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Autore: _Selenia_    14/11/2012    7 recensioni
"Scosse la testa reprimendo un sorrisetto sarcastico prima di abbassare con la mano destra la leggera sciarpa grigia che gli copriva gran parte del bel volto e con la mano sinistra sfilare il cappellino con la visiera che gli nascondeva completamente i capelli.
Solamente in quel momento tornò a fissare curioso il volto della ragazza per vedere quale fosse stata la sua reazione nel trovarselo a meno di un metro di distanza da lei.
3…2…1…
Quello che si aspettava però non avvenne mai…
-Ok, adesso capisco un po’ meglio il motivo di questo tuo insolito abbigliamento, se così lo vogliamo definire-.
Una voce calda, dolce e comprensiva.
Nessun urlo isterico pronto a sfondargli i timpani, nessun tentativo di aggredirlo o baciarlo.
Semplicemente due iridi dorate, sincere e prive di malizia, e un sorriso appena accennato sulle sottili labbra rosee."
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3. La prospettiva di me

 

“Che cosa sarebbe la vita,
se non avessimo il coraggio di fare tentativi?”

 - Vincent Van Gogh -

 

chipotle.

Il circolare marchio vermiglio della celeberrima catena americana di mexican grill risaltava sulla carta beige dei sacchetti che contenevano il loro pranzo giornaliero take away; la preferita in assoluto di Vanessa che del menu prediligeva in particolar modo i nachos di gamberi e le tortillas al guacamole.

Non per nulla, anche quel giorno, la sua ordinazione comprendeva le due pietanze, di cui amava gustarne appieno il sapore, crogiolandosi nel delizioso profumino che esse emanavano.

La tranquillità, l’acquolina in bocca e la pace dei sensi però, erano ben lungi anche solo dall’essere percepibili nell’aria, quel giorno. Anzi, dall’inizio del pranzo, si era più volte stupita, domandandosi il motivo per cui quelle delizie non le fossero ancora andate di traverso, visti i discorsi con la quale la sua “collega” Charline si era premurata di accompagnarne tutta la sua durata.

Il tanto interessante argomento era la paradisiaca scopata con Tom Kaulitz, avvenuta due sere prima durante la festa dei gemelli, nel bagno di quello stesso posto. Ovviamente, l’ossigenata e finta bionda non aveva risparmiato i particolari anzi, aveva prontamente sciorinato tutte le straordinarie doti del tanto decantato Sexgott e aveva impiegato l’ultimo quarto d’ora a piagnucolare e a chiedersi la ragione per cui, dopo quarantott’ore, lui non si fosse neancora fatto vivo.

Si dice tanto che gli uomini d’oggi abbiano ormai perso ogni forma di galanteria. Forse, le donne dovrebbero prima riacquistare un po’ di dignità: il cervello di alcune è direttamente proporzionale alla lunghezza della loro gonna! Si ritrovò subito a pensare Vanessa, sorridendo compiaciuta sotto i baffi, mentre si portava una patatina, intinta nella gustosa salsa verde, alla labbra.

Aveva sempre trovato indigenti le one night stands, per il semplice motivo che per lei il sesso senza amore non valeva la pena di essere vissuto, e il fatto che il ragazzo in questione fosse un ricco e famoso chitarrista non cambiava di certo questa sua ferrea convinzione.

Mentre con la testa seguiva quest’intricato filo morale di pensieri però, le sue orecchie non le impedirono di continuare a sentire l’allegro e vanitoso starnazzare della bionda di fronte a lei: Vanessa stessa si stava apprestando a dirgliene quattro nel caso in cui non fosse immediatamente stata zitta, quando qualcuno venne involontariamente in suo aiuto dal nulla, facendo rimanere a bocca aperta, incredule ed incantate, Charline e le altre due ragazze sedute con loro, Adrienne e Deborah, che fino a quel momento avevano ascoltato, rapite e assorte, il racconto della bionda, senza risparmiarsi di elargire invidiosi complimenti falsamente adulatori e civettando commenti non propriamente pudici.

Cosa mai ci potrà essere di più interessante di una sveltina con il Sexgott? Il medesimo, pungentemente ironico, pensiero balenò contemporaneamente nella testa di Vanessa e di Lucille, sedute vicine, entrambe di spalle rispetto all’ingresso.

