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Autore: Charlene    18/11/2012    15 recensioni
"Una facciata può benissimo essere solo una facciata. Sia che l'apparenza sia positiva, che negativa. Basta saper guardare." Kei è un galeotto tirato fuori di prigione dal padre di qualcuno che conosciamo... e da lì inizierà una nuova vita in un liceo esattamente del tipo che lui detesta. Se la caverà? E il resto lo saprete leggendo.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Rei Kon, Takao Kinomiya, Yuri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DICIANNOVESIMO CAPITOLO

 

 

Kanako, seduto al tavolo della cucina, rimase in silenzio a guardarsi le mani per numerosi secondi. Stava ragionando, doveva assolutamente trovare una soluzione. Takao gli aveva spiegato cosa fosse successo, e la situazione era piuttosto delicata.

-Ok, il punto per il momento è uno solo… Quegli uomini lo stanno cercando, e lui non deve farsi trovare. Bisogna prendere tempo.- disse finalmente, e Takao e Boris annuirono.

-Dovremmo chiamare la polizia! Insomma, se si fanno vivi di nuovo… sono molestie, no? O qualcosa del genere.- disse Takao, piuttosto agitato.

-Io voglio sapere che cosa vogliono.- rispose Kanako.

Boris ci aveva pensato, precisamente aveva messo in moto il cervello mentre faceva sparire tutte le cose di Kei dalla dependance.

-Vorkov ha parlato a Kei di qualcosa che aveva a che fare con quanto gli spetta dalla morte di Hiwatari.- spiegò. –E una guardia che ci ha riconosciuti ha detto che giravano delle voci… senta, si può nominare un tutore tramite testamento?- chiese infine, rivolto a Kanako.

-Sì, ma il testamento di Hiwatari è già stato aperto. E non c’era niente sull’affidamento di Kei.-

I tre rimasero di nuovo in silenzio.

Il silenzio fu però interrotto dal suono del campanello. Boris e Takao si mossero, ma Kanako li fermò con un gesto: -Vado io.-

I due lo guardarono uscire dalla cucina.

-Non mi sembra il caso che tu ti faccia trovare qui.- constatò Takao, e Boris per una volta non ebbe da ridire. Uscì nel giardino e se la diede a gambe scavalcando il muro.

-Ehm, Boris, c’è una port…- tentò Takao, ma quello era già saltato.

 

-Sì?- chiese Kanako, guardando le due persone che si era ritrovato davanti dopo aver aperto la porta.

-Lei è Kanako Kinomija?-

-Sì, sono io. Mentre voi…?-

-Ci risulta che Kei Hiwatari abiti momentaneamente qui. Deve venire con noi.- spiegò uno dei due, con un fortissimo accento russo.

-No, non abita qui.-

-Lei sarebbe il suo tutore. Così ci risulta.-

Kanako sorrise senza la minima traccia di allegria. –Io sono solo il suo avvocato. Non so dove sia ora. A che titolo dovreste portarlo con voi?-

-La sua residenza è fissata in Russia, signore. C’è una disposizione testamentaria di suo nonno che lo attesta.-

-Il testamento del signor Hiwatari non diceva niente in merito.-

-Appunto. C’è un secondo testamento complementare che chiarisce ogni punto. Se vuole vedere i documenti… il suo tutore legale è Vladimir Vorkov.-

 

Takao si portò una mano alla bocca. “Oh, merda”, pensò, origliando la conversazione. Questo non prometteva niente di buono. Aveva subito inviato un sms a Boris per informarlo.

Pochi secondi dopo le due guardie si fecero strada in casa, per cercare colui che stavano cercando. Kanako si appoggiò allo stipite della porta del soggiorno. –Non troverete nessuno qua.- disse. –E se non ve ne andate in fretta, chiamerò la polizia.-

-Faccia pure. Noi abbiamo tutto il diritto di stare qui.- rispose quello con l’accento marcato, sventolando dei fascicoli.

-Sono un avvocato, non basta che mi sbattiate in faccia delle carte per convincermi.-

-Come mai tutto questo interessamento, signor Kinomija? Lei è solo il suo avvocato, giusto?-

Takao seguì l’altro uomo mentre controllava le varie stanze, finché non raggiunse la dependance.

-E lì chi ci vive?-

Il ragazzo alzò le spalle: -Nessuno, è per gli ospiti. Se vuole controllare, faccia pure.-

-Potete fare i furbi, per questa sera. Ma sappiamo che quella feccia di Hiwatari vive qui. Gli altri l’avranno già trovato.- gli rispose, sogghignante. Takao fece buon viso a cattivo gioco, mentre le parole “gli altri” gli rimbalzavano nella testa.

