Film > I fantastici quattro
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Autore: Artemis Black    16/11/2012    1 recensioni
"Io sono figlia del ghiaccio: pelle candida, capelli corvini e occhi di ghiaccio.
Il mio tocco può congelare la vita, preservarla o ucciderla.
Era un giorno qualsiasi della mia vita, quando tutto cambiò. Quando tutto si fece freddo e azzurro. [...]
Dicono che la vendetta non serve a niente. Si sbagliano, o almeno chi lo dice non ha mai passato un inferno come il mio. Non sanno che quando ti viene portato via tutto, la rabbia dentro di te cresce fino ad esplodere. Non sanno che quando si vede la paura, che si ha provato, riflettere negli occhi del vostro aguzzino, un brivido di euforia percorre il tuo corpo e ne nutre l’anima, lacerandola.
La vendetta serve a far capire chi ha vinto veramente."
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non voglio far del male a nessuno.

Her gift is a curse, forget the earth she's got the urge [...]
This fucking black clouds still follows me around

But its time to exercise these demons
These motherfuckers are doing jumping jacks now!

 

Mi svegliai con una spalla mezza intorpidita e la testa che mi doleva in un modo assurdo.

Accanto a me c’era Johnny che dormiva beato.

Un momento… perché Johnny dormiva nel mio stesso letto?!
Feci per alzarmi ma una mano mi tirò indietro nel letto.
“Devi rimanere a letto, altrimenti i punti saltano di nuovo.” Disse la voce impastata di sonno di Johnny.
“Ho una cosa importante da fare oggi.” Dissi e mi rialzai di nuovo.               
Mi afferrò per un braccio e mi attirò a se stringendomi tra le sue braccia.
“Mi dispiace ma sei agli arresti domiciliari.” Disse.
Ero arrossita violentemente non perché avessi caldo, ma perché ero appoggiata con la schiena sul suo petto nudo ed ero avvolta tra le sue braccia.
“Potresti… lasciarmi.” Dissi.
“Si ma non uscirai di qui.” Disse lui liberandomi da quella morsa di fuoco.
Mi alzai dal letto e notai di avere indosso la stessa maglietta che avevo preso il giorno prima.
“Quindi questa è camera tua?” dissi guardandomi attorno.
“Si.” Confermò e si alzò anche lui dal letto.
“Se mi vedessero i miei genitori in questo momento…” sussurrai tra me e me.
“Ti direbbero che sei una cattiva ragazza perché hai dormito con un ragazzo?!” Mi domandò Johnny con tono sfacciato.
“Non lo so… non so neanche che figlia avrebbero voluto avere.” Dissi.
“Perché?” mi chiese.
“Perché sono morti in un incidente stradale quando io ero ancora in fasce.” Dissi con molta disinvoltura.
Non ero mai riuscita ad affrontare la morte dei miei poiché per me erano come… estranei, non li ricordavo e non li avevo mai conosciuti. Come fa una persona ad affrontare la morte di due perfetti sconosciuti? Non l’affronta, la supera e va avanti.
Johnny rimase interdetto.
“Mi dispiace.” Disse. Alzai le spalle al cielo.
“Anche mia madre è morta in un incidente.” Aggiunse.
Non capivo il perché di questa sua esternazione, finchè non vidi che aveva il volto abbassato e i pugni serrati. Evidentemente, non accettava ancora la sua morte.
“Mi spiace…” fu l’unica cosa che dissi.
Johnny si rilassò e tornò quello di sempre, sfoggiando un sorriso strafottente.
“Come ti dicevo ho da fare e vorrei riavere i miei vestiti indietro.” Dissi.
“Non so dove sono, li ha presi Sue.” Disse lui entrando in bagno e chiudendo la porta.
“Ti odio.” Sussurrai.
“Ti ho sentito!” disse lui da dentro il bagno.
Sbuffai.
Uscii dalla stanza cercando di abbassare la maglia con le mani, visto che mi arrivava a metà coscia.
Andai in salotto per vedere se Susan fosse lì, invece mi ritrovai davanti un omone arancione fatto di… pietra.
“Ops, scusami tanto.” Disse lui.
“Ehm, di niente… questa casa non finisce mai di stupirmi.” Dissi.
“Tu devi essere la ragazza di Johnny?” mi chiese, scrutando il mio abbigliamento.
“No!” dissi con una nota di rabbia.
“Oh! Ehm… comunque io sono Ben, Ben Grimm.” disse lui alzando una mano.
“Evelyn Smith.” Dissi con un sorriso.
“Hai visto Susan?” chiesi.
“Si è nel laboratorio con Reed. Se vuoi ti ci accompagno.” Mi disse con un sorriso.
“Te ne sarei grata.”