Dopo essersi lanciate un interrogativo sguardo complice, ambedue si girarono simultaneamente nel momento in cui un uomo biondo, lo stesso che normalmente le forniva le necessarie istruzioni al momento opportuno per svolgere al meglio il proprio lavoro, si stava avvicinando con passo deciso al nuovo arrivato.

«Mi dispiace ma a quest’ora siamo chiusi!» la voce ferma e profonda dell’uomo risuonò in tutto il locale, caduto in un istante nel silenzio più assoluto.

«Lo so bene, dal momento che è il locale che preferisco in questa città!» esclamò con voce cordiale il ragazzo, togliendosi i costosissimi occhiali da sole firmati DSquared2 e rivelando così un paio di occhi nocciola, accompagnati da un sorriso timido.

Ovvio! L’altro Kaulitz! Sbuffò Lucille non appena l’ebbe riconosciuto, alzando impercettibilmente gli occhi al cielo per il patetico comportamento tremendamente adolescenziale di Charline, Adrienne e Deborah, immediatamente entrate in un pericoloso stato di catalessi non appena i loro occhi si furono scontrati contro l’esile figura del cantante.

L’uomo sorrise a sua volta, lusingato, attendendo pazientemente in silenzio che il ragazzo terminasse la frase.

«Veramente mi sono permesso di entrare solo perché ho urgente bisogno di fare due chiacchiere con una delle ragazze che lavora qui, se è possibile!» concluse pacato, accennando al gruppetto intento a fissarlo sbalordito, mentre con un cenno affermativo del capo, l’uomo lo invitava ad accomodarsi.

Vanessa, che aveva riconosciuto quella voce delicata e dolce, aveva immediatamente abbassato lo sguardo, imbarazzata nell’udire quella semplice richiesta.

Proprio questo suo gesto le impedì, in un primo momento, di notare che Charline si era alzata di scatto dallo sgabello su cui era accomodata e ora si stava dirigendo verso il cantante con passo vellutato e seducente, ancheggiando appena.

«Ti ha mandato Tom per me, non è così?» si rivolse a lui con voce calda e sensuale, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, nel premeditato tentativo di un approccio non propriamente innocente.

«A dir la verità io avrei bisogno di parlare con Vanessa e se sono venuto qui non è di certo perché me l’ha chiesto mio fratello!» esclamò scocciato il cantante, lasciando completamente allibita la bionda che, in tutta risposta, si limitò a lanciare uno sguardo di fuoco alla rossa, ancora seduta, dietro di lei.

«Avresti un po’ di tempo per me? Vorrei dirti alcune cose prima di partire…» Bill si rivolse direttamente a lei, la quale poté notare immediatamente quanto il tono di lui si fosse ammorbidito e quanto la sua voce suonasse del tutto diversa rispetto a pochi attimi prima.

«Adesso? A dire la verità avrei da fare qui…» rispose Vanessa, alzando con lentezza le iridi dorate verso il viso del ragazzo, tremendamente dispiaciuta nel dover già screditare la promessa che gli aveva fatto due sere addietro.

Da ormai tre giorni però, si era volontariamente offerta di lavorare il doppio, riuscendo così a coprire i turni della ragazza che si era sentita male e che ancora non dava segni incoraggianti di un’imminente ripresa. In quel modo aveva anche trovato l’occasione perfetta per riuscire a ripagare in maniera degna la gentilezza e l’ospitalità che Lucille e la sua famiglia le stavano, come ogni volta, offrendo durante la sua permanenza a New York. La giovane donna infatti, oltre ad essere sua amica praticamente da sempre, era anche la figlia degli storici proprietari del ‘Blue Moon’: Albert e Rosaleen.

Inoltre, proprio la sera precedente, il locale aveva ospitato la festa di un ragazzo viziato, un figlio di papà con i soldi fin sopra ai capelli: questi aveva fatto baldoria fino all’alba con un variegato e alquanto discutibile gruppo di amici e non si era di certo risparmiato provocanti ballerine e licenziose spogliarelliste per festeggiare in maniera adeguata i suoi, tanto agognati, ventun anni.  

