Capitolo 13
«Andare a Sparta.
Per quanto hai intenzione di restarci?», domandò Saga.
«Non più di
qualche ora.»
Rispose Scarlet,
attendendo un’imminente risposta. Il pontefice ci pensò su, come era assiduo
fare ogni volta che un cavaliere gli chiedeva un permesso. Resta comunque la figlia del nemico, si ripeté, ma Kanon è più che adatto a sorvegliarla,
concluse, fissandola con i suoi freddi occhi verdi. La ragazza ricambiò lo
sguardo. Se al posto di quelle iridi scarlatte ce ne fossero state due azzurre
e fredde come il ghiaccio e quei setosi boccoli rossi fossero stati neri, Saga
avrebbe avuto davanti la copia sputata di Loki.
«Kanon verrà con
te.», sentenziò infine il Grande Sacerdote.
«Come immaginavo.»,
sospirò esasperata la marionettista.
«Qual è lo scopo
del tuo breve viaggio?»
«Devo riprendere
una cosa molto importante. Desidererei parlare con Athena dopo essere tornata.»
«Cos’è che
dovresti riprendere?» Era più forte di lui, non riusciva a fidarsi.
«Un’arma che
potrebbe agevolarvi in battaglia.»
Saga
si alzò dal trono e sospirò.
«Richiamo Kanon al
mio cospetto, poi potete partire.»
Osservò
Kanon, mentre viaggiavano per il Santuario che aveva visto nemici i Bloodlines
e i Marines. Aima guardò il cielo.
«Proteggono
sempre questo posto, osservando con occhi vigili intrisi di potere. Solo grazie
alla mia presenza non attaccano.», spiegò la rossa.
«Perché
allora quando sono venuto a cercarti non mi hanno attaccato?»
«Perché
io ho permesso di farti entrare, altrimenti ti avrebbero attaccato finchè non
sarebbero morti tutti.»
«Sì,
mi ricordo la testardaggine di quelle bestiacce.»
Kanon
potè effettivamente udire i versi striduli dei protettori di quel posto che,
nonostante fosse abbandonato da anni, era ancora avvolto nel potere del suo
vecchio custode. La sua Gold Cloth brillava sotto i raggi cocenti e precisi del
sole, che quasi spaccava le pietre ancora annerite dal vecchio incendio che le
aveva fatte crollare. In alcuni punti la fuliggine era ancora così spessa e
nera che sembrava essersi appena depositata. Poste a pentagono sopra un
altopiano di grigia roccia, le statue rappresentanti i cinque simboli portanti
del luogo – cioè le principali armature dell’esercito dei Bloodlines – assieme
ai templi che le precedevano erano più o meno integre, ma sporche di sangue.
Tutte, tranne una. All’enorme statua del cavallo dal respiro infuocato mancava
una zampa, e il ventre era segnato da una lunga scia di sangue. Al barbagianni,
invece, erano state troncate entrambe le ali, il liquido scarlatto gli decorava
il capo. Al monumento dell’avvoltoio mancava la testa e, ai suoi piedi, sembrava
essere appena avvenuto un sacrificio tanto sangue c’era, benché secco. Il gufo
reale era integro, ma la firma rossa non mancava. L’unica statua, intera e
coperta solo da un sottile strato di fuliggine, era quella del picchio. L’unico
sopravvissuto. Aima. Al centro di quella forma geometrica sorgeva – quel che ne
rimaneva, almeno – il tempio dedicato al dio, annerito e precario. Il cavaliere
di Gemini fissò l’ex Bloodline, che camminava imperturbabile fra quello che
rimaneva dell’orrore di quattro anni prima, chiedendosi – anche se lui non lo
avrebbe mai ammesso – se la marionettista stava ripensando al loro primo
incontro.
«Il nobile Poseidone è
già sceso personalmente in campo contro suo nipote, a noi il compito di
smantellare l’armata dei Bloodlines. Cinque sono i monumenti portanti di questo
Santuario, benché questo luogo disponga di molte altre risorse militari.»