Arrivati nel laboratorio, vidi Reed e Susan che ridevano allegramente. Erano carini insieme e mi chiedevo come una persona così dolce ed educata potesse essere la sorella di Johnny.
“Evelyn!” disse appena mi vide.
“Come stai?” mi chiese Reed.
“Bene. Grazie per avermi… ecco, aiutato di nuovo. Ve ne sarò infinitamente grata.” Dissi un po’ imbarazzata.
“Non c’è di che.” Mi rispose Reed.
“Sue, sai dove sono i miei vestiti?” chiesi.
“Certo, vieni con me.” 
Andammo nella sua stanza e me li diede.
“Mi raccomando, non sforzare la spalla. Sarebbe meglio che tu rimanessi a letto per oggi…” mi disse.
“Ho una cosa importante da fare.” Le risposi.
“E non puoi rimandarla?” Disse lei.
“No… non posso.” Le risposi rammaricata.
Tornai in camera e per poco non mi prese un infarto: Johnny era appena uscito dalla doccia ed aveva indosso soltanto uno asciugamano stretto in vita.
“Vedo che hai trovato i vestiti.” Disse lui.
“E tu invece li hai persi.” Deglutii cercando di guardarlo in faccia.
Mi rifugiai in bagno per vestirmi e per controllare il mio stato.
La fasciatura sulla spalla era stretta e mi impediva di mettere la maglia autonomamente, perciò mi misi prima i jeans, sistemai i capelli e poi mi sciacquai il viso.
Sbirciai fuori dalla porta in cerca di Johnny, ma in camera non c’era. Perciò mi arrangiai da sola e con fatica riuscii a mettermi la maglia e poi il giacchetto.
Le chiavi della moto ce le doveva avere lui, perciò cominciai a rovistare nei cassetti della camera ma non le trovai.
Uscii dalla stanza e andai nel salone, ma non c‘era nessuno, così scesi nel laboratorio e poco prima di varcare la soglia sentii la voce di Johnny parlare di me.
Mi nascosi dietro la porta socchiusa e ascoltai ciò che stava dicendo.
“Ti dico che l’ho vista con i miei occhi!” diceva Johnny.
“Dalle sue mani è uscito fuori una specie di brina che gli ha congelato la spalla!” aggiunse.
“Un po’ come tu prendi fuoco, le ha il potere di congelare le cose?” chiese Sue.
“Esattamente!” annuì Johnny.
“Ma come è possibile?” si chiese Ben.
“Sarà frutto di qualche esperimento… di sicuro non è andata nello spazio come noi, se no l’avremmo saputo.” Disse Reed.
“Chi farebbe esperimenti su un umano?” disse Sue inorridita.
“Pazzi, scienziati con la testa schizzata., ecco chi.” Disse Johnny.
“Mi piacerebbe tanto analizzare il suo DNA e compararlo al nostro…” disse Reed.
Con la mano destra mi tenevo alla maniglia della porta e mi accorsi soltanto dopo, che l’avevo praticamente congelata senza accorgermene.
Tolsi la mano, ma mi portai dietro tutta la maniglia.
I ragazzi dentro la stanza si girarono verso la porta e  vidi Johnny avvicinarsi. Non so cosa mi fosse passato per la testa, so solo che lasciai cadere a terra la maniglia e mi misi a correre. Sul tavolino vicino all’ascensore c’erano le chiavi della mia moto. Le presi al volo e mi fiondai nell’ascensore.
Quando uscii fuori, imboccai per il vicolo dove la sera prima Johnny aveva parcheggiato la mia moto. Saltai in sella e spinsi l’acceleratore al massimo.
Sfrecciai tra le macchina, sorpassai come una pazza e passai con il rosso a parecchi semafori. Mi fermai soltanto quando fui arrivata all’entrata del cimitero.
Il silenzio surreale di quel posto mi colpì come sempre: la mia mente era così rumorosa in confronto. Affrettai il passo verso la lapide di Harris, dove erano riunite alcune persone. Il tempo era cambiato drasticamente: le nuvole scure promettevano pioggia e il vento scuoteva le chiome degli alberi sempreverde con forza.
Quando arrivai al cospetto della figlia e della moglie di Harris, la cerimonia si era appena conclusa e la piccola folla che si era radunata lì, andava via via disperdendosi.
“Condoglianze.” Dissi con un’espressione triste.
“Grazie tesoro.” Le mani dell’anziana signora mi cinsero le mie guance e i suoi occhi appannati dalle lacrime mi regalarono un debole sorriso.
Mentre altri parenti portavano via la povera vedova, la figlia mi prese da parte.
“Questi sono i soldi che mio padre ti doveva per il tuo operato del mese.” Mi disse porgendomi una busta.
Cercai invano di non accettarli, ma la ragazza fu molto persuasiva.
