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Autore: crushdizzies    13/11/2012    4 recensioni
“Il tuo segreto è al sicuro con me”, assicurò riportando la mia mano lungo il fianco.
Mi sorrise e si incamminò verso la mensa, i capelli biondi che le ondeggiavano attorno al viso come la criniera degli unicorni che aveva sulla copertina del quaderno di spagnolo.
Forse Brittany non era un granché in matematica, ma era davvero un genio a capire le persone.
Fan fiction incentrata sul personaggio di Santana. E' facilmente comprensibile anche da chi non segue Glee.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO TRE Una settimana dopo averla protetta dai bulli, io e Brittany eravamo ufficialmente diventate amiche.
Sedevamo vicine al corso di spagnolo che ormai Puck aveva deciso di abbandonare, e anche a quello di matematica.
Era bello stare con lei. Per avere una conversazione decente non dovevi per forza offendere qualcuno o parlare delle ultime scarpe super costose appena uscite nel negozio di non so che.
Perché lei era diversa. Lei era semplice, buona e tutto ciò che c’è di più puro in questo schifo di mondo.
“Ragazzi, ho un grande annuncio da farvi!”, esclamò entusiasta a fine lezione il professor Schuester catturando magicamente l’attenzione di tutta la classe.
Il professore fece passare qualche teatrale minuto di silenzio poi esclamò: “Andiamo in Spagna!”.
Ci fu un grido generale di gioia. Sorrisi felice e vidi che anche Brittany si era illuminata alla notizia.
“Come mai professore?”, chiese Finn dal fondo della classe.
“Viaggio di istruzione, Finn. Siete la mia classe migliore, ve lo meritate”, spiegò Schuester.
Eravamo tutto tranne che la sua classe migliore, ma avevo detto che il professor Schuester era una gran brava persona.
“Qua ci sono un paio di fogli con tutte le informazioni che vi saranno utili per il pagamento”, disse sorridente il professore distribuendo fogli per la classe.
Oh. Il pagamento. Speravo solo che non fosse troppo alto.
Controllai il prezzo sul foglio, mentre Schuester dalla cattedra diceva: “So che mille dollari possono essere tanti, ma è la Spagna, è il massimo che potessi fare!”.
Mi sentii mancare. Ciao ciao Spagna.
“Oddio! Andiamo in Spagna!”, esclamò Brittany quasi saltando sulla sedia per la gioia.
“Già”, mormorai abbozzando un sorriso. Lei colse immediatamente il mio cambiamento d’umore.
Brittany guardò il suo foglio con aria un po’ abbattuta. Sembrava volesse dire qualcosa ma la campanella glielo impedì.
Corsi al mio armadietto e ci infilai dentro i libri di spagnolo.
E ora dove cazzo li andavo a tirare fuori mille dollari? Forse i miei mi ci avrebbero mandato lo stesso, facendo qualche sacrificio…
Macché… già facevano l’impossibile per pagare la casa, i vestiti e il cibo.
Chiusi lo sportello sbattendolo. A volte faceva proprio schifo essere poveri.
“Hey è, tutto ok?”, chiese Brittany. Era in piedi di fronte al suo armadietto e mi guardava preoccupata.
“Certo”, mentii, quasi violentemente. Lei rimase in silenzio per un po’, scrutandomi, cercando di capire.
Poi mi prese per mano e, di nuovo, la sua stretta calda e rassicurante mi sorprese.
“E’ per il tuo… problema, vero?”, chiese preoccupata.
“Quale problema? Io non ho nessun problema!”, urlai ritirando la mano da quella di Brittany.
Poi mi voltai e scappai letteralmente via, lasciandola lì come un’idiota.
“Santana!”, sentii che mi chiamò.
Non ebbi il coraggio di voltarmi indietro. Stavo per scoppiare a piangere. Uscii da scuola e camminai per un bel pezzo, lasciando le lacrime scivolarmi giù dalle guance.