Cominciò a spiegare
Krishna, osservando gli altri Generali degli Abissi e il resto delle milizie di
Atlantide. Il nero mantello della notte si era già adagiato sopra le loro
teste, nascondendoli nella penombra, nonostante le armature di scaglie d’oro
brillassero un po’ nel buio.
«Cinque di noi generali
affronteranno le amazzoni poste a protezione dei cinque templi. I due rimanenti
e voi sottoposti, invece, attaccherete le schiere nemiche meno potenti che vi
attenderanno alla base dell’altopiano per fermarvi. Non ho dubbi sull’esito
della missione. Pertanto, dobbiamo cercare di avere meno perdite possibili.
Sirena, Dragone del Mare, Scilla, Cavallo del Mare e io ci occuperemo delle cinque
custodi; Limniade e Kraken, voi guiderete l’esercito verso l’interno. Non
azzardatevi ad avvicinarvi al tempio centrale se non volete morire all’istante.
Poseidone ci ha chiesto espressamente di restare fuori dalla lotta fra lui e
suo nipote. Non c’è tempo da perdere, annientiamoli!»
Così, fra urla di
battaglia ricche di esaltazione, l’esercito del mare varcò i confini del
santuario nemico. Quel luogo, però, non era aperto a tutti. Il cielo si riempì
di uccellacci che, con precisione e velocità, cominciarono a far cadere piume
appuntite come dardi. Alcuni morirono trafitti, mentre i sopravvissuti furono
attaccati corpo a corpo dai guardiani volanti. Fu il flauto di Sorrento a
placare le bestie, favorendo l’accesso all’esercito. Sirena, Scilla, Crisaore e
Cavallo del Mare si separarono dirigendosi due a destra e due a sinistra.
Seadragon, invece, si diresse verso il tempio che si stagliava maestoso davanti
a lui, fissandolo dall’altopiano. Il resto dei Marines si disperse in pianura.
Alla velocità della luce Kanon raggiunse la sua meta, osservandola
attentamente. La forma era quella di un normalissimo tempio, le pareti e le
colonne decorate da miriadi di picchi, cani e amazzoni. Delle fiaccole
illuminavano l’interno, scaldando appena l’atmosfera gelida che vi aleggiava.
Nessuno, però, sembrava presiedere la struttura. Kanon però non ci cascava.
Sentiva la presenza della custode anche sulla propria pelle. La colonna alla
sua destra cominciò a scricchiolare crepandosi, finchè non ne uscirono braccia
arrossate, tagliate e grondanti di sangue. Seadragon istintivamente si
allontanò, ma gli arti insanguinati spuntarono da tutte le parti e presto ne
uscirono delle sembianze umane. Più volte il Marine si liberò, ma altrettante
fu attaccato. Alla fine, stufo, lanciò una Galaxian Explosion che pose fine a
tutta quell’enorme illusione. Fu in quel momento che la vide, finalmente.
Protetta dalla sua armatura dai riflessi cremisi, la custode del tempio lo fissava
impassibile a braccia conserte. Diversamente dal Santuario di Atene, in quel
luogo le amazzoni non portavano maschere. Kanon così potè osservare i suoi
lineamenti delicati, misurarsi con quelle iridi iniettate di sangue in tinta
con i capelli che si libravano in mille boccoli sulle sue spalle. Tuttavia, non
c’era possibilità di salvezza per lei come per le altre. Una bellezza così
sublime non l’avrebbe salvata. Fu lei a parlare per prima, con voce tagliente
ma arrogante.
«A chi ho il piacere di
togliere la vita questa volta? Sembri un soggetto più divertente degli altri.»
«Dragone del mare,
giunto dalla lontana Atlantide per togliere la vita a te e alle tue compagne
sotto il comando del Grande Poseidone. A chi ho l’onore di togliere la vita?»,
disse freddo Kanon.
