Crossover
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Autore: Jade MacGrath    31/05/2007    1 recensioni
[Crossover Battlestar Galactica/Stargate SG-1/Stargate Atlantis] [incompleta]Quando il capitano Kara Thrace si è diretta verso l'occhio di quella tempesta spaziale, aveva finalmente compreso che Leoben e l'oracolo avevano ragione: il suo destino l'attendeva dall'altra parte. Ma non aveva idea che includesse un anello di metallo chiamato Stargate, la città di Atlantis, e una guerra per la salvezza di due galassie...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Quando Kara riaprì gli occhi, realizzò subito che non era più nel posto dove si era trovata all’inizio. E non si trovava nemmeno sul Galactica, che per lei era più casa del suo pianeta natale, Caprica. Pur non essendoci mai stata però, le era familiare. Forse le infermerie si assomigliavamo tutte da un capo all’altro dell’universo, chissà... Facendo finta di essere ancora priva di sensi, guardò di soppiatto i medici e i pazienti che passavano di fronte al suo letto. Tutti indossavano una divisa militare, e già questo fece aumentare i battiti del cuore di Kara. Poi sentì queste persone parlare, e realizzò che non capiva una sola parola di quel che stavano dicendo.

“Perfetto, proprio perfetto…” mormorò, portando le mani a coprire il viso. Stava guardando l’ago a farfalla sulla sua mano che la collegava ad una flebo, domandandosi se fosse il caso di strapparsela di dosso, quando una dottoressa vide che era sveglia e si avvicinò al suo letto.

“Buongiorno” disse la dottoressa Lam “Finalmente ha ripreso conoscenza. Può dirmi il suo nome?”

Che gli Dei mi fulmino, pensò Kara, se ho compreso una sola parola. La donna stava aspettando senza dubbio una risposta, così Kara decise di darle l’unica che nelle sue condizioni poteva dare.

“Capitano Kara Thrace, Flotta Coloniale, 462753.”

La dottoressa aggrottò le sopraciglia e la fissò per un attimo con un’aria smarrita. Anche lei non doveva aver capito niente di quello che aveva appena detto. Tentò di rivolgerle altre domande, ma Kara continuava sempre a rispondere con il suo nome, grado e numero di matricola. Poi, mentre cercava un modo di farsi capire, sentì dal corridoio due uomini parlare. Le loro parole non avevano senso… tranne una. Terra. Quella parola ebbe l’effetto di una scossa elettrica sulla ragazza. Kara si strappò di dosso la cannula della flebo, spintonò la dottoressa e tentò di uscire dall’infermeria, ma i soldati di guardia l’afferrarono appena fuori e le impedirono di andarsene. Kara urlava e si divincolava, e con la coda dell’occhio vide i due uomini allontanarsi. Non voleva che se ne andassero… e strillò l’unica parola che sperava gli avrebbe fatti tornare indietro.

“TERRA!”

 

Il dottor Daniel Jackson e il generale Jack O’Neil si guardarono con aria confusa. Avevano appena sentito una donna strillare la parola ‘Atlantus’, che nella lingua degli Antichi identificava il pianeta Terra.

Guardandosi intorno, videro che poteva provenire solo dall’infermeria e decisero di provare a vedere che fosse successo. Quando arrivarono, trovarono un soldato intento a sorreggere la ragazza bionda che Thor aveva lasciato nelle loro mani, chiaramente e pesantemente sedata.

“Mi sono perso qualcosa?” domandò O’Neil, osservando il soldato e degli infermieri rimetterla a letto, e metterle costrizioni leggere a polsi e caviglie.

“Generale… non so cosa sia successo. Si era appena svegliata e sembrava calma, poi ad un tratto ha iniziato a dare di matto.”

“Ha urlato la parola Atlantus” disse Daniel. “Terra in lingua Antica. Jack, che ha detto Thor di lei?”

“L’hanno salvata prima che il suo aereo esplodesse. Un velivolo da guerra mai visto prima, molto simile ai nostri caccia. Anche la sua tuta da volo e l’elmetto sono in materiali sconosciuti. E la zona dove è stata trovata non ha pianeti abitati da specie tanto evolute. La nostra Jane Doe è un bel mistero.”

“Senza contare il fatto che conosce la lingua degli Antichi.”

“No” interruppe il medico. “Da quello che so e che ho sentito, la lingua che la ragazza parla non è niente di simile.”

