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Autore: Rozen    13/11/2012    0 recensioni
Cosa può scaldare un cuore durante una fredda giornata colma di monotonia? Quali possono essere le sensazioni che un singolo sguardo può donare? Una dimensione inconscia, certa per chiunque eppure costantemente nascosta, qui descritta in un limitato scambio di occhiate.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un gelido, gelido inizio Gennaio, e la neve cadeva lenta ed incantatrice lungo le vie di Mosca. La piazza Rossa, splendente e fastosa, appariva illuminata e decorata con vivaci tinte rosse e verdi, addobbata per l'imminente Natale, previsto nel calendario sovietico per il 7 dello stesso mese.
La neve ammucchiatasi ed accalcatasi al suolo, ingrigitasi a causa di fumi di scappamento, passi irrequieti e frenesia cittadina, continuava a sostenere il peso di coloro che, avviandosi verso le fermate dei Bus, reggevano pacchetti e balocchi allegri, in preparazione ai grandi festeggiamenti della festa Cristiana, ormai imminente.
Le figure passavano quasi indifferenti da una fermata all'altra, spostandosi dai ripari in plastica, trasparenti e posti a sovrastare le fredde panchine grigie, davanti agli occhi marroni, annoiati di Izyaslav Cèchov, un giovane rampollo d'una antica, antichissima dinastia semi nobiliare, "leggendariamente" legata al famoso Zar cinquecentesco Ivan IV, meglio conosciuto come "Il Terribile"; un fregio che, nonostante le decadenti condizioni medio borghesi, portate da quel magro 2010, continuavano a nutrire la boria tipica di quella famiglia tanto orgogliosa quanto spocchiosa e villana.

La fulva zazzera mora del sovietico appariva celata sotto un berretto color grigio cenere, finemente intrecciato dalla lana colorata che lo componeva, tristo ed inespressivo, in perfetto sposalizio con la sciarpa, tale da celare quelle labbra incorniciate da un'ispida barbetta mora. Le mani, riparate dal gelo da una coppia di guanti paricromatici, nonchè atti ad inforcare le tasche del giaccone marrone, giocherellavano annoiate con le chiavi rispettivamente del proprio appartamento, posto vicino al prestigioso istituto dell' "Irkutsk State Linguistic University", simulacro di conoscenze poliglotte appannaggio di ben pochi benestanti, e con quelle della dimora ove, durante le festività, usava trascorrere quei monotoni, freddi giorni assieme alla propria disunita famiglia. La prospettiva di dover rimetter piede in quella cella di irrequetezza ed apatia, che da piccolo osava chiamar "casa", causava in Izyaslav dei movimenti interni tutt'altro che rassicuranti. Lo stomaco si contorceva, in preda a morse morali indicibili, sofferenze per lo più emotive che riproiettavano, nella sua mente, le liti infantili che vedevano i suoi genitori come protagonisti, troppo viziati per una vita brulla e frugale, troppo decaduti per permettersi gli effettivi sfarzi che, comunque, non volevano farsi mancare. Li sentiva urlare, ringhiarsi ed abbaiarsi contro, sino ad azzannarsi, alle volte, come fiere fameliche ed imbufalite poste davanti ad una carcassa morta, tutt'altro che invitante, avanzo di parassiti e vermi i quali, addirittura loro nel putridume vissuto, apparivan schizzinosi a toccarla. Una carcassa mangiata dai baci di un'avidità priva di midollo, questo era il patrimonio della famiglia Cèchov, tale da obbligare un ventiduenne viziato a rimboccarsi le maniche con lavori notturni, sì da potersi permetter, più per orgoglio personale che per reale interesse, quei corsi di studi altrimenti tanto costosi.

I pensieri ottenebravano la mente complicata ed intricata di Izyaslav con vari dubbi, aventi gli estremi posti nell'ambito familiare ed in quello scolastico, ove amava ecceder in ogni esame, in modo tale da acuire quella propria boria personale, un compiaccimento peccaminoso ed eterno, ceppo marcio di un impero dimenticato anche dai nemici più accaniti.

Eppure gli occhi, affatto riparati dal gelo, costretti alla vista della neve cadente, furon la finestra della rivoluzione momentanea, la via di fuga di quei pensieri nell'ammirare Lei, sconosciuta donna sulla trentina, bella come un fiore di loto vincitore sulla neve della steppa, perfetto nel suo sacro, obliterante profumo e nel suo aspetto quasi irreale. I capelli neri e lunghi, lisci come il cashmere più pregiato, carezzavano un visone d'alta classe baciando a tratti quelle labbra carnose dipinte in un rosso vivido e fiammante. Il berretto in pelliccia, lungo cilindro femminile, riusciva malapena a resister alla neve del momento, il tutto mentre il tocco virile del probabile compagno avvinghiava le spalle di quella nobildonna, cui sguardo smeraldo andò ad intercettare, involontariamente, quel truce, esanime occhio dello studente.
Un'occhiata inensa, tale da far prender fuoco alla neve, alle acque che scorrevano, sotto le lastre di ghiaccio, presso i corsi più vicini alla piazza rossa. Un'occhiata in grado d'annullare i sensi, le percezioni del tempo e nello spazio ed, in quel singolo scambio di attenzioni, trascorse una vita nell'esistenza. Erano divenuti conoscenti ed amici, amanti e promessi sposi, un colpo di fulmine che gelava un cuore scaldato, lo colmava d'un vuoto leggero ed al contempo pesante, mentre le auto sentivano il rombare dei loro rumori soffocare, ed i freddi tocchi della perfida neve indiscreta, o di uno sterile amore, finivano per soccombere a quel secondo di piena appagazione, e di respiro affatto concesso. Erano a Mosca ed, allo stesso tempo, a Zanzibar, in Italia ed in America, in ogni patria ed in ogni continente, eppure sempre assieme in quelle veloci, velate fantasie che sembravano eterne, concesse da un puerile, limitato caso del destino, un gioco avente l'inevitabile, caduca fine. Quel passo in più fece allontanare Lei, la scostò in toto dalla visuale di Izyaslav che, strizzando gli occhi un paio di volte, fu costretto a sbatter il muso contro la dura, crudele, fredda realtà. L'esaltazione era passata, come una folata di vento, mentre quei caldi abbracci mentali sembrarono solo indifferenti ricordi lontani, atti a lasciar spazio all'apatia boriosa ed odiosa di quella superiorità malcelata ed inesistente; era tornato tutto normale, o meglio nulla era cambiato, eppure, per un secondo, Izyaslav era stato marito ed amante, servo e padrone, concubino e commensale di quel suo amore vitale mai conosciuto, era stato il promesso sposo della sua vita mai vissuta, il Re di un'esistenza illogica ed ottimale, in un ricordo ignorato e mai dimenticato.
  
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