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Autore: talpy    04/06/2007    2 recensioni
Non so veramente da dove mi sia uscita questa breve storia. è parecchio introversa, parla di Draco e di cosa potrebbe pensare riguardo la sua vita. spero l'apprezzerete, anche se non è particolarmente allegra. Breve, e appena intuibile, accenno al pairing Draco Ginny. che dire, spero vi piaccia! bacio talpy
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tu ti ricordi quando hai voluto esistere?
Il momento esatto in cui hai espresso il desiderio di piangere, ridere, odiare, amare, respirare, vivere?
Se sì, sei fortunato amico.
Perché io non me lo ricordo. Non ricordo il momento in cui volli esistere, ne il momento in cui iniziai a farlo.
Non lo ricordo, così come non ricordo i primi anni della mia vita.
I miei primi ricordi sono una nebulosa unione di frammenti di occhiate, odori, suoni, ammassati confusamente in un angolo della mia mente.
Solo concentrandomi a fondo riesco a estorcere alla mia memoria di diciassettenne un misero frammento della mia vita, della mia esistenza, all’età di 4 anni.
Io, steso scompostamente sul prato di casa, perfettamente curato, la cui corta erba mi faceva il solletico sulla schiena.
Il profumo dei fiori e il suono melodioso degli uccelli mi riempiva la testa; io cercavo stupidamente di catturare una farfalla che mi svolazzava intorno.
Poi un’ombra aveva oscurato la luce che mi investiva. Ricordo di aver provato un gelido terrore.
Poi una voce secca, dura, inflessibile, aveva dato un ordine. Non ricordo esattamente quale, ma, supponendo che l’individuo in questione fosse mio padre, potrei ipotizzare che mi rimproverò per essere uscito al sole, aver giocato come un normale bambino di 4 anni ed essermi divertito in un modo così…babbano.
Non me ne stupirei affatto visto che scene simili si ripeterono più o meno per tutta la mia infanzia.
Per la mia adolescenza.
Per tutta la mia dannatissima vita.
A volte mi chiedo se io, tu, noi, tutti, non siamo forse il sogno di qualcuno che si è dimenticato di svegliarsi.
A volte, troppe volte, desidero che quel misterioso qualcuno si svegli.
Cupi pensieri per un diciassettenne dirai.
No, non troppo cupi, solo cinici. Ho imparato presto a capire che un essere umano non può decidere di esistere. No, non può, semplicemente perché è nella sua natura desiderarlo: infatti, come è sua natura, l’essere umano è curioso, tremendamente curioso, forse troppo.
Decisamente troppo. La storia lo insegna: noi, stupidi burattini del destino, o come preferisco dire io, della nostra volontà incensurata, ci spingiamo sempre troppo in là.
Troppo in là per i nostri limitati orizzonti.
Quegli stessi orizzonti che dividono il sogno dalla realtà, il quando si desidera qualcosa dal momento in cui questo si avvera.
Ci spingiamo troppo, troppo in là.
Talmente avanti che ad un certo punto sbattiamo la nostra faccia sulla realtà.
Fa male, certo, ma nel momento in cui ti volti indietro, ti rendi conto di ciò che hai fatto, il tuo volto non ha più quella faccia sognante che avevi a 4 anni.
Disillusione è ciò che esprime.
Alcuni dicono che per arrivare a questo punto basta leggere, conoscere, sapere.
Fortunati se ci sono arrivati così.
Io ho affrontato la via più dura: la vita, non la teoria.
Certo, ho letto, ho seguito passo passo la letteratura, la storia, la poesia. Tutto.
E, seppur ne convenga con i letterati sul fatto che trovando in un testo il tema del viaggio del protagonista, di un rapporto amore odio, non nego di emozionarmi ogni volta.
Mentre nella vita è diverso.
Nella vita non mi stupisco più di niente.
Ho scelto di vivere, certo, ma non posso scegliere di morire.
È contro la mia natura.
E non perché sono un vigliacco, forse lo sono dopotutto, ma tu vorresti davvero morire?
Pur subendo questo mio destino, questo incrociarsi della mia volontà con volontà ben più grandi, che non mi lasciano scelta, non ci riesco, non rinuncio a qualche nota di pianoforte suonata nel silenzio, né al colore delle pagine di un libro alla luce di una candela, né all’odore del pane appena sfornato, né a quel brivido che ti percorre quando ti svegli, né a un ricciolo rosso che si libera dalla mia dolce presa.
Né a tutto il resto.
Chiamami pure vigliacco ora, se credi che tu saresti capace di rinunciare a tutto questo.
È questo mio continuo attaccarmi ad un fioco sospiro, ad un petto che si alza e si abbassa in modo irregolare, che mi impedisce di oppormi, di combattere, di morire.
E ritorniamo al punto di partenza.
Ti ricordi quando hai voluto esistere?
Io vorrei potermelo ricordare, quel frammento di secondo in cui io, con la mia stupida volontà, con la stupida curiosità di sapere cosa si provava, desiderai vivere.
Vorrei saperlo…bramo conoscere quel momento.
Perché?
Per maledirlo.



-Sei pronto?-
Nessuna risposta.
Un giovane corpo spinto davanti ad una oscura figura.
-E’ pronto.-
Una manica che si alza.
Un viso più disilluso di quanto lo è mai stato, nascosto dietro un cappuccio che si confonde nella notte.
  
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