 

***

 

Boris lesse il messaggio e corse come un treno. Doveva andare da Kei ed elaborare un piano. Quegli stronzi non potevano semplicemente piombare lì e portarlo via: quella non era la zona del monastero, la polizia non era corrotta. Li avrebbero fermati.

E invece… ecco cosa avevano in mente: un modo legale che permettesse loro di prendere Kei. Un mandato del tribunale dei minori di Mosca, per esempio.

Bussò alla porta di casa Takibana, rapidamente.

In quell’istante Kei e Hilary, in soggiorno a far silenziosamente finta che tutto andasse bene guardando un po’ di tv spazzatura, sobbalzarono.

-Ehi, sono Boris! Aprite!- disse a media voce il russo, e i due sospirarono di sollievo. Kei andò ad aprire, e Boris entrò dentro quasi travolgendolo.

-Sono a casa tua. C’è un secondo testamento, il tuo nonnino aveva pensato a tutto.- disse tutto d’un fiato, chiudendosi la porta alle spalle. Kei scosse la testa: -L’avevo intuito. Che figlio di puttana.-

-Un secondo testamento che dice cosa?- chiese Hilary, spegnendo la tv.

-Che il tutore legale di Kei è Vorkov.-

-Il tipo inquietante del monastero?-

Fu Kei a rispondere: -Sì. Quindi devo sparire nel vero senso della parola. Non ho la minima intenzione di tornare là.-

-E dove pensi di andare? Non puoi scappare per sempre.- disse Boris, e Hilary sembrava d’accordo.

-No, non per sempre. Mi basta un anno, diventerò maggiorenne e sarò a posto.-

-Ok, quindi vuoi ritirarti sul Tibet per un anno. Fantastico.-

-Boris, stai zitto.-

-Tu stai zitto. Non puoi sparire per un anno.-

-Ho vissuto ovunque in tutto questo tempo, tu che ne sai?-

Hilary seguì il battibecco senza sentirlo davvero. Iniziava a non sopportare quella situazione. Doveva farsi venire in mente qualcosa di sensato per aiutare Kei.

-Smettetela. Che litigate a fare? Boris, lascialo in pace. E tu, Kei, mi spieghi cosa hai in mente, con precisione? Dove andresti?-

-Non lo so, ci devo pensare. Ho qualche conoscente che…-

-Oh, posso immaginare che tipo di conoscenze.- frecciò Boris. Kei si stancò e lo afferrò per il collo: -Che diavolo vuoi, me lo spieghi? Se hai altre idee sentiamole!-

Boris non fece in tempo a esporre i suoi pensieri (e probabilmente non avrebbe mai, mai ammesso che il senso di quell’ostilità era che lo volesse lì con lui, e non di nuovo chissà dove, facendo chissà cosa in chissà quali condizioni) perché picchiarono alla porta. Il suono sordo dei battiti sul legno fece fare un bel salto a tutti e tre.

Hilary guardò Kei, senza avere idea di cosa fare.

Decisero di rimanere zitti, mentre i colpi alla porta continuavano.

-Sappiamo che siete lì, aprite!-

I colpi si fecero più forti, e il trio capì che si trattava di calci.

-Hiwatari, esci fuori. Non costringerci a usare le maniere forti!-

-Ok, voi due andate. Io li trattengo.- disse Boris, spingendo Kei e Hilary verso la porta-finestra che dava sul giardino.

-Boris, evita stronzate.- ringhiò Hiwatari.

-Nah, al massimo volerà qualche pugno. E qualche sedia. Scusa, Hilary.-

Kei prese la castana per un polso. –Fai attenzione.- disse al russo, prima di correre assieme alla compagna di classe verso la porta.

 

Uscirono dal giardino e passarono, tanto per cambiare, dal retro. A giudicare dal caos alle loro spalle, Kei intuì che fossero alla fine entrati in casa. Hilary fece per correre in strada, ma si fermò di botto e Kei quasi la travolse.

-Aspetta… ce ne sono altri!- sussurrò.

Kei imprecò piano. Non avevano vie di fuga, non potevano tornare indietro né farsi vedere. Hilary prese l’iniziativa e tirò giù Kei. Finirono in mezzo alle piante, e la ragazza (benedicendo la passione della madre per il giardinaggio) iniziò a gattonare verso la rete che separava le due case adiacenti. Lui non disse nulla e la seguì, finché Hilary non spostò una foglia enorme e si infilò in un buco nella rete, altrimenti invalicabile, abbastanza largo da far passare anche lui. Kei rimise a posto la foglia che copriva il foro e rimase lì, rannicchiato insieme a Hilary.

