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Autore: Soul Sister    17/11/2012    2 recensioni
L'Honesty bar: un posto tranquillo, nella periferia di Lima, un locale dove gli amanti della musica si ritrovano e passano le serate ad esibirsi sul palco. Ha un che di magico, capace di farti dimenticare per un po' le preoccupazioni.
Kurt e Blaine amano andarci; entrambi sentono il bisogno di essere loro stessi per qualche ora, lontano da giocatori di football omofobi o da genitori che li preferirebbero malati piuttosto che gay.
Ed è lì, all'Honesty, che Kurt e Blaine s'incontrano.
E se questo angolo di paradiso dovesse essere chiuso?
E se, per trovare il paradiso, bastasse essere insieme?
Estratto del capitolo X: «Gli devo molto»
Anderson alzò un sopracciglio, osservando curioso Kurt e facendogli una muta richiesta di proseguire. Le labbra del controtenore si sollevarono appena, in un sorrisetto adorabile.
«Mi ha dato la possibilità di conoscerti»
Il cuore di Blaine si fermò. Ma non sapeva se era per la frase, o anche per quanto stupendo era Kurt quando arrossiva- forse per entrambi. Ci impiegò qualche secondo, per realizzare le parole; e quando lo fece, si ritrovò a cercare lo sguardo di Kurt e a sorridergli.
«Oh, io non gli devo molto: gli devo praticamente tutto. »
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12
Explanations
Blaine si diede un’ultima occhiata allo specchio, prima di decretare che sì, così poteva andare. Effettivamente, era impeccabile: la divisa ben stirata gli calzava addosso senza una piega, i capelli erano ben fissati col gel, e si era perfino spruzzato un po’ del profumo che i suoi gli avevano regalato a Natale.
Non sembrava nemmeno che, in quel momento, si sentisse come se stesse per andare al patibolo: al solito, aveva già cominciato ad assumere la sua espressione pacata e neutra che nascondeva il suo reale sconforto e quella rabbia mai sfogata. Avrebbe continuato con la solita farsa del figlio felice d’incontrare i suoi genitori, con la bugia della famiglia unita e solidale – anche se faceva male. Eppure, erano anni che andava avanti così: avrebbe dovuto avere il callo, ormai.
Invece vedere i suoi genitori era sempre un pugno allo stomaco. Per quanto ad occhi esterni potessero sembrare una bella famiglia, gli Anderson non erano di certo tali: era solo un continuo fingere di essere persone che non erano per preservare la reputazione.
E Blaine ne era stanco.
Un sospiro, l’ennesima sistemata al nodo della cravatta bicolore della Dalton, e poi uscì dalla sua stanza, richiudendosi la porta alle spalle e avviandosi verso l’atrio della scuola.
Blaine aveva sempre amato la Dalton Academy: nonostante ci fossero un sacco di figli di papà e un massacrante piano di studi, lì aveva trovato una seconda casa, una sorta di rifugio dalla sua famiglia –che di certo non brillava per la comprensione e l’affetto. Ne amava il profumo di importanza e di vissuto, adorava i suoi compagni, e quei corridoi, al ritorno delle vacanze, sembravano delle oasi nel deserto ai suoi occhi.
Eccetto in quel momento –e ad ogni visita dei genitori-, perché improvvisamente la sua mente li recepiva come la via diretta verso il rogo. E sì, era un po’ esagerato, ma Blaine si sentiva esattamente così. Il battito del suo cuore man mano aumentava, e gli rimbombava nelle orecchie quasi quanto il rumore dei suoi passi.
E poi, eccolo lì, il suo posato ed elegante carnefice: Anderson Senior, nel suo elegante completo grigio fumo, lo fissava con la solita espressione severa e altezzosa.
Blaine deglutì a vuoto: odiava il modo in cui suo padre lo faceva sentire. In quel momento, avrebbe tanto voluto accanto a sé Kurt. Lui l’avrebbe sorretto. Gli avrebbe dato coraggio.
“Blaine.” Lo salutò, senza quasi dargli troppa importanza. Blaine si sforzò di sorridere.
