DICIANNOVESIMO
CAPITOLO
Kanako,
seduto al tavolo della cucina, rimase in silenzio a guardarsi le mani
per
numerosi secondi. Stava ragionando, doveva assolutamente trovare una
soluzione.
Takao gli aveva spiegato cosa fosse successo, e la situazione era
piuttosto
delicata.
-Ok,
il punto per il momento è uno solo… Quegli uomini
lo stanno cercando, e lui non
deve farsi trovare. Bisogna prendere tempo.- disse finalmente, e Takao
e Boris
annuirono.
-Dovremmo
chiamare la polizia! Insomma, se si fanno vivi di nuovo…
sono molestie, no? O
qualcosa del genere.- disse Takao, piuttosto agitato.
-Io
voglio sapere che cosa vogliono.- rispose Kanako.
Boris
ci aveva pensato, precisamente aveva messo in moto il cervello mentre
faceva
sparire tutte le cose di Kei dalla dependance.
-Vorkov
ha parlato a Kei di qualcosa che aveva a che fare con quanto gli spetta
dalla
morte di Hiwatari.- spiegò. –E una guardia che ci
ha riconosciuti ha detto che
giravano delle voci… senta, si può nominare un
tutore tramite testamento?-
chiese infine, rivolto a Kanako.
-Sì,
ma il testamento di Hiwatari è già stato aperto.
E non c’era niente
sull’affidamento di Kei.-
I
tre rimasero di nuovo in silenzio.
Il
silenzio fu però interrotto dal suono del campanello. Boris
e Takao si mossero,
ma Kanako li fermò con un gesto: -Vado io.-
I
due lo guardarono uscire dalla cucina.
-Non
mi sembra il caso che tu ti faccia trovare qui.- constatò
Takao, e Boris per
una volta non ebbe da ridire. Uscì nel giardino e se la
diede a gambe
scavalcando il muro.
-Ehm,
Boris, c’è una port…- tentò
Takao, ma quello era già saltato.
-Sì?-
chiese Kanako, guardando le due persone che si era ritrovato davanti
dopo aver
aperto la porta.
-Lei
è Kanako Kinomija?-
-Sì,
sono io. Mentre voi…?-
-Ci
risulta che Kei Hiwatari abiti momentaneamente qui. Deve venire con
noi.-
spiegò uno dei due, con un fortissimo accento russo.
-No,
non abita qui.-
-Lei
sarebbe il suo tutore. Così ci risulta.-
Kanako
sorrise senza la minima traccia di allegria. –Io sono solo il
suo avvocato. Non
so dove sia ora. A che titolo dovreste portarlo con voi?-
-La
sua residenza è fissata in Russia, signore.
C’è una disposizione testamentaria
di suo nonno che lo attesta.-
-Il
testamento del signor Hiwatari non diceva niente in merito.-
-Appunto.
C’è un secondo testamento complementare che
chiarisce ogni punto. Se vuole
vedere i documenti… il suo tutore legale è
Vladimir Vorkov.-
Takao
si portò una mano alla bocca. “Oh,
merda”, pensò, origliando la conversazione.
Questo non prometteva niente di buono. Aveva subito inviato un sms a
Boris per
informarlo.
Pochi
secondi dopo le due guardie si fecero strada in casa, per cercare colui
che
stavano cercando. Kanako si appoggiò allo stipite della
porta del soggiorno.
–Non troverete nessuno qua.- disse. –E se non ve ne
andate in fretta, chiamerò
la polizia.-
-Faccia
pure. Noi abbiamo tutto il diritto di stare qui.- rispose quello con
l’accento
marcato, sventolando dei fascicoli.
-Sono
un avvocato, non basta che mi sbattiate in faccia delle carte per
convincermi.-
-Come
mai tutto questo interessamento, signor Kinomija? Lei è solo
il suo avvocato,
giusto?-
Takao
seguì l’altro uomo mentre controllava le varie
stanze, finché non raggiunse la
dependance.
-E
lì chi ci vive?-
Il
ragazzo alzò le spalle: -Nessuno, è per gli
ospiti. Se vuole controllare,
faccia pure.-
-Potete
fare i furbi, per questa sera. Ma sappiamo che quella feccia di
Hiwatari vive
qui. Gli altri l’avranno già trovato.- gli
rispose, sogghignante. Takao fece
buon viso a cattivo gioco, mentre le parole “gli
altri” gli rimbalzavano nella
testa.
***
Boris
lesse il messaggio e corse come un treno. Doveva andare da Kei ed
elaborare un
piano. Quegli stronzi non potevano semplicemente piombare lì
e portarlo via:
quella non era la zona del monastero, la polizia non era corrotta. Li
avrebbero
fermati.