“Tienili, ti serviranno.” Mi disse prima di andarsene.
Rimasi da sola, dinanzi un’altra lapide. Mi avvicinai e presi un fiore dalla corona lì vicino.
“Oh Harris, mi mancherai.” Dissi, poi lanciai il fiore sopra la bara.
La pioggia cominciò a scendere copiosa, bagnandomi i capelli e scivolando giù sul giacchetto.
Rimasi lì ancora un po’… poi decisi di andare a trovare tre persone a me care.
Poco più lontano, c’erano Jessica e Rick e James che riposavano l’uno accanto all’altra. Mi mancavano da morire, ma non riuscivo a dirlo.
Una lacrima sfuggì al mio controllo e scesa giù per la mia guancia, mimetizzandosi tra le gocce di pioggia che bagnavano il mio viso. Mi inginocchiai tra le lapidi e rimasi lì per un po’, tra i miei migliori amici, cercando il loro conforto.
La pioggia non accennò a fermarsi, così dopo un po’, mi alzai e mi avviai verso casa.
Guidare con una spalla in pessime condizione e la pioggia, non era il massimo, ma poco prima che arrivassi davanti casa mi accorsi di qualcosa di sospetto. Lasciai la moto in un vicolo lì vicino e mi avvicinai piano piano, senza farmi vedere.
C’era una macchina scura davanti casa. Il primo istinto fu quello di correre dentro e trovare mia nonna, poi mi accorsi che qualcuno stava uscendo da lì: erano Johnny e Sue.
E se avessero raccontato tutto a mia nonna? Non osavo immaginare la sua faccia inorridita.
La pioggia cessò lentamente di scendere.
Mia nonna uscì sul portico e disse qualcosa ai due. L’unica cosa che capii dal suo labiale fu di chiamarla se  mi avessero trovato.
Quando i due se ne andarono, una macchina appartata si parcheggio poco distante dalla casa e i due uomini dentro il veicolo erano muniti di binocolo. Era come se stessero tenendo sott’occhio la casa nel momento in cui fossi tornata.
Inveii di brutto.
Se non altro mia nonna non correva alcun pericolo. Ma dovevo almeno lasciargli i soldi per pagare le bollette del mese.
Dovevo ricorrere ai metodi da ladra che erano assopiti da qualche parte dentro me stessa.
Presi una strada secondaria e arrivai dietro casa, entrando attraverso il cancelletto del retro. Presi la scala e mi arrampicai fino ad arrivare allo scolo dell’acqua. Scavalcai e mi ritrovai davanti la finestra della mia camera. La sbloccai con l’aiuto di una forcina ed entrai dentro. Feci il minimo rumore, presi carta e penna e scrissi su un biglietto che i soldi nella busta servivano per pagare le bollette.
Uscii dalla mia camera e lasciai la busta sul comodino della stanza di mia nonna.
Tornai in camera, presi una zaino e lo riempii di vestiti, poi presi i soldi che stavo mettendo da parte per un eventuale moto nuova e me li infilai in tasca.
Uscii dalla finestra e la richiusi. Saltai giù dal tetto e corsi via.
Arrivai alla moto e mi accorsi che qualcosa non andava.
Un uomo dietro di me mi illuminò con una torcia e mi urlò di rimanere ferma.
Ma il mio spirito ribelle ebbe la meglio, sgommai con la moto e mi infilai nelle vie meno affollate di Manhattan.
L’auto scura che prima era parcheggiata fuori casa, adesso mi stava rincorrendo. Per un momento sentii anche degli spari. Mi girai per vedere quanto distanza ci separava e a mio malgrado vidi che mi stavano incollati al paraurti.
Svoltai per alcuni vicoli stretti, cercai di sorpassare chiunque, ma quelli mi stavano con il fiato sul collo.
Avevo imboccato un vicolo stretto e stavo per sbucare in una strada poco trafficata, quando un tir mi tagliò la strada. Sentii l’auto dietro di me stridere e frenare appena in tempo, ma io non ce la feci. Girai la moto, ma la ruota posteriore mi tradì e scivolai a terra. La moto passò sotto il tir e si fermò subito dopo. Io mi ero fermata nel punto sbagliato, le ruote del camion stavano per falciarmi, quando qualcosa dal colore azzurrino mi avvolse.
Chiusi gli occhi nell’attesa di morire.
Ma quando li riaprii vidi a poca distanza da me il tir che sbandava e due delle ruote posteriori squarciate. Intorno a me si era creato una specie di scudo di ghiaccio che mi aveva protetto.
Stavo per rialzarmi in piedi quando sentii qualcuno intimarmi di non muovermi.