Chiunque avrebbe capito quanto fosse teso..chiunque avesse voluto notarlo, ovviamente. Suo padre di certo non era l’esemplare di uomo che guardava negli occhi le persone per leggerne reazioni e sentimenti.
Mr. Anderson non gli sorrise indietro: la sua espressione rimase seria e piatta come la morte, ma Blaine non se ne stupì più di tanto, anche se di solito suo padre fingeva un po’ meglio, in quel teatrino della famiglia felice.
Blaine si chiese se quella sceneggiata sarebbe andata avanti anche dopo il suo coming out, o se –con molta più praticità- l’avrebbe sbattuto in mezzo alla strada come il più pezzente dei reietti.
“Papà” salutò Blaine, educato e composto.
“Tesoro!” Sua madre, invece, con enorme sorpresa, gli si gettò al collo, facendolo addirittura sbilanciare.
Blaine rimase letteralmente spiazzato da quel gesto. Sua madre di solito non si lasciava andare in segni d’affetto così palesi, non in un luoghi pubblici, almeno. Che gli fosse mancato realmente? Blaine lo sperava con tutto sé stesso.
“Tesoro, come stai?”chiese, scoccandogli un bacio sulla guancia.
Blaine non poté che alzare un sopracciglio –perplesso- quando sua madre ridacchiò, pulendogli la guancia con dolcezza: “Che sbadata, ti ho lasciato il segno, scusa—“
“Katherine, per piacere”
Il tono freddo e palesemente contrariato di suo padre fece irrigidire sua madre, che si voltò verso di lui con un cipiglio irritato.
“Per piacere tu, George. Non vedo mio figlio da Natale, permettimi di salutarlo come si deve.” Rispose, secca.
Blaine, dal canto suo, rimase colpito dalle parole di sua madre, e soprattutto dal suo tono; non voleva dire di essere felice che sua madre avesse risposto a suo padre, finalmente, però doveva ammettere che era stato un bel colpo. Un piacevole colpo. Non capitava spesso che qualcuno tenesse testa a George Cooper Anderson. E soprattutto, perché sua madre sembrava davvero felice di vederlo.
Non sapeva cosa si fosse perso in quei tre mesi –non che a Natale fosse stato molto presente in casa, per analizzare la sua situazione famigliare-, ma di sicuro qualcosa era cambiato: poteva percepirlo. E, se il suo sesto senso non lo ingannava, non era esattamente qualcosa di bello.
Anderson Senior alzò le sopracciglia e li fissò come se stesse guardando qualcosa di non troppo importante.
“Bando a questi futili convenevoli, vorrei un caffè.” disse, cominciando ad avviarsi verso la caffetteria per conto suo, con la familiarità di chi ha passato la sua adolescenza in quel posto.
Sua madre gli posò una mano sulla spalla, e gli fece cenno di seguirlo. Solo in quel momento Blaine trovò il coraggio di parlare ancora.
“Che gli prende?” domandò, perplesso, facendo un gesto col capo in direzione di suo padre, un attimo prima che voltasse l’angolo.
Katherine sospirò, mentre si avviavano per i corridoi. “Sono venuta a vederti alla cara di canto corale” ammise, lasciando letteralmente Blaine a bocca aperta. Sinceramente, non sapeva nemmeno che suo padre le avesse riferito che suo figlio faceva parte di un coro di gay.
“T-tu..cosa?! Pensavo che--”
“Zitto! Lasciami spiegare!” lo interruppe sua madre, per poi abbassare il capo quasi mortificata. “Al contrario di quanto tu possa pensare, io m’informo di ciò che fai, Blaine. E non sono sempre d’accordo con le idee di tuo padre. Quando ho saputo che eri il solista del gruppo, non ho potuto non venire.” Alzò lo sguardo per puntarlo nel suo e sorridergli con affetto. Blaine si stupì dell’orgoglio che lesse nei suoi occhi dorati –proprio come i suoi. “Sei stato incredibile, tesoro. Hai un talento immenso, e quando ti ho visto su quel palco non sono mai stata più felice del fatto che tu abbia disobbedito a tuo padre.
