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Autore: nals    14/11/2012    1 recensioni
Due notti fa ti ho sognato e non capita mai. Lo ripeto spesso a mia sorella, le dico che ti sogno, sì, ma che non capita mai.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capisci?
 

 
 
 
 
 
 
Sto guardando un film, che è quasi un horror. C’è del sangue e cadaveri ammutinati e cervella sparse sul pavimento, che pavimento quasi non lo è più per quanta materia umana e molliccia lo ricopra.
E c’è l’assassino, che è un pazzo, e che, diciamocelo, fa ridere un bel po’.
Ha un occhio solo, perché l’altro se lo è tirato via, così, per impressionare la sua fidanzatina tredicenne prima di rubarle un bacio, il bacio che non si è preso mai.
Ha infilato le dita tra le palpebre, ha stretto bene e... niente. Rideva. Ho riso anch’io.
Sto guardando un film, sì. Ma il volume è troppo basso per potersi spaventare e quasi quasi mi annoio.
Due notti fa ti ho sognato e non capita mai. Lo ripeto spesso a mia sorella, le dico cheti sogno, sì, ma che non capita mai.
Ricordo te poggiato al pilastro tinteggiato d’arancio, e verde, e blu. E c’era qualcun altro: ti stava di fronte, ma proprio non ricordo chi fosse.
La stazione della metro sembrava morta, ma c’eri tu e tu non sei morto. Parlavi, ma non riuscivo a sentirti. Eppure ti sentivo. Ti sentivo, okay?
Sono pazza, vero?
Sono pazza, sì. Perché il tuo viso proprio non l’ho visto – c’era il berrettino che non indossavi mai a nasconderti gli occhi – ma eri tu. So che eri tu, sei sempre tu, ed è... è... è. Mi vien da ridere.
Ultimamente mi faccio sempre ridere, ed è quasi un sollievo. Non è come vergognarsi.
Stamattina ti ho rivisto in un tipo. Ciondolava per un corridoio qualunque, in quella sua felpa nera e larghissima. E le diottrie che mi mancano, o che il cervello o il cuore mi han portato via, continuavano a sbraitare che eri tu, come alla stazione del sogno, in attesa di qualcosa.
La metro che non sarebbe arrivata mai.
(Perché la metro sembrava morta, ma c’eri tu e tu non sei morto.)
Non c’erano le tue ciglia nere, capisci?
Il tipo – il tipo che ciondolava per un corridoio qualunque – non le aveva affatto, le tue ciglia nere.
E poi ho sorriso e son tornata a fare e arrancare e lottare per ciò che non vorrei.
Son vent’anni che vivo di compromessi, sai? Son vent’anni che mastico “domani” e “cambierò” e “mi sputerò fuori, costi quel che costi” e “Io sono così. Non c’è niente di cui vergognarsi. Non c’è niente di cui aver paura” e “Qualcuno vorrà pure ascoltarmi, no?” NO?
Son vent’anni che raccolgo quei brandelli di me che ho avuto le palle di far uscir fuori per sbaglio pur di ricacciarli dentro.
Non importa a nessuno. Non importa a nessuno.
Son giorni o mesi o anni che, che... oh, lascia perdere.
Son giorni o mesi o anni che mi chiedo cosa sia la felicità.
I fiocchi di neve tra i capelli, le lucciole d’estate, una puzzola che sa come abbracciarmi, la vita nuova che sta scalciando in un pancione lontano lontano, la pioggia di novembre. E la metà del mio sangue. L’abbraccio che aspetta me da troppo tempo, a 281 chilometri di distanza. A te ad una spanna.
Come quella volta in bilico.
Son giorni o mesi o anni che respiro per qualcosa che non è mai stata mia, che non verrà mai, ma che da, giorni o mesi o anni, non ho mai smesso di cercare. Mi basta. Non so perché, non so come, non so per quanto – per una vita intera –, non lo so davvero, ma mi basta.
 
Non c’erano le tue ciglia nere, capisci?
 
Fa male solo il pensiero di volermene liberare.
Fa male solo il pensiero che possa non ricordarmene più, un giorno.
 
È per questo che ti sogno, vero?
È per questo?
   
 
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