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Autore: ScarletPuppet    16/11/2012    6 recensioni
Athena è riuscita a stipulare una tregua con Hades e ha riportato in vita i suoi paladini, i Generali degli Abissi e i God Warriors di Asgard. Kanon ha ottenuto il perdono di Poseidone e ha il permesso di rimanere in congedo dal suo ruolo di generale degli abissi ritornando tale in caso di guerra.
Nessuno dimenticava i suoi occhi scarlatti e la sua espressione impassibile durante situazioni come quella vissuta quattro anni prima. Lui fu l’unico a cogliere uno sprazzo di dolcezza e vulnerabilità dietro la maschera astiosa dallo sguardo truce che portava a Sparta nel momento cruciale.
Solo lui.
Kanon di Seadragon.

Tenterò di stare il più possibile IC con i personaggi (anche se penso che non ci sia un vero IC alla fine, vabbè xD), ma metto OOC per sicurezza. Enjoy!
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Kanon, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Ghiaccio e del Fuoco - Linee di sangue'
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Capitolo 13

Capitolo 13

«Andare a Sparta. Per quanto hai intenzione di restarci?», domandò Saga.
«Non più di qualche ora.»
Rispose Scarlet, attendendo un’imminente risposta. Il pontefice ci pensò su, come era assiduo fare ogni volta che un cavaliere gli chiedeva un permesso. Resta comunque la figlia del nemico, si ripeté, ma Kanon è più che adatto a sorvegliarla, concluse, fissandola con i suoi freddi occhi verdi. La ragazza ricambiò lo sguardo. Se al posto di quelle iridi scarlatte ce ne fossero state due azzurre e fredde come il ghiaccio e quei setosi boccoli rossi fossero stati neri, Saga avrebbe avuto davanti la copia sputata di Loki.
«Kanon verrà con te.», sentenziò infine il Grande Sacerdote.
«Come immaginavo.», sospirò esasperata la marionettista.
«Qual è lo scopo del tuo breve viaggio?»
«Devo riprendere una cosa molto importante. Desidererei parlare con Athena dopo essere tornata.»
«Cos’è che dovresti riprendere?» Era più forte di lui, non riusciva a fidarsi.
«Un’arma che potrebbe agevolarvi in battaglia.»
Saga si alzò dal trono e sospirò.
«Richiamo Kanon al mio cospetto, poi potete partire.»

«È da un po’ che non vedo quegli uccellacci.»
Osservò Kanon, mentre viaggiavano per il Santuario che aveva visto nemici i Bloodlines e i Marines. Aima guardò il cielo.
«Proteggono sempre questo posto, osservando con occhi vigili intrisi di potere. Solo grazie alla mia presenza non attaccano.», spiegò la rossa.
«Perché allora quando sono venuto a cercarti non mi hanno attaccato?»
«Perché io ho permesso di farti entrare, altrimenti ti avrebbero attaccato finchè non sarebbero morti tutti.»
«Sì, mi ricordo la testardaggine di quelle bestiacce.»
Kanon potè effettivamente udire i versi striduli dei protettori di quel posto che, nonostante fosse abbandonato da anni, era ancora avvolto nel potere del suo vecchio custode. La sua Gold Cloth brillava sotto i raggi cocenti e precisi del sole, che quasi spaccava le pietre ancora annerite dal vecchio incendio che le aveva fatte crollare. In alcuni punti la fuliggine era ancora così spessa e nera che sembrava essersi appena depositata. Poste a pentagono sopra un altopiano di grigia roccia, le statue rappresentanti i cinque simboli portanti del luogo – cioè le principali armature dell’esercito dei Bloodlines – assieme ai templi che le precedevano erano più o meno integre, ma sporche di sangue. Tutte, tranne una. All’enorme statua del cavallo dal respiro infuocato mancava una zampa, e il ventre era segnato da una lunga scia di sangue. Al barbagianni, invece, erano state troncate entrambe le ali, il liquido scarlatto gli decorava il capo. Al monumento dell’avvoltoio mancava la testa e, ai suoi piedi, sembrava essere appena avvenuto un sacrificio tanto sangue c’era, benché secco. Il gufo reale era integro, ma la firma rossa non mancava. L’unica statua, intera e coperta solo da un sottile strato di fuliggine, era quella del picchio. L’unico sopravvissuto. Aima. Al centro di quella forma geometrica sorgeva – quel che ne rimaneva, almeno – il tempio dedicato al dio, annerito e precario. Il cavaliere di Gemini fissò l’ex Bloodline, che camminava imperturbabile fra quello che rimaneva dell’orrore di quattro anni prima, chiedendosi – anche se lui non lo avrebbe mai ammesso – se la marionettista stava ripensando al loro primo incontro.

