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Autore: Teodosia    01/06/2007    2 recensioni
"Tuttavia non odio Enea,sebbene trami la mia sventura. Ma lamento la sua slealtà,e pur lamentandomi,di più io lo amo."(Virgilio,Eneide,VII29-30)
Rivisitazione in chiave moderna della vicenda di Enea e Didone.
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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1



So why do you fill my sorrow
With the words you've borrowed
From the only place (that) you've known
And why do you sing Hallelujah
If it means nothing to you
Why do you sing with me at all?

We might live like never before
When there's nothing to give
Well how can we ask for more
We might make love in some sacred place
The look on your face is delicate

Delicate-Damien Rice



Ci sono pochi mortali che riescono davvero a capire il vero valore delle cose. Potremmo anche dire nessuno. Quanti mortali possono capire il valore che può avere bere un caffé in un bar su una grande, affollata via pedonale?
Era seduta al tavolo più vicino alla strada e faceva finta di leggere il giornale per darsi un tono, mentre osservava i passanti attraverso il vetro scuro di occhiali da sole. Non teneva nascosto il suo aspetto. Talvolta poteva anche accadere che assumesse l’aspetto di qualche donna comune, ma era decisamente raro. La cosa che preferiva era essere notata, per quanto riconoscesse che i mortali erano creature inutili e sciocche. Indossava una gonna corta. Neanche troppo corta. Accavallò le gambe, e sorrise, notando l’interesse degli uomini là intorno.
Insomma se ne stava lì e beveva caffé ristretto decaffeinato e guardava la gente, quando arrivò Atena. Era di per sé raro che una creatura immortale si mischiasse ai mortali e si rendesse visibile a loro, quanto vederne due? Per di più si disse che Atena non era proprio il tipo. Glielo si leggeva in faccia. Era il tipo di persona che si sente superiore. Si avvicinò attraverso i tavolini al suo,sulla strada. Era splendidamente normale, vestita con una giacca e un paio di jeans. Aveva i capelli corti e i suoi occhi glaciali di sempre.
“Pare che ti abbia trovata alla fine, Afrodite” disse. Era infuriata. Ma manteneva sempre il suo tono.
Afrodite sorrise per il suo acume superficiale. Atena si prendeva troppo sul serio. D’altra parte amministrare la Giustizia doveva essere un peso decisamente più gravoso che farlo con l’Amore. No?
“A cosa devo…?” Atena non sapeva se Afrodite stesse mentendo o meno. Non si ricordava a lungo fatti del genere. Ma era più insidiosa di quanto sembrasse. Ma Atena era infuriata.
“Mi stai prendendo in giro? Meglio di no. Non è il caso. No.” Afrodite sorrise. Non aveva dimenticato la cosa. Solo qualche secondo in ritardo pensò che con quel sorriso si era giocata la sua buona fede. Atena sapeva che lei sapeva. Ottimo.
Atena sospirò. Da un certo punto di vista, preferiva avere a che fare con qualcuno di consapevole.
Afrodite pensò per qualche secondo. Atena s’era innamorata di un paggio. Un bellissimo adolescente, mortale per metà. Per intendersi, Atena innamorata non è proprio un fatto da tutti i giorni. In pratica era accaduto che quel paggetto per errore avesse rivelato al marito di Afrodite di una sua certa scappatella con un certo dio della guerra. Afrodite irata aveva messo nel petto del paggetto un cuore di pietra, impedendogli così di amare. Per questo Atena l’aveva presa tanto a male.
“Andiamo, non mi sembra una catastrofe”
“Non lo è, sorella. Il problema sei tu.” Era la tipica teatrale predica della vecchia Atena. Il passo successivo sarebbe stato probabilmente un qualche insulto al lavoro di Afrodite.
“Ah-ah. Il problema,io?”
“Ti conosco da sempre, e non ti ho mai visto innamorata di qualcuno. Tu non sai niente dell’amore. Per questo i mortali sono tristi e tutto il resto. Sei pessima” Per quanto fosse fuori di sé, Atena non alzava mai la voce. Aveva occhi fiammeggianti, ma non alzava mai la voce. “Sai, ero davvero pazza di rabbia. Dico sul serio. Volevo fartela pagare, con l’aiuto del vecchio” il vecchio era Zeus. Questo era il problema di far arrabbiare Atena: Atena era la preferita del vecchio. “Però poi mi sono detta che dannazione, da bravo simbolo di giustizia dovrò darti una seconda possibilità, non credi?” una seconda possibilità. Un’alternativa a pulire stalle di re o costruire palazzi o a un mese in forma mortale.
“Il vecchio vuol bene anche a me. Non lascerà che tu mi faccia pascolare vacche o cose simili” Alla sola idea Afrodite si agitò.
“Tu porti sempre un sacco di guai. Non si farà problemi a metterti fuori uso per qualche tempo” Atena rise. Il cameriere portò il tè ad Afrodite che lo sorseggiò. Parve che in un solo momento di silenzio le due dee si riappacificassero. D’altra parte la scommessa era ancora più che valida.
“Spara, Atena. Cosa dovrei fare?”
“Trova due mortali perfetti, falli innamorare di un amore profondo e portaceli ad esempio. Voglio che tu mi dimostri cos’è l’amore e che esiste. Se non ce la farai, troverai molti re e molte stalle ad aspettarti”
“…Che è praticamente la cosa che faccio sempre,no? Trovare due mortali perfetti l‘uno per l‘altro…”.
Atena la scrutò,sopracciglio inarcato ed espressione dubbiosa in viso.
“Cazzo Af, ormai sono più i matrimoni che vanno in fumo che quelli che durano. Non dirmi che tu ti impegni davvero,in quel che fai”
“Non guardare me,tutti si affidano alla benedizione di un tipo che è morto in perizoma…”
Atena mantenne la sua espressione dubbiosa,ma preferì soprassedere.
“Insomma,lo farai?”
Afrodite mise il broncio e con gesti misurati portò la tazza alle labbra. Soffiò per qualche secondo,dopodichè bevve a piccoli sorsi. Atena la osservò,sempre più impaziente. Sapeva che era intenzione di Afrodite farla infuriare,ma proprio per questo non voleva dargliela vinta. Poteva anche compiere tutti i gesti vezzosi di questo mondo,per quel che le riguardava.
Finalmente Afrodite spostò gli occhi,nascosti dalle lenti scure,in quelli di Atena.
“Ok,perché no?” Sorrise.