“Anche se purtroppo, quando l’ha scoperto si è infuriato. Sai quanto è testardo e cosa pensa dell’arte e della musica: non ha voluto sentire ragioni”
“E quindi ora ti tratta così perché mi hai sostenuto?” chiese sbalordito Blaine.
Sua madre scosse la testa, severamente. “No, non è solo per quello. Da un po’ le cose tra me e tuo padre non vanno molto bene.”
Blaine aggrottò le sopracciglia. “Ma a Natale era tutto apposto. Cioè, voglio dire..”
Sua madre sorrise mestamente: “Siamo dei bravi attori, tesoro. Con tutta la gente che girava per casa a Natale credi davvero che tuo padre avrebbe fatto trapelare che qualcosa tra me e lui non andava?”
Nonostante quella risposta l’avesse lasciato di stucco, Blaine ammise a sé stesso che sua madre aveva ragione: suo padre, pur di mantenere la facciata da buon padre di famiglia e ottimo marito tra colleghi e amici, avrebbe fatto tranquillamente finta di niente.
Sua madre gli prese la mano. “È da quando ci hai detto di essere confuso che le cose tra noi si sono incrinate.”
Il cuore di Blaine perse un battito, all’udire quelle parole. Cos’avrebbe detto, sua madre, se gli avesse rivelato di essere gay? Cosa ne sarebbe stato della sua famiglia, dopo un suo futuro coming out? Già il pensiero di aver rovinato ciò che c’era tra i suoi lo lasciava piuttosto amareggiato e coi sensi di colpa.
Katherine lesse senza fatica i pensieri del figlio guardandolo semplicemente in faccia: il suo cuore si strinse un poco, un po’ perché non poteva sopportare quell’espressione colpevole e afflitta sul suo viso, un po’ perché, dopo tutto quel tempo in cui erano stati lontani, ancora riusciva a capire il suo bambino.
“Non pensare che sia colpa tua” chiarì, stringendogli forte la mano, “E’ una questione tra me e tuo padre.”
Blaine si ritrovò a fronteggiare sua madre, occhi negli occhi. “Blaine, lo so che sono stata una madre distante. So che avrei dovuto difenderti e proteggerti, e starti vicino quanto ti sentivi confuso. Posso solo immaginare quanto sia stato difficile per te quel momento. E voglio chiederti scusa, se sono riuscita a dirtelo solo ora.”
“Quando ci hai detto che forse eri gay, e tuo padre si è infuriato e ti ha dato quello schiaffo, una parte di me si è spezzata. Sei corso dai Duval, mentre io avrei voluto e dovuto seguirti e dirti che andava tutto bene. Che ti accettavo. Ma non l’ho fatto e me ne pento tutti i giorni, perché poi hai cominciato ad allontanarti. Quando venivi a casa quelle poche settimane d’estate prima di partire con il tuo amico Nick eri distante. Hai cominciato a mentirci, e a tenerci nascoste le cose. Tuo padre non se ne sarà accorto, ma io non sono stupida, Blaine. Non mi serve una conferma per sapere che non c’è mai stata nessuna ragazza.”
Blaine si sentì arrossire per l’imbarazzo, soprattutto per l’occhiata cosciente e furba di sua madre; non pensava fosse così attenta, né che riuscisse a capirlo così bene. Si era sbagliato su tutti i fronti, nei suoi riguardi.
“Con tuo padre forse questa farsa andrà avanti, ma con me puoi essere sincero. Davvero. Ti ho perso, Blaine, e non sai quanto rivorrei indietro il mio bambino.”
Non appena disse quelle parole, con la voce spezzata dal pianto, per Blaine fu automatico abbracciarla forte. Anche lei gli mancava terribilmente. Sapere che per tutto quel tempo erano stati così distanti un po’ anche per colpa sua lo mortificava da morire.
