami principali, erano piccoli e neri come la pece e brillavano di una luce allegra e gentile.
   «Ciao. Io mi chiamo Penny Bell.»
   «Piacere di conoscerti, io sono Jack on the Road», disse Jack scuotendo la foglie a mo’ di saluto.
   «Perché ti chiami così? Se te ne stai tutto il tempo qua fermo, come fai a essere in viaggio?», chiese Penny sedendosi a gambe incrociate di fronte a lui.
   «Qui passano un sacco di persone, ogni giorno, tranne quando piove. Ma loro non sanno che io posso sentirli, così parlano tutto il tempo senza curarsi di me. Sentire le loro storie è un po’ come viaggiare, non credi?» La voce di Jack era bassa e gentile, un po’ roca a volte, ma rassicurante come quella del papà di Penny B.
   «E te ne stai qui tutto solo ad ascoltare le persone? Tutto il giorno?»
   «Come?», domandò Jack.
   «Te ne stai qui da solo ad ascoltare le persone?» ripeté Penny B, un po’ più forte.
  «Oh cielo!», esclamò Jack con un sobbalzo dei rami più alti, «Sto davvero diventando sordo! Sali sull’albero Penny, così ti posso sentire. Guarda! Appena sopra al mento, a destra, c’è un ramo nuovo, che sta crescendo proprio adesso, e poi un altro accanto al mio orecchio destro. Siediti lì.»
   Penny Bell si alzò e cominciò ad arrampicarsi sul viso di Jack. A lui non sembrava dare fastidio, anche se gli poggiava le scarpe sul mento e sulle guance. Si sedette accanto al suo orecchio, che altro non sembrava che un nodo sulla corteccia. «Mi senti adesso?», domandò dondolando i piedi.
   «Perfettimissimamente!», esclamò Jack.
   «Non si può dire perfettimissimamente», protestò Penny B.
   «E chi te lo ha detto?» Jack parve sorpreso. Roteò gli occhi neri verso Penny e la bimba notò che visti da vicino erano grandi come la mano del suo papà.
   «Lo dicono tutti. La mamma ad esempio, la maestra, lei lo dice sempre. Se diciamo perfettimissimamente lei ci sgrida e ci mette un segno rosso sul quaderno.»
   La chioma di Jack frusciò indignata. «Ma questo è inaudito! Io da piccolo dicevo perfettimissimamente, e anche il più migliore tutti i giorni! Almeno una volta al giorno! E adesso guarda, vedi qualche altro albero con le foglie verdi come le mie?»
  Penny si guardò attorno, scostò con la mano delle foglie e guardò il parco. Eh, no. Qui c’era qualcosa che non andava… Jack aveva assolutamente ragione: non c’era un altro albero grande e con le foglie verdi come le sue! Però lui diceva perfettimissimamente e il più migliore, e magari anche a me mi piace!
   «Vuol dire che per diventare più alta del mio papà devo parlare sbagliato?»