E
invece… ecco cosa avevano in mente: un modo legale che
permettesse loro di
prendere Kei. Un mandato del tribunale dei minori di Mosca, per esempio.
Bussò
alla porta di casa Takibana, rapidamente.
In
quell’istante Kei e Hilary, in soggiorno a far
silenziosamente finta che tutto
andasse bene guardando un po’ di tv spazzatura, sobbalzarono.
-Ehi,
sono Boris! Aprite!- disse a media voce il russo, e i due sospirarono
di
sollievo. Kei andò ad aprire, e Boris entrò
dentro quasi travolgendolo.
-Sono
a casa tua. C’è un secondo testamento, il tuo
nonnino aveva pensato a tutto.-
disse tutto d’un fiato, chiudendosi la porta alle spalle. Kei
scosse la testa:
-L’avevo intuito. Che figlio di puttana.-
-Un
secondo testamento che dice cosa?- chiese Hilary, spegnendo la tv.
-Che
il tutore legale di Kei è Vorkov.-
-Il
tipo inquietante del monastero?-
Fu
Kei a rispondere: -Sì. Quindi devo sparire nel vero senso
della parola. Non ho
la minima intenzione di tornare là.-
-E
dove pensi di andare? Non puoi scappare per sempre.- disse Boris, e
Hilary
sembrava d’accordo.
-No,
non per sempre. Mi basta un anno, diventerò maggiorenne e
sarò a posto.-
-Ok,
quindi vuoi ritirarti sul Tibet per un anno. Fantastico.-
-Boris,
stai zitto.-
-Tu
stai zitto. Non puoi sparire per un anno.-
-Ho
vissuto ovunque in tutto questo tempo, tu che ne sai?-
Hilary
seguì il battibecco senza sentirlo davvero. Iniziava a non
sopportare quella
situazione. Doveva farsi venire in mente qualcosa di sensato per
aiutare Kei.
-Smettetela.
Che litigate a fare? Boris, lascialo in pace. E tu, Kei, mi spieghi
cosa hai in
mente, con precisione? Dove andresti?-
-Non
lo so, ci devo pensare. Ho qualche conoscente che…-
-Oh,
posso immaginare che tipo di conoscenze.- frecciò Boris. Kei
si stancò e lo
afferrò per il collo: -Che diavolo vuoi, me lo spieghi? Se
hai altre idee
sentiamole!-
Boris
non fece in tempo a esporre i suoi pensieri (e probabilmente non
avrebbe mai, mai ammesso che il
senso di
quell’ostilità era che lo volesse lì
con lui, e non di nuovo chissà dove,
facendo chissà cosa in chissà quali condizioni)
perché picchiarono alla porta.
Il suono sordo dei battiti sul legno fece fare un bel salto a tutti e
tre.
Hilary
guardò Kei, senza avere idea di cosa fare.
Decisero
di rimanere zitti, mentre i colpi alla porta continuavano.
-Sappiamo
che siete lì, aprite!-
I
colpi si fecero più forti, e il trio capì che si
trattava di calci.
-Hiwatari,
esci fuori. Non costringerci a usare le maniere forti!-
-Ok,
voi due andate. Io li trattengo.- disse Boris, spingendo Kei e Hilary
verso la
porta-finestra che dava sul giardino.
-Boris,
evita stronzate.- ringhiò Hiwatari.
-Nah,
al massimo volerà qualche pugno. E qualche sedia. Scusa,
Hilary.-
Kei
prese la castana per un polso. –Fai attenzione.- disse al
russo, prima di
correre assieme alla compagna di classe verso la porta.
Uscirono
dal giardino e passarono, tanto per cambiare, dal retro. A giudicare
dal caos
alle loro spalle, Kei intuì che fossero alla fine entrati in
casa. Hilary fece
per correre in strada, ma si fermò di botto e Kei quasi la
travolse.
-Aspetta…
ce ne sono altri!- sussurrò.
Kei
imprecò piano. Non avevano vie di fuga, non potevano tornare
indietro né farsi
vedere. Hilary prese l’iniziativa e tirò
giù Kei. Finirono in mezzo alle
piante, e la ragazza (benedicendo la passione della madre per il
giardinaggio)
iniziò a gattonare verso la rete che separava le due case
adiacenti. Lui non
disse nulla e la seguì, finché Hilary non
spostò una foglia enorme e si infilò
in un buco nella rete, altrimenti invalicabile, abbastanza largo da far
passare
anche lui. Kei rimise a posto la foglia che copriva il foro e rimase
lì, rannicchiato
insieme a Hilary.
