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Autore: Ortensia_    17/11/2012    2 recensioni
Quattro differenti percorsi, e dieci gruppi destinati ad incontrarsi, a spezzarsi e perire, corrotti dall'odio che ogni anima riesce a far fiorire così rigoglioso nelle menti di ogni pedina.
Dopo Berkeley Square ed il Gioco, le Nazioni riusciranno finalmente a scoprire qualcosa sull'entità misteriosa e perversa che da mesi li perseguita?
Il dado è tratto.
[_Fra le storie più popolari dell'anno 2012/13 su Axis Powers Hetalia: più recensioni positive_]
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Danimarca, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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XIII – Punizione




Giunti alla fine della sesta casella, si fermarono ai piedi di un altro cancello aperto.
«S-signor Austria-!»
Roderich sentì l’ungherese fare resistenza, e si decise finalmente a lasciarle la mano, vedendola voltargli subito le spalle, con il respiro affannato.
«Perché non vedo Vladimir-?»
Gli occhi di lei rimasero ad osservare l’orizzonte, quella distesa di roccia marmorea o grigiastra, con punte aguzze o conche levigate e poco profonde. Dal punto in cui erano le e Roderich, riusciva comunque a scorgere lo scintillio del grosso cancello che gli aveva permesso di entrare all’interno della sesta casella, e ancora il verde dei boschi di mele che li avevano ospitati fino a qualche minuto prima.
Elisabeta non seppe fare un calcolo del tempo in cui rimase immobile, ad osservare l’orizzonte vuoto, ma quando si sentì afferrare nuovamente la mano dall’austriaco, si rese conto che quella poteva essere l’ultima volta che le era stata data la possibilità di vedere Vladimir, il quale, molto probabilmente, aveva appena sacrificato la propria vita per loro, per lei.
«Io torno indietro.»
«Ungheria, è pericoloso-
A-andiamo, sarebbe già arrivato se ce l’avesse fatta, e per di più il sole sta calando-»
«Ma potrebbe essere ferito!»
Tuttavia, la ribellione dell’ungherese, durò solo per qualche attimo: non poteva disubbidire a Roderich, che aveva evidentemente ragione.
Sconsolata, la donna si lasciò guidare dall’austriaco fino al sesto cancello, e quando questo fece per varcarlo, l’ungherese decise di guardare all’orizzonte un’ultima volta.
Ecco che la speranza sembrò quasi tirarle uno schiaffo sul viso, per come sgranò gli occhi sorpresa.
«A-aspetta-!»
Roderich si voltò, seguendo lo sguardo luminoso di lei: in lontananza, una sagoma si stava avvicinando a loro con passo veloce, ma traballante.
L’austriaco sentì la mano dell’ungherese scivolare rapida via dalla sua, e la vide correre verso la sagoma, verso l’etere cupo della notte.
«Vladimir!»
Notò subito la mano insanguinata del rumeno, premuta contro il fianco sinistro, e in pochi attimi gli fu di fronte.
«Sei ferito-!
Fa vedere-»
Titubante, il rumeno sostò la mano dal fianco, brontolando appena per il dolore «m-merda-»
«L’hai uccisa?»
Vladimir si limitò ad annuire in risposta alla domanda dell’austriaco, mentre Elisabeta si era chinata appena, per occuparsi del suo fianco.
«Serve qualcosa con cui stringerlo, la ferita è profonda …»
«Strappati il vestito-» l sorriso malizioso che si tracciò sul volto del biondo le segnalò che quella ferita non era poi così grave, e ne fu sollevata, nonostante lo avesse appena fulminato con lo sguardo.
«Lo faccio solo perché non ci sono alternative-» e perché voleva contraccambiare , voleva aiutarlo, provare a conoscerlo sotto un’altra luce, come mai, nel corso di secoli, era riuscita a concepire.
Fino a qualche giorno, provare a far pace con lui, era una cosa inconcepibile, ed ora, strappatasi la striscia finale del vestito, aveva preso a fasciargli parte del torace con cura estrema. «Sì. Sì, penso di farcela.» infatti, non appena l’ungherese concluse il bendaggio con un nodo, il rumeno si mosse verso il cancello spalancato, subito seguito dagli altri due membri della squadra.