Dio quanto odiavo essere povera. Non poter fare tutto quello che volevo come le ragazze della mia età.
Poter sorridere all’idea di andare in un posto fico come la Spagna invece che piangere perché il prezzo è troppo alto.
La cosa che odiavo di più era l’idea che, se questo si fosse saputo, nessuno mi avrebbe più guardata come prima.
Nessuno tranne Brittany. Lei era l’unica che sapeva chi ero veramente e, nonostante ciò continuava a stare con me e a volermi bene.
E io l’avevo appena aggredita. Ero così tanto stupida a volte.

Il giorno dopo quasi mi vergognavo ad andare a scuola e farmi vedere da Brittany.
Temevo che non volesse più parlarmi, e sarebbe stato davvero un gran casino, dato che ormai parlavo praticamente solo con lei.
E poi, non volevo perdere la sua amicizia.
La vidi davanti all’armadietto che lo prendeva a pugni.
“Perché te la prendi con l’armadietto?”, le chiesi leggermente divertita.
Lei smise di scazzottare lo sportello e fece una delle sue espressioni confuse, che io trovavo infinitamente tenere.
“Non riesco ad aprirlo”, disse triste. Le sorrisi e provai ad aprirlo. Dopo un tentativo ci riuscii.
“Era incastrato”, le spiegai. Lei mi sorrise ma aveva ancora qualcosa che le frullava per la testa. Non era uno dei suoi soliti sorrisi luminosi.
“Santana…”, mormorò infatti dopo qualche secondo.
Non aprii bocca, spaventata per quello che avrebbe potuto dirmi. L’avevo sicuramente ferita il giorno prima, comportandomi in quel modo.
“Mi dispiace per ieri… sono stata troppo invasiva. Avrei dovuto farmi gli affari miei…”, disse con gli occhi bassi, cogliendomi totalmente di sorpresa.
Cercai ogni traccia di sarcasmo, di ironia o di rimprovero ma non ne trovai. Brittany era seria. Mi stava davvero chiedendo scusa.
“Brittany… io…”, iniziai senza sapere che dire. Chiedere scusa non era una cosa che facevo spesso.
“Sono io che devo chiederti scusa, Britt. Sono stata un’idiota”, dissi con un sospiro. Lei sollevò lo sguardo, puntando i suoi occhi blu nei miei.
“Tu stavi solo cercando di aiutarmi… è che… a volte fa proprio schifo essere me…”, dissi in un sussurro, distogliendo lo sguardo.
“E voglio davvero esserci in Spagna…”, continuai sempre più mormorando che parlando chiaramente.
“Non ti preoccupare… ce la faremo”, mi sorrise Brittany.
“Faremo?”, chiesi sollevando gli occhi, incuriosita dall’uso del plurale.
“Certo. Siamo amiche, no? E le amiche si aiutano a vicenda, giusto?”, disse sollevando le spalle come se fosse la cosa più semplice del mondo.
“Non ti lascio sola”, aggiunse poi guardandomi dritta negli occhi. Le sorrisi arrossendo leggermente.
Sapevo che era vero, che potevo fidarmi di Brittany.
Sapevo che lei non mi avrebbe mai lasciata da sola.


“Santana!”, urlò Brittany dal fondo del corridoio correndomi incontro.
“Hey!”, la salutai quando si fermò davanti a me, con un po’ di fiatone ma con un enorme sorriso sul volto.
“Ho trovato la soluzione!”, esclamò trionfante sventolandomi un foglietto sotto il naso.
Capii subito a cosa si riferisse la soluzione di cui parlava Brittany.
Risi per l’eccitazione di Brittany.
“Allora, ho trovato questo appallottolato sotto il mio banco”, disse porgendomi il foglio. Era la pubblicità di un ristorante.
“E’ un ristorante. Sul foglio c’è scritto che cercano personale, così durante geografia ho chiamato per chiedere informazioni”, raccontò.