Era da tempo,ancor prima della scommessa con Atena, che Afrodite aveva individuato due soggetti assolutamente compatibili. Esteticamente perfetti,interiormente sublimi: insieme avrebbero fatto scintille.
In realtà,qualche anno prima aveva compiuto un piccolissimo errore di calcolo e aveva fatto sposare lei con l’uomo decisamente sbagliato. Un salto dal vecchio Ade,e aveva sistemato tutto. E poi c’era chi diceva che non prendeva il suo lavoro sul serio.
Didone Stevens. Quella donna era veramente una perla rara. Coraggiosa,orgogliosa ma anche squisitamente dolce. Bella da impazzire,con un sorriso meraviglioso e almeno una quarta di reggiseno. Era una delle sue preferite.
Enea Bloom,un suo errore di gioventù. Ammesso che di gioventù si possa parlare,di un’immortale che trent’anni prima aveva semplicemente infiniti anni,anziché infinitissimi. Occhi azzurri,fascino da vendere,voce suadente,sorriso contagioso,personalità accattivante. Merda, non avrebbe mai capito perché diamine era diventato prete. Fato del cazzo. Sempre lì,pronto a distruggere i suoi piani.
Se non fosse sorto quell’ostacolo,probabilmente avrebbe spedito Eros e la sua pistola in missione molto prima. Aveva preferito accantonare il progetto,ma adesso la situazione richiedeva un piano d’urgenza. Non sarebbe mai finita ad ammassare mattoni come era successo a Pos e Apollo.
Chiuse la cartella “Archivio” in cui teneva i vari file,ordinati per affinità e ordine alfabetico (e poi c’era chi diceva che non prendeva il suo lavoro sul serio…) ,spense il MAC da lavoro e alzò la cornetta del telefono che teneva sulla scrivania. Compose un numero. Uno dei pochi che ricordava a memoria,senza il bisogno di consultare la sua agenda.
“Eros,tesoro,ho un lavoretto per te.”