Per questo motivo, ora, doveva rimboccarsi le maniche e aiutare le altre ragazze a sistemare lo stato pietoso in cui versava il locale e a restituirgli il suo solito, lucente splendore che gli permetteva di stare senza difficoltà nella top ten dei pub più popolari e alla moda della Grande Mela.

Lucille però, che ormai poteva tranquillamente ammettere - senza rischiare di essere smentita - di conoscerla quasi quanto se stessa, non mancò di notare l’impercettibile sfumatura di amarezza contenuta nella voce dell’amica mentre rifiutava l’invito del cantante, e per questo le rifilò prontamente una leggera gomitata nelle costole.

«Io direi che qui ci possiamo anche arrangiare noi quattro. Adesso tu alzi quel culetto, te ne vai con il bel fusto laggiù e ascolti tutto quello che ha da dirti, intese?».

Ecco, questa era Lucille.

La stessa che tanti anni fa aveva conosciuto quasi per puro caso, che le era sempre stata accanto, nel bene e nel male; la stessa che era in grado di risollevarle il morale e di farla ragionare, che riusciva a farsi sentire vicina anche quando a separarle c’erano chilometri.

La stessa ragazzina impertinente di allora, con il visino di un’innocente bambolina di porcellana ma con una lingua tagliente e affilata in grado di ammutolire chiunque.

Proprio come stava succedendo con Vanessa in quel momento: la risoluta voce di Lucille non ammetteva alcun tipo di replica mentre le sussurrava nell’orecchio quelle parole, e questo la rossa lo sapeva fin troppo bene; per questo, ancora leggermente titubante, ma sconfitta nel non riuscire a trovare più alcun tipo di scusa plausibile, si alzò e, afferrando la sua sobria borsa a tracolla, si diresse verso il cantante.

Quando si fu avvicinata a Bill, abbastanza da sentire la sua voce fattasi tagliente e gelida nel sussurrare a Charline «Per avere anche una minima possibilità di essere amata da lui avesti dovuto avere una cosa che evidentemente non possiedi: un cervello!», ringraziò il cielo che qualcuno le avesse finalmente detto in faccia quelle parole che tanto premevano anche sulla punta della sua lingua.

Poco dopo il cantante spostò lo sguardo su di lei, le fece l’occhiolino e le sorrise dolcemente, mentre Vanessa gli si affiancava per uscire dal locale; solo quando entrambi furono sulla soglia, la rossa si girò e mimò un «Grazie…» in direzione dell’amica ancora seduta, ricevendo in tutta risposta un’affettuosa linguaccia che le fece scuotere la testa, rassegnata, mentre un sorriso spontaneamente dolce le nasceva sulle labbra.

 

Il ‘Blue Moon’ si trovava a Lower Manhattan, nella popolare area residenziale di TriBeCa, appena più a nord dell’economico Financial District; avevano quindi deciso di fare una passeggiata e, costeggiando l’Hudson, si stavano dirigendo verso Battery Park, la punta più estrema della penisola.

Camminavano tranquillamente, assaporando con avidità quella quiete e quel senso di pace che sembrava avvolgerli, nonostante si trovassero in una delle città più popolate al mondo.

«Non ti preoccupa il fatto che i paparazzi potrebbero fotografarci insieme?» chiese ad un certo punto Vanessa, rompendo il silenzio, come se si fosse improvvisamente svegliata da uno stato di trance e si fosse di colpo resa conto che accanto a lei c’era una famosa rockstar.

«E perché dovrei essere preoccupato? Non sto facendo nulla di male! Sto semplicemente passeggiando con una ragazza, tutto qui…» rispose pacatamente Bill, costringendo Vanessa a spalancare gli occhi per lo stupore.

«Tutto qui? Bill, tu sai bene il pandemonio che succederebbe se mi vedessero in tua compagnia: scoops e rumors, nel migliore dei casi…» si ritrovò a ribattere Vanessa, la cui voce risuonava insolitamente stridula a causa del nervoso.

Per tutta risposta ricevette dal moro una sonora risata alquanto divertita.

«Se i paparazzi fotograferebbero la tua faccia, allora sì che ci sarebbe uno scoop, dovresti vederti!» la canzonò Bill, portandosi una mano sulla pancia, che iniziava a fare male per il troppo ridere.