“Forse si è evoluta in modo autonomo, ma devo parlare con lei per essere certo. Forse parlandole in Antico potremo capirci.”

“Vedremo.”

 

Quando il sedativo smise l’effetto e Kara si risvegliò, non fu per niente felice di vedersi legata al letto. Daniel, seduto accanto a lei, si alzò in piedi.

“Sono…”

“Ehi! Liberami all’istante!” strillava Kara divincolandosi. “Levami queste cinghie!”

Daniel non era certo dell’inflessione, ma era certo di aver riconosciuto alcune parole. Il contesto poi, era inequivocabile. Si schiarì la voce e tentò di nuovo di presentarsi.

“Sono Daniel Jackson. Come ti chiami?”

Kara smise di agitarsi improvvisamente come aveva iniziato. Quell’uomo conosceva e parlava la lingua delle Scritture Sacre! Una lingua che sfortunatamente loro conoscevano solo in quell’ambito e che per il resto era morta, appannaggio esclusivo di Laura Roslin e di pochi studiosi quando Caprica e le Colonie erano nel pieno del loro splendore, figurarsi adesso.

Daniel ripeté il suo nome e la sua domanda, e Kara concentrandosi riuscì a riconoscere il verbo ‘chiamare’, e quello che doveva essere il nome dell’uomo. Daniel.

Jackson stava per ripetersi per la terza volta, quando Kara lo interruppe.

“Capitano Kara Thrace. Flotta Coloniale. 462753.”

“Kara? Il tuo nome è Kara? Tu” e indicò con la mano la ragazza “sei Kara?”

“Mi chiamo Kara Thrace” ripeté Kara, abbastanza frustrata dal non riuscire a farsi capire, ma sollevata di essere almeno riuscita a far sapere come si chiamava. Sul grado, sulla Flotta Coloniale e sulla minaccia dei cylon ci avrebbe lavorato in seguito.

“Terra?”

Daniel fece un ampio gesto “Qui. Atlantus. Terra.”

Kara lo fissò confusa, e Daniel decise di farle vedere una riproduzione del sistema solare. Se ne andò via così in fretta che Kara non fece in tempo a urlargli di liberarla, ammesso e non concesso che fosse riuscita a spiegarsi.

Tornò subito con una mappa stellare della galassia e una del sistema solare, ma prima che iniziasse a parlare Kara voleva essere liberata. Quindi appena lo vide lo chiamò per nome (sperando di averci azzeccato) e sollevò i polsi per quanto concesso dai lacci.

“Oh, sì, certo” mormorò, passando poi alla lingua Antica “starai calma?”

Kara fece cenno di sì con la testa e prese un’aria angelica. Non aveva intenzione di fargli niente, ma era sempre meglio avere le mani libere per ogni evenienza. Daniel l’aiutò a mettersi seduta, e le mise davanti la mappa del sistema solare, indicandole la Terra e ripetendole il nome del pianeta in Antico e in inglese, e aspettando che lei facesse altrettanto. Kara però guardava il pianeta azzurro, incredula di essere realmente lì. Dopo tutti gli anni in fuga, New Caprica, la morte di migliaia di fuggiaschi, lei era lì. Ora bisognava che ci arrivasse il resto della Flotta.

“Terra. Atlantus” ripeté indicando il pianeta dove si trovavano.

Daniel annuì e le mise davanti la mappa della Via Lattea, indicandole il punto del Braccio Locale dove si trovava il Sistema Solare.

“Da dove vieni? Dov’è il tuo pianeta?”

Pianeta. Doveva averle chiesto da dove veniva, forse sperava che lo sapesse indicare sulla mappa, ma primo, Kara non aveva idea dopo tanto fuggire di dove si trovassero Kobol e le Dodici Colonie, e secondo, non sapeva se doveva dirlo. Non sapeva se poteva fidarsi dei terrestri, che dovevano essere alleati di quella specie di omini grigi che aveva intravisto prima di risvegliarsi lì. Una specie che intratteneva rapporti del genere doveva essere molto potente… e se non stava attenta poteva rivelarsi molto pericolosa per la sua gente.

Così Kara fece un’altra faccina innocente e fece cenno di no con la testa con un sorriso dispiaciuto.

