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Autore: wordsaredeadlythings    14/11/2012    4 recensioni
Alcuni istanti dopo, proprio mentre l'ascensore stava raggiungendo il terzo piano, un cigolio alquanto sinistro trillò nelle orecchie dei due occupanti del cubicolo. L'ascensore si fermò con uno scossone decisamente violento. Gerard ondeggiò, e per alcuni istanti rischiò quasi di perdere l'equilibrio, ma riuscì a rimanere miracolosamente in piedi. Frank, d'altro canto, non riuscì a trovare altri appigli se non la giacca di Gerard, così si ritrovò a stringere con forza la giacca azzurra di quest'ultimo, quasi fino a romperla.
[...]
- Ehy! - trillò Frank, battendo un pugno contro la porta metallica dell'ascensore - Ehy! Mi sentite? Mi sentite? Rispondete, cazzo! -
"No, non può essere vero" Gerard rimase immobile, totalmente spiazzato dagli eventi "Non può essere assolutamente vero!"
Frank sbuffò, rabbioso, dando un calcio alla porta dell'ascensore, che vibrò violentemente prima di tornare al suo posto, immobile.
- Siamo bloccati - annunciò Frank, voltandosi verso Gerard.

Gerard e Frank.
Un incontro causale, un amicizia nata da una brutta giornata.
Due persone che hanno bisogno di essere salvate, da se stesse e dal mondo che li circonda.
Può tutto questo evolvere, diventare qualcosa di più?
[Frerard]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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X. 
Hate.








Perdere una persona cara è un po’ come inciampare su una rampa di scale: all’inizio c’è quel senso di sorpresa improvvisa, inaspettata. Poi, cadi. E’ come essere colpiti direttamente da dentro: distrutti dall’interno, senza possibilità di difendersi.
Megan si strinse nella felpa rossa che indossava, sospirando. Aveva il cappuccio calato sulla testa e gli occhi puntati fuori dal finestrino del treno; i lunghi boccoli nascondevano perfettamente le cuffie nere del suo Ipod: erano stati una fortuna, quei capelli così confusi, quando era più giovane. Intere lezioni scolastiche passate ad ascoltare musica, immersa nei suoi silenzi eterni. Probabilmente se non ci fosse stato Frank, non avrebbe mai superato le superiori.
Stava ascoltando una canzone, ma si sentiva lontana, come se non potesse veramente sentire quella musica. La sua mente era in un altro mondo, proiettata in un posto totalmente differente, come se non fosse padrona né dei suoi sensi, né del suo corpo. Avrebbe voluto rimanere in quell’universo silenzioso e dolce per tutta la vita: lì era bello, caldo ed accogliente. Non c’era niente che poteva farle del male.
