Anime & Manga > Death Note
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Autore: MadLucy    13/11/2012    3 recensioni
Giappone, 2025. Nel vecchio quartier generale dell'SPK cresce una bambina, consegnata quindici anni prima da Mello al suo più acerrimo rivale.
Inghilterra, 2025. Un misterioso studente della Wammy's House parte per il Giappone, portando con sè un quaderno nero e una Shinigami petulante.
Usa, 2025. Un esperimento genetico iniziato nove anni prima, il cui scopo era creare un essere umano dall'intelligenza devastante, ha esito positivo.
Spagna, 2025. In seguito a una serie di barbari e atroci omicidi, una ragazza dagli occhi rossi viene internata in un manicomio.
E Death Note può ricominciare lì dov'è finito.
Genere: Generale, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ombra.



-Bene, fermiamoci qui per stanotte.- ripetè Law per la tredicesima volta, notando poi con indicibile sollievo che Rowena aveva sollevato la testa e pareva averlo ascoltato.
Si limitò a sorridere, l'ennesimo dei suoi strani sorrisi dai motivi inindovinabili, tirati in una piega derisoria ma offuscati da un'ombra di malinconia. Poi, dopo essersi allungata e averlo baciato con spiazzante disinvoltura sulle labbra, nascose di nuovo la testa sotto il copriletto.
Law sospirò in silenzio, esasperato. Non sapeva davvero più che fare con Rowena. Assecondarla voleva dire arrivare al limite di ogni sopportazione umana, ed era più facile a dirsi che a farsi: negli ultimi giorni non l'aveva mai contraddetta, ma in cambio non aveva dormito nemmeno una notte. La ragazza era capace di seguire i suoi discorsi, però diciamo che li selezionava. Se si accorgeva che Law stava dicendo qualcosa di vagamente interessante dal suo punto di vista gli prestava attenzione, altrimenti sorrideva con aria enigmatica e si girava dall'altra parte. All'inizio questa cosa era stata soltanto un po' irritante, ma poichè con il tempo era diventata un'abitudine radicata il ragazzo, frustrato e a bocca asciutta, si chiese se fosse il caso di riportarla dove l'aveva presa.
Per sua fortuna (o sfortuna?) scoprì che inspiegabilmente, secondo le contorte leggi che regnavano nella psiche caotica di quella pazzoide, di notte era disposta a dargli retta. Ciò che davvero era fastidioso era che Rowena aveva capito al volo il suo compito, alla faccia di tutto quel tempo in cui si era limitata a non ascoltarlo, e Law non potè fare a meno di maledirla per tutto il tempo prezioso che gli aveva fatto perdere. Guardava nello schermo dell'iPhone, osservava i volti dei criminali e leggeva i nomi che vi galleggiavano sopra. Facile e veloce. Già, peccato che ci fosse un altro problema, se possibile il perfetto contrario di quello già riscontrato: se cominciava, non c'era modo di farla smettere se non colpendola ripetutamente con una sedia o distruggendo il cellulare. Ma Law escogitò presto un metodo altrettanto efficace e meno cruento, cioè darle un vasetto di marmellata. Appena la vedeva, Rowena mollava il cellulare all'improvviso (destando nel proprietario amabili istinti assassini) e vi si gettava letteralmente addosso, per infilarci le mani e sbranarla in modo poco ortodosso, come avrebbe fatto un leone con la carcassa di una povera gazzella. L'unico problema che persisteva era quello degli orari, ovvero Law non aveva idea di come convincerla ad aiutarlo anche di giorno. Se avesse continuato a passare le notti in bianco, sarebbe diventato una sorta di vampiro.
Rail assisteva a tutte queste sceneggiate quotidiane senza commentare esplicitamente, ma ostentando un'aria tanto seccata che il messaggio era piuttosto chiaro. Di notte dormiva, o almeno ci provava, visto che Rowena tendeva a elencare i nomi da scrivere sul Death Note consumando le unghie sulle pareti, in uno strìdio insopportabile. Ancora Law non aveva fatto toccare alla ragazza il quaderno, ma aveva due buoni motivi. Temeva che potesse o tradirsi in pubblico, parlando con Rail, o che la Shinigami la facesse arrabbiare con i suoi soliti commenti aspri, ottenendo  reazioni che preferiva non immaginare.
