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Autore: Emera96    16/11/2012    5 recensioni
Un telefono che squilla.
Una brutta notizia che Elisa non è pronta a sostenere: suo nonno è stato vinto da una malattia che durava da troppo tempo.
In una notte in cui le parole non escono fuori, ecco che arrivano le note di un pianoforte.
Ogni nota, un ricordo.
- La musica esprime ciò che non può essere detto e su cui è impossibile rimanere in silenzio. -
cit. Victor Hugo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La musica esprime ciò che non può essere detto.






E' l'autunno che sta arrivando.
Sì, è quel periodo dell'anno in cui tutto è in cambiamento, in cui ogni colore sbiadisce, per dare spazio a un altro, più scuro, più tetro.
Quel periodo in cui puoi solo metterti da parte, e vedere tutto cambiare, tutto passare da un verde brillante a un rosso opaco, che scalda il cuore di gioia. E puoi solo aspettare che quella immensa tavolozza esaurisca i colori, osservando come tutto avviene.
Osservo la pioggia scendere incessante, goccia per goccia. Come milioni di minuscole mani che, invisibili, si trasformano in brividi, pronti a scivolare sulla schiena di chissà chi. Come fantasmi che ci stanno accanto tutta la vita senza nessuno se ne accorga e faccia problemi.
E sento una fitta, dolorosa quanto inaspettata, a livello delle tempie, chiedendomi il perchè di quel segnale improvviso.
Un brutto presentimento si fa largo nella mia mente, invadendola, rendendola scura. E' l'arrivo di mia madre ad interrompere il tutto.

- Elisa, potresti scendere in salotto? - mi chiede, la voce rotta, gli occhi gonfi.
- Che succede? - chiedo, timorosa della risposta.
- Preferisco che sia tuo padre a dirtelo. Ti aspettiamo giù. - risponde pacata, scendendo le scale che separano la mia camera dal resto della casa.

Scendo le scale, sperando silenziosamente in un pensiero sbagliato, in uno sbaglio che spero solo di aver fatto.
Ogni gradino è un peso che porto sulle spalle, ogni gradino è una parola non detta in un silenzio così teso che potresti affettarlo con un coltello.
E solo quando arrivo in salotto riesco a immaginare la gravità della situazione, che va oltre ogni presentimento.
Mio padre, ancora in giacca e cravatta, è seduto sul divano, le mani che massaggiano in piccoli movimenti circolari le tempie, le lacrime che, invisibili a chiunque ma appena visibili in controluce, solcano il viso di un uomo che, in sedici anni, non ho mai visto piangere davvero.
Queste non sono le lacrime per un film, non quelle che arrivano dopo una risata. Queste sono lacrime vere, che mi fanno davvero paura.

- Che è successo? - chiedo in un sussurro.
- Elisa, tuo nonno non c'è più. Ha avuto una brutta crisi e..non ce l'ha fatta. -

Vorrei urlare.
Vorrei dire che non è giusto.
Vorrei dire che è troppo presto.
Vorrei dire che non doveva succedere.
Vorrei dire che non ho potuto salutarlo.
Vorrei dire a mio padre che ci sono.
Vorrei dire scusa a mio nonno, per le cose non dette.
Vorrei dire milioni di cose, ma si bloccano tutte.
Formano un groppo in gola che non riesco a mandare giù.
E sento che ogni parola adesso sarebbe sbagliata da dire.

Impassibile, muta come un pesce, torno in camera.
Il pianoforte, attaccato alla parete, sembra quasi volermi chiamare in tutto quel silenzio che fa rumore.
E io ascolto il suo richiamo, in un accordo silenzioso che sembra mettere d'accordo entrambi.

E' incredibile come una piccola cosa possa dar vita a una così grande come la musica.
Come sette suoni, sette note, riescono a essere le fondamenta per intere canzoni o opere liriche.
E allora mi lascio trasportare da quelle sette minuscole note, trascinata dai ricordi che trafiggono il cuore come piccoli aghi.

