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Autore: didi93    20/11/2012    3 recensioni
Bella si è appena trasferita a Seattle per allontanarsi da un passato che le condiziona la vita quando incontra Edward, l’unico con il quale sente di potersi aprire. Per un attimo crede di aver trovato nell’amore la sua salvezza, ma anche lui nasconde qualcosa…
Dal cap. 4
Tutto intorno a me era buio. Attesi che i miei occhi si abituassero all’oscurità, scostai piano le coperte e scesi dal letto, evitando accuratamente ogni rumore. Faceva freddo e il pavimento era gelato. Riuscivo a capire dove mi trovassi, era la mia vecchia camera, le pareti ancora dipinte di rosa come quando ero bambina, gli oggetti perfettamente in ordine sugli scaffali. Ogni cosa era uguale a se stessa, tutto esattamente al proprio posto…tranne me.
Dal cap. 7
Mi guardò per un po’ senza parlare, poi, tenendomi le mani sui i fianchi, mi si avvicinò. Credetti che stesse per baciarmi. In realtà volevo che lo facesse, ma non accadde, si fermò a pochi centimetri dal mio viso, accostò la guancia alla mia e mi sussurrò all’orecchio. -Ho una voglia terribile di baciarti.-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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CAP. 1
Guardai fuori dal finestrino. Il paesaggio notturno si perdeva alle mie spalle, con impressionante rapidità, al fuggire del treno sulle rotaie. Come i giorni felici della mia vita, quelle immagini sparivano, attimo dopo attimo, fugaci, quasi inconsistenti, in un’oscurità senza luna, senza luce, mentre la Terra continuava il suo giro e l’umanità la sua routine, senza accorgersi di nulla. L’oscurità che mi offuscava il cuore aveva cancellato ogni sprazzo di chiarore, non c’era più sorriso senza un pizzico di finzione, non più allegria, autentica, reale, priva di costrizione, nulla più nasceva da dentro, spontaneamente, tutto ormai era solo dovuto ad abitudine e convenzione. Apatia e tristezza erano le uniche costanti. A volte mi chiedevo che senso avesse essere lì, essere ancora presente, mentre il mondo crollava e la speranza moriva, eppure c’ero e questo doveva bastarmi.
 Mi crogiolavo in questi pensieri, in uno stato di dormiveglia, quando sentii chiamare la mia fermata. Era il capolinea, ero arrivata. Mi alzai, presi la valigia rossa che avevo riposto a fatica nel portabagagli e scesi, insieme alle altre pochissime persone che avevano affrontato il mio stesso viaggio, in quella sera autunnale. Camminai per un po’ e, finalmente, scorsi una donna sulla quarantina, alta e magra. Era Rose, mia zia, la sorella di mia madre, non avevo dubbi. Erano passati quasi sette anni, tuttavia non mi sembrava molto cambiata, il suo viso portava i segni del tempo, ma i capelli scuri le ricadevano ancora folti e lisci sulla schiena, come l’ultima volta che l’avevo vista. La vidi cercarmi con lo sguardo, poi mi venne incontro.
-Isabella?- mi chiese, quando fu a pochi passi da me. Mi sentii di nuovo bambina, per un istante, al suono di quel nome, era da un bel po’ di tempo ormai che tutti optavano per la versione abbreviata e anch’io la preferivo, tuttavia non dissi nulla.
 Annuii.
 Mi abbracciò con un gesto leggero e parlò con voce flebile e bassa -Quasi non ti riconoscevo…mi ricordavo una bambina, ora sei un’adulta.-
 -È da tanto che non ci vediamo.-
 -Come va?-
 -Bene.-
Attese per un attimo che aggiungessi qualcosa, poi abbassò lo sguardo. -D’accordo, andiamo.-
Non mi piaceva parlare di me, o approfondire i miei stati d’animo, non m’interessava affatto dare dettagli agli altri, o che qualcuno comprendesse come mi sentivo, nessuno poteva farlo. Credevo di stare perfettamente bene, sola con me stessa. Nonostante ciò, avevo sempre avuto un buon rapporto con mia zia, anche se non ci vedevamo da tempo, se negli ultimi anni le avevo parlato solo per telefono, mi sembrava sempre la stessa. Per questo, quando decisi di allontanarmi da casa, pensai che lei fosse la scelta migliore, mi aveva quasi sempre capita, e, soprattutto, ricordando l’affetto che aveva sempre dimostrato per me, sapevo che non mi avrebbe fatto troppe domande. Era partita sette anni prima per lavoro, lasciando la piccola cittadina in cui aveva sempre vissuto, nella quale anch’io ero sempre vissuta, si era trasferita a Seattle. Indubbiamente, una scelta di vita molto diversa da quella di sua sorella. In realtà, avevo sempre saputo, anche se nessuno me lo aveva mai detto esplicitamente, che quella partenza non fu mai appoggiata, né metabolizzata da mia madre e, benché da piccola non me ne rendessi conto, con la maturità degli anni, cominciai a dare una spiegazione diversa al fatto che i nostri contatti si limitassero, ormai, alle telefonate. Non riuscivo più ad incolpare la mancanza di tempo, o il caos della vita quotidiana. D’altra parte ero sempre stata sicura che quel rancore ,sotterraneo se così si poteva chiamare, era destinato a finire, col tempo, anzi sicuramente era già sopito, solo la sua ombra permaneva comunque, ben conservata, nei cuori di due persone troppo poco coraggiose per rinunciare alla sua protezione. Dopo tutto, è l’amore a convertirsi in odio, sono due facce della stessa medaglia, non si può odiare chi non si è amato, chi non si è almeno conosciuto, si può provare solo disprezzo e indifferenza per qualcuno che ci ha fatto del male, a cui non abbiamo mai voluto bene. E poi, la mia teoria era ampiamente dimostrata dal fatto che mia zia non si fosse tirata indietro in quel momento, nel momento peggiore. È da questo, credo, che si comprende l’affetto di qualcuno, se quando tutto il mondo ti volta le spalle continua a sostenerti, per non farti crollare sotto il peso della sorte.