   «No, no», disse Jack, «Devi usare la tua testa, non devi fare solo quello che ti dicono. Se riesci ad inventarti parole nuove, e giochi nuovi, e tutto nuovo!, allora diventerai la più alta della classe, e poi anche più alta del tuo papà.» Jack sporse un po’ in avanti uno dei suoi rami e indicò un alberello sulla destra. «Lo vedi quello?»
   «Sì, chi è? E’ un albero come te? Anche lui parla?»
   «Tutti gli alberi parlano, perché non dovremmo? Voi umani parlate, no?»
   «Certo che parliamo. Ma allora perché non parlate mai con noi, voialtri?»
   «Ma noi vi parliamo, è solo che voi non ascoltate con attenzione. Una volta il mio bisnonno mi raccontò una storia. Mi disse che tantissimi anni fa gli uomini e le piante parlavano ogni giorno, erano grandi amici. Un giorno, un uomo chiese ad una pianta di produrre fiori per lui, da poter regalare alla donna che amava. La pianta lo fece di buon grado, e qualche anno dopo l’uomo tornò per chiedergli dei frutti per sé e i suoi bambini, e la pianta esaudì anche questo suo desiderio. Da allora l’uomo continuò a pretendere sempre di più, finché la pianta non si stancò e morì.»
   Penny Bell corrugò le sopracciglia. «Che storia triste.»
   «È triste assai», fece Jack con fare saccente. «Da allora le piante non parlano più agli uomini, hanno paura di essere sfruttati.»
   «Sono sicura che se ci parlaste troveremmo una soluzione tutti assieme», disse Penny.
   «Può darsi, ma che mi dici delle piantagioni?»
   «Cos’hanno le piantagioni?»
   «Sono delle prigioni», bisbigliò l’albero. «Delle prigioni dove si fanno lavori forzati. Io sono fortunato ad essere nato qui, ma ogni anno milioni di semi neonati vengono deportati nelle piantagioni, e sono costretti a crescere e germogliare come e quando vogliono gli uomini. Non è mica giusto. Per questo ce ne stiamo in silenzio, non vorremmo mai che ci portaste in un laboratorio e scopriste che possiamo dare frutti anche tutto l’anno, se lo vogliamo, sarebbe terribile se qualcuno lo scoprisse. A questo proposito, non devi dirlo a nessuno, capito?»
   «Lo prometto. Parola d’onore, croce sul cuore che possa morire», recitò Penny Bell facendosi una croce sul cuore. Jack annuì soddisfatto. «Comunque, che cosa dicevi su quel piccolino laggiù?»
   «Ah, quello è Devon! Lui è un tipo tutto strano, sai? E’ da quando è nato che vuole essere uno dei Sempreverde, ma non riesce a crescere abbastanza. Noi gli abbiamo detto di non sforzarsi troppo, di sorridere un po’ di più e di lasciare che la Natura faccia il suo corso, ma lui è più cocciuto di un Rovere! Proprio non ne vuole sapere!»
   «Oh, poverino», commentò Panny Bell leggermente dispiaciuta.
   «Vedi quell’altro là invece?» Jack indicò un grande salice piangente dalla corteccia scura e le foglie verdissime. «Quello è il mio amico Peter. Lui, sai, adora cantare, e infatti quando era piccolo non faceva altro. Non gli interessava nulla di crescere, voleva solo cantare, tutto il giorno e tutta la notte. Per questo è diventato alto e bello, ha fatto ciò che gli piaceva fare. Ci ha messo molto impegno, ma alla fine è diventato l'albero più bravo del parco: tutte le volte che facciamo una festa è a lui che chiediamo di cantare.»
   «Davvero? Non l’ho mai sentito cantare!», esclamò Penny sporgendosi dal ramo per osservare meglio Peter.
   «Sono sicuro che l’hai sentito invece. Tutti lo sentono, ma non molti lo sanno apprezzare. Quando il vento gli passa fra le foglie lui le piega e le scuote. E così il suono che fa il vento è sempre diverso, sai? Così lui canta!»
   «Anche a me piacerebbe fare qualcosa che mi piace, ma non c’è niente che mi piace fare più di qualcos’altro. E nemmeno c’è qualcosa che sono più brava a fare degli altri», si lamentò Penny.
  «Lascia stare gli altri! Prima o poi troverai  qualcosa che ti piace fare, ma dovrei impegnarti per farlo bene. Anche se sarà difficile, mi raccomando.»
   «Lo farò. Promesso», disse Penny Bell. «Lo sai che…»
   «Penny Bell!»
   Jack scosse la chioma e chiese: «Chi è che chiama?»
   «È la mia mamma», fece Penny dondolando le gambe e sorridendo.
   «È già ora di andare?», domandò stupito Jack.
   «Sono quasi le quattro e mezza.»
   «Penny Bell dove sei?!»
   «Devo andare, altrimenti mia mamma si preoccupa.» Penny si levò insicura sui piedi e iniziò a scendere dall’albero.
  «Ci vediamo Penny Bell, e ricordati di mantenere la tua promessa», disse Jack scostando di un poco il ramo per farla scendere più comodamente.
   «Okay.» Penny toccò terra e sollevò lo sguardo. «Ciao Jack, ci vediamo. Tornerò a trovarti!»
   «Ciao Penny B!» Jack on the Road si mise comodo sulla sua porzione di terra e sospirò, facendo vibrare tutte le foglie ad un vento inesistente.
Due giovani si sedettero ai suoi piedi, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, mano nella mano. Jack sorrise e li osservò, poi - siccome era di buon’umore - decise di regalargli un fiore. Lo staccò da uno dei suoi rami e lo fece cadere in mezzo a loro.





Fine





















Heilà!
E' da un sacco che ho scritto questa storia, ma per qualche motivo non l'ho mai postata. Non so nemmeno che pensare di come l'ho scritta e del tema di cui parla, spero solo che vi sia piaciuta almeno un po' e che vi abbia fatto sorridere.
Patrizia
   
 
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