Ah, sì, e poi c'era la storia dei baci. Rowena lo baciava sempre sulla bocca, spesso e volentieri anche in pubblico, ma senza malizia nè sentimento. Si comportava più come una bambina, del tutto ingenua e inconsapevole del significato di un gesto simile. Inutile dire che Rail lo trovava disgustoso quanto sgradevole, e scostava sempre lo sguardo sdegnata. Ma, pensò Law mettendo in carica il telefono, avrebbe potuto abituarcisi: le sue labbra erano carnose, soffici e sapevano di marmellata di fragole.
-Mi porti nel posto di ieri?- La voce di Rowena squillò all'improvviso, riscuotendo il ragazzo dalle sue riflessioni. Lui la osservò stupito, cercando di rammentare a cosa alludesse, ma non era così semplice. Lei sembrava sempre attratta da tutto, le fontane in piazza, le statue nella chiesa, i fiori nelle aiuole.
-Quale posto, me querida?- chiese pazientemente, strofinandosi gli occhi estenuati da una notte insonne. Lei raggiunse la finestra chiusa, lo sguardo corniola a vagare nel panorama fuori, il suo respiro sottile a formare una pozza di condensa sul vetro. Nelle sue iridi si addensava un velo opaco di pensieri ronzanti.
Si voltò, e i boccoli setosi danzarono attorno a lei. -Quello con le luci. Con i divani rossi, dove c'erano le persone eleganti che bevevano.- Uno strano entusiasmo scintillava vivace nella sua voce.
Law annuì con la testa, profondamente annoiato. Si trattava solo dello stupido bar dell'albergo, che Rowena aveva intravisto il pomeriggio del giorno prima passando per la reception. L'aveva strattonata via stringendole il braccio, ma l'aveva sentita canterellare flebili proteste. Probabilmente aveva promesso di portarla.
-Ogni tuo desiderio è un ordine.- rispose, accorgendosi che non era poi uno scherzo così divertente. -Andiamo.-
Rowena, intrappolata nella ragnatela viscosa delle sue riflessioni, si lasciò in silenzio truccare e indossò l'ennesima parrucca, di ricci neri. Le lenti a contatto lasciavano intuire un vago baluginare rossastro.
Dieci minuti più tardi, sedevano su uno dei famosi divani rossi attorno ad un tavolino circolare di granito a chiazze. Law ostentava un'aria da turista rilassato che per un istante ingannò anche lui stesso; in realtà non gli andava tanto a genio l'idea di farsi guardare bene in faccia lì all'hotel, ma in fondo nessuno aveva motivo di osservarlo e ricordarsi di lui. E poi, non conosceva ancora abbastanza la sua arma per potersi permettere di negarle qualcosa. Lei era pericolosa, letale, e dimenticarselo ancora di più.
Il cuscino era comodo, velluto dolce su cui riposare. Rowena osservava divertita e allegra le luci della stanza proiettare disegni sulle pareti, il bagliore dorato del primo mattino bagnare il pavimento di marmo candido. Una fragranza stucchevole di cappuccino e brioches scivolava nell'aria come un nastro di seta, morbida e sinuosa.
Quando arrivò la cameriera ordinarono qualche dolce, un caffè, pane abbrustolito e marmellata.
-Dove sono i tuoi amici, Law?- Rowena parlò con sicurezza, quasi li avesse conosciuti, e non dubitò nemmeno per un istante della loro esistenza. Law sorrise.
-Non ho amici, io. Solo nemici.- ammise, con un pizzico di compiacimento.
La ragazza battè le palpebre. -Nemici... nemici.- La parola suonava strana e stonata sulla sua lingua, estranea, come se la stesse pronunciando per la prima volta.
-Già.- Law giocherellò con il manico finemente intagliato di una tazzina di porcellana. -Cosa mi dici di te, Rowena? Hai nemici?-
Lei gli lanciò un'occhiata rapida e insinuante da sopra il bordo di una tazza, un segreto nascosto nelle iridi, e sorseggiò del latte gelido.