-Aspettiamo
che se ne vadano. Penseranno che siamo scappati.- mormorò
lei. Kei ci sperò con
tutto il cuore.
-Dove
diavolo è finito?!- sentirono esclamare, a pochi metri di
distanza.
Evidentemente Boris aveva esaurito il proprio compito.
I
due rimasero immobili, con la paura perfino di respirare.
Sentirono
numerosi passi, delle voci, Boris che rideva perché non
riuscivano a trovare
Kei. Follia pura, insomma.
-Devo
dedurre…- disse piano una voce accanto a loro, facendoli letteralmente raggelare –Che
questo casino sia colpa tua,
Hiwatari?-
Kei
alzò lo sguardo e tutto gli parve una barzelletta. Davvero,
come era possibile?
Come era possibile che Crawford fosse lì? No, di sicuro
stava sognando. Tutto
quello era un incubo –piuttosto divertente, certo, ma pur
sempre un brutto
sogno, di quelli sconnessi e senza senso dovuti ad una mangiata pesante
a cena.
Per
il momento tuttavia non riusciva a svegliarsi, così fece la
prima cose che gli
venne in mente e trascinò bruscamente in terra il suo
professore di matematica
per un braccio.
-Prof,
la prego…- bisbigliò Hilary. –Stia
giù e non faccia domande.-
Ryo
li avrebbe volentieri scaraventati fuori dal suo giardino. Era uscito a
verificare che diavolo stesse succedendo là fuori, quando
poi aveva visto le
loro sagome. Non ci aveva messo molto a riconoscere gli improbabili
capelli di
Kei alla fioca luce dei lampioni.
Tuttavia
Hilary gli piaceva. Era una studentessa modello, non era fastidiosa e
fuori di
testa come quel gruppo di scalmanati dei suoi compagni. Le diede
fiducia, per
una volta.
Si
chiese però il senso dello stare lì, in compagnia
di Hiwatari e Takibana,
rannicchiato nel proprio giardino,
con degli strani uomini dal pessimo gusto in fatto di abbigliamento che
si
aggiravano lì intorno e che non sembravano avere buone
intenzioni. Aveva capito
che si trattava della gente poco amichevole con cui avevano avuto a che
fare in
quella specie di monastero in Russia, quindi aveva compiuto qualche
collegamento mentale. Ma il fulcro essenziale gli sfuggiva.
Kei
sentì il cellulare vibrare nella sua tasca, e
ringraziò ogni divinità esistente
per aver tolto la suoneria. Tirò fuori il telefono e lesse
il messaggio di
Boris. “Sono scappato, quelli avevano manganelli elettrici,
credo. Spero di
averli trattenuti abbastanza, non vi ho più visti e ho
capito che ve la siete
cavata. Dammi notizie.”
Kei
ringraziò e maledì Boris mentalmente. Solo lui
poteva inviargli un sms in una
situazione simile.
Hilary
si sporse per leggere a sua volta, e così fece anche
Crawford, stanco di non
capirci un accidente. La sua attenzione fu attirata da
“manganelli elettrici”.
Il
vociare si affievolì e sentirono il suono di
un’auto che partiva ad elevata
velocità.
Né
Hilary né Kei ebbero il coraggio di muoversi. Fu Crawford ad
alzarsi in piedi e
a verificare la situazione. E sembrava che non ci fosse più
nessuno.
Kei
si chiese cos’altro sarebbe successo quella sera. Di certo la
cosa più
incredibile non era stata la fuga improvvisa (in compagnia poi di
Hilary Takibana,
incontrata per caso al pub mentre era impegnata a fare da spalla a
Julia
Fernandez, ubriaca perché Takao l’aveva lasciata,
e che poi l’aveva riportata a
casa e… eccetera, pensò Kei. Un enorme
“eccetera”), né
l’inseguimento, né il
nascondiglio ideato da Hilary. No. La cosa più assurda era essersi ritrovati alla fine a
bere caffè, seduti
all’elegante tavolo dell’elegante cucina di
Crawford.
*****
NOTE:
ci sono delle noiose note tecniche da fare in merito a questo capitolo.
Non ho
approfondito per niente la questione del testamento perché
le mie conoscenze di
diritto privato si limitano a quello italiano, per cui non ho idea di
come
funzioni la tutela dei minori in Russia o in Giappone. Tra
l’altro il minore di
una certa età in Italia andrebbe sentito, relativamente alla
scelta del proprio
tutore.
In
conclusione: non prendete per buone le cose che ho scritto! Chiamiamole
esigenze di copione.
Dico
questo solo per dovere di cronaca, non penso siano cose essenziali ma
è sempre
meglio farlo.