Oddio, aveva davvero fatto tutte quelle cose per me?
“Mi hanno detto che pagherebbero venti dollari a ora e che il lavoro constiste nel servizio ai tavoli”, spiegò con una faccia tutta concentrata.
Mi fece sorridere.
“Quindi, se tu lavori due ore tutti i giorni, tranne sabato e domenica, arriverai a metà dicembre che hai già i cinquecento dollari che ti servono!”, disse Brittany entusiasta.
“Britt, io…”, tentai di dire ma lei mi interruppe, prendendomi le mani.
“Quindi li puoi mettere da parte e pagare la prima rata del viaggio a fine dicembre. Per la seconda potresti riprendere a lavorare a inizio febbraio e a metà marzo pagare la seconda rata”, concluse.
“In più, è anche lontano dal centro, e non ci va mai nessuno, così puoi anche evitare che i tuoi “amici” ti vedano lavorare”, aggiunse mimando le virgolette sulla parola amici.
Sorrisi lusingata. Davvero non mi aspettavo che facesse tutto quello per me.
“Sei un genio, Britt. Non so cosa farei senza di te”, le confessai. Lei sorrise felice.
Sembrava volesse abbracciarmi, ma io non ero per niente abituata ai contatti fisici, così abbassai lo sguardo.
“Ti piace davvero?”, chiese allora lei.
“Certo Britt, è perfetto”.
“Ok, meno male, perché avevo già detto che avresti accettato il lavoro”, buttò lì velocemente Brittany.
Scoppiai a ridere.
“Mi hai risparmiato una telefonata”, le dissi ringraziandola ancora una volta. Poi ci dirigemmo verso l’aula di matematica.


Il lavoro procedeva bene, non era troppo faticoso o noioso e i miei erano contenti: per una volta non mi davano dell’egoista.
Io e Brittany eravamo sempre più amiche.
Ormai non riuscivo a immaginare le mie giornate di scuola senza di lei.
Durante l’ora di astronomia corsi in bagno; mi stavo letteralmente pisciando addosso.
Subito dopo essere entrata nel gabinetto, sentii la porta del bagno aprirsi e chiudersi, e l’acqua scrosciare fuori dal rubinetto di uno dei lavandini.
Poi qualcun altro entrò e sentii la voce di Tina CohenChang del corso di spagnolo esclamare: “Oh, ciao Brittany, sei qui!”.
Mi bloccai con la mano sulla maniglia del gabinetto. Tina che parlava con Brittany? Questo era strano. Decisi di rimanere ad ascoltare.
“Ciao!”, rispose Brittany “Sei la sorella di Jakie Chan?”, chiese.
Mi trattenni dal ridere. A volte credevo lo facesse apposta.
“Ehmm, no… sono Tina del corso di spagnolo”, disse perplessa la ragazza.
“Comunque, ti stai ambientando bene qui al McKinley?”, cambiò discorso l’asiatica.
“Oh sì, certo!”, esclamò entusiasta Brittany.
“Anche se l’unica che mi parla è Santana”, aggiunse poi.
Sorrisi nascosta dietro alla porta, sentendomi stranamente lusingata.
“Oh… è proprio di questo che vorrei parlarti… vedi… non dovresti passare tutto questo tempo con Santana”, la ammonì Tina.
Trattenni il fiato, spaventata. Stava cercando di allontanarla da me. Voleva portarmi via la mia Brittany…
Solo mi sfuggiva il perché. Non ero stata particolarmente cattiva con Tina. Non negli ultimi tempi almeno.
“Perché non dovrei? Mi piace… è simpatica”, si difese Brittany, anzi, mi difese.
Arrossii cercando quasi di non respirare, temendo che si accorgessero della mia presenza.
Sarei potuta uscire dal bagno e metterla nel culo a quella cinese schifosa, ma davvero volevo sapere quello che Brittany pensava di me.