Se ci pensava, Blaine poteva ricordare qualche tentativo di approccio di sua madre; ma lui era sempre schivo e sfuggente: effettivamente, se fosse stato in sua madre, si sarebbe demoralizzato, vedendo il proprio figlio scappare ogni volta che tentava di parlargli.
In quel momento, ringraziava mentalmente il datore di lavoro di sua madre per averle lasciato il giorno libero proprio per l’open day della Dalton, altrimenti chissà quanto avrebbero potuto parlare. Di solito lei era sempre occupa in quell’occasione, e a trovarlo venivano o i suoi maggiordomi, o suo padre –giusto perché doveva parlare con il preside, suo amico di vecchia data.
“Mi dispiace così tanto, Blaine..così tanto..” Blaine allentò la stretta e le rivolse un piccolo sorriso. Non poteva dire che tutto ora fosse a posto, né perdonarle subito il suo essere stata assente, ma almeno si stavano riavvicinando. Sapere che sua madre lo avrebbe amato sempre e comunque –perché ormai aveva capito – gli alleggeriva quel peso sul cuore che a volte diventava davvero troppo faticoso da portare.
Katherine tirò fuori velocemente un pacchetto di fazzoletti dalla borsa, si soffiò il naso e asciugò le lacrime scappate a tradimento. “Come vado?” domandò a Blaine, che le sorrise con dolcezza e alzò i pollici: “Uno splendore”.
Sua madre ridacchiò, prendendolo sotto braccio e ricominciando a camminare verso la caffetteria della Dalton.
Quando ci arrivarono, tra una chiacchiera più leggera e l’altra- Anderson Senior era già seduto ad un tavolo, un caffè fumante in mano e gli occhi puntati sul suo cellulare –probabilmente sulle ultime news riguardo borsa e finanza.
Come lui li ignorava, anche Blaine e Katherine decisero di proseguire con i loro discorsi; Blaine le aveva raccontato un po’ di come andava a scuola, dei suoi amici, di come si trovasse bene nei Warbler. E lei, dal canto suo, non poteva che essere sinceramente contenta del fatto che suo figlio stesse bene lì.
“E stasera? È sabato, cosa pensi di fare?” domandò sua madre. Blaine esitò: avrebbe voluto raccontarle di Kurt, ma c’era lì suo padre, e se avesse detto qualcosa di troppo probabilmente si sarebbe scatenato il finimondo.
Così, optò per una mezza verità, sperando che Katherine leggesse tra le righe. “Esco con un amico” disse, sentendo comunque le guance arrossarsi. “Il mio migliore amico.”
Sua madre alzò un sopracciglio e lo osservò attentamente. “Non è Nick Duval?”
Blaine negò lentamente. “No. Cioè, sì, Nick è il mio migliore amico. Ma stasera esco con..Kurt. Non è della Dalton, però abita qui vicino, a Lima”
Sua madre annuì, e stava per porre una nuova domanda, quando suo padre la precedette. “E la ragazza, Blaine? Non dovresti uscire con lei?”
“Non sono fidanzato, papà”
Mr. Anderson alzò un sopracciglio, e fece per ribattere qualcosa, ma Katherine s’intromise nel discorso, portandolo in una direzione diversa: “Blaine,tesoro, mi vai a prendere un cappuccino, per piacere?”
Blaine le lanciò uno sguardo pieno di gratitudine, mentre si alzava e si avviava al bancone.
*
“Ma ne siete sicure?”
“Kurt, non preoccuparti! Il pigiama party possiamo farlo comunque, ti aspettiamo alzate io e Rachel, ne abbiamo già parlato. Vai a cena, e poi vieni da noi!” insistette Mercedes, concitata.
“Okay..ma ne siete sicure? Non è che ve la siete presa? Io non voglio litigare con voi.”
“Kurt. Se fossimo arrabbiate con te avremmo annullato il pigiama-party, non credi?” incalzò la ragazza, quasi esasperata.
“Va bene, va bene.. grazie, comunque”
“Figurati, tesoro. Un bacio, a stasera!”