Daniel sembrò crederle, e Kara se la rise sotto i baffi. Non sembrava addestrato a condurre interrogatori, anzi, non sembrava addestrato per niente. Che ci faceva un civile in una struttura militare? E soprattutto perché la stava interrogando lui?

Ebbe la sua risposta quando un uomo dai capelli brizzolati e un’uniforme militare blu si avvicinò al suo letto. Le fece un sorriso e indicando sé stesso disse “Generale Jack O’Neil”.

“Capitano Kara Thrace” ripeté Kara sbuffando e ripetendo il gesto. Era sveglia da appena mezz’ora, e già non ne poteva più.

“Felice di conoscerla, capitano” disse Jack, guadagnandosi un’occhiata sorpresa da Daniel.

Capitano?”

“È quello che ha detto prima del nome.”

“Tu la capisci?”

Avrà a che fare col fatto che per ben due volte la mia testa è finita in uno dei succhiatesta degli Antichi… ma non so parlare la lingua. Solo capirla.”

“Ma non parla proprio quella lingua.”

“Forse nel bagaglio di conoscenza erano compresi anche i dialetti, Daniel …”

“Già… beh, meglio di niente” disse lo studioso facendo cenno a Jack di sedersi. “Capitano”disse poi rivolgendosi a Kara, che continuava a fissare Jack con aria sospettosa “cosa le è successo?”

Alla seconda volta che Daniel le ripeté la domanda, Kara afferrò che voleva sapere cosa le fosse capitato. Da dove cominciare? E quanto poteva dire? Decise di limitarsi a quanto riguardava lei, già farsi capire su quello sarebbe stata dura e non voleva ritrovarsi con un esaurimento nervoso in mano a gente estranea.

“Io stavo volando… sono finita in una tempesta di un gigante gassoso. La pressione ha fatto esplodere il mio aereo. Sono svenuta e mi sono risvegliata qui.”

Jack disse velocemente a Daniel quel che aveva detto Kara, e a Kara non sfuggì il sopracciglio alzato del militare mentre ripeteva le sue parole. Visto che sembrava capirla meglio del civile, si diresse direttamente a lui.

“Ho detto la verità.”

“Dice che è sincera. Daniel, spiegale che non è una questione di fiducia ma di posizione.”

Daniel gli scoccò un’occhiataccia “Non ho una conoscenza così approfondita della lingua!”

“Buffo, su Abydos ci avrai messo si e no cinque secondi per farti capire da Sha’re… Scusa” mormorò poi il generale, per aver menzionato senza volere il nome della defunta moglie di Daniel.

Daniel scosse la testa come a dire che non importava, e cercò di spiegarsi con Kara. Riuscì a farlo, ma fu Kara a non capire dove volesse andare a parare.

“Siamo in fuga. La mia gente è in fuga da anni, siamo alla ricerca della Tredicesima Tribù di Kobol, che ha colonizzato il pianeta Terra millenni fa.”

“Questo è molto interessante” disse O’Neil, facendole segno di continuare.

“I cylon sono sulle nostre tracce, sono un pericolo enorme, dovete aiutarci!”

“Cylon?”

“Cylon” ripeté Kara, con un lampo d’odio negli occhi nel pensare ai suoi nemici. Solo allora le venne in mente che per cercare il suo sentiero per l’illuminazione aveva lasciato la flotta senza il loro miglior pilota da combattimento. E il senso di colpa iniziò a farsi sentire. Aveva abbandonato il Galactica, l’Ammiraglio, Lee, Sam… per cosa? Ora era sola circondata da gente che la capiva a malapena, probabilmente prigioniera. Certo, era sulla Terra, ma…

Un momento. Era sulla Terra. Aveva trovato la Tredicesima Colonia. Se riusciva a conquistare la loro fiducia avrebbe potuto aiutarli a trovare la via, forse perfino incontrarli a metà strada.

Mentre era intenta in questi ragionamenti, Kara non si accorse che i due uomini seduti accanto a lei stavano discutendo dell’ultima cosa che Kara aveva menzionato. I Cylon. E prima ancora, Kobol.

Quando la sua attenzione tornò su di loro, li trovò ancora intenti a discutere. Cercò di ascoltare il più possibile, cercando di fissare il suono delle parole, ma per lei continuavano a non avere senso. Eccetto Kobol, che era menzionato più volte. Kara sorrise, dicendosi che era un buon segno. I suoi ‘cugini’ricordavano il pianeta d’origine. In realtà, la conversazione verteva su un altro argomento.