-Aspettiamo che se ne vadano. Penseranno che siamo scappati.- mormorò lei. Kei ci sperò con tutto il cuore.

-Dove diavolo è finito?!- sentirono esclamare, a pochi metri di distanza. Evidentemente Boris aveva esaurito il proprio compito.

I due rimasero immobili, con la paura perfino di respirare.

Sentirono numerosi passi, delle voci, Boris che rideva perché non riuscivano a trovare Kei. Follia pura, insomma.

-Devo dedurre…- disse piano una voce accanto a loro, facendoli letteralmente raggelare –Che questo casino sia colpa tua, Hiwatari?-

Kei alzò lo sguardo e tutto gli parve una barzelletta. Davvero, come era possibile? Come era possibile che Crawford fosse lì? No, di sicuro stava sognando. Tutto quello era un incubo –piuttosto divertente, certo, ma pur sempre un brutto sogno, di quelli sconnessi e senza senso dovuti ad una mangiata pesante a cena.

Per il momento tuttavia non riusciva a svegliarsi, così fece la prima cose che gli venne in mente e trascinò bruscamente in terra il suo professore di matematica per un braccio.

-Prof, la prego…- bisbigliò Hilary. –Stia giù e non faccia domande.-

Ryo li avrebbe volentieri scaraventati fuori dal suo giardino. Era uscito a verificare che diavolo stesse succedendo là fuori, quando poi aveva visto le loro sagome. Non ci aveva messo molto a riconoscere gli improbabili capelli di Kei alla fioca luce dei lampioni.

Tuttavia Hilary gli piaceva. Era una studentessa modello, non era fastidiosa e fuori di testa come quel gruppo di scalmanati dei suoi compagni. Le diede fiducia, per una volta.

Si chiese però il senso dello stare lì, in compagnia di Hiwatari e Takibana, rannicchiato nel proprio giardino, con degli strani uomini dal pessimo gusto in fatto di abbigliamento che si aggiravano lì intorno e che non sembravano avere buone intenzioni. Aveva capito che si trattava della gente poco amichevole con cui avevano avuto a che fare in quella specie di monastero in Russia, quindi aveva compiuto qualche collegamento mentale. Ma il fulcro essenziale gli sfuggiva.

Kei sentì il cellulare vibrare nella sua tasca, e ringraziò ogni divinità esistente per aver tolto la suoneria. Tirò fuori il telefono e lesse il messaggio di Boris. “Sono scappato, quelli avevano manganelli elettrici, credo. Spero di averli trattenuti abbastanza, non vi ho più visti e ho capito che ve la siete cavata. Dammi notizie.”

Kei ringraziò e maledì Boris mentalmente. Solo lui poteva inviargli un sms in una situazione simile.

Hilary si sporse per leggere a sua volta, e così fece anche Crawford, stanco di non capirci un accidente. La sua attenzione fu attirata da “manganelli elettrici”.

Il vociare si affievolì e sentirono il suono di un’auto che partiva ad elevata velocità.

Né Hilary né Kei ebbero il coraggio di muoversi. Fu Crawford ad alzarsi in piedi e a verificare la situazione. E sembrava che non ci fosse più nessuno.

 

Kei si chiese cos’altro sarebbe successo quella sera. Di certo la cosa più incredibile non era stata la fuga improvvisa (in compagnia poi di Hilary Takibana, incontrata per caso al pub mentre era impegnata a fare da spalla a Julia Fernandez, ubriaca perché Takao l’aveva lasciata, e che poi l’aveva riportata a casa e… eccetera, pensò Kei. Un enorme “eccetera”), né l’inseguimento, né il nascondiglio ideato da Hilary. No. La cosa più assurda era essersi ritrovati alla fine a bere caffè, seduti all’elegante tavolo dell’elegante cucina di Crawford.

 

*****

 

 

 

NOTE: ci sono delle noiose note tecniche da fare in merito a questo capitolo. Non ho approfondito per niente la questione del testamento perché le mie conoscenze di diritto privato si limitano a quello italiano, per cui non ho idea di come funzioni la tutela dei minori in Russia o in Giappone. Tra l’altro il minore di una certa età in Italia andrebbe sentito, relativamente alla scelta del proprio tutore.

In conclusione: non prendete per buone le cose che ho scritto! Chiamiamole esigenze di copione.

Dico questo solo per dovere di cronaca, non penso siano cose essenziali ma è sempre meglio farlo.

  
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