«Aima del Picchio. Se
mi batterai, dovrai segnare con il mio sangue la statua al di là di questo
tempio. Ovviamente dubito che accadrà.»
Poi il combattimento
cominciò. Fu un continuo scambio di colpi, un insieme di illusioni e di sguardi
che celavano attrazione dietro il muro freddo di facciata. In fondo un poco di
ammirazione per quella ragazza ce l’aveva. Aveva sopportato l’impatto di un’Esplosione
Galattica di media potenza. Poi Kanon la vide chiaramente: la maschera fredda e
astiosa si spezzò a metà e cadde a terra frantumandosi. I fili che lo stavano
manipolando sparirono all’improvviso. Gli occhi di Aima erano spalancati, e
dalla sua espressione impaurita trasudava una forte preoccupazione. Il Generale
degli Abissi l’attaccò in un corpo a corpo, ma fu questione di pochissimo ed
era nuovamente intrappolato dai suoi fili da burattinaia.
«Non ho altro tempo da
sprecare con te. Devo muovermi.»
Gli disse con il tono
più fermo e deciso che le riuscì. Prima che l’amazzone gli spezzasse tutte le
ossa, Seadragon percepì un piccolo Cosmo agitarsi nella confusione ai piedi
dell’altopiano e capì.
«Vattene e va’ da
lei.», ordinò alla sua avversaria. La Bloodline lo fissò incredula.
«Va’ e salvala! Vattene
prima che io cambi idea!»
Tuonò, alzandosi appena
fu libero. La rossa corse verso l’entrata del proprio tempio, ma si girò ancora
un attimo.
«Questo scontro è solo
rimandato, Dragone del Mare. Un giorno ci rincontreremo e ti ucciderò. I fili
del destino guidano la mia vita.»
Così la vide sparire
fuori dall’edificio, portandosi via una parte del suo destino fra le fiamme che
ormai dilagavano in tutto il santuario.
Kanon,
dopo quel breve salto nel passato, continuò a fissare la ragazza che,
sentendosi osservata, gli lanciava occhiate inespressive. L’attrazione fra i
due non era mai finita, e Kanon mal sopportava quella situazione. Non era
abituato a stare solo con lei.
Passarono per il cimitero, dove la rossa si avvicinò ad una croce e ne
accarezzò la facciata liscia e calda. Restò per minuti con il capo piegato
davanti a quella lapide e il custode della terza casa scoprì piccole lacrime
solcarle le guance. Quando la ragazza si accorse di ciò che Kanon aveva visto di nuovo, attraversò spedita il
cimitero, dirigendosi verso il bosco al confine.
«Era
lei, non è vero?», le chiese.
«Già.»
«Tua
sorella?»
«È
stata la mia prima allieva.»
La
conversazione cadde. Colei che
consideravo come una figlia, avrebbe aggiunto la marionettista, ma non
avrebbe sopportato di nuovo quegli occhi verdi scavarle nel profondo. Una leggera brezza si alzò,
scompigliandole appena i capelli rossi e morbidi. Non era il venticello di
Atene, che portava con sé il profumo salmastro del mare e la fragranza forte e
fresca degli eucalipti, ma bensì quello di Sparta, ricco di aromi
dell’entroterra; il profumo dei fiori dei boschi sulle colline, l’odore di
terra umida bagnata di recente dalla pioggia. Una volta quell’invisibile
presenza l’accompagnava quotidianamente, a volte facendosi sentire per l’intera
giornata, durante le stagioni più fresche, a volte solo il mattino presto e la
sera, durante le afose estati greche. Dalla rupe da cui gli Spartani, nei tempi
antichi, lasciavano precipitare i corpi dei bambini informi o deboli, Aima
osservò il suo ex Santuario, luogo di molte battaglie e luogo, ormai, di eterna
quiete. Un giorno, forse, lo avrebbe rivisitato tutto. Seguita da Kanon, si
inoltrò nel fitto del bosco. Dopo lo sfogo non premeditato al cimitero, Scarlet
non aveva più guardato in faccia il Gold Saint per il resto del cammino. Ne va del mio orgoglio di donna,
pensava. La verità, invece, era che non voleva in alcun modo, per la seconda
volta, permettere a quell’uomo di leggere dietro la propria maschera.
