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Autore: _Rockstar_    13/11/2012    1 recensioni
Che cosa sarebbe successo se i 76esimi Hunger Games fossero stati istituiti veramente? Cosa sarebbe successo se la ghiandaia imitatrice non avesse ucciso la Coin e il loro malvagio progetto fosse andato a buon fine? Cosa sarebbe successo se ventiquattro ragazzi di Capitol City fossero stati gettati in una nuova arena soltanto per vendetta da parte degli altri distretti? Attenzione: Spoiler de "Il canto della rivolta".
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XVII – In petto soltanto un pugnale


Annuì tristemente e per un minuto lasciai che il silenzio mi riempisse il cuore, lo feci in sua memoria. In quei pochi secondi ripensai a quanto fosse precaria e corta la vita. L’ho sempre immaginata come un viaggio, un viaggio di cui non si conosce la meta ma si sa che prima o poi si arriverà perché infondo la felicità si trova nel cammino. La morte invece l’ho sempre pensata come un eterno sonno, come se  nella notte più scura, della giornata più stancante si andasse a dormire per non risvegliarsi mai più. Sono sempre stata convinta che dopo di essa non ci fosse un paradiso, perché il vero paradiso si può trovare anche sulla terra, se solo si sa cercare bene; se solo si conosce il modo per vedere la realtà, la vera realtà. Più precisamente immaginavo la mia nascita con un inizio melodioso, dai toni soffici e lenti, come la ninna nanna che mia madre mi cantava quando ero piccola. Mi immaginavo poi la mia crescita come una armonia sempre più ritmata, fresca ed energica, come una di quelle canzoni quasi senza senso che cantavo insieme alle mie amiche mentre saltavamo la corda. Infine la mia intera vita sarebbe stata una canzone d’amore con sfumature di speranza per un futuro migliore. Al principio c’è il mistero, al termine la conferma, ma nel mezzo ci sono le emozioni, che sono la vera ricchezza. La mia vita, ora lo capivo, assomigliava ad una canzone.
- Stai bene? – mi chiese Senan mentre mi aiutava ad infilarmi gli abiti profumati di lavanda, freschi e puliti.
Annuì poco sicura, io stavo bene ma ad altri non era andata allo stesso modo, dovevo sentirmi fortunata. Mi accarezzo nuovamente i capelli e mi appuntò delicatamente la spilla alla mia giacca. Sospirai pesantemente buttando fuori tutta la mia ansia, ero sopravissuta per due volte, potevo farcela. Ne ero sicura. Sembrava strano ma le mie possibilità di vincere stavano contemporaneamente aumentando poiché sempre meno tributi erano rimasti e diminuendo perché era maggiore la probabilità di essere uccisa. Ma perché mi fissavo con questi pensieri che mi rendevano sempre più ansiosa, dovevo davvero smettere di pensare. Appena fui pronta salii per la terza volta nella camera di lancio e per la terza volta sapevo che avrei potuto non tornare fuori viva.
– Spero che tu sappia…  – mi disse Senan proprio nel momento in cui le pareti trasparenti si chiusero davanti ai miei occhi.