“Kobol è stato abbandonato da millenni. Dopo che gli Antichi sono ascesi la popolazione è scomparsa nel nulla, forse è ascesa anche lei. Non ci sono segni che farebbero pensare ad un esodo.”

“Direi che un segno ce l’abbiamo qui davanti.”

“Le iscrizioni trovate parlavano di Kobol come di un pianeta dove gli Antichi erano venerati come dei. La cosa interessante è che alcuni di quei nomi ritornano anche nella mitologia greca.”

“Kara ritiene che siamo discendenti di quella tribù che è emigrata qui da Kobol. Direi che la sua storia ha bisogno di qualche correzione.”

“Lingua prima, spiegazioni poi. Anzi, prima falla dimettere dalla Lam, e poi iniziamo. Kara potrebbe darci molte informazioni preziose. Forse perfino sugli Antichi.”

“E soprattutto dirci di più su questi Cylon. Come se non avessimo già abbastanza gatte da pelare” disse O’Neil alzandosi. Fece un cenno di saluto a Kara, salutò Daniel, e uscì dall’infermeria.

Kara osservò O’Neil uscire, poi Daniel reclamò la sua attenzione. Cercò di spiegarle che sarebbe stata in osservazione ancora un paio di giorni e che poi avrebbe avuto altri alloggi. Kara comprese che aveva ragione: a casa sua, altri alloggi significava cella. Poteva avere un letto, un tavolo, una sedia, perfino un quadro alla parete, ma i due marines alla porta non lasciavano dubbi. Si sfilò la giacca che le avevano dato e osservò attentamente i simboli sulle maniche. Una volta ci avrebbe visto il simbolo della Flotta Coloniale e del Galactica, ora al loro posto c’era una sigla, SGC. Sfiorò con le dita il disegno, e poi si rimise addosso la giacca, sedendosi sul letto.

Se facevano come loro, quella chiacchierata in infermeria era solo l’inizio. Il vero interrogatorio sarebbe iniziato adesso, preceduto forse prima da un minimo di apprendimento della lingua.

Doveva stare calma.

 

Incredibilmente, fu ancora Daniel Jackson a venire da lei. Entrò nella sua stanza talmente carico di carte e libri che Kara lo fissò divertita cercare di non far cadere niente mentre si avvicinava al tavolo. Le chiese come stava, o almeno è quello che Kara pensò di aver capito, e poi prese la sedia e si sedette di fronte a lei, con in mano un libro, un blocco per gli appunti e una matita.

Era iniziata la prima lezione di lingua inglese di Kara.

Iniziando dalle basi, Daniel vide con piacere che usavano lo stesso alfabeto, ma con diversi suoni. Come già aveva visto e sentito, molte parole della lingua del capitano Thrace derivavano o erano prese dalla lingua Antica. Altre, scoprì, si potevano ricondurre alla Lineare B, antica versione della lingua greca di cui si conoscevano scrittura e pronuncia. Ma la cosa che gli diede una scossa d’adrenalina nel corpo fu quando Kara riconobbe da un suo libro e pronunciò una parola nella Lineare A, da sempre il mistero più grande di tutti gli archeologi.

Forse anche la loro storia necessitava di qualche correzione, pensò lo studioso.

 

Kara dopo la prima ora si era ormai rassegnata. Ma questo non voleva dire per niente che non trovasse frustrante indicare una figura e dire il suo nome, scriverlo e ripetere poi la parola che Daniel le dava in traduzione. Era come tornare indietro alle scuole elementari, e checché si dicesse in giro sulla sua maturità, non aveva più sette anni da un pezzo. Poi, alle volte, lo vedeva prendere dei libri enormi – dizionari, li aveva chiamati – e le mostrava alcune parole che lui pronunciava allo stesso modo suo ma erano scritte in modo diverso, e viceversa. Ogni volta che capitava, sembrava sempre più soddisfatto. Il suo entusiasmo la divertiva, sembrava un bambino in un negozio di giocattoli a cui la madre aveva detto che poteva avere quel che voleva. Beh, era pur sempre un passo in avanti, e se lui si divertiva così, chi era lei per giudicare? Le stava mostrando una riproduzione di un linguaggio che Kara sapeva essere una lingua perfino più antica delle scritture, che come quella aveva ancora qualche parola in uso corrente anche se scritta in un altro modo, quando vide sotto di essa una sua derivazione che aveva visto incisa in una lapide nel museo coloniale di Delphi da bambina. Le era rimasto impresso perché la guida del museo aveva detto ad una classe stranamente attenta e completamente rapita, che veniva dal Tempio di Athena su Kobol, ed era una reliquia unica e senza prezzo del loro pianeta di origine. La parola significava ‘casa’, ma anche ‘rifugio’ e ‘santuario’. Dava l’idea di un posto sicuro al riparo da ogni male, un posto lontano da quella madre che le insegnava a essere forte e coraggiosa picchiandola con un bastone e spezzandole le dita chiudendogliele dentro la porta.