«Il nobile Poseidone è già sceso personalmente in campo contro suo nipote, a noi il compito di smantellare l’armata dei Bloodlines. Cinque sono i monumenti portanti di questo Santuario, benché questo luogo disponga di molte altre risorse militari.»
Cominciò a spiegare Krishna, osservando gli altri Generali degli Abissi e il resto delle milizie di Atlantide. Il nero mantello della notte si era già adagiato sopra le loro teste, nascondendoli nella penombra, nonostante le armature di scaglie d’oro brillassero un po’ nel buio.
«Cinque di noi generali affronteranno le amazzoni poste a protezione dei cinque templi. I due rimanenti e voi sottoposti, invece, attaccherete le schiere nemiche meno potenti che vi attenderanno alla base dell’altopiano per fermarvi. Non ho dubbi sull’esito della missione. Pertanto, dobbiamo cercare di avere meno perdite possibili. Sirena, Dragone del Mare, Scilla, Cavallo del Mare e io ci occuperemo delle cinque custodi; Limniade e Kraken, voi guiderete l’esercito verso l’interno. Non azzardatevi ad avvicinarvi al tempio centrale se non volete morire all’istante. Poseidone ci ha chiesto espressamente di restare fuori dalla lotta fra lui e suo nipote. Non c’è tempo da perdere, annientiamoli!»
Così, fra urla di battaglia ricche di esaltazione, l’esercito del mare varcò i confini del santuario nemico. Quel luogo, però, non era aperto a tutti. Il cielo si riempì di uccellacci che, con precisione e velocità, cominciarono a far cadere piume appuntite come dardi. Alcuni morirono trafitti, mentre i sopravvissuti furono attaccati corpo a corpo dai guardiani volanti. Fu il flauto di Sorrento a placare le bestie, favorendo l’accesso all’esercito. Sirena, Scilla, Crisaore e Cavallo del Mare si separarono dirigendosi due a destra e due a sinistra. Seadragon, invece, si diresse verso il tempio che si stagliava maestoso davanti a lui, fissandolo dall’altopiano. Il resto dei Marines si disperse in pianura. Alla velocità della luce Kanon raggiunse la sua meta, osservandola attentamente. La forma era quella di un normalissimo tempio, le pareti e le colonne decorate da miriadi di picchi, cani e amazzoni. Delle fiaccole illuminavano l’interno, scaldando appena l’atmosfera gelida che vi aleggiava. Nessuno, però, sembrava presiedere la struttura. Kanon però non ci cascava. Sentiva la presenza della custode anche sulla propria pelle. La colonna alla sua destra cominciò a scricchiolare crepandosi, finchè non ne uscirono braccia arrossate, tagliate e grondanti di sangue. Seadragon istintivamente si allontanò, ma gli arti insanguinati spuntarono da tutte le parti e presto ne uscirono delle sembianze umane. Più volte il Marine si liberò, ma altrettante fu attaccato. Alla fine, stufo, lanciò una Galaxian Explosion che pose fine a tutta quell’enorme illusione. Fu in quel momento che la vide, finalmente. Protetta dalla sua armatura dai riflessi cremisi, la custode del tempio lo fissava impassibile a braccia conserte. Diversamente dal Santuario di Atene, in quel luogo le amazzoni non portavano maschere. Kanon così potè osservare i suoi lineamenti delicati, misurarsi con quelle iridi iniettate di sangue in tinta con i capelli che si libravano in mille boccoli sulle sue spalle. Tuttavia, non c’era possibilità di salvezza per lei come per le altre. Una bellezza così sublime non l’avrebbe salvata. Fu lei a parlare per prima, con voce tagliente ma arrogante.
«A chi ho il piacere di togliere la vita questa volta? Sembri un soggetto più divertente degli altri.»
«Dragone del mare, giunto dalla lontana Atlantide per togliere la vita a te e alle tue compagne sotto il comando del Grande Poseidone. A chi ho l’onore di togliere la vita?», disse freddo Kanon.
«Aima del Picchio. Se mi batterai, dovrai segnare con il mio sangue la statua al di là di questo tempio. Ovviamente dubito che accadrà.»
Poi il combattimento cominciò. Fu un continuo scambio di colpi, un insieme di illusioni e di sguardi che celavano attrazione dietro il muro freddo di facciata. In fondo un poco di ammirazione per quella ragazza ce l’aveva. Aveva sopportato l’impatto di un’Esplosione Galattica di media potenza. Poi Kanon la vide chiaramente: la maschera fredda e astiosa si spezzò a metà e cadde a terra frantumandosi. I fili che lo stavano manipolando sparirono all’improvviso. Gli occhi di Aima erano spalancati, e dalla sua espressione impaurita trasudava una forte preoccupazione. Il Generale degli Abissi l’attaccò in un corpo a corpo, ma fu questione di pochissimo ed era nuovamente intrappolato dai suoi fili da burattinaia.
«Non ho altro tempo da sprecare con te. Devo muovermi.»
Gli disse con il tono più fermo e deciso che le riuscì. Prima che l’amazzone gli spezzasse tutte le ossa, Seadragon percepì un piccolo Cosmo agitarsi nella confusione ai piedi dell’altopiano e capì.
«Vattene e va’ da lei.», ordinò alla sua avversaria. La Bloodline lo fissò incredula.
«Va’ e salvala! Vattene prima che io cambi idea!»
Tuonò, alzandosi appena fu libero. La rossa corse verso l’entrata del proprio tempio, ma si girò ancora un attimo.
«Questo scontro è solo rimandato, Dragone del Mare. Un giorno ci rincontreremo e ti ucciderò. I fili del destino guidano la mia vita.»
Così la vide sparire fuori dall’edificio, portandosi via una parte del suo destino fra le fiamme che ormai dilagavano in tutto il santuario.

