Capisci?
Sto guardando un film, che è quasi un horror. C’è del sangue e cadaveri ammutinati e cervella sparse sul pavimento, che pavimento quasi non lo è più per quanta materia umana e molliccia lo ricopra.
E c’è l’assassino, che è un pazzo, e che, diciamocelo, fa ridere un bel po’.
Ha un occhio solo, perché l’altro se lo è tirato via, così, per impressionare la sua fidanzatina tredicenne prima di rubarle un bacio, il bacio che non si è preso mai.
Ha infilato le dita tra le palpebre, ha stretto bene e... niente. Rideva. Ho riso anch’io.
Sto guardando un film, sì. Ma il volume è troppo basso per potersi spaventare e quasi quasi mi annoio.
Due notti fa ti ho sognato e non capita mai. Lo ripeto spesso a mia sorella, le dico cheti sogno, sì, ma che non capita mai.
Ricordo te poggiato al pilastro tinteggiato d’arancio, e verde, e blu. E c’era qualcun altro: ti stava di fronte, ma proprio non ricordo chi fosse.
La stazione della metro sembrava morta, ma c’eri tu e tu non sei morto. Parlavi, ma non riuscivo a sentirti. Eppure ti sentivo. Ti sentivo, okay?
Sono pazza, vero?
Sono pazza, sì. Perché il tuo viso proprio non l’ho visto – c’era il berrettino che non indossavi mai a nasconderti gli occhi – ma eri tu. So che eri tu, sei sempre tu, ed è... è... è. Mi vien da ridere.
Ultimamente mi faccio sempre ridere, ed è quasi un sollievo. Non è come vergognarsi.
Stamattina ti ho rivisto in un tipo. Ciondolava per un corridoio qualunque, in quella sua felpa nera e larghissima. E le diottrie che mi mancano, o che il cervello o il cuore mi han portato via, continuavano a sbraitare che eri tu, come alla stazione del sogno, in attesa di qualcosa.
La metro che non sarebbe arrivata mai.
(Perché la metro sembrava morta, ma c’eri tu e tu non sei morto.)
Non c’erano le tue ciglia nere, capisci?
Il tipo – il tipo che ciondolava per un corridoio qualunque – non le aveva affatto, le tue ciglia nere.
E poi ho sorriso e son tornata a fare e arrancare e lottare per ciò che non vorrei.
Son vent’anni che vivo di compromessi, sai? Son vent’anni che mastico “domani” e “cambierò” e “mi sputerò fuori, costi quel che costi” e “Io sono così. Non c’è niente di cui vergognarsi. Non c’è niente di cui aver paura” e “Qualcuno vorrà pure ascoltarmi, no?” NO?
Son vent’anni che raccolgo quei brandelli di me che ho avuto le palle di far uscir fuori
Non importa a nessuno. Non importa a nessuno.
Son giorni o mesi o
Son giorni o mesi o
I fiocchi di neve tra i capelli, le lucciole d’estate, una puzzola che sa come abbracciarmi, la vita nuova che sta scalciando in un pancione lontano lontano, la pioggia di novembre. E la metà del mio sangue. L’abbraccio che aspetta me da troppo tempo, a 281 chilometri di distanza. A te ad una spanna.
Come quella volta in bilico.
Son giorni o mesi o
Non c’erano le tue ciglia nere, capisci?
Fa male solo il pensiero di volermene liberare.
Fa male solo il pensiero che possa non ricordarmene più, un giorno.
È per questo che ti sogno, vero?
È per questo?