Vanessa, offesa, si imbronciò per la presa in giro del cantante e iniziò ad accelerare il passo.

Bill se ne accorse e si affrettò a raggiungerla: d’altronde un passo dei suoi corrispondeva a circa tre di quelli di lei e quindi non fu molto difficile affiancarla nuovamente.

«Mi fa piacere che mi trovi divertente!» replicò fredda Vanessa, costringendo Bill a smettere di ridere e ad afferrarla delicatamente per un braccio per farla fermare.

«Mi dispiace, non intendevo offenderti! E comunque nessuno sa che siamo qui: la festa che ha organizzato Tom era privata, chiusa quindi a un qualsiasi tipo di giornalista e fotografo, e, come avrai sicuramente notato, le persone presenti sono state strettamente selezionate all’entrata del locale. In questi due giorni abbiamo avuto sì qualche incontro di lavoro con alcuni produttori, ma nessuna apparizione pubblica o intervista televisiva e radiofonica; e poi, credi davvero che mi possano riconoscere conciato così?» spiegò Bill tutto d’un fiato, concludendo con un eloquente sopracciglio alzato e indicandosi con una mano il cappellino grigio con visiera e gli occhiali da sole.

Vanessa scosse arrendevolmente la testa, prima di liberarsi dalla presa del vocalist con un leggero strattone.

«E poi, siamo in America: qui è pieno di star, una in più o in meno che differenza vuoi che faccia? Io e Tom abbiamo deciso di trasferirci negli Stati Uniti proprio per questo: qui difficilmente fanno caso a noi…».

Vanessa si ritrovò involontariamente a sorridere impercettibilmente, ora tranquillizzata dalle rassicurazioni di Bill; lui si limitò a riprendere a camminare, incoraggiandola quindi a seguirlo.

«Adesso parlami un po’ di te: in fondo conosco solo il tuo nome e il lavoro che fai; tu invece sembri sapere a memoria la mia vita, compreso il giorno del mio compleanno, e quella dei ragazzi, e scommetto che sai anche tutte le risposte che abbiamo dato nelle nostre vecchie interviste…».

Il tono di supplica che il vocalist utilizzò per farle quella richiesta fece stringere il cuore a Vanessa, lasciandola un attimo interdetta e pensierosa, mentre le sue iridi si alzarono dal marciapiede su cui erano puntate, per fondersi con quelle d’ambra di Bill, capaci di scaldarla con il loro calore, anche attraverso le lenti chiare degli occhiali da sole.

«Non amo molto parlare della mia vita, ma forse con te posso fare un’eccezione. Dipenderà comunque dalle domande che mi farai: cosa vuoi sapere?».

Il corpo di Vanessa si era involontariamente irrigidito, la tensione stava lentamente prendendo il sopravvento su di lei e per evitare di mostrare la sua riluttanza, si affrettò a spostare prontamente lo sguardo verso il fiume.

Mai a nessuno che non facesse parte della sua vita da almeno una decina d’anni, e men che meno al cantante di una band di fama mondiale, aveva raccontato spaccati della sua vita: ma allora perché aprirsi con lui, cercare di capire quali fossero i suoi sentimenti ed elargirgli gratuiti consigli a fin di bene era stato così semplice fin dal primo istante?

Non era stata assolutamente in grado di trovare una risposta sensata e razionale a quella strana domanda e l’aveva capito subito, la prima volta che aveva aleggiato nella sua testa, ma nonostante questo non voleva arrendersi: per il momento però, l’unica certezza che aveva era che Bill era stato il primo con cui fosse riuscita a lasciarsi un po’ andare.

«Mi stai dicendo che posso farti tutte le domande che voglio?» l’entusiasmo che il vocalist le mostrò in quel momento la fece sorridere teneramente: sembrava tanto un bambino che aveva ricevuto da suo padre il permesso di comprare lo zucchero filato al luna park.

Forse è proprio questo che ci accomuna: un’infanzia non vissuta… Si ritrovò a pensare Vanessa un attimo dopo, cancellando in un nanosecondo quel pensiero troppo scomodo, affiorato arrogantemente dalle profondità dei suoi ricordi.