-No. Nessuno mi odia. Ci siamo sempre state solo io ed L.-
La tazzina cadde sonoramente sulla superficie di granito del tavolo, senza infrangersi. Law la fissò, e i suoi occhi castani specchiavano il volto innocentemente sereno della ragazza di fronte a lui. Un riso euforico affiorò alle sue labbra.
-L? Hai detto L?-
Rowena sorrise ancora.

Harmony tamburellò le dita sul cruscotto, rivestito di pelle nera. -Ehi, fratello.-
-Dimmi.- Craig spense il motore.
-Stiamo davvero per fare visita a delle persone che non conosciamo e chiedere loro se hanno notato una certa predisposizione per gli omicidi nel nipotino?-
Il gemello sorrise. -Mi sembra una sintesi piuttosto efficace.-
-Fantastico.- La ragazza spalancò la portiera, osservando con sguardo critico la piccola casa di Sayu Yagami. Pareva circondata da una luminosa bolla di felicità, una dolce serenità di cui solo loro potevano godere. Un piccolo paradiso che stavano per infrangere. Sospirò contrariata, scrollando la chioma fiammante al sole, e percorse al fianco di Craig il sentierino che conduceva all'ingresso.
Fu il fratello a suonare il campanello. Harmony non potè fare a meno di credere di stare per fare qualcosa di davvero brutto.
Dopo qualche istante, Sayu aprì la porta. Ai gemelli piacque a prima vista, aveva l'aria di una donna gentile quanto tosta. La corporatura minuta era in contrasto con la luce intensa che brillava nei suoi occhi scuri.
Vedendoli, battè le ciglia stupita. -Buongiorno. Posso fare qualcosa per voi, ragazzi?-
Craig sfoggiò il sorriso più luminoso che gli riuscì. -Lo spero, signora Matsuda. Non si spaventi, non è nulla di grave...- cominciò. Poi s'interruppe e ci riflettè un secondo. -Mi correggo, forse sì. Ma l'importante è che lei sappia che noi non stiamo accusando nessuno di avere fatto niente, per ora. Possiamo entrare?-
Sayu era il ritratto dello smarrimento. -... accusare? Ma di cosa stai parlando?-
-La prego, se ci concede qualche minuto le spiegherò tutto.- ribadì Craig, con fermezza.
-Si tratta di... Law. Sa di chi stiamo parlando, vero?- intervenne Harmony.
La donna sussultò, come le avesse sferrato un pugno nello stomaco. Strabuzzò gli occhi, quasi impaurita, e arretrò.
-Voi... come?... non dovreste sapere!- farfugliò piano. La fronte le si increspò dall'ansia e lo sgomento.
Una macchina accostò di fronte al marciapiede e avanzò fino al parcheggio nel giardino della casa. Lì si fermò e ne uscì un uomo moro, dall'aria gioviale. Aguzzò la vista verso l'ingresso, e appena vide le sagome dei ragazzi sorrise incuriosito.
-Ehilà!- salutò allegro. -Chi sono, tesoro?-
Sayu, pallida come un lenzuolo, scosse la testa lentamente. -Non... ne ho idea.-
Matsuda notò la sua espressione sconvolta e si accigliò. -C'è qualcosa che non va?-
-Vogliono parlare di... Law.- replicò lei, inquieta, incrociando le braccia contro il petto.
-... come Law?- L'uomo, colto di sorpresa, guardò prima Harmony e poi Craig. -Come fare a conoscerlo? Siete suoi amici?-
Harmony inarcò un sopracciglio. -Non credo che Kira abbia amici, signor Matsuda.-
Craig scosse la testa, indulgente. -Non accusiamo nessuno: ricordi, sorella?-
-Un cazzo.- fu la diplomatica risposta.