 
Kanon, dopo quel breve salto nel passato, continuò a fissare la ragazza che, sentendosi osservata, gli lanciava occhiate inespressive. L’attrazione fra i due non era mai finita, e Kanon mal sopportava quella situazione. Non era abituato a stare solo con lei. Passarono per il cimitero, dove la rossa si avvicinò ad una croce e ne accarezzò la facciata liscia e calda. Restò per minuti con il capo piegato davanti a quella lapide e il custode della terza casa scoprì piccole lacrime solcarle le guance. Quando la ragazza si accorse di ciò che Kanon aveva visto di nuovo, attraversò spedita il cimitero, dirigendosi verso il bosco al confine.
«Era lei, non è vero?», le chiese.
«Già.»
«Tua sorella?»
«È stata la mia prima allieva.»
La conversazione cadde. Colei che consideravo come una figlia, avrebbe aggiunto la marionettista, ma non avrebbe sopportato di nuovo quegli occhi verdi scavarle nel profondo.
Una leggera brezza si alzò, scompigliandole appena i capelli rossi e morbidi. Non era il venticello di Atene, che portava con sé il profumo salmastro del mare e la fragranza forte e fresca degli eucalipti, ma bensì quello di Sparta, ricco di aromi dell’entroterra; il profumo dei fiori dei boschi sulle colline, l’odore di terra umida bagnata di recente dalla pioggia. Una volta quell’invisibile presenza l’accompagnava quotidianamente, a volte facendosi sentire per l’intera giornata, durante le stagioni più fresche, a volte solo il mattino presto e la sera, durante le afose estati greche. Dalla rupe da cui gli Spartani, nei tempi antichi, lasciavano precipitare i corpi dei bambini informi o deboli, Aima osservò il suo ex Santuario, luogo di molte battaglie e luogo, ormai, di eterna quiete. Un giorno, forse, lo avrebbe rivisitato tutto. Seguita da Kanon, si inoltrò nel fitto del bosco. Dopo lo sfogo non premeditato al cimitero, Scarlet non aveva più guardato in faccia il Gold Saint per il resto del cammino. Ne va del mio orgoglio di donna, pensava. La verità, invece, era che non voleva in alcun modo, per la seconda volta, permettere a quell’uomo di leggere dietro la propria maschera.
«Dove stiamo andando?»
Chiese all’improvviso il custode della terza casa, facendo trasalire leggermente la ragazza, che non rispose. Al contrario, continuò ad avanzare silenziosa fra i sentieri tortuosi del bosco, evitando le radici senza guardare per terra, tanto conosceva quel luogo. Tutto era stampato con impeccabile precisione nella sua mente, nei suoi ricordi. I suoni vivaci della natura li accompagnarono interrompendo il loro religioso silenzio, finchè la piccola casa dove Death Mask l’aveva scortata a riprendere i suoi affetti personali, non fu visibile ad entrambi. Scarlet aprì la porta il minimo indispensabile per riuscire a passare, ignorando totalmente Kanon, che dovette aprirla maggiormente e poi richiuderla, sbattendola con forza. La marionettista sobbalzò, guardandolo con sufficienza.
«Allora? Cosa siamo venuti a fare?»
Domandò Seadragon impaziente. La padrona di casa ridacchiò, scuotendo la testa.
«Devo prendere una cosa che mi permetterà di trovare l’arma.»
Sussurrò, cominciando a frugare a destra e manca. Il cavaliere d’oro seguiva i movimenti della ragazza a braccia conserte, fissandola impassibile. La vide muoversi per il soggiorno e per il sottoscala, sparire nella cantina e poi riemergere con aria confusa ma non rassegnata. Passarono altri minuti, in cui la ragazza fece nuovamente il giro del piano terra, poi, proprio quando Kanon stava per sbottare spazientito, lo sguardo della rossa si illuminò, e la vide subito dopo sfrecciare al primo piano. Quando la raggiunse, lei gli chiuse la porta della propria stanza in faccia, intimandogli di non entrare se non voleva finire male. Un buon quarto d’ora il ragazzo lo passò fuori con i nervi a fior di pelle, accompagnato solo dai rumori che provenivano dall’interno. Improvvisamente, come colto da un attacco di rabbia, piegò la dorata maniglia della porta di legno scuro, perfettamente sigillata dal cosmo della rossa. Dopo non molti tentativi, però, Kanon riuscì ad aprirla, trovando Aima intenta a cercare sotto il letto.
«Hai finito di cercare?!»
Sbraitò, bloccandola per un polso. Un semplicissimo “no” accompagnò i fili della burattinaia, che fitti e taglienti presero il controllo del corpo del Gold Saint. Scarlet gli morse nuovamente il labbro inferiore, consapevole che quella gara di morsi non sarebbe mai finita. Il custode della terza casa, con grande sforzo, le afferrò il viso, approfondendo quel gioco in un bacio carico di passione. Aima si staccò scacciandolo, decisa a non perdere così facilmente, ma il cavaliere la spinse sul letto trattenendola con tutta la sua forza. Finchè, sdraiati uno sull’altra, le loro mani cominciarono ad esplorarsi avidamente, viaggiando sui loro corpi fino a denudarli completamente e i due, finalmente, poterono lasciarsi andare al piacere estremo.