«Frena, frena! Ti sto dicendo che puoi chiedermi cosa vuoi sapere e poi sarò io a decidere quale delle tue domande meriterà una risposta e quale no!» precisò frettolosamente la ragazza, leggermente impaurita di fronte all’esuberanza del cantante.

«Wow, per una volta proverò quindi l’ebbrezza di stare dall’altra parte: che emozione!» rispose lui, ironicamente, stando al gioco. «Fare domande e non solo rispondere: sarò clemente dai, visto che so perfettamente come ci si sente a stare sotto i riflettori…» dichiarò perciò, magnanimo e risoluto, prima di cominciare l’interrogatorio. «Cominciamo con: quanti anni hai?».

In quel momento Vanessa si sentì esattamente come se si trovasse in uno dei numerosi telefilm americani che tanto le piacevano, sullo stile di “CSI – Scena del crimine” o “Law&Order”: seduta dietro ad un lungo tavolo di freddo metallo, circondata da possenti poliziotti in divisa, in un’asettica stanzetta anonima, con un faro puntato addosso e una confessione da rilasciare.

«Ma che maleducato! Mai chiedere l’età a una signorina, non te l’ha insegnato nessuno?» rispose lei, prontamente indignata, ma la sua serietà si camuffò immediatamente in divertimento non appena una smorfia di sincero dispiacere distorse i lineamenti del cantante. «Ho la tua stessa età, Bill: ventitré anni.» si affrettò quindi ad aggiungere.

«Ho capito dalla perfezione del tuo accento che sei americana: di dove, esattamente?» il vocalist era partito all’attacco e Vanessa sapeva che difficilmente sarebbe riuscita a fermarlo: la logorrea di Bill era ormai di dominio pubblico e il fatto che lei gli avesse lasciato piede libero non l’aiutava di certo ad uscire da quella situazione; cosa avrebbe fatto quando le domande si sarebbero fatte più mirate, più personali?

Ora lo scenario nella sua testa era cambiato: si sentiva come se fosse l’attrice principale di un’opera teatrale, intenta a recitare un monologo al centro del palcoscenico, illuminata da un’accecante occhio di bue puntato direttamente nelle sue iridi, mentre ai suoi piedi un pubblico decisamente più numeroso delle sue aspettative l’ascoltava rapito nel buio della sala.

«Chicago.» rispose in fretta anche a quella domanda, cercando di non pensare minimamente a quella successiva, ma anzi di starsene tranquilla e serena, affrontando un solo passo alla volta.

«Allora, come mai qui a New York?» domandò prontamente il cantante, un secondo esatto dopo la sua risposta. «Scusa, non sono affari miei.» aggiunse poi, ripentendo le stesse, identiche parole che Vanessa aveva usato con lui il giorno che si erano incontrati per la prima volta.

Quando, quel pomeriggio, si era alzata da quella panchina pensava che non l’avrebbe mai più rivisto e invece, non solo aveva scoperto che Tom aveva organizzato la loro festa di compleanno proprio nello stesso locale dove lavorava lei, ma Bill era anche venuto a salutarla prima di partire.

Non poté quindi trattenersi dal fare un sorrisetto compiaciuto, specialmente quando il cantante le fece l’occhiolino.

«Lucille, la ragazza mora che era seduta accanto a me prima. Siamo amiche da molto tempo e ogni tanto passo a trovarla…» ammise Vanessa, i cui occhi d’oro esprimevano una spontanea dolcezza nel parlare della giovane donna.

«A Chicago, studi o lavoro?».

Bill sparava a raffica le domande, una dietro l’altra, senza nemmeno prendersi il tempo di assimilare le informazioni che Vanessa gli stava man mano offrendo.

Come una doccia gelata però, quel quesito, uno di quelli che la ragazza voleva assolutamente evitare, arrivò dritto dritto alle sue orecchie, facendole quasi male.

«Ho studiato fino all’anno scorso, quando ho ottenuto il master in giornalismo. Pensa che al college, oltre a fare qualche lavoretto saltuario, ero anche la capo redattrice del giornalino scolastico… Adesso sono alla ricerca del lavoro giusto per me, diciamo così!» Vanessa cercò di girarci intorno il più possibile, farcendo la sua risposta con particolari più o meno interessanti e coerenti, con l’intento primario di distrarre il cantante dalla sua domanda d’origine.