«Eccoci alla settima casella-»
Lo slovacco si limitò ad annuire, tirando su col naso, zuppo dalla testa ai piedi.
«D-dovremmo trovare un riparo, no?»
«Sì, penso sia meglio. A raggiungere il cancello ci penseremo domani.»
Le parole del ceco furono un sollievo per Oliver, che subito gli portò la mano al braccio, scuotendoglielo appena «lì-!»
Il moro seguì lo sguardo dell’altro, dando una rapida occhiata all’albero cavo poco lontano «è perfetto-»
E fu il suono di una voce che spinse il ceco ad afferrare il polso del fratello per guidarlo velocemente al riparo.

«Ormai è scesa la notte, fermiamoci.»
«Dove? Olanda, vedi qualche riparo qui? Stupiscimi, forza.» controbatté prontamente la portoghese, continuando ad avanzare.
Velocemente, la mano dell’olandese, andò ad abbattersi sulla sua spalla dell’ispanica, facendola sussultare appena.
«Dobbiamo fermarci, Esperanza!»
La portoghese lo fulminò con lo sguardo, poi rivolse un’occhiata alla taiwanese, evidentemente d’accordo con lui.
«Affari vostri.» l’ispanica sbuffo, per poi portarsi al fianco di un albero dal tronco non troppo largo.
Con un balzo, si staccò da terra e afferrò con decisione il tronco umido, senza badare alla pioggia battente ed arrampicandosi con un po’ di fatica fino ai primi rami, più spessi e coperti di fronde.
«Buona fortuna con la pioggia.»
La portoghese fu breve e concisa, e con cautela voltò le spalle ad entrambi, senza preoccuparsi della situazione disperata.
L’olandese sbuffò appena, e si voltò in cerca di un riparo, subito seguito dalla taiwanese.
«La tua spalla?»
«Va un po’ meglio-»
«Be-»
«Pst-!»
L’olandese si interruppe subito, e al risuonare di quel richiamo, si mise subito sull’attenti, esaminando qualche albero con lo sguardo.
Lo slovacco si era appena sporto da un tronco cavo e gli stava facendo segno di avanzare.
«Oliver-»
«È abbastanza grande per tutti e quattro!»
Le labbra dell’asiatica si incrinarono dubbiose «Ucraina?»
Il ceco negò appena, e fece cenno ai due di entrare, spostandosi appena per lasciare un po’ di spazio.
«Alexej, Oliver, domani sarà meglio se vi alzate prima, in modo che Esperanza non vi veda.»
«Immaginavo. Grazie per l’avvertimento, Abel.»
Fra le due squadre era ormai evidente il tacito accordo di solidarietà, e ciò portò Oliver ad abbandonarsi subito al sonno contro la spalla di suo fratello, che prestò seguì il suo esempio.
In quanto alla taiwanese, rimase per un po’ accoccolata in posizione fetale, a tremare zuppa di pioggia, finché l’olandese non si decise ad avvolgerle le spalle con un braccio, trascinandola vicino a sé: non ci riusciva, le ricordava così tanto Alice.
Alice.
Dov’era Alice?


Lo spagnolo brontolò, portandosi la mano alla spalla sinistra, ora fasciata da un pezzo di tessuto umidiccio, sporco di sangue, appiccicato fastidiosamente alla pelle «mierda, ho un’infezione-»
«Arrangiati.
E arrangiati anche con la tenda.»
Lo scozzese aveva appena finito di montare la propria tenda, e senza neppure rivolgergli un’occhiata, entrò al suo interno, lasciando l’ispanico solo con la sua costernazione.
Avevano da poco raggiunto l’ottava casella, ed era già tanto se Antonio era riuscito ad ottenere il consenso del rosso per quanto riguardava l’accamparsi per la notte, siccome Jack voleva raggiungere al più presto l’altro cancello, evidentemente curioso di sapere cosa gli avrebbe riservato un’altra scatola.
Rimasto solo, sulla riva del fiume, Antonio ebbe modo di specchiarsi nell’acqua insieme al volto pieno della luna: cos’era diventato? L’entità stava iniziando a consumarlo, così come aveva fatto con America, con Lussemburgo. Come tanti altri Stati avrebbe presto perso il proprio volto umano, divenendo soltanto un mostro a tutti gli effetti.
Francia.
Francia.
Gli aveva ammazzato Inghilterra davanti! Ad uno dei suoi migliori amici!
Schifato da se stesso si lasciò scivolare all’indietro, sulle rocce fredde, soffermando il proprio sguardo sull’unica stella visibile nel manto nero della notte, ormai scesa.
E Lovino? Dov’era il suo Lovino?
Così cieco da dimenticarsi perfino di lui.
La spalla era estremamente calda, bruciava e pulsava, ma non fece nulla, anzi, rimase immobile e chiuse gli occhi, pregando che quella brutta infezione gli fosse fatale.