La loro unione non era durata molto, avevano una missione e dovevano portarla a termine. O, meglio, Aima doveva portarla a termine. Mentre la rossa cercava il foglio che il suo ex sacerdote le aveva consegnato affinché lo custodisse, Kanon si rivestì ignorando i bruciore dei graffi sulla schiena. Scarlet frugò nell’armadio più e più volte senza venirne a capo. Dove diavolo aveva messo quel foglio? Dopo che i Bloodlines erano stati sconfitti e tutto era stato avvolto dalle fiamme, lei era tornata al tempio principale per cercare il sacerdote. Lì l’aveva trovato morente, soffocato dal fumo, ma appena in tempo per farsi consegnare quell’importantissimo pezzo di carta. «Tienitelo stretto finchè non sarai al sicuro.. se morirai assicurati che questo foglio bruci; se sopravvivrai, imprimiti nella mente ciò che c’è scritto, in ogni caso devi bruciarlo.. la presenza tua e delle tue compagne qui è stata la migliore negli ultimi duecento anni. Solo un Bloodline può riprendere quest’arma e solo un altro dio può liberare il nostro Padrone. Sai, non è colpa del nostro Signore se è scoppiata questa guerra..» e dopo quelle parole, era spirato fra le sue braccia. Si ricordava di aver bruciato il foglio, ma le parole le aveva segnate da un’altra parte. Furono i raggi del crepuscolo a risolvere i suoi quesiti. Nell’angolo in basso a destra dell’armadio, incise e poi riverniciate, delle parole in greco antico vivevano silenziosamente il loro significato. Dietro la quinta colonna del tempio, ne sorge una gemella. Dietro di essa troverai la via.
«Finalmente.»
Sussurrò Aima sollevata, indossando nuovamente la sua armatura. Si girò verso Kanon che, impassibile, l’attendeva vicino alla porta. I due sfrecciarono fuori dalla casa ad una velocità incredibile, raggiungendo in breve tempo il tempio posto al centro delle cinque case. Da anni la marionettista non vi entrava. Lì dove vi era la navata centrale una volta coperta da un lungo tappeto rosso in tinta con i tendaggi strappati in uno dei momenti di rabbia del suo dio, ora non vi erano altro che macerie annerite e colonne crollate.
«La quinta colonna.. una gemella dietro di lei. Sì, ma da che parte?»
Si chiese a bassa voce, scrutando ciò che aveva davanti. Se non ricordava male, ad ogni lato si trovavano quattro colonne. Qual era la quinta? Ce n’erano solo quattro!
«La quinta colonna, Kanon. Quale potrebbe essere di queste?»
Lo interpellò, fissandolo inespressiva. Lui si prese tempo per pensare, guardandosi intorno. Ci doveva essere pur una traccia di cosmo o un qualcosa di insolito a farglielo capire. Scrutò attentamente ogni angolo, ma di tracce non ce n’erano.
«Guardiamo dietro ad ogni colonna.»
Sentenziò infine, e i due si divisero. Aima, benché tentasse di non ripensare agli anni passati in quel luogo e di concentrarsi sulla missione, non riusciva a non soffermarsi sui particolari pensando con fierezza “sì, mi ricordo di questo oggetto”. La voce del Gold Saint la distolse dai suoi pensieri.
«Credo di averla trovata.»
La rossa si precipitò a verificare, ma ciò che si ritrovò davanti assomigliava solo d’aspetto ad una colonna come si deve. Annerita come il resto dell’edificio, quella piccola riproduzione era più bassa di lei e molto più stretta rispetto ad un normale pilastro. La burattinaia ci appoggiò una mano sopra per levare un po’ di nero e vedere se c’era qualche scritta che l’avrebbe aiutata, ma appena il suo palmo toccò la superficie ruvida qualcosa, ad una velocità impressionante, le procurò un taglio. La Silver Saint ritrasse la mano, mentre il sangue sulla colonna formava parole brillanti come rubini.