Mercedes non aspettò che Kurt le rispondesse, e riattaccò velocemente. Posò con calcolata lentezza il telefonino sul tavolo, e rivolse ai quattro ragazzi di fronte a lei un sorriso furbo e malizioso.
“Okay. Siamo ufficialmente a conoscenza dei progetti della Klaine. La riunione può cominciare.”
Flint, Nick, Jeff e Rachel ricambiarono il sorriso. “Perfetto.”
*
Burt stava passando davanti alla porta della camera di Kurt, un tramezzino in una mano e l’altra ficcata nella tasca dei jeans sgualciti, quando una camicia da circa 100 dollari –considerando che era di suo figlio,il quale non aveva mezze misure con i prezzi dei suoi vestiti- gli arrivò davanti ai piedi.
Con un’espressione perplessa stampata in faccia, si affacciò nella stanza di Kurt per chiedergli cosa stesse combinando; riuscì a evitare una scarpata in pieno viso solo grazie ai suoi riflessi da ex giocatore di football.
“Kurt!” esclamò, sputacchiando quel che rimaneva del tramezzino appena messo in bocca. “Quei vestiti mi costano un occhio della test— “
Il ragazzo si voltò verso di lui, il viso completamente stravolto; con i capelli spettinati e sparati da tutte le parti, le guance rosse e gli occhi spalancati, a Burt il figlio sembrava fuori di sé, e il resto della frase gli morì in gola.
“Tutto okay?” chiese, cauto.
Kurt cambiò improvvisamente espressione, e da pazzo serial killer, diventò la copia sputata di un cucciolo abbandonato in mezzo alla strada durante una tempesta.
Si accasciò sul letto con aria afflitta e si prese la testa tra le mani. “Non so cosa mettermi!”
Burt alzò gli occhi al cielo. “Mi sembra di averti lasciato la mia carta di credito l’altro giorno. Avrai svaligiato venti negozi come minimo, e non hai niente di tuo gradimento?”
Kurt gli scoccò un’occhiataccia. “Tu non fai testo, papà.” Sibilò, saltando nuovamente in piedi e riprendendo ad esaminare vestito per vestito, alla ricerca dell’outfit perfetto.
Un sorriso gli spuntò automaticamente sulle labbra: gli sembrava di essere tornato al periodo dell’Honesty, quando tutti venerdì si trovava esattamente in quella situazione, alla ricerca disperata di un abbigliamento adatto per la serata.
Al periodo in cui aveva conosciuto Blaine: non era passato tanto, eppure gli sembrava che fossero amici da una vita.
“Continuo a non capire perché tanta agitazione. Dove devi andare?”
“Cena e pigiama-party con Cedes e Rachel.” Rispose con noncuranza. “Uh, magari questo..”
Burt sospirò frustrato e fece spallucce. “Non capirò mai queste cose! Mi arrendo!”
“Ben detto, pa’!” concordò Kurt con una risatina, mentre il padre scuoteva la testa e usciva dalla sua stanza.
Mezz’ora dopo, scelti i vestiti, Kurt si concesse una rilassante doccia calda; sprecò una ventina di minuti buoni per il suo rituale d’idratazione dalla pelle, e si prese tutto il tempo che gli serviva per dare una forma ordinata ai propri capelli.
Voleva essere impeccabile, ma in quel momento impiegò ancora più attenzione ai piccoli dettagli in modo da non concentrarsi troppo sul fatto che quell’uscita con Blaine sembrava un appuntamento; il suo primo appuntamento con un ragazzo, tra l’altro. Certo, Kurt era consapevole che per Blaine non lo fosse, ma lui non riusciva a non farsi pippe mentali degne di una tredicenne alla sua prima cotta.