Arrivati alla settima casella, avevano deciso di accamparsi per la notte, nonostante sapessero che presto avrebbero trovato un cancello chiuso ed un’altra scatola.
«Il braccio?»
Quando il braccio del russo lo avvolse, e sentì il petto di questo aderire alla sua schiena, decise di domandargli come stesse il braccio ferito dalla mattina.
«Sto bene~» ed ovviamente Ivan non si riferiva al braccio, ma più precisamente al fatto che avessero da poco finito di approfondire il loro tipo di rapporto.
«Allora … buona notte-»
«Buona notte, coniglietto.» il russo accennò un sorriso, inclinando appena il viso per baciare l’albino a lato della bocca e stringerlo di più a sé, facendo sprofondare il viso nel suo incavo fra spalla e collo e chiudendo gli occhi sereno.


«Lukas?»
Il norvegese non gli rivolgeva la parola da qualche ora, e così Mathias aveva finalmente preso coraggio e si era deciso ad entrare nella tenda dell’amico.
«Cosa vuoi?» la voce del norvegese suonò stanca, secca, come prosciugata, ed il danese si zittì subito, osservandolo con attenzione.
«Lukas, stai bene?»
«Ho sete …»
«Vedrai … vedrai che domani troveremo dell’acqua, eh-?»
Il tentativo di rassicurarlo fallì, perché subito Mathias fu fulminato dallo sguardo cinico dell’altro «stiamo andando verso un deserto, sei stupido, ma non penso così tanto da non capire che sarà quasi impossibile trovare dell’acqua.»
«Mi dispiace-» furono le uniche parole che riuscì a dire dopo qualche attimo di silenzio «e … e credo che non sarà neppure l’ultima volta-»
Debole, il norvegese prese anche a tremare, a causa della temperatura estremamente bassa.
«Sei proprio un idiota.»
Il commento pungente dell’amico fece sorridere il danese, ma con amarezza, perché si notava benissimo quanto Lukas stesse male.
Mathias fece per uscire dalla tenda, in modo da togliere il disturbo, ma il richiamo improvviso del norvegese lo fermò, stupendolo.
«Nor?»
Lukas non rispose, ma se ne rimase in fondo alla tenda a guardarlo e tremare: Danimarca dovette capire da solo.
Senza dire più nulla, voltò le spalle all’uscita della tenda e si trascinò fino all’altro, portandogli il braccio ad avvolgergli le spalle.
Lentamente, il norvegese, adagiò il viso sulla spalla del danese, stringendosi appena contro il suo corpo.
«God nat, Lukas.»
«God natt …»


Raggiunta la settima casella avevano deciso di accamparsi a qualche metro dal cancello chiuso, e non appena il rumeno si coricò all’interno della propria tenda, le ante di stoffa impermeabile furono scosse da una piccola spinta.
«Vladimir?
Hai bisogno di qualcosa?»
«No.
Però-»
Elisa beta si fermò, rivolgendogli un’altra occhiata.
«Grazie.»
Rimase a guardarlo imbambolata per qualche attimo, poi gli rivolse un cenno con la testa, borbottando «grazie a te-»
«Buona notte.»
La vide titubare, ma il suo sguardo confuso fu abbastanza esplicito per farle ritrovare il controllo.
«Buona notte-!» così, con un cenno della mano ed un lieve sorriso, l’ungherese si ritirò dalla tenda, lasciandolo solo.