«Ti piace scrivere, quindi?» come pensava però, Bill non era uno stupido e ingenuo ragazzino alle prime armi: lui stava in quel mondo da anni ormai, ci era quasi cresciuto all’interno, e, abituato da sempre a rispondere a domande insistenti e inopportune sulla sua vita privata, conosceva quel mediocre trucchetto alla perfezione.

Proprio nel momento in cui stava pregando il suo cervello di fornirle, abbastanza in fretta, una risposta appropriata ad una tale domanda, e proprio mentre in cantante, in attesa, era intento a fissarla con evidente curiosità, il suo cellulare iniziò a squillare insistentemente.

Dopo averlo recuperato dalla borsa e dopo aver biascicato delle frettolose scuse, Vanessa si allontanò di qualche passo prima di portarsi il telefono all’orecchio.

«Non ti preoccupare, Lucy: ci penso io, stai tranquilla! Ci vediamo dopo a casa!» liquidò l’amica con poche, concise parole, ringraziandola mentalmente per essere involontariamente arrivata al momento opportuno a tirarla fuori da una situazione alquanto scomoda che avrebbe senz’altro potuto degenerare.

«Bill, mi dispiace ma devo fare un favore ad un’amica. Temo che dobbiamo salutarci qui: a che ora hai l’aereo?».

Vanessa, tornando a passo spedito verso il cantante, cercò in tutti i modi a lei possibili di controllare la voce, pregna di dispiacere nel doverlo lasciare, di nuovo, e questa volta presumibilmente per sempre.

«Tra meno di due ore devo essere in aeroporto…» rispose Bill, controllando prontamente il Rolex dorato che gli circondava il polso sottile.

«D’accordo, allora buon viaggio e… Beh, ci sentiamo!» tagliò corto Vanessa, la quale aveva sempre odiato gli addii strappalacrime e il doversi allontanare dalle persone che la facevano stare bene e dai luoghi che amava.

«Sì, beh… A presto allora!» ribatté Bill, altrettanto titubante nell’interrompere quell’interrogatorio improvvisato per conoscere meglio quella ragazza entrata con prepotente velocità nella sua vita.

Questa volta fu il ragazzo ad appoggiare delicatamente le labbra sulla guancia di Vanessa, depositandovi un bacio impercettibile. Lei ricambiò con un malinconico sorriso timido, prima di voltargli le spalle e di incamminarsi nella direzione diametralmente opposta rispetto a quella da cui erano arrivati.

Dopo qualche passo però, Vanessa non resistette alla tentazione di girarsi a guardarlo un’ultima volta, giusto in tempo per vedere la sua figura alta e longilinea sparire completamente, inghiottita dalla folla circostante: solo in quel momento prese coscienza che quella bizzarra e assurda situazione era giunta al termine.

Quello che però probabilmente la ragazza non seppe mai fu che, una volta voltatasi per raggiungere la destinazione che Lucille le aveva comunicato poco prima per telefono, un paio di occhi nocciola accarezzarono di nuovo la sua figura: Bill, appoggiatosi all’elegantemente moderna balaustra che circondava Battery Park nella parte in cui si affacciava sull’Hudson, era riuscito a scorgerla mentre si allontanava da lui, sorridendo impercettibilmente nel ripensare a quell’ora e mezza appena trascorsa in sua compagnia.

Cercò di imprimere nella sua mente meglio che poté l’immagine di quella ragazza: i suoi capelli rossi furono l’ultima cosa che vide prima di girarsi, deciso e risoluto, verso il fiume; a ricambiare quello sguardo, Lady Liberty, l’unica spettatrice silenziosa di ciò che era appena accaduto.

 

Due settimane.

Quindici, lunghissimi ed infiniti, giorni.

Quello era il tempo passato da quel pomeriggio inusuale in cui aveva permesso a Bill di porgerle quelle domande, riguardanti la sua vita.

Vanessa non avrebbe mai pensato di ammetterlo, ma le mancavano la lecita curiosità e l’infantile e innocente entusiasmo che aveva avuto il cantante durante quel colloquio.