 Seguii Rose fuori dalla stazione, fino alla sua macchina, che ci attendeva,ferma, lungo il ciglio della strada. Sistemammo velocemente la valigia nel cofano e ci allontanammo, sotto la pioggia battente. Fu un viaggio estremamente silenzioso, che trascorsi, per la maggior parte, a osservare le gocce, sempre più fitte, picchiettare sul finestrino.
 Quando arrivammo la pioggia era quasi cessata, tuttavia non riuscii a individuare in che strada ci trovassimo. Ero fradicia e stanca e non prestai molta attenzione. Prelevata rapidamente la valigia, ci dirigemmo di corsa verso il palazzo più vicino. L’interno era pulito ed elegante. L’ascensore ci condusse al secondo piano ed entrammo in casa. Le pareti erano color avorio e il pavimento in legno chiaro, alla mia sinistra una piccola scala in muratura conduceva al piano superiore e, dall’ingresso, si intravedeva il salone. Non c’era nessun muro a separare i due ambienti, che formavano un tutt’uno. Mi tolsi il cappotto e lo appesi all’attaccapanni alla mia destra, mentre Rose riponeva le chiavi nella ciotola blu, sul piccolo tavolino accanto alla porta. Alla nostra sinistra, la cucina. Entrammo. Un ampio tavolo rotondo, in legno, occupava gran parte della stanza, nell’angolo di fianco, la zona cottura culminava in una penisola corredata di sgabelli e, in fondo, dov’era la finestra, era sistemato un piccolo televisore, di fronte ad un divano in stoffa bianca. Mi resi conto, tutt’a un tratto, di non essere mai stata lì, non c’avevo mai pensato, neppure la curiosità mi aveva mai sfiorata…
-Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?- chiese mia zia, appena fummo entrate.
-No, grazie…sono solo stanca…-
 -Va bene, allora vieni.- si diresse nuovamente fuori dalla cucina e la seguii.
 La prima porta sulle scale dava nella stanza destinata a me. Rose accese la luce. La camera era, per la maggior parte, occupata dal letto a due piazze e dall’armadio. Tra il letto e la parete, era sistemato un piccolo comodino in legno, con sopra una lampada. Il colore dominante era il bianco e sembrava perfetta, nella sua semplicità.
-Ti piace?- chiese, analizzando la mia espressione. -Ora che ci penso…credo che non sia mai stata utilizzata.- concluse, dopo qualche istante di silenzio.
-Mi piace.-
 -Ti sei bagnata, devi asciugarti. Vieni con me, ti faccio vedere dov’è il bagno.-
La seguii nel corridoio, fino all’ultima porta sulla sinistra, entrò, accendendo la luce, e si diresse verso il mobiletto, in legno chiaro, in fondo alla stanza. Ne estrasse due asciugamani, ben ripiegati e di diversa misura e un asciugacapelli e me li porse.
-Grazie.-
 -Di niente.- aggiunse, posando tutto sullo sgabello bianco accanto al lavandino. –Io vado, se hai bisogno di qualcosa sono in cucina, in ogni caso, la mia camera è proprio di fronte alla tua, ok?-
-Va bene, ti ringrazio.-
-Allora buonanotte.-
 -Buonanotte.-
Mi lanciò un ultimo sguardo incerto e uscì socchiudendo la porta.
 Ero stanchissima, sentivo gli occhi chiudersi da soli. Dopo essermi asciugata alla meglio, mi diressi subito in camera, aprii la valigia, indossai in fretta il mio pigiama azzurro, il più caldo cha avessi, spensi le luci e, in poco tempo, mi addormentai.
 

  
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