La stessa donna morta di cancro che aveva perdonato (anche se solo in un’allucinazione), perdonando sé stessa nel processo, superando così la sua inconscia paura dell’ignoto e della morte… e finendo poi lì.

L’aveva indicata e aveva detto i tre significati della parola raffigurata. Aggrottò la fronte e prese un’espressione confusa quando Daniel la fissò come se gli avesse appena rivelato una verità universale, cosa assolutamente assurda visto che si parlava di lei. Kara Thrace era nota per essere un totale casino in ogni campo, non per dispensare pensieri profondi. Quello era il campo di Lee.

Daniel aveva iniziato a parlarle a raffica, ovviamente dimenticandosi che non capiva niente, ma dopo un po’ non era nemmeno certa si rivolgesse a lei. Prese il taccuino e il libro, e sparì di corsa.

Ricordandosi evidentemente di lei, ritornò indietro e le disse che doveva controllare una cosa, ma che sarebbe tornato subito, e poi sparì di nuovo.

Kara alzò un sopracciglio. Che personaggio singolare. Il paragone con Baltar le venne spontaneo e totalmente involontario, e finora Daniel lo aveva battuto su tutta la linea. Sembrava realmente interessato a lei, alla sua condizione e a volerla capire. Baltar avrebbe pensato solo a come usarla per vantarsi poi di essere stato l’unico in grado di svolgere quell’incarico. Tornando alla sua fuga, chissà se si sarebbe degnato di dirle che diavolo avesse mai detto di tanto incredibile.

L’entusiasmo di Daniel si scontrò subito con le facce perplesse di O’Neil e Carter, ma non si fermò. Spiegò loro cosa fosse la Lineare B (“è un sistema di scrittura utilizzato dalla lingua micenea, forma arcaica della lingua greca, i cui resti sono stati trovati dall'archeologo britannico Arthur Evans nel 1900 a Creta, Pilo, Micene e Tebe”) e cercando di non sembrare troppo eccitato, spiegò che la Lineare A era un sistema di scrittura non ancora decifrata ad esso precedente, utilizzata nell'isola di Creta nel II millennio a.C.

“È una scoperta sensazionale… voglio dire, gli archeologi e i linguisti specializzati nell’area del Vicino Oriente antico hanno tentato di far luce su quel mistero per decenni. E ora possiamo! Certo, nessuno sarebbe andato a ipotizzare che fosse una lingua aliena, ma…”

“Daniel!” interruppe Jack. “Calmati un attimo, per favore! Kara ha decifrato una parola, giusto?”

“Sì. Santuario.”

“Bene, buon per lei. Ma chi ti dice che possa decifrarne anche altre?”

“Ci sono ottime probabilità che…”

“Anch’io conosco qualche parola in inglese antico, dalla letteratura, ma da lì a dire che conosco quella lingua…” azzardò il colonnello Carter.

Daniel si sedette al suo posto “Certo che siete due guastafeste.”

“No, Daniel, solo realisti” disse Jack.

“Sappiamo come diventi quando ti infervori su un argomento” aggiunse Carter sorridendo.

“Ad ogni modo, è la soluzione di un mistero archeologico. Concorderete almeno su questo.”

“Niente da dire” disse Sam.

“Quando il capitano Thrace sarà in grado di spiegarsi meglio, potrai saziare la tua curiosità. Fino a quel momento, calma e continua con le lezioni.”

Daniel annuì.

“Come desiderate” disse nella lingua di Kara prima di alzarsi e andarsene.

Non vide le arie confuse che Sam e Jack avevano in faccia, ma il sorriso che aveva in faccia dava l’idea che lo sapesse comunque.

 

 

  
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