«Dove stiamo
andando?»
Chiese
all’improvviso il custode della terza casa, facendo trasalire leggermente la
ragazza, che non rispose. Al contrario, continuò ad avanzare silenziosa fra i
sentieri tortuosi del bosco, evitando le radici senza guardare per terra, tanto
conosceva quel luogo. Tutto era stampato con impeccabile precisione nella sua
mente, nei suoi ricordi. I suoni vivaci della natura li accompagnarono
interrompendo il loro religioso silenzio, finchè la piccola casa dove Death
Mask l’aveva scortata a riprendere i suoi affetti personali, non fu visibile ad
entrambi. Scarlet aprì la porta il minimo indispensabile per riuscire a
passare, ignorando totalmente Kanon, che dovette aprirla maggiormente e poi
richiuderla, sbattendola con forza. La marionettista sobbalzò, guardandolo con
sufficienza.
«Allora? Cosa
siamo venuti a fare?»
Domandò Seadragon
impaziente. La padrona di casa ridacchiò, scuotendo la testa.
«Devo prendere una
cosa che mi permetterà di trovare l’arma.»
Sussurrò,
cominciando a frugare a destra e manca. Il cavaliere d’oro seguiva i movimenti
della ragazza a braccia conserte, fissandola impassibile. La vide muoversi per
il soggiorno e per il sottoscala, sparire nella cantina e poi riemergere con
aria confusa ma non rassegnata. Passarono altri minuti, in cui la ragazza fece
nuovamente il giro del piano terra, poi, proprio quando Kanon stava per
sbottare spazientito, lo sguardo della rossa si illuminò, e la vide subito dopo
sfrecciare al primo piano. Quando la raggiunse, lei gli chiuse la porta della
propria stanza in faccia, intimandogli di non entrare se non voleva finire
male. Un buon quarto d’ora il ragazzo lo passò fuori con i nervi a fior di
pelle, accompagnato solo dai rumori che provenivano dall’interno.
Improvvisamente, come colto da un attacco di rabbia, piegò la dorata maniglia
della porta di legno scuro, perfettamente sigillata dal cosmo della rossa. Dopo
non molti tentativi, però, Kanon riuscì ad aprirla, trovando Aima intenta a
cercare sotto il letto.
«Hai finito di
cercare?!»
Sbraitò,
bloccandola per un polso. Un semplicissimo “no” accompagnò i fili della
burattinaia, che fitti e taglienti presero il controllo del corpo del Gold
Saint. Scarlet gli morse nuovamente il labbro inferiore, consapevole che quella
gara di morsi non sarebbe mai finita. Il custode della terza casa, con grande
sforzo, le afferrò il viso, approfondendo quel gioco in un bacio carico di
passione. Aima si staccò scacciandolo, decisa a non perdere così facilmente, ma
il cavaliere la spinse sul letto trattenendola con tutta la sua forza. Finchè,
sdraiati uno sull’altra, le loro mani cominciarono ad esplorarsi avidamente,
viaggiando sui loro corpi fino a denudarli completamente e i due, finalmente, poterono
lasciarsi andare al piacere estremo.
«Finalmente.»
Sussurrò
Aima sollevata, indossando nuovamente la sua armatura. Si girò verso Kanon che,
impassibile, l’attendeva vicino alla porta. I due sfrecciarono fuori dalla casa
ad una velocità incredibile, raggiungendo in breve tempo il tempio posto al
centro delle cinque case. Da anni la marionettista non vi entrava. Lì dove vi
era la navata centrale una volta coperta da un lungo tappeto rosso in tinta con
i tendaggi strappati in uno dei momenti di rabbia del suo dio, ora non vi erano
altro che macerie annerite e colonne crollate.