Sayu li fissò disperatamente. -Non ci capisco più niente! Potete cercare di parlare in maniera comprensibile, per favore?!-
Craig annuì. -Ha ragione. Permetteteci di spiegare.-
Sayu, quasi in trance, si fece da parte e li lasciò entrare. Il suo pallore era pericolosamente cadaverico. Matsuda rimase inaspettatamente impassibile, le labbra contratte.
Fermò Harmony, sfiorandole un braccio e attirando la sua attenzione.
-Near.- bisbigliò. -E' lui, vero? Near sta facendo delle indagini su Law.-
Lo sguardo di Harmony era indecifrabile e penetrante. -Near è stato ucciso poche settimane fa.-
Lui chiuse gli occhi, avvertendo le lacrime addensarsi contro le palpebre. -Mio Dio.-
Poi entrarono tutti in casa, senza parlare, una tensione elettrica che vibrava nell'aria. Craig osservò Sayu, quegli occhi tormentati e traboccanti di preoccupazione, e provò una gran pietà per quella donna buona a cui era capitata una famiglia di pazzi. Gli ricordava sua madre, in qualcosa nel viso e nell'atteggiamento che non avrebbe saputo definire con certezza.
-Andrà tutto bene.- mentì quasi di riflesso, senza volere. Quello non era che l'inizio dei suoi guai, e darle false speranza non sarebbe servito a nulla.
Lei non rispose, un'espressione vuota in viso, quasi intuisse la bufera che si stava destando dietro i vetri del suo mondo perfetto.
-Volete qualcosa da bere?- mormorò nervosamente, seguendo una prassi di buona educazione che avrebbe preferito sorvolare. I due ragazzi scossero la testa e ringraziarono.
-Allora raccontate. Vi ascolto.- Cercò di infondere un po' di coraggio nella voce pallida.
Harmony socchiuse gli occhi, sperando che sarebbe finita in fretta e sicura che non sarebbe stato così, e cominciò a parlare.

Rowena sfiorò con le labbra l'orlo della tazzina di porcellana, senza bere. Era vuota, eccezion fatta un rivolo di schiuma brunastra sul fondo. Il suo sguardo giaceva sulla superficie del tavolo laccato di bianco, e al loro interno vorticava un fiotto cremisi.
Law cercò di contenere il fremito nelle mani. Le strofinò ansiosamente, il cuore a martellare ad un soffio dal petto. Non fare troppi castelli in aria, si rimproverò, mentre una voce dentro la sua testa sbraitava una vittoria schiacciante. L. L?! Rowena conosceva L?! Ma come poteva essere?! Lei non era certo un genio, nè una studentessa modello. Non poteva avere complessi d'inferiorità, come suo padre aveva avuto con il precedente L. Vero? E comunque non sarebbe stato facile per lei incontrarlo, se non impossibile. Come avrebbe fatto a scoprire la sua ubicazione?! Quando?! Il ragazzo aveva tanti dubbi, ma nello stesso tempo il vuoto esasperante che si affacciava sull'identità di L lo spingeva a credere con disperato accanimento a quelle poche sillabe stentate. Però qualche speranza c'era: Law non le aveva mai parlato di lui, non ne aveva mai nemmeno accennato. Allora come poteva essere spiegata quella frase...?!
Attese, con il fiato sospeso, trattenendosi dallo scuoterla per le spalle.
-Hai detto L, me querida?- ripetè, con voce calma e un sorriso teso.
Rowena sghignazzò in silenzio, come una bambina divertita, e si coprì la bocca con un palmo della mano.
-Sì, L. Sono andata a giocare a casa sua ieri.-
A Law il pavimento crollò sotto i piedi. Ma che diavolo stava dicendo? Non era mai andata proprio da nessuna parte, il giorno prima. Era stata con lui, all'hotel, praticamente tutto il tempo. Ma come faceva a sapere di L?! Era impossibile... che lui stesso se lo fosse lasciato sfuggire così, in una frase? Impossibile, non avrebbe mai fatto un errore tanto stupido.
Poi pensò che aveva letto da qualche parte che gli squilibrati, specialmente quelli molto gravi, hanno delle difficoltà a collocare nel tempo ricordi ed episodi, da quelli remoti ai più recenti, e confondono molto spesso l'ordine degli avvenimenti. In special modo se essi hanno avuto una particolare importanza, o se costituiscono quello che scientificamente può essere definito un trauma. Poteva essere quella la chiave dell'enigma? Incerto su come procedere, intrecciò le dita sul tavolo.