Didone quel giorno era in ritardo. Da quando sua sorella Anna era partita per quel maledetto viaggio di lavoro con il suo capo,non c’era più nessuno che la svegliasse la mattina. E a poco erano servite le decine di sveglie che aveva comprato. Insomma,come poteva quel suono ridicolo riuscire seriamente a svegliare qualcuno?
E poi Anna non gliela raccontava giusta. Faceva la cameriera, perdio! Perché mai una cameriera dovrebbe andare una settimana ai Caraibi con il proprietario del ristorante in cui lavora? Un ristorante a cinque stelle,peraltro.
Certo,sua sorella si era sistemata decisamente meglio di lei,che ancora era in cerca di un editore intenzionato a pubblicare i suoi libri.
Il primo romanzo aveva riscosso un discreto successo,ma nonostante ciò la casa editrice non aveva accettato la pubblicazione dei suoi lavori successivi. Non erano all’altezza del primo,sostenevano. In verità lo sosteneva anche lei,ma si chiedeva anche se un bambino di quattro anni fosse capace seriamente di notare il calo di qualità. Cristo,doveva stare attenta anche ai critici letterari in fasce,ora.
Addentò il croissant scongelato a metà e,ancora semi-svestita, si precipitò giù dalle scale che conducevano dal suo appartamento al cortile comune. Dopotutto a quell’ora l’edificio era praticamente deserto. Erano tutti a lavoro.
Sperava seriamente che quella fosse l’ultima volta che usciva da casa a quell’ora. Voleva lavorare anche lei,cazzo.
Se anche quell’editore avesse rifiutato la pubblicazione,avrebbe accettato un qualsiasi impiego. Magari anche lei sarebbe potuta diventare cameriera. In un ristorante cinque stelle,possibilmente.