Si erano sentiti solo un paio di volte da allora, sempre per sms, ma nonostante ormai anche Vanessa avesse il numero di cellulare di Bill, mai l’aveva chiamato per paura di disturbarlo, anche solo con un semplice messaggio.

D’altronde, lui le aveva subito spiegato di essere tremendamente impegnato con la band nei mesi a seguire.

E lei, tra doppi turni al locale, sessioni di babysitteraggio e poche, rare occasioni di divertimento con Lucille, arrivava a fine giornata senza forze e con le palpebre che le si abbassavano autonomamente.

Per questi e altri motivi, quasi non credette ai suoi occhi quando lesse il nome del cantante sul display illuminato del suo cellulare: quella chiamata, arrivata alquanto inaspettatamente in quella bella e insolitamente calda giornata di settembre inoltrato, l’aveva letteralmente sconvolta.

Si affrettò a rispondere, cercando di nascondere al meglio la confusione e lo stupore che stava provando in quel momento.

«Bill?» la sua voce, alquanto titubante e debole, le fece capire immediatamente che il suo tentativo di ostentare sicurezza era miseramente fallito in un nanosecondo.

«Si, Vanessa, sono io. Scusa se ti disturbo, come stai?» la voce di Bill invece, a differenza della sua, era allegra, ma nonostante questo, la ragazza non poté fare a meno di notare una nota di apprensione al suo interno, come se da quella telefonata dipendesse il futuro di qualcosa.

«Sempre impegnata ma bene, grazie. E tu? Bill, è successo qualcosa?» chiese di rimando lei, cominciando a preoccuparsi notevolmente per quel silenzio.

«Vanessa, ho bisogno del tuo aiuto! Non so se sai chi sia Dunja Pechner…» il cantante stava cercando le parole giuste per farle quella maledetta richiesta senza sembrare arrogante o autoritario.

«Si, la vostra promotion manager… Ma cosa c’entro io in tutto questo? E soprattutto come dovrei aiutarti?» Vanessa si stava spazientendo, ma cercò di mantenere la calma e di non dare a vedere il suo nervosismo.

«Ecco, vedi… Tre sere fa ha avuto un incidente stradale mentre ci raggiungeva insieme al suo compagno: lui è in coma, lei fortunatamente è fuori pericolo, anche se ha riscontrato una grave frattura al polso destro, ma non può allontanarsi dall’ospedale. Ora, noi tra meno di dieci giorni dobbiamo partire e siamo rimasti senza assistente alle relazioni pubbliche: David ha fatto l’impossibile per trovare qualcuno in grado di aiutarci ma niente, poi all’improvviso mi sei venuta in mente tu e…», Bill non aveva idea di come continuare, forse a causa della paura di ricevere un altro rifiuto e di dover quindi modificare gli appuntamenti e le apparizioni pubbliche, già concordate da mesi, rischiando così di deludere le numerose fans.

«Bill, mi stai chiedendo di sostituirla?!» la voce di Vanessa, c’entrando in un battibaleno il nocciolo della questione, salì di qualche ottava raggiungendo, in pochissimi secondi, decibel altamente dannosi per l’orecchio umano.

«Beh, ecco… Vedila come un’importante opportunità da inserire nel tuo curriculum e come una possibilità per trovare il lavoro giusto per te, quello che mi hai detto di star aspettando! Hai già provato a scrivere articoli per un giornale e quindi non dovresti avere problemi…» il cantante però non riuscì nemmeno a terminare la frase perché la voce esasperata di Vanessa lo interruppe bruscamente.

«Era un giornalino scolastico, Bill! Ero al college e lavoravo con un gruppo di studenti come me! Non con il manager di una band di fama mondiale! Io non ho ancora la benché minima esperienza in questo settore e non posso assolutamente sostituire una professionista come Dunja, rovinerei solamente la sua reputazione, non sono in grado di…».

«Ora basta!» la voce di Bill, fattasi improvvisamente autoritaria, interruppe risolutamente quel monologo di insicurezze e timore che Vanessa gli stava riversando addosso da ormai un intero, abbondante minuto. «Se David ha approvato la mia proposta di chiamarti, vuol dire che si fida di me! Ci sarò io insieme a te, non devi aver paura, devi solo aiutarci ad uscire da questa situazione. La verità è che sei la nostra ultima speranza, Vanessa: senza di te saremo costretti a posticipare la nostra partenza e quindi a cancellare alcuni appuntamenti fondamentali…».