La verità era che aveva paura. Una tremenda, assurda, assoluta paura. Paura di rivedere suo padre, di confrontarsi con quel mondo dal quale era scappata via così tanto tempo prima che non sembrava tale, di fare i conti con i suoi errori e con la sua ‘io’ del passato. Aveva paura di riguardarsi indietro, perché sapeva cosa avrebbe visto: un tragitto zeppo di errori e distruzione.
Sentì la porta dello scompartimento scorrere, e si voltò. Frank si chiuse la porta alle spalle e si voltò, sorridendo appena e mostrando due grossi panini avvolti nella carta stagnola.
« Non aveva altro » affermò, sedendosi accanto a Megan. Passò alla ragazza uno dei panini, e lei lo prese, per poi osservarlo con aria assente.
Frank la guardò, sospirando.
« Non hai fame? » domandò, preoccupato e premuroso come al solito.
Uno sguardo lieve. Megan scosse semplicemente la testa, tenendo bene incrociate le braccia sul petto, come per proteggersi da chissà cosa. Frank conosceva molto bene quella posizione di Megan: la assumeva quando erano più giovani, quando ancora non aveva rivelato niente a Frank riguardo alla situazione che viveva ogni giorno.
« Meg. Dovresti mangiare, ieri non hai… »
« Non… non ho fame » biascicò lei, con veemenza. Parlare sembrava richiedere uno sforzo enorme.
Frank sospirò, prendendo il panino della ragazza, per poi sistemarlo nella sacca da viaggio che si era portato dietro. Sopra di loro c’erano due semplici bagagli: un trolley azzurro e uno nero della stessa grandezza, più una custodia per chitarre. Frank non era riuscito a lasciarla in casa: doveva portarla con lui. Sapeva che senza Gerard sarebbe stata fin troppo dura, e la musica era l’unica via di uscita che aveva quando si sentiva come se il mondo gli stesse crollando addosso.
« Okay » mormorò, per poi osservarla « Meg, c’è… c’è qualcosa che posso… fare? »
Megan si voltò e lo guardò negli occhi; Frank sussultò: erano vuoti da far male.
« Non… non lo so » balbettò, incerta « Puoi rimanere qui. E non andartene »
Frank abbozzò un sorriso triste, per poi avvicinarsi alla ragazza. Inglobò il corpo di lei tra le braccia, e la strinse a sé con dolcezza, appoggiando la fronte sulla sua nuca. Megan, nel frattempo, si era accasciata addosso a Frank, socchiudendo gli occhi e respirando il suo profumo: era così familiare e dolce, l’unica certezza che avesse mai avuto.
Il treno continuava a sferragliare, e loro rimasero abbracciati a lungo, almeno fino a quando Megan non si addormentò profondamente tra le braccia del ragazzo. Lui continuò comunque ad accarezzarle i capelli con fare fraterno, sospirando.
 