-Bene. E vi siete divertiti?- domandò con indifferenza, come se non avesse molta importanza. La sua mente, in realtà, ronzava: doveva comportarsi come se la sua versione distorta del tempo fosse quella effettiva, e non obiettare mai. Solo così avrebbe avuto qualche possibilità di ricavare qualcosa, da quello snervante discorso privo di logica, estenuante quanto avrebbe potuto essere se fosse stato intrapreso con una bambina di cinque anni un po' ritardata.
Rowena non rispose. Aggrottò la fronte, contrariata, quasi si stesse sforzando di diradare una nebbia tenace fra i suoi ricordi.
-A L non piace giocare. E non le piace essere guardata. E' timida. Scappa sempre.- spiegò, come se stesse elencando la lista della spesa. Era incredibile come riuscisse a raccontare assurdità tanto fantasiose con un'espressione di impassibile noia.
Law non riuscì a trattenere una smorfia di impazienza. Non ne poteva davvero più di cercare di decifrare il suo strano linguaggio in codice senza alfabeto. Qualsiasi cosa avrebbe potuto voler dire tutto. Era come avere tra le mani una scatola contenente tutte le risposte e non riuscire ad aprirla.
Però, pensandoci bene... "non le piace essere guardata".
-Rowena, tu sai come si chiama L?- domandò a voce alta, pensieroso.
Lei scrollò le spalle con un sorriso di scusa. -Lei ha detto che si chiama L.-
-Ma tu hai letto L? Voglio dire, con i tuoi occhi.-
Rise, più o meno come faceva al 90% dei casi sentendo le sue domande. -L sa come si chiama, Lawrence.-
Law comprese. Probabilmente "non le piace essere guardata" voleva dire che lei aveva fatto in modo di non farsi osservare in volto. Cioè che sapeva del potere di Rowena.
Cioè che probabilmente quella di cui stavano parlando era proprio la vera L.
-Vieni, me querida. Andiamo ad ordinare dell'altra marmellata.- mormorò soddisfatto, con un sorriso aguzzo da lupo.

L sollevò il capo, nel sentire che qualcuno stava digitando il codice d'ingresso. La luce del computer le inondò il viso., -Sono tornati.-
Marion annuì distratta, intenta a sfogliare delle pagine su Internet. La sua stanchezza doleva e pesava su ogni lineamento del viso, pronunciando le occhiaie come se le calcasse con una matita.
Le porte d'acciaio si aprirono, rivelando le sagome dei gemelli. I capelli rossi lampeggiavano di sangue sotto le luci a neon, e i loro volti erano inaspettatamente cupi. Vederli di cattivo umore era inusuale e un po' inquietante.
-Eccovi qui.- esclamò L, facendo rapido segno di avvicinarsi. Craig fece un cenno nervoso con il capo, Harmony sbuffò un soffio di fumo aspro.
-Com'è andata?- si informò la detective, scostando delle carte dalla scrivania.
-Come vuoi che sia andata. L'hanno presa male, molto male.- sospirò il ragazzo, rabbuiato. -E non ci hanno saputo dire nulla, ovviamente. Li abbiamo messi in pericolo e non abbiamo ottenuto niente.-
-Niente?- L inarcò un sopracciglio. -Se Kira non sospetta che noi ci siamo messi in contatto con i suoi zii, quando finiranno i soldi tornerà da loro e noi lo sapremo. Se saprà di non poter tornare, prima o poi dovrà trovarsi un lavoro da qualche parte. Ovvero non scapperà più.-
-Una ben magra consolazione.- bofonchiò Craig, incapace di dimenticare l'espressione devastata di Sayu e la voragine nera che si era spalancata nei suoi occhi.