A te concedo l’accesso Bloodline. Sarai in grado di percorrere il sentiero che comparirà davanti a te?
La “porta” si abbassò, sparendo sotto il pavimento e rivelando un cunicolo angusto e poco illuminato. Aima ci sgusciò dentro, accompagnata da un’unica raccomandazione di Kanon.
«Torna viva.»
Uscita da quello stretto passaggio, Scarlet si era ritrovata in una stanza spoglia, dove il fetore del sangue le pungeva il naso. Effettivamente, i suoi piedi erano immersi nel liquido scarlatto che, una volta arrivato alle ginocchia del Corvo, precipitò con lei giù in una botola. Aima finì in un’altra stanza piena di ossa, il terreno sotto i suoi piedi era smosso. Molto presto, potè capire perché: conciati come zombie, dei guerrieri muniti di lancia e scudo uscirono da sottoterra. Erano centinaia e aumentavano ogni minuto. Le urla di guerra sovrastavano il frastuono dei loro movimenti, le lance e gli scudi cozzavano fra loro. Alcuni combattevano gli uni contro gli altri, ma la maggior parte di quell’esercito zombie si rivoltava contro di lei. Tu mi hai ucciso! Mi vendicherò di te! , Muori, maledetto! , Perché hai tradito il nostro Signore?! Si urlavano i soldati fra loro. Poi, urla accusatorie arrivarono anche a Scarlet, che le recepì sconvolta. Ecco, la figlia del nemico! Colui che ha condannato questo posto! , Doveva restarsene dov’era, invece di fare la ribelle e scappare! Adesso non saremmo in queste condizioni! , Ah, figlia di Loki! Colui che ingannò Poseidone e il nostro Signore! Ad Aima mancò il fiato. Che quella guerra fosse solo opera di suo padre? A che scopo? Una risposta cominciò a formarsi nella sua mente, ma le lance e gli attacchi dei soldati zombie richiedevano una certa priorità. Ne abbatté qualche decina, ma alla fine creò un’illusione e passò senza troppi intoppi. Le sorprese, però, non erano finite. La rossa si infilò in un altro cunicolo, ritrovandosi sospesa sopra una grande vasca colma d’acqua così limpida da sembrare azzurra. Stava per tuffarsi, ma un’onda la travolse facendola cadere in quella specie di piscina. Sott’acqua aprì gli occhi e finalmente la vide: la statua di Ares, in tutta la sua bellezza, si trovava al centro del fondo. Nuotando si avvicinò per prendere ciò per cui era arrivata fino a lì, ma in una frazione di secondo tutto si capovolse. Non capiva dove si trovasse finchè la linfa non sparì e lei cadde a terra di schiena. Intontita si rialzò, strizzandosi i capelli e avvicinandosi alla statua.
«Fossi in te non lo farei. Questo luogo non fa uscire facilmente ciò che è suo.»
Avrebbe riconosciuto quella voce anche dopo duemila anni, quell’accento russo appena accennato. Si girò basita, sicura di trovarsi davanti una folta chioma di capelli rossi e due occhi azzurri. Sonja, la sua prima allieva, era lì a pochi metri da lei. All’altezza dello stomaco era ancora presente la ferita per cui era morta, seppure non grondasse più sangue. Cosa stava succedendo? Cos’era quel posto?