*
 
Quando scesero dal treno, Frank chiamò un taxi, e quest’ultimo li portò davanti casa di Megan. I due scesero – titubanti, come se non avessero mai messo piede in quel luogo – e Frank si premurò di pagare il tassista, mentre Megan si prendeva alcuni minuti per osservare la casa dove aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza. La stessa casa che aveva odiato con tutta se stessa, dalla quale era scappata.
“Forse è vero che prima o poi si torna sempre a… casa”pensò, osservando il vecchio edificio stagliarsi davanti a sé. Pezzi d’intonaco si erano staccati dalla facciata principale, e il giardino era nello stesso stato di tanti anni prima: fiori ovunque, erba ben tagliata e un’altalena sbilenca annodata al ramo nodoso di un melo che, dal giardino accanto, si protendeva verso quello dei Jones. Quando era bambina, Megan passava ore su quell’altalena, dondolandosi e pensando di poter toccare il cielo e volare via, se solo avesse spinto un po’ più forte.
Scosse la testa, voltandosi verso Frank, che sorrise appena.
« Questa casa è anche messa peggio di come mi ricordavo » sbuffò Frank, sistemandosi la tracolla di Pansy sulle spalle.
« Già » mormorò l’altra, guardando il giardino « L’altalena è rimasta »
« Beh, è resistita con me e te, non poteva che continuare a resistere fino ad ora! » esclamò l’altro, guardando la porta di casa « Vogliamo andare? »
« …Sì » affermò lei, con un po’ più di sicurezza, per poi scivolare attraverso il vialetto, fino alla porta principale. Una volta giunta lì, però, si bloccò.
Frank la osservò in silenzio per qualche istante: Megan si strinse tra i denti il labbro inferiore, osservando il legno rovinato della porta con titubanza. C’era qualcosa, nel suo sguardo, che sembrava urlare “non sono pronta”, e infatti non lo era. Forse non sarebbe mai stata veramente pronta, forse era questo il vero problema: non era pronta ad affrontare il passato, i suoi genitori, quel pezzo di vita che aveva deciso di rimuovere. Ma il passato non se ne va mai; se ne sta lì, acquattato tra le pieghe del tempo, e decide di spuntare fuori dal nulla quando meno ce lo aspettiamo, magari ferendoci, facendoci male. Il trucco sta nell’imparare a rialzarsi, ad affrontarlo e ad accettarlo.
« Devo…? »
« N-No » balbettò lei, per poi appoggiare una mano sul campanello « Devo farlo io »
E suonò.
I minuti di attesa sembrarono dilatarsi fino a diventare ore, giorni, mesi, anni, secoli. E intanto Megan non respirava: restò in apnea, paralizzata dai pensieri e dalle ipotesi che sbocciavano come funghi nucleari nella sua mente già stremata. Poteva succedere di tutto. Poteva beccarsi un pugno, poteva non aprire la porta, poteva aprirla e poi sbattergliela in faccia. Tante ipotesi si affacciarono alla mente di Megan, mentre Frank lasciava scivolare la mano sulla spalla di lei, per poi stringerla con fare amorevole e rassicurante.
La porta si aprì. E Megan vide quella persona che aveva sempre odiato e temuto nello stesso tempo.
Era vecchio, vecchio veramente: profonde rughe solcavano il suo viso in decadenza, dalla pelle cascante, di un colorito grigiastro e poco salutare. I grandi occhi azzurri (quel colore che aveva sempre odiato) sembravano più infossati rispetto a anni prima, e così vuoti da ricordarle i suoi. Le labbra erano diventate una sottile striscia di pelle rosata su quel viso così anziano. I pochi capelli che erano rimasti, erano ormai ingrigiti dal tempo.
Megan si chiese dove fosse svanita quell’aura malvagia che un tempo aleggiava intorno al suo viso. Sembrava scomparsa, così come i capelli e la giovinezza. Lì ora c’era solo un vecchio vedovo.
« M-Megan? » balbettò, la voce arrochita. I suoi occhi azzurri divennero più grandi per lo stupore.
« Ciao » lo salutò lei, senza sprecare nessun tentativo di sorriso per una persona che non se lo meritava.
« Megan… » l’uomo sembrava indeciso. Osservava la figlia con aria famelica, come se volesse cibarsi dei suoi tratti, delle sue forme, come se volesse memorizzare quanto più possibile di quel viso della sua creatura.
Megan distolse lo sguardo, arrossendo appena. Aveva così tanta rabbia dentro che avrebbe potuto distruggere il mondo, e così tante domande inspiegabili che faticava a tenerle tutte dentro di sé. Ma ci riuscì. Le mandò giù in blocco, un grosso contingente di domande irrisolte spinto con forza giù per la gola fino nello stomaco. Tutte le sue domande si erano depositate lì, con il tempo, lontane dal cervello e dai suoi ragionamenti.
« Signor Jones » salutò Frank, sorridendo appena.
« Oh » il signor Jones osservò Frank per qualche istante, di sbieco « Ciao, Frankie »
« Possiamo… » balbettò Megan « Possiamo entrare? »
L’uomo li guardò, in silenzio. Poi sospirò.
« Certamente »
 