-Ma pur sempre qualcosa. Si vede che Rowena è entrata in azione, tutti i criminali di cui il nome era irreperibile sono morti di recente e gli omicidi sono diventati molto più frequenti: delle vere e proprie carneficine di massa. Certo, averla con lui comporta anche degli svantaggi. Tutti gli aeroporti sono messi sotto controllo, lei è una ricercata... e una ragazza imprevedibile.-
Harmony gesticolò con la sigaretta, materializzando nell'aria una scia grigiastra, sottile e pallida come uno spettro. -Parli come se la conoscessi.-
-Non è affatto così.- la contraddisse L, seria. -Mi è capitato di incontrarla una volta, in passato, ma nulla di più.-
Marion parve essere ridestata da quell'affermazione e strabuzzò gli occhi azzurri. -Tu?! Incontrato Rowena?! Dove, e perchè?-
-Ti ho detto che è lei a interessarmi particolarmente, non Kira.- puntualizzò l'altra divagando.
Marion pensò che non aveva certo risposto alle sue domande, ma non disse niente. Non sapeva praticamente nulla di L, nemmeno alla Wammy's House erano riusciti a scoprire alcunchè: se non quello che lei, in fondo, aveva iniziato a sospettare. Ovvero che fosse figlia dell'altro L, il primo L. Il vero L, se così vogliamo dire.
Craig s'intromise nel discorso. -Ah, già, che idiota. Sayu Yagami dice che il vero nome di Kira è Lawrence, abbreviato poi all'orfanotrofio in Law. Anzi, lui ha insistito che i suoi zii lo chiamassero con questo soprannome, probabilmente per ragioni di sicurezza.-
-Lawrence?- ripetè Marion, corrugando la fronte. -Che strano. Entrambi i suoi genitori sono giapponesi.-
-Ma lo potranno chiamare come vogliono! Vuoi fare qualche indagine?! Credi che ci sia un rebus nascosto?- rise Harmony, sputacchiando fumo.
L abbassò lo sguardo, pensosa, ma nessuno fece caso alla sua espressione interdetta.
-Poi ha detto di avere aiutato Yagami e Amane con il bambino fin da quando è nato, che i due hanno giustificato tanta segretezza con il pretesto che Misa era una star famosa, e che se i media avessero saputo di Lawrence li avrebbero perseguitati. Sayu voleva tenere il nipote dopo la morte della madre, ma i genitori avevano già lasciato scritto nel testamento quale doveva essere il suo futuro. Light voleva che suo figlio ricevesse un'educazione per genii, per superdotati, che frequentasse la migliore delle scuole. Per diventare poi un detective, o magari un assassino.- concluse Craig, con tono piatto.
-Bene.- annuì Marion. -Ora il passato di Kira ci è chiaro. Bisogna solo prenderlo.-
-Un gioco da ragazzi, visto che potrebbe essere a Hong Kong come in Svezia.- replicò Harmony, avvicinando la sigaretta alle labbra.
L scosse la testa. -Non è impossibile come sembra. Avere una fotografia sarebbe il massimo, ma sperare una cosa del genere significherebbe pretendere un po' troppo. Bisogna...- S'interruppe, gli occhi fissi in un punto impreciso nell'aria vuota.
-... bisogna?- la esortò Marion, impazientemente.
-... bisogna tentare un approccio diretto. Ma ci servono una serie di fortunate coincidenze che difficilmente s'intrinsicheranno.-
Marion inarcò le sopracciglia, delusa. -Allora spiegami cosa dovremmo fare. Affidarci alla sorte? Per questo non avevamo certo bisogno di te.-
Lei la fulminò con lo sguardo. -Non preoccuparti e sta' a vedere, Keehl. Lascia fare ad una investigatrice vera.-
Non si offese, ma anzi ridacchiò. -Forza, ragazzi, la grande investigatrice adesso deve lavorare. Lasciamola in pace.- ordinò, un'ombra di derisione nel tono leggero.
Craig si alzò, ancora quello strano malessere inciso in volto, e Harmony calciò via la sedia irritata. La sua sigaretta si era spenta in un guizzo rossastro e incandescente.
In realtà, Marion aveva una cosa da fare e fretta di congedarsi, così uscì dall'ufficio di Near e si fermò incerta.