«La
quinta colonna.. una gemella dietro di lei. Sì, ma da che parte?»
Si
chiese a bassa voce, scrutando ciò che aveva davanti. Se non ricordava male, ad
ogni lato si trovavano quattro colonne. Qual era la quinta? Ce n’erano solo
quattro!
«La
quinta colonna, Kanon. Quale potrebbe essere di queste?»
Lo
interpellò, fissandolo inespressiva. Lui si prese tempo per pensare,
guardandosi intorno. Ci doveva essere pur una traccia di cosmo o un qualcosa di
insolito a farglielo capire. Scrutò attentamente ogni angolo, ma di tracce non
ce n’erano.
«Guardiamo
dietro ad ogni colonna.»
Sentenziò
infine, e i due si divisero. Aima, benché tentasse di non ripensare agli anni
passati in quel luogo e di concentrarsi sulla missione, non riusciva a non
soffermarsi sui particolari pensando con fierezza “sì, mi ricordo di questo
oggetto”. La voce del Gold Saint la distolse dai suoi pensieri.
«Credo
di averla trovata.»
La
rossa si precipitò a verificare, ma ciò che si ritrovò davanti assomigliava
solo d’aspetto ad una colonna come si deve. Annerita come il resto
dell’edificio, quella piccola riproduzione era più bassa di lei e molto più
stretta rispetto ad un normale pilastro. La burattinaia ci appoggiò una mano
sopra per levare un po’ di nero e vedere se c’era qualche scritta che l’avrebbe
aiutata, ma appena il suo palmo toccò la superficie ruvida qualcosa, ad una
velocità impressionante, le procurò un taglio. La Silver Saint ritrasse la
mano, mentre il sangue sulla colonna formava parole brillanti come rubini.
A te concedo l’accesso
Bloodline. Sarai in grado di percorrere il sentiero che comparirà davanti a te?
La
“porta” si abbassò, sparendo sotto il pavimento e rivelando un cunicolo angusto
e poco illuminato. Aima ci sgusciò dentro, accompagnata da un’unica
raccomandazione di Kanon.
«Torna
viva.»
Uscita
da quello stretto passaggio, Scarlet si era ritrovata in una stanza spoglia,
dove il fetore del sangue le pungeva il naso. Effettivamente, i suoi piedi
erano immersi nel liquido scarlatto che, una volta arrivato alle ginocchia del
Corvo, precipitò con lei giù in una botola. Aima finì in un’altra stanza piena
di ossa, il terreno sotto i suoi piedi era smosso. Molto presto, potè capire
perché: conciati come zombie, dei guerrieri muniti di lancia e scudo uscirono
da sottoterra. Erano centinaia e aumentavano ogni minuto. Le urla di guerra
sovrastavano il frastuono dei loro movimenti, le lance e gli scudi cozzavano
fra loro. Alcuni combattevano gli uni contro gli altri, ma la maggior parte di
quell’esercito zombie si rivoltava contro di lei. Tu mi hai ucciso! Mi vendicherò di te! , Muori, maledetto! , Perché
hai tradito il nostro Signore?! Si urlavano i soldati fra loro. Poi, urla
accusatorie arrivarono anche a Scarlet, che le recepì sconvolta. Ecco, la figlia del nemico! Colui che ha
condannato questo posto! , Doveva
restarsene dov’era, invece di fare la ribelle e scappare! Adesso non saremmo in
queste condizioni! , Ah, figlia di
Loki! Colui che ingannò Poseidone e il nostro Signore! Ad Aima mancò il
fiato. Che quella guerra fosse solo opera di suo padre? A che scopo? Una
risposta cominciò a formarsi nella sua mente, ma le lance e gli attacchi dei
soldati zombie richiedevano una certa priorità. Ne abbatté qualche decina, ma
alla fine creò un’illusione e passò senza troppi intoppi. Le sorprese, però,
non erano finite. La rossa si infilò in un altro cunicolo, ritrovandosi sospesa
sopra una grande vasca colma d’acqua così limpida da sembrare azzurra. Stava per
tuffarsi, ma un’onda la travolse facendola cadere in quella specie di piscina.