Era insensato e infantile, ma per me era importante.
“Sì… ma Santana è… è una stronza, Brittany! Immagino che tu te ne sia accorta!”, insistette la ragazza asiatica.
“Santana è cattiva con chi si comporta male con lei… se voi provaste a essere carini con lei magari…”, iniziò Brittany, per poi essere interrotta da Tina che urlò: “Ci sputerebbe in faccia!”. Sorrisi. Lo avrei fatto davvero.
“Beh, magari fa bene!”, esclamò di rimando Brittany. Non l’avevo mai sentita urlare arrabbiata.
Quella rompicazzo mi stava facendo davvero irritare. Tina sospirò.
“Senti Brittany, tu mi stai simpatica e non voglio che una persona cattiva come Santana ti faccia del male”, disse.
Brittany rimase in silenzio, forse colpita da questa ultima frase.
“Continuate tutti a dirmi che Santana è una cattiva persona, continuate tutti a giudicarla senza conoscerla”.
La voce di Brittany ora era più calma.
Non potevo credere alle mie orecchie. Continuava a difendermi. E di solito era Santana che difendeva Santana, nessun altro.
“Se è così cattiva come dite, allora perché è l’unica persona che, da quando sono in questa scuola, mi tratta come se fossi una persona normale e non una stupida come continuate a fare tutti voi?!”, esclamò.
La sentii tirare su con il naso e correre via. Oddio, stava piangendo.
Aspettai che anche Tina se ne andasse prima di uscire dal gabinetto dove ero rimasta durante la loro discussione.
Mi sentivo strana. Un misto fra triste, lusingata e… felice.
Triste perché Brittany stava piangendo, rannicchiata da qualche parte nella scuola.
Lusingata perché mi aveva difesa.
Felice perché… beh, perché sapevo che anche Brittany era felice quando stava con me. Poi però, fui assalita da un dubbio atroce.
E se passasse quel tempo con me, solo perché, come aveva detto lei prima, ero l’unica a non trattarla da stupida?
Mi sentii malissimo e fui investita dalla paura. Pensandoci meglio, però, non era possibile… Brittany non era quel genere di persona e mi rimproverai per aver pensato male di lei.
Eppure il dubbio rimaneva lì nella mia mente e il terrore di essermi fidata della persona sbagliata non mi abbandonò neppure per un secondo.
Dovevo saperlo. Dovevo sapere se Brittany passava del tempo con me perché voleva o perché non aveva altra scelta.
Strano che mi interessasse così tanto quello che qualcun altro pensasse di me.
Poi mi dissi che non si trattava di un qualcun altro qualunque.
Era Brittany. E, nonostante mi vergognassi ad ammetterlo persino a me stessa, lei per me era importante.
Perché aveva visto del buono in me e sapeva farmelo tirare fuori. Perché aveva sempre un sorriso pronto per me, nonostante il mondo continuasse a fare schifo.
Perché era buona e sapeva ascoltarmi. Perché ogni volta che era triste era come se una nuvola avesse coperto il sole.
Perché mi piaceva un sacco quando si passava una mano in mezzo ai capelli o quando diceva una delle sue perle.
Quando improvvisava passi di danza in mezzo al corridoio e scoppiava a ridere se facevo una faccia buffa.
Dio quanto mi piaceva la sua risata.
Frenai i miei pensieri che stavano prendendo una strana piega.
Dopotutto sopprimere le mie emozioni era la cosa che mi riusciva meglio.
Il mio sguardo cadde ai piedi del lavandino: c’era lo zaino di Brittany. Doveva averlo appoggiato e poi esserselo dimenticata correndo fuori dal bagno.
Feci per raccoglierlo ma sentii la porta aprirsi e Brittany entrò. Aveva gli occhi rossi per il pianto e sembrava alquanto scossa.