«Sonja.. sei anche tu uno zombie?»
Chiese Aima, tentando di usare un tono più fermo possibile, ma con scarsi risultati.
«Non siamo zombie. Né io, né quelli che hai incontrato prima. La nostra anima c’è ancora, gli zombie non ce l’hanno.», spiegò la ragazzina, sorridendo serafica.
«Ma tu.. sei morta fra le mie braccia! Come puoi essere qui? Come possono tutti essere qui?!»
«Te l’ho detto: questo luogo non fa uscire facilmente ciò che è suo. Persone comprese. Perché credi di essere rimasta così attaccata al tuo passato di Bloodline?»
«Perché qui ho trovato una famiglia.»
Ammise la burattinaia. Era la verità. Con Sonja, Aima non usava mai le sue maschere, solo in casi molto particolari. Quella ragazzina era come una figlia per lei. La russa si avvicinò, allungando la mano.
«Adesso, da morta, non riesco più a controllare il mio potere. Sopravvivrai, maestro? Non vorrei farlo, ma è la legge di Ares. Sai, ci sono anche Aletto, Enio e le altre. Non le hai rincontrate però, probabilmente erano in un altro luogo di questo intricato meccanismo, non quello da cui sei arrivata tu. Potrai prendere ciò che ti serve se sopravvivrai, altrimenti rimarrai qui con noi in eterno.»
«Devo spedire la tua anima in Ade?», le chiese Scarlet con occhi velati dalle lacrime.
«Oh mi faresti un gran piacere,», Sonja sorrise amaramente «ma sarebbe bellissimo restare qui con te per l’eternità, mamma.»
Le lacrime bollenti uscirono da sole, rigandole le guance e bagnandole le labbra ancora umide d’acqua. La soluzione era una soltanto e doveva metterla in atto. Così, mentre la sua prima allieva si avvicinava lentamente per ucciderla, Aima richiamò un corvo che arrivò in poco tempo seguendo la scia del suo cosmo. Il volatile estrasse l’anima dal corpo della russa, che cadde a terra esanime. La marionettista prese ciò che le serviva e, con estrema tristezza, si diresse verso le scale che riportavano in superficie. Prima di andarsene – fu più forte di lei – lasciò che l’anima della piccola rientrasse nel suo fragile corpo.

La via d’uscita finì dietro il trono d’oro ricoperto di fuliggine. Quando Aima finalmente uscì, il passaggio si richiuse. Rindossando la sua maschera scostante e indifferente, anche se con il cuore a pezzi, ritornò da Kanon, che la squadrò stupito.
«Quella è..», cominciò.
«Sì.», replicò la rossa con voce un po’ tramante «Questa è la lancia di Ares.»

Note: mi scuso per la lunghezza del capitolo, ma era strettamente necessaria. Finalmente l'ho finito e, devo dire, ne sono piuttosto soddisfatta. Forse è quello che mi piace di più fin'ora. Aspettatevi delle complicazioni future! Grazie alla mia cara silvermoon74 per il betaggio. :)

  
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