Era inevitabile, anche perché effettivamente, Blaine lo faceva sentire proprio come un tredicenne che sognava ad occhi aperti, nonostante cercasse in tutti i modi di darsi un contegno, oltre che ripetersi di non lasciarsi coinvolgere troppo da quei sentimenti. Non voleva ricadere nel vortice di illusioni in cui era stato risucchiato con Finn e Sam, perché sapeva che stavolta sarebbe stato anche peggio: Blaine era una persona speciale, la persona più speciale che avesse mai incontrato; l’effetto che stava facendo sul suo cuore era decisamente più forte di qualsiasi brivido o sfarfallio nello stomaco gli avesse provocato il suo fratellastro. E ciò che c’era tra di loro, qualunque cosa fosse, era bella, anche se Kurt non aveva intenzione di vederla più di una splendida amicizia. Il fatto che il suo cuore si sentisse decisamente stretto in quei panni era solo uno stupido dettaglio.
Alle sette e venti, nonostante fosse in anticipo, decretò fosse ora di uscire. Salutò suo padre e Carole con un bacio sulla guancia, e fece un cenno a Finn, troppo impegnato ad ingozzarsi con le patatine sul tappeto del salotto.
“Torno verso le undici a prendere il cambio, prima io e le ragazze andiamo a mangiare fuori. Non mi porto dietro il borsone, ovviamente.” Spiegò a Carole, mentre si sistemava ancora la sciarpa.
Carole annuì, e lo guardò di sottecchi, mentre con le guance rosse per l’agitazione cercava di sistemarsi alla bell’e meglio. Kurt cercò di non darle troppa corda; già era agitato per l’arrivo imminente di Blaine, non voleva preoccuparsi del fatto che la sua matrigna era sufficientemente furba da capire che era troppo in tiro e troppo impaziente, perché stesse per uscire con le sue migliori amiche.
“State attenti, mi raccomando” disse Burt, arrivando alle spalle della moglie e abbracciandola da dietro.
Kurt alzò gli occhi al cielo. “Papà..”
“Ok,ok! Divertitevi!”
“Salutamfi Fachel!” sputacchiò Finn dal tappeto, e Kurt gli annuì in risposta.
“Va bene, io vado. Ciao ciao!” esclamò, prima di uscire definitivamente dalla porta.
Appena se la richiuse alle spalle, si prese un momento per prendere un bel respiro, prima di avviarsi fuori dal cancelletto, e verso la fine della via, dove Blaine avrebbe sostato per prenderlo su.
Dato che mancavano ancora una manciata di minuti, Kurt pensava di aver ancora tempo per ripetersi circa una decina di volte di non farsi troppi filmini; il fatto che Blaine fosse già lì, in realtà da un po’, quasi fece stramazzare il suo cuore.
Quando fu a qualche passo dal SUV di Blaine, questi aprì la portiera e scese.
Essendo inverno, a quell’ora c’era buio come se fosse mezzanotte, eppure il sorriso che Blaine gli rivolse in quel momento ebbe il potere di illuminargli il viso e tutto ciò che gli stava intorno.
Con quello spesso giubbotto, la sciarpa di lana pesante nella quale tornò a infossare il viso, e il tenero berretto con il pon-pon lo fece sembrare ancora più bello agli occhi di Kurt, che si dovette trattenere dal sospirare come un idiota.
“Ciao”
“Ciao” rispose Blaine, avvicinandosi a lui. “Com’è andata la giornata?”
“Bene, sì..bene. Tu?”
“Bene, bene anch’io, sì..uhm..”
La situazione sfiorava l’assurdo: non era la prima volta che uscivano insieme, eppure quella sera sembravano entrambi profondamente imbarazzati. Kurt sapeva che lo era a causa dei suoi pensieri inopportuni riguardo quella sottospecie di appuntamento; quello che non sapeva, era che per Blaine era la stessa identica cosa.
I due si guardarono negli occhi per un attimo; poi Blaine sorrise –in un modo talmente adorabile che fece quasi male al cuore di Kurt – e scosse appena la testa.
“Siamo due idioti.” Commentò.
Kurt ridacchiò, ora leggermente più rilassato. “Già…che dici, andiamo? Così non stiamo impalati come degli stoccafissi in mezzo alla strada al freddo.”
Blaine gli fece strada, e gli aprì galantemente la portiera, facendo un piccolo inchino. “Sir.