Rimasi immobile a fissarla e lei, allo stesso modo, restò a guardarmi senza muovere un passo dal vano della porta.
Poi Brittany venne verso di me, lentamente, quasi con circospezione.
“Hai sentito tutto?”, chiese una volta raggiuntami.
“Sì”, risposi abbassando lo sguardo.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Sei arrabbiata con me?”, domandò poi con la voce che quasi le si spezzava.
Sollevai di scatto gli occhi su di lei, rispondendo di getto: “No! Non con te”.
Sorrisi e pensai: non potrei mai. Lei sembrò sollevata. Ora toccava a me togliermi un enorme peso dal petto.
“E tu… tu le credi?”, le chiesi. Brittany prese un respiro profondo.
“Beh, a dire il vero non ha detto niente di falso… lo sappiamo entrambe che sei una stronza con tutti gli altri”, disse facendomi sorridere.
“Ma io so come sei veramente”, continuò lasciandomi perplessa.
“Non so di che parli”, ribattei cercando di stare sulla difensiva.
“Andiamo San…”, iniziò Brittany sorridendo “Con me sei sempre così… dolce… e spontanea. E sorridi. Sorridi veramente”. Mi venne da sorridere.
“Sai, sei davvero bella quando sorridi”. Questo sì che mi lasciò senza parole. Arrossii e abbassai lo sguardo.
Il primo grande mattone aveva abbandonato il mio cuore. Ora ne dovevo rimuovere un altro.
“Britt… Tu… tu stai con me solo perché sono l’unica che ti parla?”, le chiesi con il cuore che batteva a mille.
Abbassai gli occhi, il fiato sospeso. Davvero, non volevo vedere la sua espressione.
Poi, lei mi prese la mano e non riuscii a non guardarla. Il mio cuore si fermò.
La sua mano era sempre così morbida e calda, la sua stretta sempre così rassicurante... Arrossii.
“Ti conosco meglio di chiunque altro in questa scuola, San, e so di potermi fidare di te”.
“Non ti ferirei mai, Britt”, mi scappò detto.
Lei mi sorrise. Mi aveva chiamata San. Nessuno aveva mai usato un soprannome con me. Dio, quanto era dolce.
“Lo so, San, nemmeno io ti farei mai del male. E’ una promessa”.
Rimanemmo a guardarci negli occhi per una mezza frazione di secondo, poi, Brittany mi abbracciò.
Mi abbracciò lentamente, ma allo stesso tempo con urgenza.
E io, dopo un attimo di esitazione (perché, che io ricordassi, nella mia vita nessuno mi aveva mai abbracciata), non potei fare altro che stringere le mie braccia attorno alla sua vita.
In quel momento fu come se ogni cosa tornasse al proprio posto, come se allora tutto acquistasse un senso.
Come completare un puzzle. Finire di leggere un bellissimo libro scoppiando a piangere. Bere un bicchiere d’acqua dopo aver corso la maratona nel deserto.
Vedere il sole tuffarsi nel mare. Il cuore riempirsi di felicità quasi a scoppiare.
Suonò la campanella e Brittany sciolse l’abbraccio.
“Ci vediamo a spagnolo”, mi salutò con un sorriso mentre raccoglieva lo zaino.
“Sì…”, mormorai io mentre lei usciva dal bagno.
Rimasi lì impalata nel centro del bagno per non so quanto tempo.
Dentro di me si agitavano convulsamente emozioni senza nome che mi stavano mandando in pappa il cervello.
Dovevo sopprimerle almeno per il momento e analizzarle il prima possibile.
Come ho già detto, sopprimere emozioni era la specialità di Santana Lopez.











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PS: non odio né Tina né gli asiatici :D
PPS: grazie mille a tutti quelli che leggono e mettono la mia ff tra i preferiti/seguiti... Significa davvero tanto per me!
Grazie tanto anche a quei pochi che recensiscono! :D
  
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