La camera era insonorizzata e io non avevo udito niente di quello che mi aveva appena detto. Cominciai a battere contro il vetro ma lui non sembrava avere intenzione di ripetermi nulla. “Spero che tu sappia” cosa? Non ebbi abbastanza tempo per pensare che la luce del sole accecò la mia vista. Tirava un vento forte proveniente da ovest e c’era tanta umidità. Quando finalmente ripresi controllo dei miei sensi mi guardai attentamente intorno. Innanzitutto ero felice di scoprire che finalmente non ero sepolta sotto il terreno ma soltanto all’aria aperta, poi la prima cosa che osservai fu lo schermo davanti ai miei occhi, i numeri del conto finale scorrevano velocemente e una voce femminile metallica rimbombava nella mia testa senza lasciare tanto posto al pensiero razionale. Guardai prima alla mia destra e poi alla mia sinistra i ragazzi rimasti che mi circondavano. Non ne capirò mai il motivo ma gli strateghi avevano lasciato che le piattaforme dei tributi morti fossero lasciate al loro posto, forse per infierire maggiormente sulla nostra sanità mentale e paura. Davanti a me il profilo scintillante della cornucopia gettava lunghe e inquietanti ombre sulla piana argillosa e sassosa su cui ci ritrovavamo. Alla mia destra iniziava una valle lussureggiante fatta di una fitta boscaglia mentre alla mia sinistra vi era soltanto un precipizio. Cominciai ad osservare attentamente i tributi rimasti, troppo pochi. Per mio immenso dispiacere proprio a due piattaforme di distanza da me potevo intravedere la figura estremamente slanciata e veloce di Nita, mentre Declan, dalla parte opposta a me, era stato altrettanto sfortunato poiché alla sua destra si ergeva fiero Fallon con i pugni serrati pronto al combattimento. Non riuscii a fissarlo per molto tempo, avevo ancora paura che i suoi occhi potessero incenerirmi soltanto con uno sguardo. Chiusi gli occhi e trasportata dal vento saltai giù dalla mia piattaforma. Fui incerta in un primo momento ma proprio quando vidi i due favoriti appropriarsi per primi di qualche arma, voltai le spalle alla cornucopia e scappai. Correvo veloce ma altrettanto spaventata, sfrecciavo giù dalla valle e m’immergevo nella fitta foresta dagli alti rami e dalla vegetazione fiorente. Con me non avevo nulla, ero stata troppo codarda da affrontare il bagno di sangue ma sapevo che in quel momento era la cosa giusta da fare. Katniss, molto probabilmente, avrebbe approvato. I miei pensieri mi portarono a chiedermi se in quel momento mi stesse guardando, se capisse cosa provassi e se fosse fiera di me. Alla fine non eravamo poi così diverse ed ero sicura che non mi avrebbe giudicato per quello che avevo fatto. Forse sarebbe stata l’unica a non farlo, lei mi capiva, ne ero sicura. Oltrepassai il limite della foresta ma fui costretta a fermarmi quando qualcosa di inaspettato mi si mostrò davanti. Un lungo fiume largo circa dieci metri mi si era parato davanti. La sua corrente era forte e furiosa come un uragano che travolge qualsiasi cosa che si trova sul suo cammino. Incrociai le braccia e cominciai ad analizzare la situazione. Dovevo arrivare dall’altra parte, questo era sicuro, ma come? Mi guardai intorno, non mi sentivo di affrontare a nuoto quelle raffiche e vicino a me non c’era nessun oggetto che avrebbe potuto aiutarmi, o forse c’era. Solo in quel momento notai le rocce lisce allineate perfettamente lungo il letto del fiume, avevo trovato la mia strada. Mi avvicinai sempre di più alla riva e con un lungo e non troppo faticoso salto mi ritrovai in equilibrio sulla prima pietra che ora mi risultava un po’ troppo scivolosa. Con cautela appoggiai la seconda gamba e mi diedi nuovamente la spinta per poi atterrare pochi attimi dopo sulla seconda. Senza troppi problemi ripetei la stessa azione per altre otto volte fino a quando arrivai all’altra riva. A quel punto ricominciai la mia corsa ma realizzando che nessuno mi stava seguendo rallentai. Mi fermai a riprendere fiato appoggiandomi ad un albero mentre iniziavo a pensare dove avrei potuto dormire e dove avrei trovato del cibo. La prima volta ero stata fortunata a trovare una confortevole grotta ma quella volta non mi sarebbe andata così bene. La temperatura da quando erano iniziati i giochi non era eccessivamente diminuita così sperai che la cosa valesse anche per la notte e che per un po’ di tempo mi sarebbe bastata soltanto la giacca che avevo indosso. Fu quando ripresi il mio viaggio che sentii la fine del bagno di sangue, suonò soltanto un cannone. Cominciavo a vedere il sole tramontare così decisi di fermarmi. Trovai un albero dai rami abbastanza larghi da sostenere il mio peso e da permettermi di passarci una notte. Cercai lì a torno qualche bacca e frutti del genere, ne raccolsi un po’ e li mangiai nell’arco di davvero troppo tempo ma sarebbero bastati, mi accontentai. Scalai l’arbusto e trovai una postazione abbastanza confortevole che non mi avrebbe permesso di muovermi eccessivamente durante il sonno. Appoggiai la schiena al tronco e cominciai a guardare il cielo ormai quasi completamente oscurato. Tra le fronde s’illuminò il simbolo di Capitol City seguito subito dopo dalle note dell’inno nazionale. Quella sera apparve il volto soltanto di una ragazza della mia età, non avevo avuto il piacere di conoscerla e quindi non sapevo come si chiamasse. Ma ero così piena di sonno a quel punto che poco me ne importò. Era strano come da quando ero entrata nell’Arena quegli incubi che mi avevano tanto assillato sembravano completamente svaniti. Nella realtà che stavo vivendo avevo trovato dei punti in comune con quei sogni, l’oscurità spezzata dalla sola luce della luna, il ruscello e i rami spezzati ma non riuscivo a ricollegarli insieme. Fui di colpo risvegliata da un urlo femminile che proveniva da non troppo lontano. Mi arrampicai ancora più in alto per una maggiore visuale ed ecco che la vidi. Una ragazza bionda di circa diciotto anni stesa a terra agonizzante, in petto soltanto un pugnale. Non seppi perché lo feci ma velocemente discesi e corsi in suo aiuto, pronta a riscattare la mia anima. Mi guardai bene dal non farmi trovare dal suo uccisore ma lui era scappato ormai da qualche tempo, doveva  avere molta fretta, come se non si volesse far trovare. Mi gettai a terra accanto al suo corpo mentre lei voltava il capo verso di me. Mi sorrise.