Fu una fitta improvvisa alla spalla che lo fece svegliare con un rantolo di dolore.
Aveva il viso ancora sporco delle lacrime nate dalla sua preghiera per morire, e sentendo la pelle del viso bruciare e tirare sospirò appena, portandosi cautamente la mano alla spalla.
«A-ah-» il bendaggio umido, la carne terribilmente gonfia.
Un grande sospiro affaticato fu liberato dalle sue labbra, poi, la mano, passò sulla fronte, portando via le piccole gocce di sudore imperlate sulla pelle: doveva avere la febbre molto alta, a giudicare dalla sudorazione, dal dolore alla testa e dai brividi di freddo che gli attraversavano la schiena.
Quasi sul punto di piangere si portò le mani a coprire gli occhi, blaterando qualcosa in spagnolo, stordito dalla febbre.
«Se … se solo Lovino fosse qui-»
Lentamente, le mani, scivolarono lungo il viso, liberando gli occhi che, appena riaperti, videro qualcosa galleggiare nelle acque del fiume sottostante.
Seguì la cosa, scoprendola essere un corpo, e non appena le acque decisero di smettere di trasportarla, dandole la possibilità di fermarsi a riva, l’ispanico si alzò a fatica, scendendo cautamente dalle rocce per avvicinarsi.
Più si avvicinava, più il buio si attenuava e l’identità del corpo diveniva chiara, più il respiro diminuiva ed il petto doleva.
«L-Lovino?»
Guardò la divisa color cachi lacerata sulla schiena, ritrovando lo stesso segno quando prese il corpo fra le braccia, voltandolo: gli avevano sparato.
«Lovino-!»
Il dolore alla spalla sembrava essersi annullato; ora quello infetto era il cuore.
Mentre un braccio sosteneva il corpo dell’italiano, la mano dell’altro accarezzò la pelle fredda e bluastra del viso, soffermandosi solo per qualche attimo sulle labbra violacee, screpolate.
«T-ti prego-
L-Lovino-
¿Qué hicieron?» senza neppure rendersene conto, Antonio si ritrovò a stringere con le braccia tremanti il corpo freddo dell’italiano, il viso ricoperto di lacrime ed il respiro ridotto ad uno spasmo di dolore.
«¿¡Qué hicieron, mi amor?!»
E continuando a piangere riuscì a trascinare con fatica il corpo fin sopra le rocce, continuando a stringerlo con forza a sé: la giusta punizione, per un mostro come lui.


«Matthew?
Ti dispiace se ci accampiamo qui, dopo aver tirato i dadi?»
Il canadese si limitò a negare titubante, dispiaciuto, incontrando il viso a dir poco stravolto del francese.
Non appena Matthew estrasse il dado, il francese fece lo stesso, e presto i dadi indugiarono sul terriccio leggermente fangoso.
«C-che fortuna-!»
Non appena vide entrambi i dadi fermarsi sul numero tre, il canadese rivolse un sorriso timido all’altro.
«Sei caselle da percorrere!»
Sulle labbra del francese, però, non nacque alcun sorriso, nei suoi occhi non si accese alcuna speranza, piuttosto afferrò il proprio dado e si mise a montare la tenda.
«Sono un po’ stanco, se non ti dispiace andrei subito a dormire …»
«O-ok-!»
Così, il francese, si distese all’interno della tenda, in attesa che anche il canadese entrasse nella sua e si addormentasse.

Inconsapevole di quanto tempo fosse passato, si sollevò ed uscì dalla tenda, rivolgendo un’occhiata a quella chiusa del canadese.
Poco più lontano notò a fatica altre due tende, nell’oscurità della notte, e tornò a rivolgersi a quella di Matthew.
«Spero non ti facciano nulla, chiunque siano.»
Fu un brivido a causa della temperatura notturna molto bassa a fargli tornare alla mente i suoi piani.
Cautamente, si diresse verso il quinto cancello, sorpassandolo.
Dopo qualche metro, la terra, sembrò perdere tutta la sua umidità, trasformandosi in granelli di sabbia.
«Mi dispiace Matt, ma non … non ce la faccio-»
Il francese si fermò a qualche decina di metri dal quinto cancello, lasciando che una lacrima gli solcasse il viso «je suis en train d'arriver chez toi, mon petit chenille-» chiuse gli occhi, e con voce tremante estrasse la pistola, puntandosela alla testa.

E d’un tratto, la notte, fu squarciata dall’infimo suono di uno sparo.
   
 
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