Do.
Una nota profonda, che sembra far vibrare l'anima.
Una nota profonda per un ricordo profondo che a sua volta fa tremare le pareti delle case per la sua intensità.
E' tutto così vivido che mi sembra quasi di sentire l'odore penetrante dell'ospedale di Firenze, l'odore di pulito di quella stanza in cui tutto sembrava precipitare in un baratro scuro, in una strada che sbanda in un buco nero, nel quale entri senza mai tornare indietro. Senza una fine.

Era da tempo che la gamba era peggiorata, sapevo cosa stavo per succedere.
Ma quando, davanti a me, ho ritrovato mio nonno privo di una gamba, ho sentito le forze mancarmi.
Le gambe che cedono, mio padre che riesce a prendermi al volo, prima che, svenendo, possa sbattere la testa.

Re.
La seconda nota, il secondo gradino di una scala fin troppo conosciuta.
Un secondo ricordo, un ricordo allegro, che fa pizzicare i miei occhi di piccol perle salate, che iniziano a rigarmi il viso.
Io, appena dieci anni, emozionata per la mia festa di compleanno. E poi lui, forse l'ultimo anno di lucidità vera e propria.
E parliamo. Banale, scontato, noioso. Ma parliamo, e parliamo come non mai. 

Mi.
Terzo insignificante scalino, terzo passo da affrontare con quel groppo in gola che si sta alleggerendo.
Un pomeriggio qualunque, una bambina di pochi anni con dei capelli lunghissimi e biondi, come una cascata d'oro.
Una bambina..io. Una bambina che sorride, che scuote quella testa piena di capelli, come per vanto.
Una bambina di cinque o sei anni che sta passando un pomeriggio dai nonni perchè i genitori stanno lavorando.
Una bambina alla quale il nonno, scherzando, chiede se può dare un po' dei suoi splendidi capelli.
Una bambina che scherzando prende la sua treccia e la appoggia sulla testa del nonno, che sorride a sua volta.

Fa.
Ormai quella scala è a metà, ormai il groppo in gola potrebbe dissolversi con la forza di un sussulto.
Ma continuo, imperterrita, a farmi cullare da quel fiume in piena di ricordi, senza farmi spaventare da niente.
Quella bambina è ancora più piccola, un piccolo scricciolo biondo che saltella per tutta la casa, portando allegria.
E poi arriva quel nonno che sorrideva prendere e , mettendosi a gattoni, la fa salire sulle sue spalle.
Due generazioni diverse unite da un filo invisibile, da quel gesto naturale.

Sol.
Gli anni passano, le cose cambiano, ma stavolta i colori non sono partecipi.
Questa volta è altro a cambiare, a rendere tutto più difficile, distante.
Una malattia che sembra voler vincere. Una malattia che lo fa andare via.
Un periodo, lungo un anno e mezzo, in cui mio padre si chiude in sè stesso.
Un anno e mezzo in cui una visita dai nonni era concessa solo se fatta di nascosto.
Un anno e mezzo che non passava mai.

La.
Gli anni sono tredici, le cose non si possono più nascondere perchè 'ormai sei grande.'
E così sopporti tutto, in silenzio, perchè cedere sarebbe fatale.
Sopporti il fatto che il più delle volte lui non sappia chi sia.
Sopporti il fatto di vedere tuo padre chiedere chi sono, senza ottenere risposta.
Sopporti perchè devi sopportare.

Si.
E poi un ricordo, che nella sua amarezza contiene una dolcezza inaudita.
Mio padre che, scherzando, chiede le tabelline a nonno e lui che risponde, senza sbagliarne una.
Mio padre che gli chiede di quando ero piccolo, sentendo le sue risposte.
Mio padre che chiede a nonno chi sono, ottenendo un 'Ma come? E' mia nipote!' come risposta.
Con tanto di un bacio che posso ancora sentire sulla guancia.

Le note sono finite, il groppo in gola sembra essere sparito.
E adesso, sento che sono pronta a rendere queste parole vere, come quelle sette note, se scritte su uno spartito.
Lo faccio per lui. Per quell'uomo buono che solo adesso riesco a ringraziare, con il cuore pieno di ricordi.








Spazio autrice:
Per una persona speciale, mio nonno.
E per un'altra persona, altrettanto speciale.
Che mi ha spinto a mettere nero su bianco questo fiume di parole.

Grazie.

   
 
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