Sott’acqua aprì gli occhi e finalmente la vide: la statua di Ares, in tutta la
sua bellezza, si trovava al centro del fondo. Nuotando si avvicinò per prendere
ciò per cui era arrivata fino a lì, ma in una frazione di secondo tutto si
capovolse. Non capiva dove si trovasse finchè la linfa non sparì e lei cadde a
terra di schiena. Intontita si rialzò, strizzandosi i capelli e avvicinandosi
alla statua.
«Fossi
in te non lo farei. Questo luogo non fa uscire facilmente ciò che è suo.»
Avrebbe
riconosciuto quella voce anche dopo duemila anni, quell’accento russo appena
accennato. Si girò basita, sicura di trovarsi davanti una folta chioma di
capelli rossi e due occhi azzurri. Sonja, la sua prima allieva, era lì a pochi
metri da lei. All’altezza dello stomaco era ancora presente la ferita per cui
era morta, seppure non grondasse più sangue. Cosa stava succedendo? Cos’era
quel posto?
«Sonja..
sei anche tu uno zombie?»
Chiese
Aima, tentando di usare un tono più fermo possibile, ma con scarsi risultati.
«Non
siamo zombie. Né io, né quelli che hai incontrato prima. La nostra anima c’è
ancora, gli zombie non ce l’hanno.», spiegò la ragazzina, sorridendo serafica.
«Ma
tu.. sei morta fra le mie braccia! Come puoi essere qui? Come possono tutti essere qui?!»
«Te
l’ho detto: questo luogo non fa uscire facilmente ciò che è suo. Persone
comprese. Perché credi di essere rimasta così attaccata al tuo passato di
Bloodline?»
«Perché
qui ho trovato una famiglia.»
Ammise
la burattinaia. Era la verità. Con Sonja, Aima non usava mai le sue maschere,
solo in casi molto particolari. Quella ragazzina era come una figlia per lei.
La russa si avvicinò, allungando la mano.
«Adesso,
da morta, non riesco più a controllare il mio potere. Sopravvivrai, maestro?
Non vorrei farlo, ma è la legge di Ares. Sai, ci sono anche Aletto, Enio e le
altre. Non le hai rincontrate però, probabilmente erano in un altro luogo di
questo intricato meccanismo, non quello da cui sei arrivata tu. Potrai prendere
ciò che ti serve se sopravvivrai, altrimenti rimarrai qui con noi in eterno.»
«Devo
spedire la tua anima in Ade?», le chiese Scarlet con occhi velati dalle
lacrime.
«Oh
mi faresti un gran piacere,», Sonja sorrise amaramente «ma sarebbe bellissimo
restare qui con te per l’eternità, mamma.»
Le
lacrime bollenti uscirono da sole, rigandole le guance e bagnandole le labbra
ancora umide d’acqua. La soluzione era una soltanto e doveva metterla in atto.
Così, mentre la sua prima allieva si avvicinava lentamente per ucciderla, Aima
richiamò un corvo che arrivò in poco tempo seguendo la scia del suo cosmo. Il
volatile estrasse l’anima dal corpo della russa, che cadde a terra esanime. La
marionettista prese ciò che le serviva e, con estrema tristezza, si diresse
verso le scale che riportavano in superficie. Prima di andarsene – fu più forte
di lei – lasciò che l’anima della piccola rientrasse nel suo fragile corpo.
«Quella
è..», cominciò.
«Sì.»,
replicò la rossa con voce un po’ tramante «Questa è la lancia di Ares.»
Note:
mi scuso per la lunghezza del capitolo, ma era strettamente necessaria.
Finalmente l'ho finito e, devo dire, ne sono piuttosto soddisfatta.
Forse è quello che mi piace di più fin'ora. Aspettatevi
delle complicazioni future! Grazie alla mia cara silvermoon74 per il
betaggio. :)