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Autore: Estranea    03/06/2007    8 recensioni
Era solo. In un luogo desolato, vivo e morto insieme. E su tutto regnava incontrastato quel maledetto cielo.
Genere: Sovrannaturale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cielo

 

 

 

 

 

Questo racconto si basa su alcuni sogni (per la precisione 3) che mi capitava di fare un po’ di anni fa…e che ora ho cercato di mettere assieme, dandogli una sorta di "filo logico"…

 

Cielo

 

Un tuono. Ecco come iniziò. Con un tuono.

Ma non pioveva. Era scuro fuori, non buio, ma scuro. Cani, grossi cani neri, che non facevano che abbaiare. Ma non era ben chiaro se facesse più paura ascoltarli o se fossero loro stessi più spaventati rispetto a chi li ascoltava… Lui non sapeva cosa fare, se restare lì dove fosse od uscire fuori per rendersi conto di ciò che accadeva. Già, ma dove si trovava? Neanche lui era in grado di stabilirlo.

Comunque alla fine si fece coraggio, uscì da quella sua tana, perché fu l’unico termine che gli venne in mente per definire quel luogo, che nonostante tutto trovava inquietante.

Una volta fuori, realizzò che era meglio tornare indietro, ma per qualche inspiegabile motivo, non poté farlo.

Ciò che vide lo terrorizzò.

Alzò gli occhi al cielo, ma definirlo così gli sembrò un termine eccessivo. Non vi era traccia del cielo che tutti conoscono. Non era in tempesta, come poteva dare a pensare quel primo tuono, neanche nuvoloso, men che meno sereno. In realtà non riuscì neanche a stabilire se fosse dì o notte.

Ciò che vide era una massa informe di colori vari, accesi e cupi insieme, inquietanti e… vivi.

L’unico paragone che gli venne a mente, fu con i cieli che dipingeva Van Gogh, anche se era troppo onorifico definirlo in quel modo. Soprattutto, gli sembrò cosa stupida mettersi a fare paragoni.

I cani continuavano imperterriti ad abbaiare, ma stavolta era sicuro che l’avessero anche con lui. Continuava però a cercare di capire il loro stato d’animo, perché quei cani ad ogni modo non lo attaccavano.

Rialzò nuovamente gli occhi al cielo, e vide la cosa che forse più lo spaventò: in quella sorta di cielo, oltre a strani volatili di natura indefinita, almeno così gli parve, notò che quelle masse informi di colori, in certi punti ed in certi momenti, assumevano la forma di volti. Volti inquietanti, raccapriccianti, con sguardo malvagio, che a volte ammiccavano sorridenti, a volte minatori, altre volte si contorcevano in smorfie inumane.

Egli si paralizzò, non aveva idea di cosa fare, men che meno di cosa stesse accadendo, ma decise di allontanarsi da quel luogo.

Proseguì diritto davanti a se, abbandonando quella sorta di piccola città pericolante e vuota (sì perché si rese conto che oltre a lui ed i cani, non vi era anima viva), se città si poteva chiamare, e si ritrovò ad un tratto immerso nel verde, un verde acido, come se Dio avesse lasciato a se stessa quella natura da sempre. Ovunque, piante secolari, quasi fatiscenti, in un certo senso anch’essi vivi; in certi punti i lati della strada che stava percorrendo si affacciavano su dirupi profondi, ma ricchi comunque di quella vegetazione ormai morta ma più viva che mai. Non vi erano animali, ma ad un certo punto del suo cammino si rese conto di essere seguito da alcuni dei cani della città. Stavolta però non abbaiavano, gli parvero più tranquilli, anche se non ne era certo, ma non volle indagare sul motivo per cui lo seguivano, così li lasciò fare, perché sentiva che non gli avrebbero fatto del male.

Si trovava nel silenzio più assoluto, non tuonava neanche più, nonostante quel cielo fosse sempre cupo e assurdo, quando ad un certo punto si trovò dinanzi ad una villa diroccata e buia, poi sentì un suono: acqua. Non sapeva dire se fosse un fiume o il mare, sentiva solo questo rumore, che risuonava nella sua testa come un assurdo richiamo.

Non ebbe il coraggio di entrare nella villa, notando peraltro che neanche i cani osavano avvicinarsi ad essa, e così decise di proseguire. Sperava d’incontrare qualcun altro, qualcuno che avesse come lui deciso di rispondere a quella sorta di richiamo.

Quando arrivò, rimpianse amaramente la sua scelta…

I cani avevano ripreso ad abbaiare, ma più forte rispetto a quando li aveva sentiti la prima volta, più rabbiosi e più spaventati. Inconsciamente, li immaginò morire soffocati per quanto abbaiassero, pareva che non avessero il tempo di respirare.

Ciò che vide lo spaventò. Non sapeva dove si trovasse, in realtà non riusciva più a ricordare neanche chi lui stesso fosse, dove fosse nato, dove vivesse. Ma la vista di quello che gli si presentò dinanzi agli occhi ebbe il sopravvento su tutto. Trovò esseri umani, almeno così gli parve, ma non riusciva bene a capire cosa diamine stessero facendo. In mezzo all’acqua, che gli pareva quasi un oceano quanto a dimensioni, si stagliava una sorte di piramide Maja, anch’essa di dimensioni improponibili e terribilmente cupa. In realtà non voleva sapere cosa quegli esseri viventi stessero facendo, anche perché il solo fatto che il tutto si trovasse in mezzo all’acqua lo spaventava. Gli parve però che stessero intonando una sorta canzone in qualche lingua sconosciuta e maledetta.

Decise allora di tornare indietro, quando improvvisamente si rese conto del suo errore di valutazione: i cani lo attaccarono, atterrandolo. Non riuscì più a muoversi, era bloccato, cani lo azzannavano, sentiva dolore. Sentiva rumori avvicinarsi, capì che erano gli uomini o quel che diamine erano, sentiva le loro voci. La cosa più assurda, è che si rese conto che i cani tremavano. Di paura, pensò. Soprattutto, continuava a vedere quel maledetto cielo.

 

Uomini in camice bianco parlavano tra di loro. Uno di loro spiegava agli altri che egli era in quello stato dalla mattina, appena svegliato. La sua famiglia si era preoccupata e li aveva chiamati. Lui era steso su di un letto, alcuni cercavano di parlargli, ma non li sentiva, intonava una strana e inquietante melodia in una sorta di lingua ignota, mentre continuava a guardare fisso il soffitto. Qualcuno, alla fine, affermò con macabro sarcasmo "è andato".

Ma lui non aveva ascoltato una sola parola di ciò che i suoi simili avevano detto, perché era troppo preso da quel vivo e orrendo cielo che continuava ad avere davanti agli occhi.

 

  
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