Bill non voleva giocare quella carta ma ormai non aveva più scelta: non le avrebbe mai detto quelle parole, non l’avrebbe mai supplicata in quel modo se solo avesse avuto un’altra via d’uscita. Ma ormai sapeva, per quanto poco la conoscesse, che quella era l’unica soluzione per convincerla ad accettare quella proposta.

«Ma…» cercò di replicare Vanessa, anche se le parole le si fermarono in gola.

Quel tono implorante e palesemente disperato le suggeriva che doveva fare qualcosa per aiutarlo; eppure c’erano un milione di motivi per cui la sua ragione le suggeriva di rifiutare: primo fra tutti il fatto che non sarebbe mai riuscita a conciliare la vita che aveva a Chicago con quella che si sarebbe venuta a creare automaticamente, se avesse risposto affermativamente alla richiesta di Bill; e poi c’era la sua famiglia, Lucille, New York; senza contare che avrebbe dovuto affrontare anche le telefonate cariche di disprezzo e rimprovero di…

«Ok, ti aiuterò, Bill!» si arrese quindi, rispondendo di getto, senza pensarci un secondo di più, accantonando la ragione e seguendo solo quello che le dettava il cuore in quel momento.

Subito dopo si ritrovò a pensare a quanto fosse incoerente la sua testa, ma un Bill decisamente su di giri interruppe le sue preoccupazioni.

«Veramente? Lo sapevo, lo sapevo che di te mi potevo fidare! Grazie, non saprò mai come ringraziarti per tutto questo, davvero. Non so che dire…».

Ed eccolo, il fiume in piena che di nuovo rompeva gli argini per riversarsi su di lei, travolgendola.

«Bastava un grazie, Bill!» lo interruppe Vanessa diffondendo una risata cristallina nell’altoparlante dell’apparecchio alla quale, immediatamente, si aggiunse anche quella del vocalist, subito contagiato da quell’euforia.

«Ok, allora grazie e… Ci vediamo fra due giorni qui a Los Angeles!» rispose lui con entusiasmo, celando malamente quella voglia che aveva di rivederla.

«O-Ok… A presto, Bill!» terminò Vanessa, salutandolo così e chiudendo la chiamata.

Tra quarantott’ore doveva essere esattamente sulla costa opposta degli Stati Uniti, a ben 2789 miglia da lì: cercando di non rimuginare troppo su quello che aveva appena combinato, appoggiò il cellulare sul comodino e si affrettò ad uscire dalla stanza, dirigendosi al piano inferiore del loft di Lucille; aveva ancora un mucchio di spiegazioni da dare ed era perfettamente certa che l’amica l’avrebbe immediatamente compresa, rassicurata e incoraggiata a intraprendere quella nuova avventura; tuttavia, la parte più difficile, ne era pienamente consapevole, doveva ancora arrivare, e Vanessa aveva il presentimento che le difficoltà la stessero aspettando dietro l’angolo, in agguato e pronte a infilarle come sempre il bastone tra le ruote.

Ma lei ormai aveva deciso, senza possibilità di ritornare sulla sua decisione: tentare, quello si era ripromessa di fare quando aveva accettato di aiutarlo; sì, perché, e di quello ne era certa, una vita priva di tentativi non valeva nemmeno la pena di essere vissuta.

 

 

Note dell’Autrice:
Finally, I’m back! -per vostra (s)fortuna-… ;)
Prima di salutarvi però, vorrei chiedervi umilmente perdono per l’increscioso ritardo con cui questo nuovo capitolo è stato postato, ma sapete bene anche voi quanto sia complicato riuscire a trovare del tempo (corredato dalla giusta ispirazione) per scrivere qualcosa di decente…
Detto questo, ci terrei a precisare che il titolo del capitolo è preso dall’omonima canzone della divina Laura Pausini (chi mi conosce sa bene quanto io l’adori…) e anzi, per chi non se ne fosse accorto, il titolo della storia stessa è preso da una sua canzone. :)
Come sempre ringrazio chi recensisce e chi segue questa ‘creatura’.
Baci,
Sel.

  
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