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Autore: NothingNeko    17/11/2012    0 recensioni
E' un'anima persa, solo un'ombra in grado di muoversi per conto suo in un mondo di persone capaci di sorridere e vivere di semplici cose.
Troppe domande, davvero poche le risposte.
Annullandosi alla vita è così, Andrew. Spento, vuoto, insignificante.
E se il Fato gli desse una seconda possibilità? Se qualcuno piombasse nella sua vita di punto in bianco? Un qualcuno completamente diverso da lui? Una persona vitale, energica, sorridente? Una persona che lui stesso non è in grado di “leggere”?
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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--- Note dell'autrice: Avevo già scritto e pubblicato il primo vero capitolo di questa storia ma dopo un attenta riflessione e revisione, ho deciso di riscriverlo da capo a coda cambiando tempi verbali e descrizioni in generale. Detta in tutta sincerità, quello pubblicato in precedenza era più una brutta copia, che il capitolo vero e proprio. Mi scuso quindi con chi abbia già letto quello pubblicato in precedenza. Mi scuso ancora, buona lettura! ---

 

 



Come se una volta sola non potesse bastare.
-Capitolo 1-



 

Settembre, ovunque, è sempre stata una stagione colma di leggere piogge autunnali e di folate di vento che poco alla volta, spogliano gli alberi dalle loro chiome fruscianti ormai ingiallite dal verde brillante della Primavera e dell'Estate. Il tutto accadeva anche nell'Est della Gran Bretagna, più precisamente a Brighton, una grossa città balneare affacciata sulla costa meridionale d'Inghilterra.
Una cosa particolare di Brighton, e più che prevedibile, era il vento capace di correre lungo la le spiagge e le colline senza riuscire a toccare l'affollata capitale inglese. Questo elemento della natura aveva fatto sì che in passato si usassero mulini a vento per la macinazione del grano in quello che inizialmente era solo un villaggio di pescatori.
Era proprio il vento ciò che Andrew preferiva di più della sua città natale.
Non era un tipo da sala giochi, non si muoveva in branco con un gruppo di amici nei dintorni del centro commerciale attorno alle viuzze labirintiche della Brighton Laines, non si incontrava nei pub con qualcuno, non partecipava ai party della notte di quella città gonfia di turisti. Niente di tutto ciò faceva parte della sua routine, del suo divertimento: Cos'era invece la cosa che lo attirava maggiormente era la sua solitudine, le camminate fatte in silenzio ascoltando le sagge scelte della riproduzione causale del lettore mp3 che teneva costantemente nella tasca della felpa accompagnato dalle note di chissà quale canzone, i suoi pensieri.

Nascosto sotto una felpa scura e pesante, amava camminare spinto dal vento lungo la costa, vedendo passanti, persone anziane, bambini, animali, negozianti, autobus, macchine. Il suo corpo smilzo e gracile non sopportava gli sbalzi di temperatura e tanto meno era in grado di reggere ad un freddo troppo pungente; per lui era sempre talmente facile prendere un raffreddore che bastava anche solo un bagno nella piscina della scuola per ritrovarsi con un febbrone da cavallo. Però guariva in fretta, unica cosa positiva della sua fragilità.
Incurante del freddo, uno sguardo sconsolato è il suo ogni volta che cammina a testa bassa cercando i perché e i quando delle sue domande, implorando silente una risposta dall'alto.
Troppe volte si chiedeva le ragioni della sua esistenza, il perché delle sue stesse domande.
E così, calandosi nella sua stessa ombra, i giorni erano finiti per diventare sempre più vuoti, privi di significato.
Era diventato difficile anche solo smettere di auto-annullarsi così, dando il valore di zero alla sua vita, alla sua personalità. Il difficile era accettare la vita, o provare, per lo meno, a viverla.
Ammaccato, sconsolato, debole e molliccio come un paguro senza conchiglia.
Un sospiro pesante, le cuffie nelle orecchie, un passo sconsolato e vuoto. Non alzò lo sguardo al cielo, non lo fece mettendo le mani in tasca, tanto meno quando alzò il volume della musica.
Si perse tra i suoi pensieri senza badare più al mondo e, come se una volta sola non potesse bastare, la storia si ripeté lontano dalle fredde colline innevate della Svizzera.
«O-Ohi! Tutto bene? »
Una voce già sentita, registrata, memorizzata.
Un brivido lungo la schiena lo colse di sorpresa, improvviso; alzò il naso al cielo, i ciuffi ribelli sugli occhi, una cuffia auricolare scivolò di sua iniziativa via dall'orecchio, cadendo e restando a penzoloni sul petto del ragazzo.
Quello che ebbe di fronte non fu altri che un ventenne alto quasi quanto suo fratello maggiore, di bell'aspetto, capelli castano chiaro, occhi verde-giallo e sorriso smagliante da pubblicità di dentifrici.
Gli diede uno strano effetto rivedere quella faccia senza gli occhialoni da scii, la tuta e tutto il resto. Tempo addietro, infatti, con tutta quella roba addosso gli sembrò solo più grosso e pesante, mentre quello che gli si si parò dinanzi in quel momento fu un giovane alto, magro e dalla massa muscolare non troppo esagerata.
E dire che al momento dell'impatto gli era parso pesasse un quintale.
«...»
Il più alto si grattò la testa, sorrise, si guardò attorno, si scusò, sorrise di nuovo, di nuovo si scusò.
Non poté non riconoscerlo avendo memorizzato quel sorriso nella sua testa, avendolo etichettato come qualcosa di “fastidiosamente molesto”.

«Ti sei fatto male? Ti senti bene?»

Il moro lo fissò in silenzio, uno sguardo vuoto e apatico come quelli delle bambole di porcellana aspettando solo che questo si zittisca e si calmi.
«Ti chiedo sc-»
«Non è niente, colpa mia.»
L'aria fredda da Ovest non si fece avanti brusca e improvvisa, ma bensì calma, quasi triste, dannatamente leggera mentre scompigliò appena le ciocche sul viso del moro, scoprendogli gli occhi grigi, riportandoli nell'ombra poco dopo.
Socchiuse gli occhi scostandosi, allora, con un cenno di capo. Avanzò lateralmente due passi e poi dritto, facendo finta che nulla fosse mai accaduto nella vaga speranza di non essere stato riconosciuto.
«Andrew?»
Una nota incerta fu inizialmente quella dell'altro prima di mostrare nuovamente quel sorriso raggiante.
Fregato.
«...Presente.»
«Ah....AH!! Quanto tempo! Ti ricordi di me? Sono Asher, ci siamo incontrati in Svizzera, hai presente? Ahahah che piacere rivederti! »
Troppo entusiasmo paragonato al silenzio del più basso. Davvero troppo.
Era poi stato difficile anche solo di pensare come quella vacanza in Svizzera fosse stata rovinata così, dal secondo giorno, almeno per lui. Dimenticare quel tipo poi, impossibile: Nome particolare, primo incontro altrettanto particolare, cuffie del lettore mp3 distrutte per via dell'impatto, lividi per due settimane e una fascia al braccio per una.
«Sì, mi ricordo di te. Piacere di averti rivisto, scusa il disturb-»
Tentò di fuggire, un'altra volta, ma nulla da fare.
«No, no, no! Ora lascia che ti offra qualcosa che l'ultima volta non ci siamo potuti salutare come si deve!»
«...»
Sospirò rassegnato quasi brontolando, prima di essere trascinato con entusiasmo dal più alto in chissà quale bar o pub della città.
Non ci voleva.
 

  
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