*
 
« Volete… una tazza di thè? Del caffè? »
« Un caffè non mi dispiacerebbe » affermò Frank, per poi voltarsi verso Megan. Scosse lievemente la testa, senza proferire parola, per poi guardarsi intorno mentre il signor Jones ciabattava verso la cucina.
Il soggiorno – anzi, l’intera casa – era esattamente come quando se n’era andata via: le foto di Maggie da bambina nelle cornici colorate sopra il camino, tante foto di lei da bambina attaccate alle pareti, stessa carta da parati a fantasia floreale di un giallo stucchevole. C’era persino la stessa poltrona marrone dove, ogni sera, suo padre si sedeva a bere. Come se avesse mai fatto altro in vita sua: stare seduto e bere.
Megan serrò i pugni, l’odio che cominciava a spumeggiare nuovamente come un mare in tempesta. Non voleva stare lì: lo aveva capito fin da quando aveva incontrato Frank, ma in fin dei conti, dentro di sé, lo aveva sempre saputo. Lì non poteva mai essere lei, perché essere se stessa in quel luogo non andava bene. Non era abbastanza. Non lo era mai stata, lì soprattutto.
Il signor Jones tornò in soggiorno stringendo tra le mani due tazze di caffè. Megan lo osservò, chiedendosi se nel caffè di Frank ci fosse veleno per topi, o chissà cos’altro. I suoi genitori non avevano mai sopportato Frank.
L’uomo porse la tazza a Frank, che l’afferrò molto volentieri, per poi sedersi sulla sua poltrona e sospirare.
« Non è un granché » affermò « Da quando Jenna è all’ospedale, devo fare tutto io… e non sono molto bravo »
“Certo, perché non hai mai fatto un cazzo, stronzo schifoso” sibilò Megan, ma quelle parole non uscirono dalle sue labbra. Labbra cucite, testa bassa, silenzio: erano le tre regole per vivere in pace all’interno di quelle quattro mura.
« Come sta? » domandò Frank, consapevole che Megan non sarebbe riuscita ad aprire bocca così facilmente.
« Non molto bene » affermò il signor Jones, sospirando. Sembrava veramente triste, e Megan si chiese dove fosse la fregatura: si erano odiati così tanto che non riusciva a credere nella disperazione di quegli occhi azzurri.
« Quanto… » mormorò lei, senza finire la frase. Sperò che capisse, perché non aveva intenzione di completarla.
« I medici dicono che le resti una settimana circa, ormai. Ha interrotto il ciclo di chemio un mese fa, e… »
« Perché? » esclamò subito dopo la ragazza, e l’uomo la osservò confuso.
« Cosa? »
« Perché solo ora? Perché non mi hai chiamato prima? »
« Io… avevate litigato… lei non voleva… »
« No » disse, con fermezza, alzandosi in piedi « No, tu non volevi che stessi con lei. Tu hai deciso così »
« E chi te lo fa pensare? » chiese l’uomo, con una punta di accidia.
“Ecco mio padre” pensò Megan, e si sentì pungere dentro da qualcosa di rassomigliante ad uno stiletto. Faceva male da morire.
« Mamma non mi avrebbe mai tenuta lontana. E poi… è colpa tua se me ne sono andata »
« Megan… »
Lei si voltò versò Frank, sperando che capisse il suo sguardo, e il ragazzo annuì. Poi, semplicemente, tornò nell’ingresso per prendere la sua valigia e salì le scale, sparendo in camera.
Una volta entrata nella sua vecchia camera – quadrata, stessa carta da parati, piuttosto spoglia e spartana -, si accasciò contro la porta e scivolò a terra, stringendo le ginocchia al petto. Si calò il cappuccio in testa e rimase così per molto, molto tempo.
Poteva il rancore essere così forte anche dopo tutto quel tempo? E l’odio, se vero, può essere abbastanza forte da rimanere per così tanti anni?
Megan non lo sapeva con certezza. Pensava solo che non lo avrebbe mai perdonato per ciò che aveva fatto.

 
 
 
Angolo autrice.
 
Macciao ragazzuole mie belle!
*le lanciano di tutto, compreso un tostapane e un gatto*
Okay, okay, sono in un palese ritardo, ma cercate di capirmi: scuola, compiti, cali d’ispirazione… sempre la solita solfa ç__ç
Sono noiosa e ripetitiva, quindi passiamo oltre!
Beh, in questo capitolo finalmente vediamo il padre di Megan. E’ vecchio, sì, ma mettete anche in conto che era già in avanti con l’età quando ha avuto Megan, così come la signora Jones, alias “Jenna”. Come potete vedere, i rapporti sono abbastanza travagliati, sì.
Dispiace anche a me rendere Megan così… chiusa, ecco. Ma, cercate di capire: sta attraversando un periodo orribile. Magari avevano litigato, ma è comunque sua madre, e gli vuole bene.
Boh, non so che altro dire!
Saluto le mie cinque figliuole tanto amate perché le adoro da morire, gn :3
E… boh, basta XD
Mi eclisso che è meglio!
_Cris
   
 
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