Uno dei due uomini che mi inseguivano, era a pochi passi da me e impugnava una pistola.
“Sta ferma!” mi urlò.
“Cosa volete da me?” gli urlai.
“Metti le mani dietro la testa!” aggiunse.
Feci come mi aveva detto. Appoggiai lentamente le mani dietro la nuca e aspettai che l’uomo si avvicinasse di più.
“Lasciatemi in pace.” Dissi a denti stretti.
Una volta che fu a pochi centimetri da me, scattai in piedi e stesi le mani davanti a me. L’uomo non aveva neanche fatto in tempo a rialzare la pistola, che si ritrovò congelato.
Il suo compare dietro lo sportello dell’auto cominciò a spararmi contro. Mi riparai dietro alcuni secchioni dell’immondizia e appena quello finì le cartucce nella pistola, congelai lo sportello e con un calcio lo staccai dall’auto, facendolo volare lontano. Il tizio nel frattempo aveva perso la pistola e la cercava frettolosamente.
Una volta che mi parai davanti a lui, ingaggiai una lotta corpo a corpo. Ero una vera e propria schiappa a menare, ma era la forza di non arrendermi che mi dava la carica e la giusta grinta.
Con un calcio nei zebedei lo feci piegare in due e con una ginocchiata al mento lo atterai. La foga aveva preso il controllo di me e nella mia mano destra si era già formata una stalattite di ghiaccio.
Mi misi a cavalcioni del malcapitato, con una mano sul suo collo e l’altra alzata in aria con la stalattite, ero pronta a colpirlo.
“Non sono un esperimento!” gli urlai.
“Evelyn!” sentii urlare il mio nome.
Mi bloccai a metà strada, la punta della stalattite si poggiò lentamente sul petto dell’uomo a terra.
Alzai la testa e davanti a me apparve La Torcia. Subito dietro, comparvero Sue e Ben.
In men che non si dica, sopra la mia testa apparve un elicottero che mi puntava contro un faro e delle auto scure mi circondarono.
Perché riuscivo sempre a cacciarmi in situazione inverosimili?!
Tolsi la mano dalla gola del tizio e riassorbii la stalattite. Mi alzai in piedi e mi guardai attorno.
“Non si muova! Altrimenti agiremo di conseguenza!” dissero attraverso un auto parlante.
“No aspettate io…” mi mossi verso una delle auto.
Non l’avessi mai fatto: tutti gli agenti scaricarono le proprie pistole su di me.
“Noooo!” Sue urlò.
Fortuna che io ero stata più veloce di loro: due grandi scudi di ghiaccio mi avevano protetto, ma purtroppo avevano spedito indietro alcune pallottole.
Grazie al cielo gli agenti si erano riparati dietro le auto e nessuno era rimasto ferito.
Approfittai di quell’attimo di distrazione e corsi verso le automobili. Con un gesto fluido, congelai il tetto di alcune auto e ci scivolai sopra. Atterrai facendo una capriola e creai un muro di ghiaccio, per scongiurare qualsiasi attacco da parte loro. Corsi a perdi fiato, mi rifugiai in un vicolo cieco e salii sopra una vecchia scala di ferro, fino ad arrivare sopra al tetto del palazzo.
“Evelyn fermati!” mi urlò qualcuno alle mie spalle. Corsi fino a raggiungere il cornicione del palazzo, ma mi si parò davanti l’elicottero. Indietreggiai spaventata ed inciampai, cadendo a terra.
“Evelyn!” mi voltai e vidi Johnny corrermi vicino.
Ma qualcosa mi strinse forte, in una morse ferro. Era Reed che aveva allungato le braccia fino ad arrotolarle sul mio busto, imprigionandomi le braccia e impendendomi di muovermi.
“È per il tuo bene!” mi disse Johnny.
“Così non farai del male ad altre persone!” urlò Reed.
“Ma io non voglio far del male a nessuno!” urlai.
Le loro facce esterrefatte mi fecero capire che non avevano capito per niente con chi avevano a che fare.
Smisi di dimenarmi, mi abbandonai a terra scivolando sulle mie ginocchia.
“Io non voglio far del male a nessuno.” Dissi con le lacrime agli occhi.


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Buonasera :)
eccoci giunti al terzo capitolo! 
che ne dite? Vi sta piacendo l'andamento?
Ammetto di essere tragica, molto tragica e vi avviso: questa storia non andrà a finire bene... per niente. L'ho scritta con il punto fisso di farla finire in qualche modo drammatico.
La citazione sopra è tratta dalla canzone Not Afraid di Eminem.
Recensite e fatemi sapere!
See you soon,
Artemis Black

  
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