Kurt ridacchiò apertamente. “Grazie, caro”
Nonostante il precedente momento d’imbarazzo, dal momento in cui le portiere dell’auto si chiusero e Blaine partì verso il Bel Grissino, tutta la tensione di prima sembrò essere completamente sparita.
Cominciarono a parlare delle loro cose, e continuarono fino al locale; si interruppero solo quella manciata di istanti in cui la cameriera indicò loro il posto dove sedersi, e quando la stessa ragazza tornò a prendere le ordinazioni pochi minuti dopo, si ritrovò coinvolta in un botta e risposta tra i due ragazzi, che riuscirono a trovare il modo di divertirsi anche parlando della pasta italiana.
Mentre si mangiavano i loro piatti di carbonara, trovarono il tempo di parlare di musica, di Vogue, e delle Provinciali; dal momento che non era un appuntamento, ognuno si pagò la propria cena, ma entrambi pensarono che se l’altro avesse proposto l’idea, si sarebbe opposto dicendo che avrebbe pagato lui.
“Ora che facciamo?” domandò Blaine, infilando le mani nelle tasche del giubbotto per ripararle dal freddo.
Kurt scrollò le spalle. “Io ho detto ai miei che sarei passato a casa per le undici, prima di andare da Rachel e Mercedes.”
L’altro gli rivolse un grande sorriso. “Molto bene, abbiamo ancora due ore per scoprire i pro e i contro di Lady Gaga”
“Non avrei mai creduto che fossi così testardo, Anderson.”
“Ci sono un sacco di cose che non sai di me, Hummel” ribatté Blaine, con un occhiolino.
Un sacco di cose che vorrei farti conoscere.
*
“..ragazzi, siamo sicuri di volerlo fare?”
“Jeff, hai intenzione di tirarti indietro?” sillabò Flint, voltandosi verso di lui con un cipiglio serio.
“E’ che mi sembra di essere uno stalker. Non stiamo violando la privacy di Blaine?”
“Sciocchezze.” Concluse Nick, mentre Flint annuiva. “La riuscita della Klaine dipende da noi, Sterling.”
“Ed ora metti in moto e portaci a Lima, Rachel e Mercedes ci aspettano.”
Jeff stava per accendere l’auto, quando un bussare lieve al finestrino li fece pietrificare all’istante.
Quando si voltarono, trovarono il cipiglio serio di Wes, che fece capire immediatamente ai ragazzi di essere semplicemente..fottuti. Loro, e pure Blaine, che se ne stava ignaro a vomitare arcobaleni insieme a Kurt.
Wes fece loro segno di scendere. Come dei bravi soldatini, silenziosi e composti, uscirono dall’auto di Jeff e si schierarono composti davanti al capo del consiglio dei Warblers.
“Allora..” incalzò il ragazzo asiatico, camminando avanti e indietro e squadrandoli attentamente. “Cos’è che dovete fare a Lima senza il permesso del preside?”
***
Holy crap!
No,scusate, ci stava. E' tipo passata una vita da quando ho aggiornato l'ultima volta. Sono un essere abominevole, e francamente non mi stupirei se la gente si è dimenticata di questa storia. Che poi, chi si ricorda e legge questo capitolo mi manderà a cagare, ne sono sicura. Perché effettivamente è una merdina. A parte la parte con la mamma di Blaine, non c'è nulla di eclatante. Ho deciso che il momento clou della Klaine lo sposto al prossimo capitolo, che spero di scrivere il prima possibile. u.u
Dunque..beh, io ringrazio chi ha letto lo scorso capitolo. Non ho nemmeno finito di scrivere le risposte, sono proprio una merda. Adesso rimedio. u.u Anyway, sto aspettando che l'amministrazione mi cambi nickname, quindi se tutto d'un tratto non mi trovate più, è perché mi chiamo Chuzzah, e non più Soul Sister. E se cliccate sul nome, comparirete sul mio account autrice di facebook, dove potete insultarmi, se volete. Vabbè, ora volo via. Un bacio :* e scusate ancora!
  
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