-Ehi, voi, sapete dove sono Halle e Rester e Gevanni?- domandò.
Harmony strinse gli occhi, riflettendo. -Rester sta aggiustando un computer guasto al terzo piano, Lidner e Gevanni saranno nell'appartamento sotto a finire di pranzare.-
-Okay.- La bionda si avviò con decisione verso l'ascensore.
-Dove vai?- chiese l'amica.
-Devo parlare con loro. Riguardo la lettera.- precisò Marion, assorta.
La rossa sapeva esattamente di quale lettera stesse parlando: l'amica le aveva fatto una testa come un pallone per giorni, su cosa poteva o non poteva significare.
-D'accordo.- Non propose di accompagnarla. Aveva come lo strano presentimento che si trattasse di qualcosa di intimo, di personale.
Ed era proprio così.

Quando Marion face irruzione nella stanza, Halle stava lavando i piatti al lavello. Soltanto lei poteva farlo con classe, indossando un grembiulino firmato e grattando con dignità un'ostinata macchia incrostata sullo smalto della ceramica. Gevanni sedeva scomposto sul divano, una gamba accavallata sull'altra, e seguiva distrattamente un notiziario alla tv. Tennyson, al tavolo della cucina, fissava la pagina del libro di scuola che aveva di fronte con sguardo vacuo e vuoto, come se non l'avesse mai visto prima in vita sua. Il che era probabile.
Nel sentirla entrare, Lidner voltò la testa e le sorrise. -Come vanno le indagini?-
-Bene.- tagliò corto Marion, osservandola con gravità. -Ma non sono qui per questo. Dobbiamo parlare.-
-E di cosa?- La donna aggrottò la fronte, nel vedere il cipiglio determinato e cupo di lei. -Ma è tutto a posto?-
Si limitò a scuotere la testa. -Potremmo parlarne di sopra? Con te e Gevanni.-
Lui si sentì chiamato in causa. -Uhm? E va bene. Tu vedi di studiare, signorino.-
Tennyson sprofondò la testa mora contro il libro. -Non è giusto che mi escludiate sempre tutti, però. Che gusto c'è ad avere degli agenti supersegreti come genitori, allora...?!-
I tre lo ignorarono ed uscirono, salendo al piano superiore. Una tensione palpabile serpeggiava fra di loro, e l'espressione imperscrutabile di Marion tentava di non lasciare trasparire nulla. Lidner e Gevanni si scambiarono un'occhiata dubbiosa e appena intinta d'un timore che, sperarono, non avrebbe trovato fondamenta.
Giunti in uno dei numerosi uffici dei dipendenti, Marion fece loro segno distrattamente di sedersi. I due obbedirono, seguendo le leggi di un atteggiamento che si sarebbe potuto definire condiscendente. La ragazza iniziò a camminare avanti ed indietro, indecisa su come iniziare. Le parole ronzavano nella sua testa come uno sciame di api e fuggivano dalla sua lingua, perciò non riuscì a pronunciarne nessuna. Era un argomento che suonava spinoso, e non riusciva a dimenticare il gesto brusco e nervoso con cui Gevanni le aveva sottratto la lettera. E poi avrebbe dovuto confessare l'incursione senza permesso nella camera, di cui non andava granchè fiera. Rendendosi conto della necessità ferrea di quel discorso, radunò tutto il coraggio disposto ad ascoltarla.
-Sentite,- proruppe senza preamboli, -un giorno ho trovato fra le carte di Near una lettera che mi ha insospettito, proveniente dall'America.- Osservò attentamente le loro reazioni. Entrambi si accigliarono, il volto contratto da un inquieto disagio. Si intimò di proseguire. -La stessa che hai preso e hai portato in camera tua, lasciandola nella tasca della giacca.-
Gevanni battè le palpebre confuso. -Come fai a-
-Sono entrata di nascosto nella tua stanza e l'ho cercata.- ammise Marion, combattendo contro il rossore di vergogna che pungeva sulle sue guance. -E meno male che l'ho fatto!- aggiunse, sulla difensiva, decisa a giustificare il suo gesto politicamente scorretto.