Adesso Didone stava tornandosene a casa. Odiava gli editori. Li odiava.
Aveva una macchinina piccola e scassata. Originariamente doveva essere di color panna, o forse gialla. Ad ogni modo non ce n’era più traccia. Didone era il tipo di persona che si affezionava alle cose. La situazione economica sua e di Anna non era poi disastrosa. Anna aveva quella sua bella monovolume francese. Ma lei adorava la sua macchinina bianca. Si trattava forse della creatura più sensibile mai nata. Inoltre usciva dalla più orribile orrenda esperienza della sua vita. Si era sposata con un certo uomo. Un uomo più vecchio. Certezza economica, affetto,eccetera eccetera. Inoltre Didone era una donna capace di amare chiunque e qualsiasi cosa. Non saranno stati Romeo e Giulietta, ma lei e S funzionavano. Questo per lo meno per quanto la riguardava. Didone non sapeva o aveva fatto finta di non sapere delle scappatelle del marito con questa e quell’altra segretaria. Le scappatelle di S, il bancario. Per quanto fosse una macchina scassata, Didone era stata convinta di amarlo. Erano passati sei mesi tredici giorni e un paio d’ore, siccome era accaduto verso le nove del mattino. Sei mesi, tredici ore e un paio d’ore prima Sicheo era morto. Non aveva mai conosciuto con certezza le circostanze della sua morte. Sicheo faceva il suo lavoro quando…sbem. Si era ritrovato morto. E Didone si era ritrovata vedova. Poi era tornata a vivere con Anna, e aveva ripreso a scrivere quegli sciocchi libri. Era strano essere vedove a 25 anni, ma Didone l’aveva sopportato, perché la gente era convinta che fosse forte. La verità era che non stava bene, ma tirava avanti, coi suoi libri, con Anna eccetera. Didone non lo sapeva, ma non avrebbe potuto sopportare un solo altro insuccesso.
La più banale delle suonerie Nokia squillò dalla borsetta. Odiava rispondere in macchina, ma aveva anche voglia di tornarsene presto a casa e di sentire Anna. Perché era certa si trattasse di Anna. Quindi afferrò il telefonino con la mano destra mentre continuava a guidare.
Ecco che per un momento Didone perde il controllo della macchina, sul suo viso è disegnata un’onesta espressione di stupore, data dalla certezza di quel che aveva visto. Pareva che non fosse Anna a chiamarla. Pareva che fosse Sicheo.
La macchina sbandò per una decina di metri. Fortunatamente la strada era semivuota. Nell’esatto istante in cui fu certa di aver ripreso il controllo della vettura, ecco uno strano gridolino stridulo, e un orribile rumore. Didone, aveva dei buoni riflessi. Accostò dopo pochi metri. Che spettacolo orrendo. Quella creaturina. L’aveva uccisa. Era filosoficamente sconvolta dall’idea di aver ucciso con le sue mani, con la sua macchina, un essere vivente, ed emotivamente per il terrore che il gatto potesse appartenere a qualcuno. Una parte di Didone si sentì incredibilmente sciocca, quando si scoprì a piangere disperatamente. Sembrava non riuscire a trovare una sola fottuta soluzione. Sembrava una catastrofe. Che razza di giornata, pensò. Che razza di giornata orribile. E la cosa successiva che le venne in mente fu. La chiesa.
Afrodite sorrise osservando la scena. Restituì il telefonino cellulare ad Eros che aspettava annoiato dietro di lei. “Questi esser umani” disse “sono proprio volubili. Potremmo far credere loro qualsiasi cosa. Sono noiosi. Vorrei fare qualcosa di nuovo, sai ma’” disse il ragazzino. Come ogni bambino, era interessato a fare il suo e tornarsene ai suoi balocchi.
“Eros, tesoro. Se c’è una sola cosa imperfetta in tutti noi è che non possiamo decidere quello che siamo. Quindi adesso piantala” Eros sbuffò, trasse dalla fondina la pistola e ne tolse ognuno dei proiettili d’oro. Poi li allineò per terra. Preso il sesto proiettile e lo rimise nel tamburo. Con una mano davanti agli occhi sparò dal palazzo.
In quell’esatto momento John il parrucchiere, che tutti avevano sempre creduto gay, scoprì d’essere innamorato follemente della fioraia Mimì, a due isolati di distanza. Inutile dire che Afrodite s’arrabbiò non poco.