–Sono qui, non ti preoccupare – la confortai stringendole la mano.
Non sapevo bene cosa fare, non ero mai stata brava in queste cose…ero una frana, ecco.
– O-ok, adesso tolgo questo pugnale…- dissi con la voce tremolante, volevo che non avesse paura ma come biasimarla.
Appoggiai lentamente la mia mano sinistra sul suo petto e con quella libera, in un solo colpo ben fermo, le sfilai il coltello gettandolo malamente lontano. I suoi lamenti s’intensificavano sempre di più e io non potevo fare altro che spaventarmi maggiormente, avevo forse la possibilità si salvarla e non sapevo cosa fare. Lei m’indicò il suo zaino che notai proprio in quel momento. Mi alzai velocemente e cominciai a tirare fuori ciò che c’era all’interno. Cibo, una borraccia d’acqua, fortunatamente delle bende e una crema che sarebbe potuta servire. Era stata molto fortunata. Le spalmai lentamente la medicina sul petto e le fasciai il busto con le bende. Per un po’ di tempo sarebbe potuto andare bene. Lei respirava a fatica ma da quando l’avevo trovata sembrava stare meglio, qualunque cosa le avessi messo stava funzionando e anche molto velocemente. Dopo pochi minuti si sentii abbastanza bene da tirarsi su e mettersi a sedere e così feci anch’io.
– Sono Rose – le dissi sorridendo
–So chi sei – mi rispose non esattamente gentilmente.
Sapevo dove sarebbe andata a finire quella discussione. Tra noi calò il silenzio per un po’ di tempo, nessuna di noi due sapeva cosa dire, c’era imbarazzo
– Grazie – bisbigliò lei con mia grande sorpresa
– Di niente – le risposi io.
Le avevo salvato la vita, un grazie almeno me lo meritavo.
–Chi è stato? – chiesi mentre la vedevo chiudere gli occhi e respirare lentamente e profondamente
– Non lo so, non lo conosco. – era chiaro che non voleva parlare con me, ma io sì
– Descrivilo – la obbligai quasi, lei girò il volto verso di me e sbuffando ricominciò a parlare
– Era buio, non l’ho visto alla perfezione ma so per certo che aveva dei capelli scuri – Il primo ragazzo che mi venne in mente e che avrebbe potuto fare del male fu Fallon
– Era da solo? – Lei annuì.
Strano, probabilmente si era sbagliata. Nita doveva essere stata nascosta da qualche parte. Questo voleva significare che probabilmente erano ancora qui vicino, qualcosa mi diceva che dovevo andarmene e in fretta. Insieme guardammo la luce del sole nascere all’orizzonte, stava cominciando il secondo giorno.

Risponde l'autore
Scusate l'attesa per questo capitolo. Ho recentemente cambiato pc quindi ho dovuto trasferire tutti i miei lavori, programmi e quanto altro nel nuovo computer e non ho avuto tanto tempo per scrivere. Grazie per le recenti recensioni e scusate se nell'ultimo capitolo non ho inserito le considerazioni che faccio sempre alla fine, piccola dimenticanza. Sapreste quindi dirmi di che tipo di Arena si tratta? Indizio... il fiume... Concludendo, grazie a tutti e continuate e recensire.

 

  
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