Lidner tamburellava le unghie perfette contro un bracciolo della sedia su cui sedeva, mordendosi il labbro inferiore. Gevanni si agitò sul sedile e strofinò il naso con una mano.
-In realtà non ho capito granchè il significato, il contenuto era criptico e piuttosto vago. Parla di un certo esperimento, contrassegnato da una specie di codice, e dice che è riuscito. E che Near avrebbe dovuto esserne incuriosito, che avrebbe potuto aiutarlo con le indagini... Insomma, cose così. Allora?! Chi vuole spigarmi cosa succede?! Cosa sono tutti questi segreti?!-
Marion sondò i loro volti con sguardo severo e glaciale, le mani sui fianchi. I due agenti non dissero niente. Il silenzio che cadde nella stanza era di piombo, toglieva il respiro soffocando l'aria.
Gevanni pensò che, con quell'aria inquisitoria e implacabile, sembrava una versione appena più bellicosa di Near. Socchiuse la labbra ma le richiuse subito, incapace di trovare la forza per parlarle di una cosa del genere. Quella storia non avrebbe dovuto mai essere raccontata; fondamentalmente, era nata per essere dimenticata. A Marion non sarebbe piaciuto per niente.
Lidner si fissò le ginocchia, gli occhi mesti e bassi. Quando li risollevò, splendevano di qualcosa che sembravano lacrime.
-Evidentemente, era destino che venisse fatta giustizia. Avremmo preferito risparmiartelo.-
-Basta divagare. Parlate!- sbuffò la ragazza, frustrata.
Così la donna represse un singhiozzo e iniziò a parlare, con voce sommessa.
-Quella lettera è arrivata il giorno dopo la morte di Near, con una puntualità che mi parve subito lampante. Inizialmente, prima di aprirla, credetti infatti che fossero condoglianze da parte dalla Wammy's. Ma notai subito il mittente, un nome americano e sconosciuto. Mi parve strano... e dopo averla letta, le perplessità divennero una sorta di terrore. Mi chiesi chi potesse avere contatti del genere con Near, tali da sapere il suo vero nome e il suo indirizzo. Parlavano appunto di un esperimento, e nemmeno noi sapevamo di che si trattava, lì per lì. Così abbiamo fatto delle ricerche. La verità è emersa dal suo passato.- Deglutì, quasi fosse difficile da digerire. -In effetti, la Wammy's è coinvolta in tutto questo. Quando Near era ancora un ragazzino, sì e no dodici anni, una scienziata che lavorava come dottoressa nell'orfanotrofio gli chiese il permesso di prelevare il suo DNA per un esperimento che sperava di realizzare in futuro. Dopo una lunga riflessione lui accettò, consapevole del fatto che un investigatore che prende il nome di L potrebbe avere vita breve. Non ci trovava niente di male, anche se immagino pensava fosse una cosa di cattivo gusto.-
Marion aprì la bocca e la voce morì. Il disorientamento si dipinse sul suo viso. Accennò una risatina scarna e poco convinta. -Stai cercando di farmi credere forse che...?!-
-Sì, l'esperimento che è stato dichiarato riuscito è stato creato con il suo DNA. Vale a dire che... beh, quel... coso... è una specie di suo figlio.-

 




































Note dell'Autrice: Ehilà! Eccomi qui, non mi sono mica dimenticata di voi! (anche se visto il ritardo sembrava... -.-)
Questa volta niente flashback, ma la prossima sì. ^-^ Che dirvi? Law scopre che c'è un collegamento tra Rowena ed L. Che possa sfruttarlo a suo vantaggio?
E poi l'origine dell'esperimento genetico è svelata. Ve lo aspettavate? Sì? No? (saltella felice) Che cosa farà Marion, nello scoprire una cosa simile?
Tutto e questo e molto altro nel prossimo, avvincente episodio! (neanche fosse una fiction. -.-")
Mi raccomando, cari lettori, ditemi che ne pensate!
Lucy
  
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