I preti sono uomini la cui caratteristica più importante è quella di poter essere riconosciuti pure a notevole distanza.
L'aria distinta, l'espressione da pace interiore, la calma della loro voce, la sensazione di averli già incontrati, tutto questo li contraddistingue. Come l'odore di incenso che solitamente volteggia loro intorno.
Non appena Didone entrò nella chiesa (passo stabile, mano leggermente tremante) si diresse senza esitazione verso l'uomo che incarnava tutte quelle caratteristiche.
Si sentì un po' consolata. Quell'uomo sembrava davvero stato baciato da una qualche forza divina.
La Grazia con cui teneva la mano a quelle fedele non aveva nulla da invidiare a quella di una colomba che si posa su un ramo.
La Protettività con la quale la guardava poteva competere con quella della più dolce madre.
La Passione con la quale baciava quella fedel-
E fu qui che, stranata, Didone si accorse che qualcosa non andava.
Con la scusa di guardare meglio il pulpito della Chiesa si avvicinò meglio alle due figure, e capì che quel giorno qualcosa avrebbe dovuto succedere quando realizzò che l'uomo che aveva scambiato per prete in realtà era John. E cosa ancora più spaventosa, stava baciando una donna.
Riuscì ad alzare gli occhi dall'Amorosa Visione non appena sentì la mano sulla spalla.
"Non è bello assistere al trionfo del Signore?"
Fu così che lei si voltò e lo vide. Se avesse saputo a cosa avrebbe portato quel semplice gesto, probabilmente avrebbe sfoggiato una mossetta alla Marylin Monroe o un sorriso alla Sofia Loren. E invece niente. Era lì struccata e con la faccia ebete di chi ha visto un prete un po’ ambiguo baciarsi con una ragazza in chiesa.
“Salve.” Disse lui. Aveva occhi vitrei. Aveva l’aria serena e trasognata. “Come posso esserle utile?”. Didone non ebbe il tempo di sentirsi fuori posto. L’espressione da pace interiore di lui l’aveva colpita e affondata. Colpita e affondata. Doveva avere sui trent’anni, ma aveva il viso di un bambino. Probabilmente per questo motivo teneva un po’ di barba, cosa inconsueta tra i preti. Ecco, dannazione, si disse. Mi sono presa una cotta per il prete. Pochi secondi dopo si ricordò di essere disperata. Spostò lo sguardo fino a fissarsi i piedi.
“Io-io credo di dovermi confessare. Non mi sento apposto, capisce? Credo di dovermi confessare”
Il prete sorrise. Era molto dolce.
Lui la guardò. Si era trovato davanti una splendida e disperata donna bionda. Aveva occhi neri piccoli e profondi, e labbra perfette. Era talmente disperata da non poter escludere che avesse compiuto qualche atto orribile. Ma non era possibile che una donna con occhi come quelli potesse…
“Preferisce che andiamo in confessionale? O se vuole possiamo starcene anche qui” sfoggiò un sorriso ammaliante. Didone gli disse che una stanzina stretta l’avrebbe soffocata. Allora i due si sedettero sull’ultima panca della chiesa e parlarono un po’.
“Vogliamo cominciare con un atto di dolore?”
Didone alzò gli occhi. Si era confessata per l’ultima volta a 12 anni. Sua madre era un tipo determinatamente religioso. Quando il prete le aveva chiesto quali fossero i suoi peccati, Didone era scoppiata a piangere. Probabilmente per questo motivo Didone non si era confessata più. Ad ogni modo riusciva a ricordare che ci fosse una preghiera da recitare prima della cara confessione. Ma non aveva idea di quali fossero le parole.
“E’ molto che non entra in una chiesa, vero?” Didone sorrise, imbarazzata. Enea si rese conto di non poter sopportare il suo sguardo infelice.
Quanto dura una confessione?
Didone doveva recuperare quattordici anni di confessioni mancate. Così si ritrovarono alla fine della loro conversazione all’incirca due ore dopo. E il tempo era passato così in fretta da non accorgersene. Didone non aveva più il viso arrossato né gli occhi rossi quando guardò l’orologio. La verità era che aveva passato le due ore più piacevoli della sua intera vita. Enea era acuto e si comportava come un taciturno in una buona giornata. Sembrava che avesse sempre qualcosa da dire. Amava il cibo italiano ed era d’origine nordica. Le aveva detto che sembrava troppo giovane per essere già vedova. Aveva fatto anche qualche battuta sui cattolici. Didone era totalmente presa, da questo nuovo personaggio.
“La morte di mio marito e tutto il resto… mi è venuto spontaneo… secondo lei avvicinarmi alla chiesa potrebbe aiutarmi?”
“E’ un po’ come chiedere a un venditore porta a porta se crede si abbia bisogno di un aspirapolvere” Didone rise. Non rise forte. Era una cosa a metà tra un sorriso e una risata. Dimostrava tanto rispetto per il posto in cui si trovava, per quanto palesemente non le importasse niente della religione. Aveva bisogno di un’analista gratis, come la maggior parte dei cosiddetti cattolici. Ma Enea si disse che non ci sarebbe stato nulla di male nel rivederla. “Se ci vedessimo per un caffé e ne parlassimo?”
Didone annuì. Ebbe una fantasia di lei che scriveva il suo numero si telefono sulla copia del vangelo di fratello Enea. Decisero il posto e l’ora e Didone, di ottimo umore, andò a fare la spesa.
  
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